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UFFICIO FORMAZIONE

CRONISTORIA TRIMESTRE SABBATICO

Roma, ottobre 2006
 
 

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  E’ molto bello ora parlare della nostra vita consacrata e religiosa. P. Giuseppe Rovira svolge il tema della profezia dei voti religiosi partendo dalla premessa della multiforme presenza dei doni dello Spirito nella Chiesa. Non ogni vita consacrata è religiosa, ma solo quella che si vive in fraternità: Il Vangelo non ci parla dei consigli evangelici, ma del loro contenuto e non si sa perché anche la preghiera, la missionarietà non rientrino nei voti! I tre filoni della vita dell’uomo sono, in realtà: l’affettività, il possedere e il potere, per cui i voti presi in esame sono quelli della castità, della povertà e dell’obbedienza. Ogni Istituto ha il suo modo di vivere i consigli evangelici, secondo il carisma ricevuto. Evitiamo ogni tipo di genericismo, potremmo cadere nella non identificazione. Sono venuti quindi a proposito alcuni chiarimenti pratici su Milingo, i preti sposati, l’Islam e P. Rovira ha chiarito tutto con molta competenza.Dal punto di vista teologico, qual è il più importante dei voti? L’obbedienza che è a Dio; il celibato è quello più caratteristico; la povertà è stata la più riformata. Parliamo di profezia dei voti: ma chi è il profeta? E la risposta ci viene da Papa Benedetto XVI: il profeta è l’uomo di Dio, colui che vive in amicizia con Dio, nel discernimento del Volere di Dio. E’ colui che si sente sedotto da Dio (v. Geremia). Vive un’esperienza fortemente spirituale, vedendo costantemente Dio nella storia, annunciando ad essa la Volontà di Dio. Il profeta compie dei gesti che si rivolgono a tutti e per questo diventa scomodo. E’ portatore di un messaggio che non è suo, compie un’interazione tra Dio e l’uomo.

 

E’ l’esperto di Dio a cui è tenuto a essere fedele. E’ l’uomo intelligente, libero, coraggioso, appassionato, umile, compassionevole e gioioso. E’ talmente libero per Dio e per gli uomini da vivere nel pericolo del martirio. Ritornando su fatti presenti, quali l’aborto, P. Rovira ci dice che la persona va amata sempre, anche se malata e deforme. Noi siamo chiamati a difendere la vita: “Sbrigatevi ad amare la gente, perché se ne va in fretta”.Amore = a santità, vissuta nel carisma che lo Spirito  ha depositato in noi. Abbiamo una grande responsabilità nel vivere il carisma per la missione. Santità è lasciare che Dio ci invada e ci trasformi. Il santo lascia intravedere nella sua umanità qualche cosa di Dio: la compassione, la tenerezza, la paternità, la maternità, il servizio.Ma come essere profeti e di che cosa? Tutti siamo chiamati alla perfezione anche se in modo diverso. Noi siamo chiamati a vivere la castità nel celibato; la povertà come vero distacco interiore ed esteriore. Noi dobbiamo difendere i poveri da ogni ingiustizia, con loro condividiamo i nostri beni. La povertà di Cristo non sta nel dormire sopra la pietra, ma nell’incarnazione con il rischio di morire sulla croce. La sobrietà delle cose ci è di aiuto per l’autenticità interiore (Uso del telefonino, di internet, della TV…). Talora noi rischiamo di vivere nella infantilizzazione delle pretese. A tutti è richiesto di sottomettersi gli uni agli altri, di vivere la vita fraterna, di pregare incessantemente, di accogliere la Sua voce, sapendo che Egli ha bisogno di me.. La nostra vita è perciò teocentrica, insiste sul primato di Dio su tutti e tutto. Siamo chiamati a vivere la Trinità insieme ad altri per la Chiesa e per il mondo. La nostra Professione è l’inizio della Pienezza, della vocazione ad essere uomini e donne di Dio. I consigli evangelici sono l’espressione del primato di Dio.

  Avremo futuro? Sì, se saremo uomini e donne di Dio, che vivono di fede, di preghiera contrastando un mondo secolarizzato; Sì, se siamo uomini e donne di comunione, di fraternità, di solidarietà e pace in un mondo individualista e laicista; Sì se saremo uomini e donne semplici, disponibili, essenziali per difendere la libertà contro il consumismo e l’imborghesimento. Cristina Onassis prima di morire ha detto: “Sono talmente povera da avere solo soldi”. La vita in Cristo risponde alle esigenze più profonde del mondo contemporaneo.

La comunione è la sorgente e il traguardo della missione; è una vita profondamente unitaria e semplice, è consapevolezza amorosa di Dio. I consigli evangelici non sono rinuncia a qualcosa di cattivo, noi annunciamo che le cose di questo mondo sono transitorie, non definitive. Viviamo l’esagerato profumo della casa di Betania. Noi siamo per Dio e per i fratelli, per rendere visibile l’amore di Dio, ben lungi dalla mentalità sociologica del marketing.

I tre consigli evangelici vanno vissuti in ottica teologica: la castità è espressione della carità, è segno della donazione totale a Dio, perché sedotti da Lui. Castità è vivere come Cristo e per Cristo, è segno della Chiesa al servizio del Regno. Ricordiamo sempre che ciò che anticipa l’aldilà non è il celibato, ma la carità: questo è il tesoro in vaso di creta. La povertà è l’annuncio che il Figlio è l’unica ricchezza dell’uomo; il consacrato confessa che tutto riceve dal Padre e tutto gli restituisce. Viviamo come Gesù, abbandonati totalmente in Dio Padre. La povertà ci fa essere fratelli e sorelle semplici, disponibili, solidali, umili. Con la povertà mettiamo al servizio di Dio tutte le nostre possibilità, diventando professionisti di comunione e di condivisione. La semplicità e l’austerità esterna saranno la prova di quella interna. L’obbedienza confessa Cristo Amante e Amato, ci offre il carisma del servizio. Con l’obbedienza non rinunciamo a pensare e a decidere, ma rinunciamo a farlo da soli, in favore della comunione. E’ ancora espressione e testimonianza di amore fraterno, anche se dobbiamo mettere in preventivo le difficoltà umane. In comunità ci rassomigliamo tutti per il carisma ricevuto; è vero che non è facile vivere in comunità, ma non è impossibile. Chi presiede la comunità ha il grande ruolo di favorire la comunione; il suo è un compito teologico e pastorale. Sappiamo che davanti c’è solo Dio, il superiore sta in mezzo.

   Giornata di memoria di quanto il Signore ha compiuto fra noi in questo tempo santo del “Trimestre sabbatico” Sr Giampaola prepara una sintesi che ricapitola, a larghe linee, quanto abbiamo vissuto e amato insieme. Questa sintesi serve per cogliere il filo rosso che attraversa ogni argomento, oggetto di riflessione e di preghiera: il cammino verso l’interiorità. Seguono i lavori di gruppo per riflettere insieme sul nostro pellegrinare per le vie di Dio. E’ un ritrovarsi nella veste di sorelle che stanno percorrendo la stessa strada con Cristo. Tutto è vissuto nella lode e anche nella presa di coscienza di alcune difficoltà alle quali ora si cercherà di ovviare per quanto possibile. Veramente Dio sta facendo grandi cose fra noi.

   Diamo anche inizio al percorso di “Lectio Divina” guidata da Sr Barbara Rzepka delle Camaldolesi. Ci introduce dapprima a questa preghiera, dicendo ciò che non è la “Lectio”: non è discussione, non è richiesta di spiegazioni: è amorosa lettura della Parola del Signore, che ogni volta ci svela qualcosa di nuovo, anche nella Parola udita altre volte. Prima di entrare nelle letture della domenica c’è  però bisogno di chiarimenti per meglio introdurci nelle profondità della Parola. La lettura della Parola liturgica ci segue in tutta la settimana e la collatio, che in essa si fa, è il risultato del nostro contatto con Dio, fatto in modo semplice, tutto personale che mai potrà essere giudicato. La Parola ci ha parlato dell’unione tra uomo e donna che mai può essere disgiunta, è un’Alleanza alla quale siamo chiamate anche noi nel nostro matrimonio mistico.

La “Lectio” è stata preceduta dalla S. Messa celebrata da don Stefano Albertazzi con vera devozione del cuore, il quale ha quindi ascoltato le nostre confessioni.

   9 Ottobre: mattina meravigliosa, il cielo non ha alcuna nube, l’aurora sta cedendo il passo al sole nascente e noi partiamo per Assisi. Preghiere, canti e poi…momenti di gioia insieme sul pullman; quindi ancora  immersione nello spirito di Francesco che ci attende nella prima tappa di S. Maria degli Angeli. Il silenzio meditativo, la preghiera ci accompagnano alla Porziuncola, quindi al luogo della morte, sulla nuda terra, di Francesco… poi l’acqua benedetta che sgorga da sotto la cara statua del Santo…il roseto privo di spine, perché tolte dal calore ascetico di Francesco. Il momento forte è però la S. Messa presso l’altare papale. Il Vangelo ci parla del Buon Samaritano e quindi dello spirito di carità verso i più poveri, senza paura di sporcarci le mani, o di perdere qualcosa di noi. Dopo il parco pranzo, ci attende S. Damiano, ove Sr Rosanna, una giovane francescana, ci fa da guida. Qui tutto parla di amore alla natura,  a quel Grande Dio dell’umanità da amare di un amore misericordioso. Qui è anche il luogo di Chiara: tutto profuma di povertà, di semplicità, di amore fraterno, di un grande amore di Dio, vissuto nella preghiera e nell’abbraccio di Madonna Povertà. Sostiamo nel dormitorio della monache, ove una Croce ci indica il posto di Chiara, quello dal quale è partita per il Cielo. Ci arranchiamo sulla stradina ciottolosa, che ci  fa anche un po’ ansimare per giungere alla Basilica di S. Chiara. Preghiamo davanti al Crocifisso che ha parlato a Francesco, ci fermiamo a guardare le misere vesti di Francesco, le pantofole fatte da Chiara per i piedi piagati del caro Fratello; vediamo l’urna con i biondi capelli di Chiara ricoperta poi dal velo monacale; sostiamo in preghiera davanti al corpo di Chiara.

Tutto ispira semplicità, povertà, purezza. Ci avviamo alla Basilica di S. Francesco, ove P. Marcello, attraverso gli auricolari, ci introduce nella vita di Francesco, ci illustra tutta la storia di immedesimazione con Cristo del Santo. Ci interpreta le varie allegorie. Scendiamo alla tomba di Francesco e un fremito di commozione ci prende. Lì lasciamo tanta preghiera: tanta voglia di santità viene invece portata con noi. Si sta avvicinando il tramonto e il pullman ci attende per riportarci a Roma. Salutiamo la cara Assisi sentendo che la portiamo con noi, nelle nostre case. E’ l’ora del Vespro: lo preghiamo, lo cantiamo in segno di ringraziamento e di intercessione di pace. Maria è con noi in questa magnifica sera di ottobre e la preghiamo con il Rosario. La festa è nei nostri cuori e la dimostriamo in mille maniere: con canti, con aneddoti scherzosi, per terminare con il ringraziamento per tutte e anche per il nostro autista Gerardo che tanta pazienza ha avuto con noi. E’ buio pesto al nostro ritorno, ma nel cuore brilla la gioia.

   Ritorna a parlarci don Fabrizio Pieri: “In vasi di creta è la storia che lo Spirito compie con noi”. Nella nostra “debolezza forte” si apre la nostra liturgia quotidiana. Tutto coniughiamo nella debolezza che lo Spirito assume vivendola in noi con gemiti inesprimibili. Anche S. Paolo, dopo essere stato atterrato, ritorna al suo humus, alla sua terra debole, la nostra vocazione infatti è direttamente proporzionale alla debolezza, che è dono del Figlio. Bisogna vantarsi? Paolo si vanta della spina nella carne e all’invocazione di esserne liberato, risponde Dio dicendo: “Ti basta la mia grazia”. Il mio vantarmi è allora nell’ assimilazione a Cristo Crocifisso e Risorto.La mia debolezza mi permette di stendermi, in un gesto nuziale, sul talamo della Croce, ferita di amore nella fragilità quotidiana. Ciò vuol dire liberarsi da ogni pretesa, accettare la scommessa di Dio anche nella prova. Così Dio ha fatto con Giobbe: l’ha addirittura consegnato a Satana, sapendo che Giobbe sarebbe stato vincitore e avrebbe poi visto Dio con occhi diversi: “Ora i miei occhi ti hanno riconosciuto”. L’umiliazione mi permette di diventare quello che sono. Guai a me se pretendessi e provocassi Dio nel non voler sottomettermi alla prova. S. Paolo prega tre volte di essere liberato dalla spina, proprio come Cristo nel Getsemani domanda tre vote che sia allontanato il calice della passione. Ma il Padre non ascolta, Egli ci mette in una logica di trasformazione lenta e graduale, fino all’urlo, fino all’amore penitente (don Alberione). Quell’urlo di Maria, “rema” deve avvenire anche nella mia carne.. Non dobbiamo aver paura della gradualità del nostro divenire, è sempre crescita del mio 30, 50%. Giovanni ci offre le coordinate della crescita: ascoltare, farsi tutto orecchi. Egli ci darà un cuore e un orecchio capaci di crescere nell’ascolto, per capire il Suo disegno. E’ la povertà dei poveri di Jahvè che commuove Dio. In Amos leggiamo: “Verrà un tempo in cui avrete fame e sete di Parola, ma non ve la darò”, ce la darà solo nel riconoscimento della debolezza di un cuore umile. Giovanni ci parla anche del “vedere debole” per esclamare con Zaccaria: “I miei occhi hanno visto la salvezza” “Ho visto, quindi so”. Penetriamo nel mistero, contemplando il nostro quotidiano. Occorre entrare nel segreto del “palpare il Verbo della Vita”: ciò è tipico dei sensi spirituali (Ignazio di Loyola). Ciò è consolazione. La desolazione è pigrizia, è negligenza nella vita spirituale. Sono desolato quando penso che tutto dipenda da me, anche il mio apostolato. La mia gioia è nell’incarnazione compiuta.

Rifacendosi alla lettera di Paolo ai Romani,8, don Fabrizio ci parla dei tempi di Dio, che sono sempre i migliori, anche se sono tempi di prova e di deserto…”tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. Un tempo privilegiato di Dio è quello della preghiera, quale cantico dell’Amata: è l’ascolto dei gemiti dello Spirito in noi, che dà qualità d’amore alla preghiera. Per questo devo scendere dai miei altari, dove magari ho messo il mio equilibrio di preghiera. E’ lo stesso Spirito di Gesù che prega in noi, quello che Egli ha riconsegnato al Padre dalla Croce. Non imbrigliamo lo Spirito e non annacquiamolo con la nostra tiepidezza, che è smania di restare nelle proprie sicurezze.

Non conta il molto della preghiera, ma la profondità che sa trasformare in Dio, facendoci santi e irreprensibili. Questa preghiera è resa possibile dalla nostra debolezza forte che ci rende conformi all’immagine del Figlio: “Tu sei mio Figlio, in te mi sono compiaciuto!”. C’è una scuola di affetto nel rapporto con Dio, una teologia affettiva: devo sentire di essere innamorata di Dio e che Dio è innamorato di me. Tutto questo tocca la nostra verginità che è “vivere con cuore indiviso”, come dono carismatico che ci rende tutti suoi. La preghiera è la chiave dell’unificazione, dell’incarnazione della Volontà del Padre, nella dinamica di essere “sacrificio vivente”, ostensorio dei gemiti inesprimibili dello Spirito. La nostra vitalità può avere i suoi alti e bassi, ma non vergogniamoci di questo, ma facciamoci la carità della verità scambievole, a vantaggio del bene comune. Vivere il Kayròs vuol dire essere sereni, trasparenti dell’azione di Dio, vedendo la sua operosità anche nella nostra banalità. Ed allora Giovanni ci suggerisce la sintesi di questa vita spirituale nel racconto della “lavanda dei piedi”: vivere la kenosi di servizio, di amore oblativo. La debolezza dichiarata di Pietro è anche la mia. Anche se nel cuore c’è il buio della manchevolezza, il desiderio dell’amore purifica: non c’è nulla di tecnico per Iddio, Egli è libero di fare di me ciò che crede. Perfino l’aridità è dono suo; essa ci fa gridare dalla “terra arida e senz’acqua”. La tensione d’amore rende ogni mia azione, anche la più semplice, contemplativa.

   Don Massimo Grilli svolge questo tema: “Il volto come cammino verso l’altro”. Ci conduce attraverso gli scritti di Levinàs, di Bonhoeffer per risponderci alla domanda di “chi sono?” Sono forse ipocrita, sono rottame? “Sono tuo, o Dio”. Anche Adamo, dopo il peccato, cercava il suo volto, ma si vergognava per vedersi nella nudità della fragilità. Adamo si nasconde per non rendersi conto del suo stato, ma scivola sempre più nella sua falsità. Anche noi abbiamo forse imparato a fuggire o a nasconderci quando ci scopriamo di essere e questo e quello…Dio si manifesta anche nel limite di noi stessi, della nostra Congregazione… il tesoro può essere sotto la stufa di casa nostra. Occorre acconsentire ai limiti che ci sono tracciati, anche se sempre si insinua la tentazione di essere altrove. Solo la ricerca del volto in altri volti dà senso a ciò che facciamo e ci riconciliamo con noi stesse secondo la centralità di Dio nella nostra vita. Ritornando a Levinàs, capiamo che il volto è il modo in cui l’altro si presenta a noi. Dagli occhi degli altri io mi riconosco. Il senso della nostra vita lo troviamo nel faccia a faccia, quando può avvenire la vera comunione. Adamo esultò solo quando si trovò di fronte l’altra. La comunione non è mai possesso: siamo infatti missionari e non colonizzatori. Le nostre tentazioni sono quelle di impadronirsi o di fuggire dall’altro. La vera comunione è quella dei volti, scoprendo la nostra vulnerabilità e affidandoci agli altri. Don Massimo richiama la morte di Rachele: Gesù stesso parla della sua morte facendola simile al parto di una donna. Rachele muore e dà la vita, proprio come Gesù.. Quasi sempre nella Bibbia la morte è legata alla vita: vedi la nuora di Eli, Rachele, Abramo. Con Isacco poteva morire un popolo, una terra promessa, con Gesù muore l’immagine di Dio. Egli ci ha salvati: quale peccato dell’uomo può meritare la pena eterna?. Gesù ci ha riscattati a libertà e la libertà del cristiano non è quella dello stoico, ma è trasfigurazione di ciò che ci tormenta come passione. Dio non riempie i nostri vuoti affettivi, tutti desideriamo un volto da guardare, un figlio che prolunga la vita. Rachele vive anche il dramma di un Dio che l’aveva resa feconda, Geremia si lamenta di un Dio che l’ha sedotto (ingannato). Il figlio di Rachele è Beniamino “figlio della mia tristezza” che Giacobbe volle mutare in “figlio del mio vigore”, uccidendo l’ultimo desiderio della moglie. Anche Gesù sulla Croce dimostra tutto il dolore, che diventa vigore, trasformando tutto in amore. Da allora qualsiasi morte, peccato, qualsiasi storia possiamo aver vissuto, tutto questo non ha potere di ucciderci, ma tutto è trasformato in amore, in speranza e sorgente di vita. Anche Gesù ha gridato: “Perché mi hai abbandonato?” cui segue “Nelle tue mani affido il mio spirito”. Talora scendiamo nel nostro inferno, ma ciò vuol dire uscire da esso. Cristo è venuto non per insegnarci a rinunciare, ma a trasformare.

  Il Volto è segno di nuzialità, di ospitalità; l’ospitalità è la vera comunione, la nuzialità è vissuta con Cristo per il regno dei Cieli. Che cosa dà senso alle rinunce dei nostri voti? Solo l’amore. Occorre scegliere sempre quello che si fa per amore e non avremo paura. Si sceglie per amore di Qualcuno diventando capaci di dare la vita. Il “rinnega te stesso” pronunciato da Gesù ha un significato profondo, quello di non sentirci capaci di salvarci da soli, perché la salvezza viene da Lui. Si vive la croce trasformando il negativo in benedizione.

Venerdì, giornata speciale di preghiera con la S. Messa celebrata sempre da don Stefano con omelia sull’amore di Cristo che ci strappa dalla forza maligna che attenta sempre al nostro bene. I demoni vogliono prendere in noi il posto di Dio, ma Egli è più grande di ogni male.

 L’animazione della Messa è stata veramente bella e sentita, con l’armonia della pianola.

  Sr Barbara ci offre una “lectio” su Mt 10: l’incontro di Gesù con il giovane ricco. Gesù si rifà dapprima alla legge, ma poi scruta profondamente quel giovane per amarlo: aveva visto tutta l’intimità di quel giovane e suggeriva di fare quanto mancava alla vita eterna: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Una cosa sola è necessaria alla vita, come Gesù aveva detto anche a Marta, riferendosi alla sorella Maria che aveva scelto la parte migliore. La scelta unica è Lui; la realtà da ricercare è il Regno di Dio. L’attaccamento alle cose porta alla tristezza, il cuore libero fa spazio alla realtà vera. Dio ci chiama talora a fare le cose impossibili; d’altra parte, Egli è il Dio dell’impossibile e ci spiana la via.

E’ seguita una collatio, guidata da Sr Giampaola; una collatio ricca di preghiera, di pensieri che vengono dal Signore Gesù. E’ stata una vera mattina passata tutta nell’esperienza di Cristo Gesù.

   “Conoscenza di sé, nei nostri dinamismi interiori per camminare verso l’altro”: questo il tema di don Octavio Balderas. Ci introduce in questo discorso nel sentiero di S. Giovanni della Croce, strada di purificazione dell’umano nel modo di pensare, nella memoria, nella volontà. La vita spirituale si manifesta nelle opere; S. Teresa di Gesù B., avendo conosciuta la sua vocazione all’Amore, ha fatto un grande lavoro sulle sue sensazioni che la inducevano alle antipatie, alla tristezza. La depressione è incompatibile con la gioia della salute spirituale che si accompagna a quella fisica. I comportamenti sono quelli che denunciano la nostra salute, il camminare e agire secondo un vissuto. Spesso la nostra vita è traumatizzata e noi reagiamo in modo protettivo, con modifiche psichiche. L’energia che si sviluppa in noi può essere talora bloccata, e allora la persona si trova in una situazione incontrollabile. Se rimango nel trauma non saprò avere carità, non costruirò fraternità. Come prendere il controllo di noi stessi? Camminando nello Spirito che è caratteristica dei miti, arricchendo la memoria con esperienze positive, finché l’esperienza diventa norma generale. La memoria non si può cancellare, essa fa parte del bagaglio di saggezza della vita. Quando siamo sotto un’emozione forte, occorre cambiare valutazione sui fatti, guardando alla meta prefissa: Teresa di Gesù B. ha incanalato tutto sul giudizio dell’amore. Così potrò anch’io incanalare la forza della rabbia, frutto di frustrazione, la gelosia del ruolo, l’invidia per il successo dell’altro, la superbia che non accetta limiti, la tristezza…L’ansia è molto vicina alla paura, il sentimento di inferiorità a quello di colpa. Come venirne fuori? Talora da soli e molto spesso con l’aiuto di altri. Ci sono dei bambini immuni, cioè quelli che pur avendo vissuto situazioni molto problematiche, vivono una buona salute, sono sani anche dal punto di vista emozionale. Il nostro cammino è quello di diventare adulti, cioè persone che non reagiscono per impulso, ma sanno rispondere con la calma della saggezza: alla esplosione sostituiamo la compassione.

Noi reagiamo sempre alla valutazione delle varie realtà, eppure S. Paolo ci parla di metànoia, che è cambiamento di valutazione, rischiando nuovi comportamenti di saggezza. Quando si è trovato il vero senso della vita, nessun prezzo è troppo alto da pagare: il banchetto che la consacrata può offrire come Teresa di Gesù B. è quello della carità amabile. Occorre allora discernimento che è attività di giudizio secondo criteri evangelici.

La notte passiva dello spirito è la più drammatica: è un sentirsi abbandonati da Dio, privi di punti di riferimento, ma tutto questo induce a maggiore consapevolezza, umiltà, stato che fa comprendere le cose in profondità. Ci dona innocenza di vita, saggezza, amore di Dio, senza volere alcuna ricompensa (S. Francesco di Sales). In alcuni momenti si tratta solo di vivere nell’oscurità, nell’incomprensione fino a diventare liberi da ogni giudizio altrui. Questo è u cammino di crescita che ci porta al matrimonio spirituale, che è sempre punto di arrivo nella semplicità e impercettibilità da parte di altri. l’anima chiede allo Sposo di godere della bellezza e armonia di tutte le cose Il matrimonio spirituale ha le sue caratteristiche. Non gusta nient’altro e non sa fare altro che amare. Sceglie sempre il meglio, come l’ape per fare il suo miele. S. Teresa di Gesù Bambino, accusata in pubblico, ha scelto di percepire che una persona sbaglia quando giudica, di tutto l’evento ha scelto l’amore. Il perdono è questo evento straordinario, possibile quando si sono superate le notti precedenti. Lo stato di innocenza è dato dalla mancanza di giudizio sul male, sullo stesso peccato capendo i meccanismi che possono stare dietro.. L’amore maturo è compassione, è empatia, il tratto più intelligente della sfera emozionale. L’amore di Dio è compreso nella sua totalità quando si capisce che anche se fossi Maddalena sarei come colei che si trova nell’innocenza battesimale, perché l’amore di Dio reintegra la persona.. In questo cammino la sensibilità viene modificata dando padronanza sugli impulsi, gli affetti e per questo è importante constatare le nostre cadute che devono renderci capaci di riconoscere i nostri stati d’animo seguenti per migliorarli. La santità oggi si manifesta nella gratuità della misericordia, lo straordinario lo si vede sempre con l’occhio dell’amico. La santità si manifesta nelle sofferenze quotidiane, senza stancarmi mai, sapendo però che le grandi crisi arriveranno. E’ sempre compatibile lo stato di croce con la felicità, fino ad arrivare al diletto, alla felicità profonda che non è mai alienabile. Un buon suggerimento è quello di ascoltare i segnali dell’altro per aiutarci a modificare noi stessi: l’intelligenza emotiva sa interpretare i gesti. Lo scopo di queste giornate è stato quello di conoscere meglio noi stesse, per entrare in profondità, vedendo la dimensione psicologica nel contesto della fede. Nel giudizio finale avremo il nostro incontro con Lui che riguarderà le opere di misericordia. Un ateo sano,  può superare nell’amore un nevrotico religioso, è questa una grossa sfida in campo umano: l’ateo può incontrare Dio.

   P. Alberto Valentini tratta il tema mariologico partendo dall’Annunciazione a Maria. Egli ci fa notare come tutte le Scritture parlino di Maria, Ella è la pienezza della Chiesa. Con Lei è nata la Nuova Alleanza, perché su di Maria è disceso lo Spirito Santo. Maria è creata dalla tenerezza di Dio e l’annuncio fatto a Lei è quello stesso fatto alla Chiesa; tutta la Misericordia di Dio è in questo annuncio. In Lei è il compimento della Promessa Antica, ma è anche il Futuro della creazione nuova. Noi non siamo più  solo figli di Abramo, ma  figli di Maria. Un giorno noi saremo quello che è Lei. Per conoscerla e capirla occorre discernimento spirituale nei Sacramenti e nella Parola. Le più belle laudi a Maria sono queste: Vergine, Kecharitomè (plasmata dalla tenerezza di Dio), Madre del Figlio di Davide, ricolmata dalla Spirito, Serva che rimette la sua vita al progetto del Padre; annunciatrice del Signore, ma soprattutto Madre del mio Signore.

L’esortazione di Maria a Cana : “Fate quello che Egli vi dirà” è il prologo dell’”Ora” della Croce. Gesù chiama la Madre con il titolo di Donna, trasferendo la sua missione a Madre di tutti i credenti. Solo chi posa il suo capo sul petto di Gesù potrà comprendere tutti i misteri racchiusi in Maria, quegli stessi misteri che Ella meditava nel suo cuore. Maria è l’immagine viva della Chiesa, là dove lo Spirito vede amore per Maria, vola (Montfort) e riempie di Sé quell’anima. L’”ora si compirà perfettamente sulla Croce quando saremo tutti salvati e nascerà la Chiesa. Siamo immersi in un mistero grande di miracoli e di segni: il miracolo quale manifestazione dell’onnipotenza di Dio, il segno  quale rivelazione della Presenza del Divino.

   Dopo un venerdì di Eucaristia coinvolgente, celebrata sempre da don Stefano,viene a noi Marina Stremfelj che subito ci invita a ringraziare il Signore per il tempo di grazia offerto dal “Trimestre sabbatico”. Il suo discorso si rivolge alla persona, che è tale perché è in relazione tanto nella gioia quanto nella sofferenza la quale sa portare alla vita più intima. Il dolore va condiviso, se non messo in relazione si raddoppia. Papa Giovanni Paolo II  il Grande ci ha dato una fisionomia esatta dell’uomo presente che si rifugia nel potere, nel benessere, nel conformismo e quindi nella solitudine. E’ un uomo che ha paura e, come le, diventa aggressivo. L’unico rimedio per quest’uomo è la speranza che mai delude (Rm 5,5). Dove si trova oggi la speranza, dopo aver proclamato la morte di Dio? Si tratta di trovare un Centro,  aiutati anche dalla possibilità di colloquio con altri e, magari, nel pianto. L’amore di Dio unifica tutto. La Parola di Dio rimanda subito alla comunione con gli altri perché l’uomo è stato creato per la comunione. Più si vivono le relazioni e più nell’uomo vi è pienezza di unità, di armonia, bellezza, amore, vita: tutto questo è l’uomo. Il segreto per arrivare a tale integrazione è l’umiltà: “Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili”. L’umiltà porta alla semplicità che è trasparenza e non ignoranza. L’uomo ha la possibilità di diventare immagine nell’Immagine, ricevendo il dono dell’essenza di Dio che è l’amore. Mai si potrà distinguere l’amore di Dio da quello per il fratello o la sorella. Ci può essere talora una certa stanchezza nella nostra vita, ma non deve mai rompere le relazioni, non può portare mai a non vivere la serenità di fondo. E ci apriamo così alla grazia, perché il Signore ha una parola per me anche nella ferita, Egli mi parla quando la mia ferita è aperta. Lo Spirito è il portavoce del Padre e in Lui possiamo gridare: “Abbà, Padre!”. E’ lo Spirito che ci fa vivere la maternità nella Chiesa, senza questa maternità spirituale si annulla la nostra stessa vocazione. Accogliamo infatti l’Amore di Dio e lo doniamo in sovrabbondanza agli altri.

La nostra persona è tricotomica: corpo, anima e Spirito santo come è dichiarato in Tess 5,23.

Il corpo, pur essendo materia, si nutre del Corpo e del Sangue di Cristo e così viene nutrita tutta la personalità. Il corpo è carnale e presenta le sue tentazioni che occorre combattere spiritualizzando tutto il corpo. Giovanni Paolo II diceva che il corpo esprime all’uomo il pensiero di Dio, manifesta Dio che cogliamo con occhi puliti. “La vera intelligenza è quando l’uomo riesce a vedere il bene anche nel male” (Edith Stein). I corpi sono destinati a risuscitare per la potenza dello Spirito santo, lo stesso Spirito che ha risuscitato Gesù. Il corpo è un grande dono di Dio che rimanda al Donatore che ci fa consacrare tutte le cose attraverso l’amore. Il dono di Dio domanda gratitudine senza mai cadere nel criterio del paragone con gli altri. Il corpo è dipendente da tutto e se non riceve, diventa aggressivo e violento. L’aggressività non ci permette né di pensare, né di voler bene.. Il corpo manifesta l’amore che, in una persona consacrata, è tutto grazia, fecondità, attraverso il sorriso, lo sguardo gentile, la serenità, la pace; l’ascolto fecondo fa rinascere una persona. Il corpo è anche fragile e questa consapevolezza ci fa evitare il peccato, primo fra i quali, l’autosufficienza. “La virtù si perfeziona nella debolezza” (Tertulliano). Il corpo ha bisogno di essere purificato, perché nel suo interno c’è la parte passionale e la purificazione avviene nella conoscenza del mistero di Cristo in noi. Il corpo è mezzo di comunicazione e mi viene donato perché io lo doni in un sacrificio che rende sacra la mia azione.. Anche l’anima è un dono di Dio e rimanda al Donatore. Ad essa dobbiamo dare il giusto valore, come allo Spirito: è nell’insieme delle nostre tre componenti che viviamo l’integrità. L’equilibrio deve essere trovato per migliorare le nostre relazioni con gli altri e ciò avviene nella preghiera. Popovic dice che “l’anima non è Dio, ma è destinata a partecipare alla vita divina”. L’anima deve avere la sua apertura allo Spirito per non cadere nella sensualità. Nell’anima ci sono i pensieri, i sentimenti, la volontà e ci sono anche i pensieri  Dio: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” Fil 2….Ci sono pensieri psicologici e pensieri spirituali che domandano liberazione per rendere la volontà trasparente, affinché passi la luce di Dio. L’anima si può spiritualizzare dopo che si è aperta allo Spirito santo, ricevendo serenità spirituale, la memoria buona che migliora lo stato della mia anima. Questa si apre all’accoglienza che dona serenità, ci rende capaci di pregare, di relazionarci con Dio. Una signora, provata tanto dal dolore, così si è espressa: “Fin quando posso pregare e parlare con il Signore, in tutto quello che mi capita sto bene”. Il fine della vita non è lo star bene, i frutti dello Spirito arrivano solo attraverso la sofferenza, il sabato santo dell’abbandono e della solitudine sempre in modo relazionale. Lo Spirito giunge attraverso l’anima al nostro corpo e la persona raggiunta diventa bella oltre che buona. Chi ama con il vero amore di Dio è bello: il criterio dello Spirito santo è bellezza. Oggi, per capire il senso del futuro della vita religiosa occorre contattare le persone dallo sguardo bello e profetico. La persona raggiunta dallo Spirito è raccolta, lo si vede dal suo stesso atteggiamento. E’ unificata perché amata. L’amore e la bellezza non sono solo per noi, ma per far gioire gli altri. C’è un movimento unitivo ed uno espansivo nei confronti dello Spirito, per cui interiorizziamo e usciamo da noi per condividere l’amore. La questione della vocazione è questione di amore. Niente è in contraddizione per la persona spirituale, tutto è superabile, anche il male. Se soddisfiamo solo il corpo e l’anima cadiamo negli “ismi”, nel dare a una parte il valore assoluto. La persona chiamata a vivere la vita religiosa riceve una grazia speciale per far fronte ad ogni esigenza anche del sesso; noi testimoniamo infatti la vita escatologica.

  Il pomeriggio è tutto dedicato alla bellezza dell’arte ammirata al Quirinale, l’antica sede dei Papi, quindi dei Savoia e ora del Presidente della Repubblica. Quella bellezza ci  riempie l’anima, mentre di fuori suona una musica che invita al senso della Patria, dell’altruismo. Confrontiamo la sontuosità di questo Palazzo dei Papi con quanto visto la sera precedente alla TV, sulla semplicità e umiltà di vita di Giovanni Paolo I e sentiamo, nonostante tutto, una stretta al cuore.

   Passiamo ora  all’incarnazione del discorso spirituale con argomenti che toccano la vita di carità. Sr Eugenia Bonetti, con la passione che la caratterizza, ci parla del suo lavoro all’USMI fra “le sorelle della notte” alle quali ridare dignità. Le nostre Fondatrici hanno pensato al futuro e ci hanno tramandato lo spirito di maternità verso queste giovani sorelle usate, maltrattate, violentate. Per questo è necessario aprire le porte delle nostre case, farci voce presso le sedi parlamentari perché cessi questo terribile commercio di vite giovani. Sono, di solito, giovani cristiane che subiscono questa violenza proprio nel nostro Paese. Con Sr Eugenia facciamo anche la preghiera del buon samaritano e sentiamo che è proprio la preghiera per noi in questo momento.

   All’intervento di Sr Eugenia si aggiunge quello di Giuliana Martirani, la quale, subito, dimostra un grande apprezzamento per la nostra vita religiosa. Ella ci parla dei “viandanti maestosi nelle vie della bellezza”. Il nostro cammino è aiutato dalla regalità di Cristo che porta alla onnicrazia= il potere di tutti. Questa regalità è un valore assoluto, che crea orizzonti e spazi che fanno andare oltre gli steccati deboli, per metterci in relazione. Siamo viandanti di relazione la quale fa vivere e toglie da ogni depressione.. La nostra vita è ostacolata dal tempo-lavoro che diamo alle troppe cose che possediamo. E’ necessario passare dalla situazione di talpe solitarie per diventare rondini che preparano la primavera; passare dalla supremazia del potere a quella della spiritualità, avendo come unico regolamento il Vangelo. Passiamo dalla fissità dei ruoli, dalla ripetitività dei riti, alla libertà che scioglie conflitti nell’individuazione di mediazioni; dalla supremazia delle alleanze, dalla difesa dei privilegi, dalla separazione dal mondo esterno, al servizio, all’inclusività, all’integrazione con la realtà. Con i nostri voti noi gridiamo la profezia dei tempi nuovi, vissuti nella sobrietà che ha accanto a sé verbi importanti: resistere, ridurre, rinunciare, riparare, risparmiare, riciclare, rinunciar: tutti verbi della bellezza Giuliana ci riporta una frase di don Mazzolari detta nel 1946, ma attuale: “Si è stanchi di fare il povero e si ha paura di diventarlo”. Una pagina sulla mentalità dell’uomo di oggi chiude una giornata densa di provocazioni.

   Continuano le mattinate dedite al discorso sulla carità di frontiera. Sr Patrizia Pasini ci consegna un’icona: quella di due adolescenti abbracciati e in cammino, uno è ebreo e l’altro è palestinese. Ciascuno ha un’identità chiara e l’amicizia li unisce. E’ un’amicizia che gestisce i conflitti, che fa vivere nella  reciprocità anche quando le differenze sono profondissime. Così è per noi: se annunciamo concretamente la vita di Cristo, possiamo andare d’accordo. Nelle nostre conflittualità e differenze ci sono sempre delle risorse. Per questo è necessaria un’autocritica, guardando alle cose che ci uniscono e non a quelle che ci dividono. Non è importante risolvere i conflitti, essi sono da comprendere dando lo spazio per esprimere la complessa unicità. La soluzione non può mai essere appiattimento.

   Sr Rita Giaretta ci porta la sua bella testimonianza di vita fra le “sorelle della strada” che hanno trovato una casa, “Casa Rut”, la straniera accanto a Noemi. Talora si dice che non ci sono problemi solo perché non li abbiamo osservati nel territorio: chi soffre sta nascosto ed è reso nascosto. Sr Rita ci parla dell’approccio alle carceri, alle tante ragazze della Nigeria, dell’Est, portate qui in Italia per lavoro e gettate sulla strada. Quando vengono accolte a casa Rut occorre tempo per ascoltarle, per permettere loro di raccontare la loro sofferenza, per insegnare loro la lingua che le può mettere in contatto vero con il mondo. Gli appartamenti “Rut” sono al centro della Città perché queste ragazze non devono più vivere nell’ombra della periferia, devono poter usufruire come ogni altra giovane dei servizi della Città. Devono sentire il calore della vita vera, dell’ambiente che non tradisce e le rispetta anche nel proprio “Credo”. Con Sr Rita c’è anche una giovane della casa Rut, finalmente libera dalla schiavitù del padrone e della strada. Ella affida a noi la sua dolorosa storia, si sente fra le suore nell’ambiente delle sorelle. E’ rumena, ma ora conosce bene l’italiano e può studiare e farsi una professione. Ha con sé dei prodotti di sartoria fatti dalla cooperativa per queste giovani che hanno il gusto di lavorare dignitosamente, di sentirsi amate da Dio perché amate dalle sorelle consacrate e dalle loro amiche. Quanti conflitti sono risolti in questo ambiente di accoglienza e di amore….

                                                                                  Suor Giampaola  Periotto

Roma, 9 novembre 2006 

 

 

 

 


 


 

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