Per rendere visibile la speranza
Le Congregazioni religiose nel cammino
della Chiesa in Italia
Premessa
Prima
di raccogliere questi pensieri che ora condivido con voi, ho riletto più
volte il tema, spaziando con la mente per l’Italia e l’Europa e facendo
emergere le immagini della vita religiosa che io conosco:
-
la
molteplicità delle Congregazioni
-
la
fisionomia dei diversi Istituti
-
le
attese che li animano e le problematiche che li attraversano,
e mi chiedevo:
riusciremo alla fine di questa assemblea a custodire ed accrescere la
speranza che portiamo in cuore? Quale speranza?
In
continuità con la 51a Assemblea
Abbiamo scritto più volte nelle nostre comunicazioni (lettera programma,
convo-cazione, presentazione dei Forum), che questa 52a
Assemblea è in continuità con quella dello scorso anno; ciò significa che
la tematica è stata pensata a partire da alcune sollecitazioni emerse in
quella sede, dove si auspicava di passare dalla teoria alla prassi, dai
contenuti alla loro traduzione operativa e di individuare dei percorsi
concreti per il cammino delle nostre Congregazioni.
E forse, oggi, siamo
qui con l’attesa che questo incontro sia per tutte un’opportunità per far
circolare tra noi la speranza che ci abita, per guardare insieme verso la
stessa meta e offrirci quella “sapienza spirituale” che è il dono più
grande del passaggio dello Spirito, il distillato delle nostre fatiche,
l’esito più puro di un cammino di conversione alla vo-lontà di Dio per noi
e per le nostre Congregazioni.
In
sinergia con la realtà ecclesiale
Come Usmi stiamo continuando il cammino, in piena comunione con il cammino
della Chiesa e in sinergia con le altre Conferenze nazionali e
internazionali: CISM, UCESM, UISG, USG.
Non possiamo tacere
la felice coincidenza del tema
dell’Assemblea 2000 su “Quello che abbiamo visto e udito… noi lo
annunciamo anche a voi. Qualità e futuro della vita religiosa”
e il riferimento biblico che introduce e ispira il cammino degli
Orienta-menti Pastorali della Chiesa Italiana, per il primo decennio del
2000 (OP).
In questi anni
abbiamo seguito l’attenzione della Chiesa universale per il cammino ver-so
l’Unione Europea e a questo tema abbiamo dedicato l’Assemblea del 2003 su
“Qua-le vita religiosa nella ‘nuova’ Europa” e una tavola rotonda
nell’Assemblea dello scorso anno. Un tema questo che trova spazio anche
nel programma del 2005.
Molte di noi sono
state presenti alle Assemblee dell’UISG, o alle plenarie. In esse, nel
2001 si è affrontato il tema: “Molte culture – un cuore solo”; nel
2004: “Donne, disce-pole di Gesù Cristo, artefici di riconciliazione in
questo nostro mondo”.
L’ultimo evento che
ha coinvolto tutta la vita religiosa, a livello mondiale, è stato il
Congresso internazionale sulla vita consacrata: “Passione per Cristo e
passione per l’umanità”.
Ci sentiamo parte di
questa grande ricerca, ma più ancora di un’unica testimonianza che orienta
il cuore di tutta la vita religiosa verso il Cristo, apostolo del Padre.
Un’introduzione al
tema dell’assemblea
Lo scorso
anno abbiamo affrontato il tema: “Rendere visibile la speranza in un
mondo che cambia. Le religiose tra interscambio generazionale e mobilità
etnica”.
Ci siamo soffermate
sui fondamenti della speranza cristiana, abbiamo percorso, attra-verso la
tavola rotonda e i forum, le questioni (realtà, problemi e prospettive)
dell’invec-chiamento, dello scambio intergenerazionale e interculturale,
della mobilità etnica, ad intra e ad extra del nostro contesto.
La ripresa del
tema, non è stata pensata per approfondire in questa sede ulteriori
contenuti, sui quali crediamo che la nostra riflessione debba continuare,
ma per inte-ragire con le Congregazioni per comprendere e condividere
fatiche, cammini intrapresi, risoluzioni, prospettive di futuro, nuovi
percorsi pastorali, in modo da creare una rete intercongregazionale di
solidarietà e di interscambio di risorse. Quando si è poveri si è più
disponibili a condividere.
Abbiamo ricevuto il
vostro contributo, raccolto nello Strumento di lavoro, dal quale recupero
ed offro qualche elemento che possa giovare a muovere i primi passi sui
“per-corsi di discernimento e di riconciliazione” che vorremmo
tracciare insieme.
1. alcuni percorsi della vita religiosa in italia
Lo Strumento di lavoro raccoglie delle indicazioni concrete in ordine alle
proble-matiche affrontate dai due Forum e offre anche la possibilità di
cogliere l’orientamento della vita religiosa in Italia.
Un primo movimento
che si avverte è la crescente apertura tra Istituti.
Un percorso
interessante che si profila nel prossimo futuro è proprio lo scambio
inter-congregazionale, come “cammino di rifondazione” tra
Congregazioni sorelle; come percorsi formativi intercongregazionali
(avviati da tempo); come risposta ecclesiale (nel vero senso del termine)
ai bisogni del territorio; come condivisione e scambio di espe-rienze per
una pastorale in un territorio nazionale, ma multietnico e multireligioso;
infine come rete di solidarietà e di mutua collaborazione tra gli
Istituti, in condizione di precarietà circa le risorse a disposizione
(persone, strutture, denaro…). È da auspicare che tale prospettiva diventi
una scelta pregata e attuata nel discernimento prima che una decisione
fatta in emergenza (SdL, pp. 26-28).
Il cammino dell’intercongregazionalità
contribuirà a mettere maggiormente in luce e ad alimentare il
carisma della vita consacrata, che non mancherà mai
alla Chiesa (cf Mt 19, 10-12) e il necessario rinnovarsi dei
carismi, donati dallo Spirito per la realtà di oggi.
Le nostre
Congregazioni sono di fronte alla grande sfida dell’invecchiamento
che coin-volge la vita religiosa, ma pure
l’intera popolazione in tutta l’Europa e ci permette di ripensare il
dialogo e l’interscambio generazionale. La diversità tra le
generazioni non si gioca solo sul piano dell’età, come poteva essere circa
quarant’anni fa; adesso è anche etnica, filosofica e culturale.
All’interno di una comunità religiosa, come anche nella società,
l’interscambio generazionale assumerà queste variabili che richiedono
discerni-mento e sapienza spirituale.
Il fenomeno
dell’invecchiamento
è una realtà che sta modificando la fisionomia delle nostre comunità e ci
impone di assumere nuove prospettive e una lettura più evangelica della
nostra vita. La ristrutturazione delle opere e la pianificazione delle
comunità non bastano più, poiché rispondono principalmente agli equilibri
tra servizi e risorse e non direttamente alla qualità della nostra vita
consacrata (SdL, pp 11-13).
L’elevato
numero di sorelle anziane domanda a noi superiore di ripensare le
co-munità non in forza dell’opera da sostenere, ma in forza di una vita
consacrata da alimentare fino alla fine, recuperando l’attenzione e la
cura della vita nello Spirito, della dimensione fraterna, del contatto
semplice e feriale con il territorio, abitato anche questo da molti
anziani e da molti immigrati.
La presenza viva di
piccole comunità di sorelle anziane diventa un segno evangelico che aiuta
tutti a recuperare il senso vero e ultimo della vita, legato non solo alla
nostra produttività, ma al dono che Dio ci ha affidato e a prendere in
seria considerazione un problema sommerso, ma molto grave anche nel nostro
paese, quello dell’eutanasia, del sentirsi padroni della propria vita e
quindi di poter decidere anche della propria morte.
In questo nostro
tempo, la pastorale cosiddetta della terza e quarta età, non può rimanere
una pastorale di conforto, di assistenza e di volontariato; né essere
ritenuta una pastorale occasionale. Su questo fronte, assieme ai molti
programmi di intervento previsti dalle diverse leggi regionali, a noi
viene lanciata la sfida di difendere e sostenere la vita umana, dono
divino, fino all’ultimo; di riproporre la fede nella vita oltre la morte,
perché ogni cosa e ogni esistenza sia considerata come veramente è:
pensata, voluta e amata da Dio.
Il
fenomeno dell’internazionalità e dell’interculturalità della vita
religiosa in Italia
Si tratta di
una dimensione tipica della vita religiosa in sé, la cui missione è
uni-versale e senza confini. Ma la presenza elevata di sorelle provenienti
da altri Paesi e il loro servizio all’interno delle nostre Congregazioni,
sembra più legata ad un problema di ridistribuzione delle risorse che a
dei progetti pastorali veri e propri. È importante leggere questo fenomeno
ad intra, senza isolarlo dal fenomeno della mobilità etnica presente in
Italia (il volto delle Congregazioni rispecchia il volto di alcune città
italiane), offrendo noi dei percorsi di vero dialogo e scambio
interculturale (SdL, pp 14-20) e predisponendo con ogni sforzo che
la formazione iniziale delle giovani suore sia fatta nei loro Paesi di
provenienza.
Educazione e formazione al dialogo interculturale e interreligioso.
È
un percorso, dice lo Strumento di lavoro,
che domanda a tutti umiltà e disponibilità, “una mentalità di esodo,
inteso sia come tempo di purificazione, sia come spazio per un più
profondo incontro con il Signore, il quale, attraverso il deserto della
ricerca di vie ancora inesplorate, sta conducendo tutti verso la terra
promessa (pp 29-38).
Un percorso che
domanda alla vita religiosa un impegno serio di studio e di conoscenza.
Noi sappiamo come sia difficile ancor oggi nei nostri ambienti trovare il
tempo per lo studio, la formazione, la rilettura delle esperienze e la
condivisione comunitaria. Eppure non sarà possibile sostenere questo
dialogo se non sappiamo rinnovare le nostre comu-nità, prevedendo dei
tempi indispensabili come il lavoro, per la ripresa di una
forma-zione culturale e spirituale solida, che ci
consenta di comprendere e di farci compren-dere dai nostri contemporanei.
Vorrei aggiungere
un’attenzione necessaria a noi superiore per poter favorire e soste-nere i
cammini indicati: formarsi e crescere come governo spirituale e di
animazione, rimanendo in ascolto dello Spirito, perché la vita
consacrata resti un segno vivo di Chiesa e del Suo amore in mezzo agli
uomini (SdL, pp 21-25).
Mentre è necessario
riaprirci, con rinnovata disponibilità e preparazione alla pastorale
familiare e giovanile.
2.
in sintonia con gli
orientamenti pastorali della chiesa in italia per il
primo decennio del duemila
I Vescovi
introducono le loro linee pastorali con una considerazione che induce a
una seria riflessione e non lascia certo tranquilli.
“Non è cosa facile,
oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo progressivo ridimensiona-mento; è
addirittura scomparso nella nostra cultura l’orizzonte escatologico,
l’idea che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso una
pienezza che va al di là di essa. Tale eclissi si manifesta, a volte,
negli stessi ambienti ecclesiali, se è vero che a fatica si trovano le
parole per parlare delle realtà ultime e della vita eterna” (OP n.
2).
È infatti
preoccupante la diffusa mentalità dell’uomo di oggi, che lo porta ad
at-teggiamenti fortemente contradditori. Cresce la sua sicurezza nella
scienza e nella tec-nica, tanto da sentirsi amministratore unico della sua
esistenza, manipolatore autorizzato della vita umana, con la presunta
possibilità di determinare la storia secondo i criteri della forza, della
potenza, della prevaricazione. Nello stesso tempo una vita così evoluta
non dà soddisfazione piena, non incontra senso e significato a lunga
scadenza e lo scorrere dell’esistenza è costantemente minato dalla noia e
dalla mancanza di senso.
A più riprese i
Vescovi invitano i cristiani del nostro Paese a riscoprire, insieme a
tutti gli uomini e le donne di buona volontà, “i fili invisibili della
vita per cui nulla si perde nella storia e ogni cosa può essere riscattata
e acquisire un senso” (n. 2).
Ci viene chiesto di
disporci alle sfide della nuova evangelizzazione, di non restare inerti
nel guscio di una comunità ripiegata su se stessa e di alzare lo sguardo
sul mare vasto del mondo, di gettare le reti, affinché ogni uomo incontri
la persona di Gesù che tutto rinnova.
“Una pastorale tesa
unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità
cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che
annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione, vada incontro
agli uomini e alle donne del nostro tempo, testimoniando che anche oggi è
possibile, è bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente
al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera
società” (CEI, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che
cambia, 2004, n 1).
Compito
irrinunciabile della Chiesa
e quindi di tutti noi, in un mondo che cambia e che cerca ragioni per
gioire e sperare è la comunicazione della fede, della vita in
Cristo sotto la guida dello Spirito, della perla preziosa del Vangelo.
È su questa scia che
si pone la vita consacrata, a servizio della missione dell’inviato del
Padre, venuto per amare “sino alla fine” tutti noi.
2.1.
Per “comunicare il Vangelo” all’umanità di oggi
Nel
Documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” ogni
indica-zione e orientamento derivano dall’orientamento fondamentale a
Cristo. È il primo invito dei Vescovi alla Chiesa che è in Italia:
contemplare Cristo, icona del Padre, per trovare le risposte alle domande
di senso dell’uomo d’oggi, per conoscere il mondo, la storia secondo il
piano di Dio, per vincere la paura della morte, per non temere il diverso
e accogliere l’altro nella fratellanza (cf OP, n. 38). Contemplare
Cristo icona del Padre, il Signore della storia della nostra Salvezza, il
Dio dell’Amore infinito che continua a credere nella libertà dell’uomo, lo
Spirito del Padre che rende possibile ogni cambiamento verso la vita vera,
che avrà il suo compimento nell’oltre di questa vita.
Il “sentire cum
Ecclesia” ci fa cogliere con la stessa urgenza pastorale questa realtà che
costituisce una sfida della nuova evangelizzazione e ci rimanda
all’urgenza di una testimonianza di vita più leggibile anche ad intra
delle nostre stesse Congregazioni (cf OP n. 44), perché possiamo
annunciare quello che prima abbiamo avuto modo di speri-mentare: “Quello
che abbiamo visto e udito lo annunciamo a voi…”.
Ai cristiani di oggi
è chiesto una fede adulta; che siano, cioè, “costantemente impegnati
nella conversione, infiammati dalla chiamata alla santità, capaci di
testimoniare con assoluta dedizione, con piena adesione e con grande
umiltà e mitezza il Vangelo”. È un cammino per uscire da un’identità
cristiana debole, per rispondere adeguatamente alla sfida di una società
che richiede non solo l’inculturazione del Vangelo, ma anche
l’e-vangelizzazione delle culture. Un cammino per poter dialogare nella
nostra società mul-tireligiosa con identità chiare, senza debolezze e
senza ambiguità.
Constatiamo, ad
esempio, che i nostri fratelli dell’Islam hanno un’identità molto chiara,
forte, visibile; all’interno del mondo cristiano, invece, ci troviamo, a
volte, con delle timidezze o delle mancate chiarezze, che non permettono
un vero e proprio dialogo, ma piuttosto sembrano incentivare semmai uno
scontro ideologico (cf OP, nn. 46; 56).
Le
prospettive che la Chiesa indica negli “Orientamenti” coinvolgono a pieno
tito-lo la vita consacrata, perché “chiesa” a pieno titolo, perché
particolarmente inserita nel ministero di annuncio e di servizio della
carità.
Le religiose
esprimono un vitale ed intimo rapporto con la comunità ecclesiale in tutta
la complessità delle reciproche esigenze.
La radice ecclesiale
dell’identità e missione della vita consacrata
ci pone in una posi-zione di dare e ricevere che è espressione dell’agape
che tutti unisce e sempre rin-nova e con una responsabilità molto marcata
nel realizzare la comunione ecclesiale.
Diventa d’altro
canto indispensabile per le persone consacrate approdare al coraggio di
essere sempre più Chiesa per essere se stesse in modo chiaro e definitivo
(cf AA.VV., Guardando al futuro, Centro Studi Usmi, 1999, pp.
31-33).
2.2.
I religiosi “ospiti e pellegrini” nel cuore della Chiesa e del mondo
Non ci può
sfuggire questa sottolineatura degli “Orientamenti” che tocca una
dimensione caratteristica del cristiano e in modo speciale delle persone
consacrate, a motivo della loro professione religiosa. “È proprio
l’appartenenza a Dio che distingue i cristiani dagli altri uomini”. Nella
sua prima lettera ai cristiani del Ponto, della Galazia, della Cappadocia,
dell’Asia, della Bitinia”, Pietro si rivolge con questa espressione: “agli
eletti stranieri nella diaspora” (1 Pt 1, 1-2).
È una lettera che
pare indirizzata ai cristiani di oggi, non più insediati nella
“cri-stianità”, bensì in una situazione di minoranza tra uomini non
cristiani e in massima parte indifferenti al problema religioso. Il mondo
in cui noi cristiani siamo collocati è il luogo della grazia di Dio, è il
mondo che Dio ama (oggi come ieri) ed è in esso che siamo chiamati a
vivere da discepoli di Gesù, manifestando la differenza cristiana; non una
differenza culturale, ma una differenza di vita, frutto della
santificazione operata dallo Spirito Santo in noi (cf E.
Bianchi, Una vita differente, ed. S. Paolo, 2005 pp.
17-18).
Proprio perché
“ospiti e pellegrini” i religiosi possono operare scelte di vita che li
ren-dono “poveri e marginali” ed essere segno di speranza (cf OP n.
62).
Siamo chiamati a
esercitare quel ministero che, mentre ci distanzia dal mondo, ci im-merge
nella profondità delle sue ferite e attinge al cuore della Chiesa il vino
e l’olio della riconciliazione e della misericordia.
Negli “Orientamenti
Pastorali” i religiosi trovano la loro collocazione nell’esercizio
dell’amore di Dio verso il prossimo.
Questo è
riconoscimento della verità delle cose; si resta però con la sensazione di
una presenza dei religiosi riconosciuta più significativa in ambito
operativo e sociologico che spirituale e carismatico.
È pur vero che la
carità materiale può avere un significato ampio e totalizzante, ma questo
unico richiamo può mutuare una visione più funzionale che sostanziale.
Per l’ampiezza del
servizio di comunicazione del Vangelo che compiono le istituzioni
religiose ed anche per superare quella certa estraneità che c’è tra
queste e gli orien-tamenti diocesani e parrocchiali, sarebbe stato utile
far apparire una parola specifica sul senso più teologale della loro vita
e della loro presenza, come già per i presbiteri, i laici, le associazioni
(cf C. Bissoli, Guida a
‘Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia’, LDC, 2002, pp.
109).
La gente oggi ci
cerca principalmente per i nostri servizi, che sono una garanzia sotto
molti aspetti, più che per ascoltare parole di vita o vedere la nostra
vita.
Noi religiose,
specialiste in un certo qual modo, in servizi di accoglienza, di
ospitalità, di istruzione ed educazione, avvertiamo anche l’urgenza di
rendere più evidente a coloro che accostiamo il volto e il cuore di Colui
a cui abbiamo consegnato la nostra vita.
Mi sembra questa la
sfida più forte alla vita religiosa, di questo terzo millennio: ritornare
al fondamento della nostra vita consacrata, perché le nostre opere non
riman-gano mute, e, attraverso la missione che compiamo e dal modo con cui
la compiamo, rendere visibile la bellezza di una vita totalmente data al
Dio della Vita.
3.
ritornare
ai fondamenti della vita consacrata per rendere visibile la
speranza
3.1.
Le nostre opere senza la fede sono mute
Mi sembrano abbastanza evidenti i punti o luoghi in cui la vita religiosa
femminile è più direttamente coinvolta nei problemi della modernità:
quello di un certo legame sociale da una parte e del rapporto con il
territorio dall’altra.
In una società in
cui è sempre in agguato il rischio dell’anonimato, le religiose sanno
creare importanti legami sociali. In passato lo è stato nel campo
assistenziale ed edu-cativo; oggi lo sono nella invenzione di nuove forme
di solidarietà, e nella possibilità di creare una vera rete, a motivo
anche delle nostre realtà internazionali.
È bello pensare a
questa interessante rete di solidarietà; ma oggi ci sentiamo provocate a
creare una vera rete spirituale, che riveli al mondo Cristo e il dono del
suo amore. Credere e amare sono due dimensioni inseparabili che
costituiscono il modo di essere della persona nella vita spirituale.
È per noi
indispensabile ritornare ai fondamenti della nostra vita consacrata
e superare una certa visione dicotomica della vita religiosa, dove è
normale parlare di vita spirituale e apostolica, come di due espressioni o
luoghi differenti.
Ci è chiesto un
cambio di mentalità; di accogliere ed entrare in quella conversione che ci
aiuta a recuperare il nesso tra le diverse dimensioni della persona e tra
i diversi fatti della vita. La nostra esperienza spirituale, infatti,
abbraccia pensieri, affetti, fisicità, azioni; non c’è evento della vita
quotidiana, anche insignificante, che sia escluso e non toccato dalla vita
dello Spirito.
“Lo spirituale è
un’azione dello Spirito Santo che si estende a tutto l’universo e fa sì
che le cose, gli eventi, le persone ci ricordino Dio, ci parlino di Lui,
narrino le sue mera-viglie e la storia della salvezza, ci orientino a Lui,
ce lo comunichino e infine a Lui ci riuniscano.
L’esercizio della fede è la relazione; credere significa riconoscere se
stessi in un rapporto esistenziale con il Dio personale che abbraccia
tutta la persona, anche la conoscenza e l’agire morale” (cf
M.J. Rupnik, Nel fuoco del
roveto ardente, Lipa, 1998, pp. 30-39).
È importante e più
ancora affascinante ritornare al primato della fede e della Parola
nella nostra vita: ossia a una testimonianza di vita che parte
dall’iniziativa divina dell’Amore Trinitario sperimentato e vissuto,
dall’esperienza della Salvezza che realizza la conversione della mentalità
e del cuore.
Ridare il
primato alla fede è ritrovare il senso ultimo dell’esistenza umana, è
recuperare una visione spirituale della vita e dell’uomo, perché
inconsapevolmente possiamo trovarci a leggere gli eventi senza avvertire
l’importanza di confrontarli alla luce della Parola di Dio o attraverso lo
sguardo spirituale del discernimento.
La nuova
evangelizzazione domanda il coraggio di mettere in questione noi stesse e
i nostri Istituti; in questo momento storico non ci si può accontentare di
semplici ritocchi.
Il Concilio Vaticano
II ripropone, per entrare in dialogo con l’uomo d’oggi, di ripartire da
una lettura esperienziale e razionale (nel senso del Logos) della
Scrittura, dei Padri e della tradizione spirituale di questo tempo.
La Fede nasce
dall’ascolto della Parola e solo lo Spirito Santo, che opera nella
Chie-sa, può aprire il nostro cuore all’intelligenza della Parola. Sono
questi i binari del cam-mino cristiano; e per la vita religiosa oggi sono
i percorsi obbligati per ritrovare significato e forza comunicativa.
3.2.
Il paradigma della vita fraterna che dà ai Voti la tonalità profetica
La nostra
sequela di Cristo si compie nella vita fraterna, in una comunità di
persone che sono insieme a motivo di Cristo.
L’accoglienza di
questa mediazione si esprime proprio nel momento della professione
religiosa in cui il nostro impegno definitivo nella sequela di Cristo
viene fatto nelle ma-ni di una sorella che ha il compito di presiedere la
comunità. Non una comunità da con-sumare, ma da edificare con il proprio
contributo nel cammino di santità; una comunità fondata sulla potenza di
Cristo che si manifesta nella debolezza umana; una comunità luogo del
perdono e della confessione della misericordia del Padre, della
riconciliazione e della guarigione, dove è possibile sperimentare la
salvezza e percorrere la via della sapienza del cuore.
Il religioso che con
i Voti è completamente orientato a Cristo, che sperimenta come l’amore di
Dio gli basta per la vita, che nella comunità ogni giorno muore e rinasce,
non può mai chiudersi in una mentalità fatta di attaccamenti sterili alle
proprie convinzioni culturali.
Egli proprio a causa
dei Voti, che sono cammino e verifica dell’orientamento radicale a Cristo,
quindi della capacità di abbandonare tutto a causa della comunione, entra
nel mondo e nella società senza esigere per sé delle forme speciali, degli
spazi particolari.
“Se è vero che gli
squilibri del mondo hanno la loro origine nel cuore dell’uomo (cf GS
10), i voti sono un mezzo per rimettere in equilibrio il mondo” (cf
Testimoni, n. 5/2005, p. 10).
3.3.
L’amore preferenziale per i poveri e gli ultimi
La comunità di Gerusalemme offrì ai non cristiani lo spettacolo commovente
di uno spontaneo scambio di doni, fino alla comunione dei beni a favore
dei più poveri (cf At 2, 44-45).
“Grandi pagine di
storia di solidarietà evangelica e di dedizione eroica sono state scritte
da persone consacrate, in questi anni di profondi cambiamenti e di grandi
ingiustizie, di speranze e di delusioni.
E pagine non meno
significative sono state e sono tuttora scritte da altre innumerevoli
persone consacrate, le quali vivono in pienezza la loro ‘vita nascosta con
Cristo in Dio’ (Col 3,3) per la salvezza del mondo, all’insegna
della gratuità, dell’investimento della propria vita in cause poco
conosciute e meno ancora applaudite” (VC n. 90).
L’amore
preferenziale per i poveri non è una strategia pastorale, ma la condizione
della sequela. Seguire il Signore chiede di essere e operare nel suo modo
(cf PI, n. 14).
I poveri non sono
profit, perciò non sono raggiunti né dal mondo dell’economia, né da quello
della comunicazione, ma dal Vangelo.
Noi siamo stati
raggiunti dal Signore perché bisognosi di salvezza e di vita e là dove c’è
bisogno di questo noi siamo chiamate a far conoscere la fonte della vita e
della salvezza, l’origine del bene e della vera ricchezza.
Servire i poveri non
è una scelta sociologica di un certo tempo. “I poveri li avrete sempre con
voi” (Gv 12, 8); sono di casa, sono persone con cui la nostra vita
ha sempre uno spazio da condividere.
4.
discernimento e riconciliazione
Sulla scia di quanto evidenziato, nel “ritornare ai fondamenti” e di
fronte alle sfide dell’attuale situazione, mi pare che possiamo cogliere
alcuni passaggi per avviare all’interno delle nostre Congregazioni
percorsi di riconciliazione e di discernimento.
Non possiamo
trascurare il fatto che stiamo superando il tempo delle grandi opere e
strutture, non solo perché siamo ridotte di numero, ma perché la stessa
società sta investendo molto per offrire servizi sempre più adeguati,
mentre l’uomo d’oggi, sempre più servito, si riscopre senza senso
dell’esistenza, senza un riconoscere la sua origine al di fuori di sé e
con l’orizzonte limitato.
C’è bisogno che chi
ha sperimentato la Salvezza, chi ha conosciuto il Signore perché suo
discepolo, annunci e testimoni il suo grande amore per l’umanità.
È evidente che di
fronte a questo quadro ci è chiesto di operare un attento discerni-mento
spirituale, cioè un discernimento compiuto da chi conosce il Signore non
per sentito dire e che lo segue non per forza d’inerzia, ma perché è stato
afferrato da Lui e consegnato totalmente al Padre nello Spirito.
Inoltre si tratta di
un discernimento compiuto insieme, perché non è sufficiente cercare
individualmente le vie di Dio, occorre che ogni Consiglio operi insieme un
discerni-mento spirituale sul cammino dell’Istituto e che all’interno
dell’Usmi ci aiutiamo a cercare e trovare insieme quelle coordinate
storiche e spirituali che costituiscono la necessaria premessa ad ogni
discernimento.
“Il discernimento è
la via regale per il credente, un’arte di sinergia con il dono di Dio, di
ascolto della tradizione, di incardinazione ecclesiale, di apertura alla
storia e di eser-cizio psico-spirituale” (M.
J. Rupnik, Il discernimento, Lipa, 2000, vol. I, p. 100).
Discernere significa
anche cogliere la profonda unità che caratterizza le opere di Dio,
unità che abita nei cuori che sono in ascolto dello stesso Spirito e che
sanno percorrere cammini di riconciliazione, perché riconoscono i semi del
Verbo anche nel cuore della realtà.
Riconciliarci con la
nostra realtà, luogo della nostra profezia.
I profeti non
preannunciano il futuro, dicono la verità di Dio, aiutano ad aprire gli
occhi sul modo con cui Dio vede la realtà. Noi ci siamo dette che in
questo oggi, in questa realtà nostra e del mondo, c’è la chiamata di Dio
per noi; e che attraverso questa morte ci sarà data Vita in pienezza.
5.
Debora, la
profetessa giudice
Scorrendo le
figure femminili della Scrittura mi è parso di rintracciare in Debora,
quei tratti della vita religiosa che vorremmo evidenziare anche in questa
assemblea.
Il
contesto
Quando il popolo di
Dio entra nella terra promessa si trova nella condizione di esprimere una
obbedienza difficile; le tentazioni previste da Mosè si affacciano subito
agli occhi di Israele: il fascino del benessere, l’autosufficienza e
l’oblio del Signore (cf Dt 8, 12-14). Il popolo si dimentica assai
presto del Signore e volge il cuore alle divinità pagane. Ma in questo
oblio sperimenta nuove forme di oppressione. Allora torna a gridare al
Signore, invocando liberazione. Il Signore suscita i “giudici”, figure
carisma-tiche che tentano di ristabilire la fedeltà a Dio.
Tra questi troviamo
una donna, Debora, che assomma in sé i ruoli di profetessa, giudice e
combattente: è la madre d’Israele (cf Gdc 5, 7).
Sotto
la palma di Debora
Debora significa
Ape, ed è famosa presso il popolo come profetessa, ancor prima di assumere
il ruolo di giudice. È una donna saggia che giudica e dirime le
controversie degli Israeliti. È una donna ispirata che vive un rapporto
particolare con il Santo d’Isra-ele; è la “bocca” di Dio per il suo
popolo.
Debora anticipa
Salomone: è la sapienza che stabilisce la fedeltà. Gli Israeliti salgono
numerosi sulle montagne di Efraim, tra Rama e Betel, ed essa li accoglie
all’aperto, seduta sotto una palma che porta il suo nome: la palma
di Debora.
La palma è un albero
carico di simbolismo, indica la gloria di Dio: le pareti e i battenti del
Santo dei Santi, nel tempio di Salomone, erano ornati da palme.
Sotto la palma di
Debora la gloria di Dio illumina la vita quotidiana.
Sotto la palma della
vita consacrata, che non ha dimora stabile quaggiù, la gloria di Dio
illumina e sostiene la fede.
Se
vieni con me andrò: il canto di lode
Debora è una
profetessa audace che non teme il confronto con la logica mondana del
potere: Dio si manifesterà vincitore nella debolezza di una donna che si
fida totalmente di Lui. Debora intona il canto di lode a Yahwh,
anticipando Maria, la Madre di Gesù, che intona il Magnificat di fronte
all’opera di Dio. A Maria si rivolge con fiducia il popolo cristiano nei
momenti di prova e di tentazione, e come Maria, Debora è segno di quella
vita consacrata che vince i criteri del mondo con la radicalità della fede
ed esulta nel cantare le opere di Dio.
Debora
offre il miele della Parola.
L’Ape-Debora
distilla il miele della Parola di Dio, su cui si appoggia la fede del
popolo d’Israele. A lei ricorrono per essere rafforzati e confermati nella
fedeltà all’alleanza tutti quelli che sperimentano la loro fragilità
davanti all’apparente potenza degli idoli. Nel suo canto profetico, il
dolce ricordo delle gesta passate si fonde con l’esperienza attuale della
salvezza. È il miele che scorre nella terra promessa e che anticipa il
compimento delle promesse di Dio.
Sotto la palma di
Debora, come nelle nostre comunità religiose, si elabora paziente-mente
quel miele della vita eterna, che anticipa la gloria della Pasqua, nel
giardino della Risurrezione, il primo dopo il sabato.
Preghiamo perché il
Signore Gesù ci conceda di distillare il miele della sapienza cristiana e
della profezia in questa nostra Assemblea.
Sr. Teresa
Simionato
Presidente
Usmi Nazionale
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