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Per rendere visibile la speranza

Le Congregazioni religiose nel cammino
della Chiesa in Italia

 Premessa

 Prima di raccogliere questi pensieri che ora condivido con voi, ho riletto più volte il tema, spaziando con la mente per l’Italia e l’Europa e facendo emergere le immagini della vita religiosa che io conosco:

-            la molteplicità delle Congregazioni

-            la fisionomia dei diversi Istituti

-            le attese che li animano e le problematiche che li attraversano,

e mi chiedevo: riusciremo alla fine di questa assemblea a custodire ed accrescere la speranza che portiamo in cuore? Quale speranza?

 

In continuità con la 51a Assemblea

           Abbiamo scritto più volte nelle nostre comunicazioni (lettera programma, convo-cazione, presentazione dei Forum), che questa 52a Assemblea è in continuità con quella dello scorso anno; ciò significa che la tematica è stata pensata a partire da alcune sollecitazioni emerse in quella sede, dove si auspicava di passare dalla teoria alla prassi, dai contenuti alla loro traduzione operativa e di individuare dei percorsi concreti per il cammino delle nostre Congregazioni.

E forse, oggi, siamo qui con l’attesa che questo incontro sia per tutte un’opportunità per far circolare tra noi la speranza che ci abita, per guardare insieme verso la stessa meta e offrirci quella “sapienza spirituale” che è il dono più grande del passaggio dello Spirito, il distillato delle nostre fatiche, l’esito più puro di un cammino di conversione alla vo-lontà di Dio per noi e per le nostre Congregazioni.

 

In sinergia con la realtà ecclesiale

           Come Usmi stiamo continuando il cammino, in piena comunione con il cammino della Chiesa e in sinergia con le altre Conferenze nazionali e internazionali: CISM, UCESM, UISG, USG.

Non possiamo tacere la felice coincidenza del tema dell’Assemblea 2000 su “Quello che abbiamo visto e udito… noi lo annunciamo anche a voi. Qualità e futuro della vita religiosa” e il riferimento biblico che introduce e ispira il cammino degli Orienta-menti Pastorali della Chiesa Italiana, per il primo decennio del 2000 (OP).

In questi anni abbiamo seguito l’attenzione della Chiesa universale per il cammino ver-so l’Unione Europea e a questo tema abbiamo dedicato l’Assemblea del 2003 su “Qua-le vita religiosa nella ‘nuova’ Europa” e una tavola rotonda nell’Assemblea dello scorso anno. Un tema questo che trova spazio anche nel programma del 2005.

Molte di noi sono state presenti alle Assemblee dell’UISG, o alle plenarie. In esse, nel 2001 si è affrontato il tema: “Molte culture – un cuore solo”; nel 2004: “Donne, disce-pole di Gesù Cristo, artefici di riconciliazione in questo nostro mondo”.

L’ultimo evento che ha coinvolto tutta la vita religiosa, a livello mondiale, è stato il Congresso internazionale sulla vita consacrata: “Passione per Cristo e passione per l’umanità”.

Ci sentiamo parte di questa grande ricerca, ma più ancora di un’unica testimonianza che orienta il cuore di tutta la vita religiosa verso il Cristo, apostolo del Padre.

Un’introduzione al tema dell’assemblea  

          Lo scorso anno abbiamo affrontato il tema: “Rendere visibile la speranza in un mondo che cambia. Le religiose tra interscambio generazionale e mobilità etnica”.

Ci siamo soffermate sui fondamenti della speranza cristiana, abbiamo percorso, attra-verso la tavola rotonda e i forum, le questioni (realtà, problemi e prospettive) dell’invec-chiamento, dello scambio intergenerazionale e interculturale, della mobilità etnica, ad intra e ad extra del nostro contesto.

     La ripresa del tema, non è stata pensata  per approfondire in questa sede ulteriori contenuti, sui quali crediamo che la nostra riflessione debba continuare, ma per inte-ragire con le Congregazioni per comprendere e condividere fatiche, cammini intrapresi, risoluzioni, prospettive di futuro, nuovi percorsi pastorali,  in modo da creare una rete  intercongregazionale di solidarietà e di interscambio di risorse. Quando si è poveri si è più disponibili a condividere.

Abbiamo ricevuto il vostro contributo, raccolto nello Strumento di lavoro, dal quale recupero ed offro qualche elemento che possa giovare a muovere i primi passi sui “per-corsi di discernimento e di riconciliazione” che vorremmo tracciare insieme.

 

 

1.  alcuni percorsi della vita religiosa in italia

           Lo Strumento di lavoro raccoglie delle indicazioni concrete in ordine alle proble-matiche affrontate dai due Forum e offre anche la possibilità di cogliere l’orientamento della vita religiosa in Italia.

Un primo movimento che si avverte è la crescente apertura tra Istituti.

Un percorso interessante che si profila nel prossimo futuro è proprio lo scambio inter-congregazionale, come “cammino di rifondazione” tra Congregazioni sorelle; come percorsi formativi intercongregazionali (avviati da tempo); come risposta ecclesiale (nel vero senso del termine) ai bisogni del territorio; come condivisione e scambio di espe-rienze per una pastorale in un territorio nazionale, ma multietnico e multireligioso; infine come rete di solidarietà e di mutua collaborazione tra gli Istituti, in condizione di precarietà circa le risorse a disposizione (persone, strutture, denaro…). È da auspicare che tale prospettiva diventi una scelta pregata e attuata nel discernimento prima che una decisione fatta in emergenza  (SdL, pp. 26-28).

Il cammino dell’intercongregazionalità contribuirà a mettere maggiormente in luce e ad alimentare il carisma della vita consacrata, che non mancherà mai alla Chiesa (cf Mt 19, 10-12) e il necessario rinnovarsi dei carismi, donati dallo Spirito per la realtà di oggi.

Le nostre Congregazioni sono di fronte alla grande sfida dell’invecchiamento che coin-volge la vita religiosa, ma pure l’intera popolazione in tutta l’Europa e ci permette di ripensare il dialogo e l’interscambio generazionale. La diversità tra le generazioni non si gioca solo sul piano dell’età, come poteva essere circa quarant’anni fa; adesso è anche etnica, filosofica e culturale. All’interno di una comunità religiosa, come anche nella società, l’interscambio generazionale assumerà queste variabili che richiedono discerni-mento e sapienza spirituale.

     Il fenomeno dell’invecchiamento è una realtà che sta modificando la fisionomia delle nostre comunità e ci impone di assumere nuove prospettive e una lettura più evangelica della nostra vita. La ristrutturazione delle opere e la pianificazione delle comunità non bastano più, poiché rispondono principalmente agli equilibri tra servizi e risorse e non direttamente alla qualità della nostra vita consacrata (SdL, pp 11-13).

     L’elevato numero di sorelle anziane domanda a noi superiore di ripensare le co-munità non in forza dell’opera da sostenere, ma in forza di una vita consacrata da alimentare fino alla fine, recuperando l’attenzione e la cura della vita nello Spirito, della dimensione fraterna, del contatto semplice e feriale con il territorio, abitato anche questo da molti anziani e da molti immigrati.

La presenza viva di piccole comunità di sorelle anziane diventa un segno evangelico che aiuta tutti a recuperare il senso vero e ultimo della vita, legato non solo alla nostra produttività, ma al dono che Dio ci ha affidato e a prendere in seria considerazione un problema sommerso, ma molto grave anche nel nostro paese, quello dell’eutanasia, del sentirsi padroni della propria vita e quindi di poter decidere anche della propria morte.

In questo nostro tempo, la pastorale cosiddetta della terza e quarta età, non può rimanere una pastorale di conforto, di assistenza e di volontariato; né essere ritenuta una pastorale occasionale. Su questo fronte, assieme ai molti programmi di intervento previsti dalle diverse leggi regionali, a noi viene lanciata la sfida di difendere e sostenere la vita umana, dono divino, fino all’ultimo; di riproporre la fede nella vita oltre la morte, perché ogni cosa e ogni esistenza sia considerata come veramente è: pensata, voluta e amata da Dio.

 

Il fenomeno dell’internazionalità e dell’interculturalità della vita religiosa in Italia

     Si tratta di una dimensione tipica della vita religiosa in sé, la cui missione è uni-versale e senza confini. Ma la presenza elevata di sorelle provenienti da altri Paesi e il loro servizio all’interno delle nostre Congregazioni, sembra più legata ad un problema di ridistribuzione delle risorse che a dei progetti pastorali veri e propri. È importante leggere questo fenomeno ad intra, senza isolarlo dal fenomeno della mobilità etnica presente in Italia (il volto delle Congregazioni rispecchia il volto di alcune città italiane), offrendo noi dei percorsi di vero dialogo e scambio interculturale (SdL, pp 14-20) e predisponendo con ogni sforzo che la formazione iniziale delle giovani suore sia fatta nei loro Paesi di provenienza.

 

Educazione e formazione al dialogo interculturale e interreligioso.

 È un percorso, dice lo Strumento di lavoro, che domanda a tutti umiltà e disponibilità, “una mentalità di esodo, inteso sia come tempo di purificazione, sia come spazio per un più profondo incontro con il Signore, il quale, attraverso il deserto della ricerca di vie ancora inesplorate, sta conducendo tutti verso la terra promessa (pp 29-38).

Un percorso che domanda alla vita religiosa un impegno serio di studio e di conoscenza. Noi sappiamo come sia difficile ancor oggi nei nostri ambienti trovare il tempo per lo studio, la formazione, la rilettura delle esperienze e la condivisione comunitaria. Eppure non sarà possibile sostenere questo dialogo se non sappiamo rinnovare le nostre comu-nità, prevedendo dei tempi indispensabili come il lavoro, per la ripresa di una forma-zione culturale e spirituale solida, che ci consenta di comprendere e di farci compren-dere dai nostri contemporanei.

Vorrei aggiungere un’attenzione necessaria a noi superiore per poter favorire e soste-nere i cammini indicati: formarsi e crescere come governo spirituale e di animazione, rimanendo in ascolto dello Spirito, perché la vita consacrata resti un segno vivo di Chiesa e del Suo amore in mezzo agli uomini (SdL, pp 21-25).

Mentre è necessario riaprirci, con rinnovata disponibilità e preparazione alla pastorale familiare e giovanile.

 

 

2.  in sintonia con gli orientamenti pastorali della chiesa in italia per il  

       primo decennio del duemila

 I Vescovi introducono le loro linee pastorali con una considerazione che induce a una seria riflessione e non lascia certo tranquilli.

“Non è cosa facile, oggi, la speranza. Non ci aiuta il suo progressivo ridimensiona-mento; è addirittura scomparso nella nostra cultura l’orizzonte escatologico, l’idea che la storia abbia una direzione, che sia incamminata verso una pienezza che va al di là di essa. Tale eclissi si manifesta, a volte, negli stessi ambienti ecclesiali, se è vero che a fatica si trovano le parole per parlare delle realtà ultime e della vita eterna” (OP n. 2).

 

È infatti preoccupante la diffusa mentalità dell’uomo di oggi, che lo porta ad at-teggiamenti fortemente contradditori. Cresce la sua sicurezza nella scienza e nella tec-nica, tanto da sentirsi amministratore unico della sua esistenza, manipolatore autorizzato della vita umana, con la presunta possibilità di determinare la storia secondo i criteri della forza, della potenza, della prevaricazione. Nello stesso tempo una vita così evoluta non dà soddisfazione piena, non incontra senso e significato a lunga scadenza e lo scorrere dell’esistenza è costantemente minato dalla noia e dalla mancanza di senso.

 

A più riprese i Vescovi invitano i cristiani del nostro Paese a riscoprire, insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, “i fili invisibili della vita per cui nulla si perde nella storia e ogni cosa può essere riscattata e acquisire un senso” (n. 2).

Ci viene chiesto di disporci alle sfide della nuova evangelizzazione, di non restare inerti nel guscio di una comunità ripiegata su se stessa e di alzare lo sguardo sul mare vasto del mondo, di gettare le reti, affinché ogni uomo incontri la persona di Gesù che tutto rinnova.

“Una pastorale tesa unicamente alla conservazione della fede e alla cura della comunità cristiana non basta più. È necessaria una pastorale missionaria, che annunci nuovamente il Vangelo, ne sostenga la trasmissione, vada incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo, testimoniando che anche oggi è possibile, è bello, buono e giusto vivere l’esistenza umana conformemente al Vangelo e, nel nome del Vangelo, contribuire a rendere nuova l’intera società” (CEI, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, 2004, n 1).

Compito irrinunciabile della Chiesa e quindi di tutti noi, in un mondo che cambia e che cerca ragioni per gioire e sperare è la comunicazione della fede, della vita in Cristo sotto la guida dello Spirito, della perla preziosa del Vangelo.

È su questa scia che si pone la vita consacrata, a servizio della missione dell’inviato del Padre, venuto per amare “sino alla fine” tutti noi.

 

2.1.   Per  “comunicare il Vangelo” all’umanità di oggi

          Nel Documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” ogni indica-zione e orientamento derivano dall’orientamento fondamentale a Cristo. È il primo invito dei Vescovi alla Chiesa che è in Italia: contemplare Cristo, icona del Padre, per trovare le risposte alle domande di senso dell’uomo d’oggi, per  conoscere il mondo, la storia  secondo il piano di Dio, per vincere la paura della morte, per non temere il diverso e accogliere l’altro nella fratellanza (cf OP, n. 38). Contemplare Cristo icona del Padre, il Signore della storia della nostra Salvezza, il Dio dell’Amore infinito che continua a credere nella libertà dell’uomo, lo Spirito del Padre che rende possibile ogni cambiamento verso la vita vera, che avrà il suo compimento nell’oltre di questa vita.

     Il “sentire cum Ecclesia” ci fa cogliere con la stessa urgenza pastorale questa realtà che costituisce una sfida della nuova evangelizzazione e ci rimanda all’urgenza di una testimonianza di vita più leggibile anche ad intra delle nostre stesse Congregazioni (cf OP n. 44), perché possiamo annunciare quello che prima abbiamo avuto modo di speri-mentare: “Quello che abbiamo visto e udito lo annunciamo a voi…”.

Ai cristiani di oggi è chiesto una fede adulta; che siano, cioè, “costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione, con piena adesione  e con grande umiltà e mitezza il Vangelo”. È un cammino per uscire da un’identità cristiana debole, per rispondere adeguatamente alla sfida di una società che richiede non solo l’inculturazione del Vangelo, ma anche l’e-vangelizzazione delle culture. Un cammino per poter dialogare nella nostra società mul-tireligiosa con identità chiare, senza debolezze e senza ambiguità.

Constatiamo, ad esempio, che i nostri fratelli dell’Islam hanno un’identità molto chiara,   forte, visibile; all’interno del mondo cristiano, invece, ci troviamo, a volte, con delle timidezze o delle mancate chiarezze, che non permettono un vero e proprio dialogo, ma piuttosto sembrano incentivare semmai uno scontro ideologico (cf  OP, nn. 46; 56).

        Le prospettive che la Chiesa indica negli “Orientamenti” coinvolgono a pieno tito-lo la vita consacrata, perché “chiesa” a pieno titolo, perché particolarmente inserita nel ministero di annuncio e di servizio della carità.

Le religiose esprimono un vitale ed intimo rapporto con la comunità ecclesiale in tutta la complessità delle reciproche esigenze.

La radice ecclesiale dell’identità e missione della vita consacrata ci pone in una posi-zione di dare e ricevere che è espressione dell’agape che tutti unisce e sempre rin-nova e con una responsabilità molto marcata nel realizzare la comunione ecclesiale.

Diventa d’altro canto indispensabile per le persone consacrate approdare al coraggio di essere sempre più Chiesa per essere se stesse in modo chiaro e definitivo (cf AA.VV., Guardando al futuro, Centro Studi Usmi, 1999,  pp. 31-33).

 

 2.2.  I religiosi “ospiti e pellegrini” nel cuore della Chiesa e del mondo

         Non ci può sfuggire questa sottolineatura degli “Orientamenti” che tocca una dimensione caratteristica del cristiano e in modo speciale delle persone consacrate, a motivo della loro professione religiosa. “È proprio l’appartenenza a Dio che distingue i cristiani dagli altri uomini”. Nella sua prima lettera ai cristiani del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia, della Bitinia”, Pietro si rivolge con questa espressione: “agli eletti stranieri nella diaspora” (1 Pt 1, 1-2).

È una lettera che pare indirizzata ai cristiani di oggi, non più insediati nella “cri-stianità”, bensì in una situazione di minoranza tra uomini non cristiani e in massima parte indifferenti al problema religioso. Il mondo in cui noi cristiani siamo collocati è il luogo della grazia di Dio, è il mondo che Dio ama (oggi come ieri) ed è in esso che siamo chiamati a vivere da discepoli di Gesù, manifestando la differenza cristiana; non una differenza culturale, ma una differenza di vita, frutto della santificazione operata dallo Spirito Santo in noi (cf  E. Bianchi, Una vita differente,  ed. S. Paolo, 2005 pp. 17-18).

Proprio perché  “ospiti e pellegrini”  i religiosi  possono operare scelte di vita che li ren-dono “poveri e marginali” ed essere segno di speranza (cf OP n. 62).

Siamo chiamati a esercitare quel ministero che, mentre ci distanzia dal mondo, ci im-merge nella profondità delle sue ferite e attinge al cuore della Chiesa il vino e l’olio della riconciliazione e della misericordia.

Negli “Orientamenti Pastorali” i religiosi trovano la loro collocazione nell’esercizio dell’amore di Dio verso il prossimo.

Questo è riconoscimento della verità delle cose; si resta però con la sensazione di una presenza dei religiosi riconosciuta più significativa in ambito operativo e sociologico che spirituale e carismatico.

È pur vero che la carità materiale può avere un significato ampio e totalizzante, ma questo unico richiamo può mutuare una visione più funzionale che sostanziale.

Per l’ampiezza del servizio di comunicazione del Vangelo che compiono le istituzioni religiose ed anche per superare quella certa estraneità che c’è tra queste e gli orien-tamenti diocesani e parrocchiali, sarebbe stato utile far apparire una parola specifica sul senso più teologale della loro vita e della loro presenza, come già per i presbiteri, i laici, le associazioni (cf C. Bissoli, Guida a Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia’, LDC, 2002, pp. 109).

La gente oggi ci cerca principalmente per i nostri servizi, che sono una garanzia sotto molti aspetti, più che per ascoltare parole di vita o vedere la nostra vita.

Noi religiose, specialiste in un certo qual modo,  in servizi di accoglienza, di ospitalità, di istruzione ed educazione, avvertiamo anche l’urgenza di rendere più evidente a coloro che accostiamo il volto e il cuore di Colui a cui abbiamo consegnato la nostra vita.

Mi sembra questa la sfida più forte alla vita religiosa, di questo terzo millennio:  ritornare al fondamento della nostra vita consacrata, perché le nostre opere non riman-gano mute, e, attraverso la missione che compiamo e dal modo con cui la compiamo, rendere visibile la bellezza di una vita totalmente data al Dio della Vita.

 

 3.  ritornare ai fondamenti della vita consacrata per rendere visibile la  speranza

 3.1.  Le nostre opere senza la fede sono mute

       Mi sembrano abbastanza evidenti i punti o luoghi in cui la vita religiosa femminile è più direttamente coinvolta nei problemi della modernità: quello di un certo legame sociale da una parte e del rapporto con il territorio dall’altra.

In una società in cui è sempre in agguato il rischio dell’anonimato, le religiose sanno creare importanti legami sociali. In passato lo è stato nel campo assistenziale ed edu-cativo; oggi lo sono nella invenzione di nuove forme di solidarietà, e nella possibilità di creare una vera rete, a motivo anche delle nostre realtà internazionali.

È bello pensare a questa interessante rete di solidarietà; ma oggi ci sentiamo provocate a creare una vera rete spirituale, che riveli al mondo Cristo e il dono del suo amore. Credere e amare sono due dimensioni inseparabili che costituiscono il modo di essere della persona nella vita spirituale.

     È per noi indispensabile ritornare ai fondamenti della nostra vita consacrata e superare una certa visione dicotomica della vita religiosa, dove è normale parlare di vita spirituale e apostolica, come di due espressioni o luoghi  differenti.

Ci è chiesto un cambio di mentalità; di accogliere ed entrare in quella conversione che ci aiuta a recuperare il nesso tra le diverse dimensioni della persona e tra i diversi fatti della vita. La nostra esperienza spirituale, infatti, abbraccia pensieri, affetti, fisicità, azioni; non c’è evento della vita quotidiana, anche insignificante, che sia escluso e non toccato dalla vita dello Spirito.

 

“Lo spirituale è un’azione dello Spirito Santo che si estende a tutto l’universo e fa sì  che le cose, gli eventi, le persone ci ricordino Dio, ci parlino di Lui, narrino le sue mera-viglie e la storia della salvezza, ci orientino a Lui, ce lo comunichino e infine a Lui ci riuniscano. L’esercizio della fede è la relazione; credere significa riconoscere se stessi in un rapporto esistenziale con il Dio personale che abbraccia tutta la persona, anche la conoscenza e l’agire morale” (cf M.J. Rupnik, Nel fuoco del roveto ardente, Lipa, 1998, pp. 30-39).

È importante e più ancora affascinante ritornare al primato della fede e della Parola nella nostra vita: ossia a una testimonianza di vita che parte dall’iniziativa divina dell’Amore Trinitario sperimentato e vissuto, dall’esperienza della Salvezza che realizza la conversione della mentalità e del cuore.

     Ridare il primato alla fede è ritrovare il senso ultimo dell’esistenza umana, è recuperare una visione spirituale della vita e dell’uomo, perché inconsapevolmente possiamo trovarci a leggere gli eventi senza avvertire l’importanza di confrontarli alla luce della Parola di Dio o attraverso lo sguardo spirituale del discernimento.

     La nuova evangelizzazione domanda il coraggio di mettere in questione noi stesse e i nostri Istituti; in questo momento storico non ci si può accontentare di semplici ritocchi.

Il Concilio Vaticano II ripropone, per entrare in dialogo con l’uomo d’oggi, di ripartire da una lettura esperienziale e razionale (nel senso del Logos) della Scrittura, dei Padri e della tradizione spirituale di questo tempo.

     La Fede nasce dall’ascolto della Parola e solo lo Spirito Santo, che opera nella Chie-sa, può aprire il nostro cuore all’intelligenza della Parola. Sono questi i binari del cam-mino cristiano; e per la vita religiosa oggi sono i percorsi obbligati per ritrovare significato e forza comunicativa.

 

 3.2.  Il paradigma della vita fraterna che dà ai Voti la tonalità profetica

         La nostra sequela di Cristo si compie nella vita fraterna, in una comunità di persone che sono insieme a motivo di Cristo.

L’accoglienza di questa mediazione si esprime proprio nel momento della professione religiosa in cui il nostro impegno definitivo nella sequela di Cristo viene fatto nelle ma-ni di una sorella che ha il compito di presiedere la comunità. Non una comunità da con-sumare, ma da edificare con il proprio contributo nel cammino di santità; una comunità fondata sulla potenza di Cristo che si manifesta nella debolezza umana; una comunità luogo del perdono e della confessione della misericordia del Padre, della riconciliazione e della guarigione, dove è possibile sperimentare la salvezza e percorrere la via della sapienza del cuore.

Il religioso che con i Voti è completamente orientato a Cristo, che sperimenta come l’amore di Dio gli basta per la vita, che nella comunità ogni giorno muore e rinasce, non può mai chiudersi in una mentalità fatta di attaccamenti sterili alle proprie convinzioni culturali.

Egli proprio a causa dei Voti, che sono cammino e verifica dell’orientamento radicale a Cristo, quindi della capacità di abbandonare tutto a causa della comunione, entra nel mondo e nella società senza esigere per sé delle forme speciali, degli spazi particolari.

“Se è vero che gli squilibri del mondo hanno la loro origine nel cuore dell’uomo (cf GS 10), i voti sono un mezzo per rimettere in equilibrio il mondo” (cf Testimoni, n. 5/2005,  p. 10).

 

3.3.  L’amore preferenziale per i poveri e gli ultimi

         La comunità di Gerusalemme offrì ai non cristiani lo spettacolo commovente di uno spontaneo scambio di doni, fino alla comunione dei beni a favore dei più poveri (cf At 2, 44-45).

“Grandi pagine di storia di solidarietà evangelica e di dedizione eroica sono state scritte da persone consacrate, in questi anni di profondi cambiamenti e di grandi ingiustizie, di speranze e di delusioni.

E pagine non meno significative sono state e sono tuttora scritte da altre innumerevoli persone consacrate, le quali vivono in pienezza la loro ‘vita nascosta con Cristo in Dio’ (Col 3,3) per la salvezza del mondo, all’insegna della gratuità, dell’investimento della propria vita in cause poco conosciute e meno ancora applaudite”  (VC n. 90).

  L’amore preferenziale per i poveri non è una strategia pastorale, ma la condizione della sequela. Seguire il Signore chiede di essere e operare nel suo modo (cf PI, n. 14).

I poveri non sono profit, perciò non sono raggiunti né dal mondo dell’economia, né da quello della comunicazione, ma dal Vangelo.

Noi siamo stati raggiunti dal Signore perché bisognosi di salvezza e di vita e là dove c’è bisogno di questo noi siamo chiamate a far conoscere la fonte della vita e della salvezza, l’origine del bene e della vera ricchezza.

 

Servire i poveri non è una scelta sociologica di un certo tempo. “I poveri li avrete sempre con voi” (Gv 12, 8); sono di casa, sono persone con cui la nostra vita ha sempre uno spazio da condividere.

 

4.  discernimento e riconciliazione

      Sulla scia di quanto evidenziato, nel “ritornare ai fondamenti” e di fronte alle sfide dell’attuale situazione, mi pare che possiamo cogliere alcuni passaggi per avviare all’interno delle nostre Congregazioni percorsi di riconciliazione e di discernimento.

     Non possiamo trascurare il fatto che stiamo superando il tempo delle grandi opere e strutture, non solo perché siamo ridotte di numero, ma perché la stessa società sta investendo molto per offrire servizi sempre più adeguati, mentre l’uomo d’oggi, sempre più servito, si riscopre senza senso dell’esistenza, senza un riconoscere la sua origine al di fuori di sé e con l’orizzonte limitato.

C’è bisogno che chi ha sperimentato la Salvezza, chi ha conosciuto il Signore perché suo discepolo, annunci e testimoni il suo grande amore per l’umanità.

È evidente che di fronte a questo quadro ci è chiesto di operare un attento discerni-mento spirituale, cioè un discernimento compiuto da chi conosce il Signore non per sentito dire e che lo segue non per forza d’inerzia, ma perché è stato afferrato da Lui e consegnato totalmente al Padre nello Spirito.

Inoltre si tratta di un discernimento compiuto insieme, perché non è sufficiente cercare individualmente le vie di Dio, occorre che ogni Consiglio operi insieme un discerni-mento spirituale sul cammino dell’Istituto e che all’interno dell’Usmi ci aiutiamo a cercare e trovare insieme quelle coordinate storiche e spirituali che costituiscono la necessaria premessa ad ogni discernimento.

 “Il discernimento è la via regale per il credente, un’arte di sinergia con il dono di Dio, di ascolto della tradizione, di incardinazione ecclesiale, di apertura alla storia e di eser-cizio psico-spirituale” (M. J. Rupnik, Il discernimento, Lipa, 2000, vol. I, p. 100).

 

Discernere significa anche cogliere la profonda unità che caratterizza le opere di Dio, unità che abita nei cuori che sono in ascolto dello stesso Spirito e che sanno percorrere cammini di riconciliazione, perché riconoscono i semi del Verbo anche nel cuore della realtà.

Riconciliarci con la nostra realtà, luogo della nostra profezia.

I profeti non preannunciano il futuro, dicono la verità di Dio, aiutano ad aprire gli occhi sul modo con cui Dio vede la realtà. Noi ci siamo dette che in questo oggi, in questa realtà nostra e del mondo, c’è la chiamata di Dio per noi; e che attraverso questa morte ci sarà data Vita in pienezza.

 

5Debora, la profetessa giudice

       Scorrendo le figure femminili della Scrittura mi è parso di rintracciare in Debora, quei tratti della vita religiosa che vorremmo evidenziare anche in questa assemblea.

 

Il contesto

Quando il popolo di Dio entra nella terra promessa si trova nella condizione di esprimere una obbedienza difficile; le tentazioni previste da Mosè si affacciano subito agli occhi di Israele: il fascino del benessere, l’autosufficienza e l’oblio del Signore (cf Dt 8, 12-14). Il popolo si dimentica assai presto del Signore e volge il cuore alle divinità pagane. Ma in questo oblio sperimenta nuove forme di oppressione. Allora torna a gridare al Signore, invocando liberazione. Il Signore suscita i “giudici”, figure carisma-tiche che tentano di ristabilire la fedeltà a Dio.

Tra questi troviamo una donna, Debora, che assomma in sé i ruoli di profetessa, giudice e combattente: è la madre d’Israele (cf Gdc 5, 7).

 

Sotto la palma di Debora

Debora significa Ape, ed è famosa presso il popolo come profetessa, ancor prima di assumere il ruolo di giudice. È una donna saggia che giudica e dirime le controversie degli Israeliti. È una donna ispirata che vive un rapporto particolare con il Santo d’Isra-ele; è la “bocca” di Dio per il suo popolo.

Debora anticipa Salomone: è la sapienza che stabilisce la fedeltà. Gli Israeliti salgono numerosi sulle montagne di Efraim, tra Rama e Betel, ed essa li accoglie all’aperto, seduta sotto una palma che porta il suo nome: la palma di Debora.

La palma è un albero carico di simbolismo, indica la gloria di Dio: le pareti e i battenti del Santo dei Santi, nel tempio di Salomone, erano ornati da palme.

Sotto la palma di Debora la gloria di Dio illumina la vita quotidiana.

Sotto la palma della vita consacrata, che non ha dimora stabile quaggiù, la gloria di Dio illumina e sostiene la fede.

 

Se vieni con me andrò: il canto di lode

Debora è una profetessa audace che non teme il confronto con la logica mondana del potere: Dio si manifesterà vincitore nella debolezza di una donna che si fida totalmente di Lui. Debora intona il canto di lode a Yahwh, anticipando Maria, la Madre di Gesù, che intona il Magnificat di fronte all’opera di Dio. A Maria si rivolge con fiducia il popolo cristiano nei momenti di prova e di tentazione, e come Maria, Debora è segno di quella vita consacrata che vince i criteri del mondo con la radicalità della fede ed esulta nel cantare le opere di Dio.

 

Debora offre il miele della Parola.

L’Ape-Debora distilla il miele della Parola di Dio, su cui si appoggia la fede del popolo d’Israele. A lei ricorrono per essere rafforzati e confermati nella fedeltà all’alleanza tutti quelli che sperimentano la loro fragilità davanti all’apparente potenza degli idoli. Nel suo canto profetico, il dolce ricordo delle gesta passate si fonde con l’esperienza attuale della salvezza. È il miele che scorre nella terra promessa e che anticipa il compimento delle promesse di Dio.

Sotto la palma di Debora, come nelle nostre comunità religiose, si elabora paziente-mente quel miele della vita eterna, che anticipa la gloria della Pasqua, nel giardino della Risurrezione, il primo dopo il sabato.

 

Preghiamo perché il Signore Gesù ci conceda di distillare il miele della sapienza cristiana e della profezia in questa nostra Assemblea.

 

 Sr. Teresa Simionato
 Presidente Usmi Nazionale

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