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E’ molto bello ora
parlare della nostra vita consacrata e religiosa. P. Giuseppe
Rovira svolge il tema della profezia dei voti religiosi
partendo dalla premessa della multiforme presenza dei doni dello Spirito
nella Chiesa. Non ogni vita consacrata è religiosa, ma solo quella che
si vive in fraternità: Il Vangelo non ci parla dei consigli evangelici,
ma del loro contenuto e non si sa perché anche la preghiera, la
missionarietà non rientrino nei voti! I tre filoni della vita dell’uomo
sono, in realtà: l’affettività, il possedere e il potere, per cui
i voti presi in esame sono quelli della castità, della povertà
e dell’obbedienza. Ogni Istituto ha il suo modo di vivere i consigli
evangelici, secondo il carisma ricevuto. Evitiamo ogni tipo di
genericismo, potremmo cadere nella non identificazione. Sono venuti
quindi a proposito alcuni chiarimenti pratici su Milingo, i preti
sposati, l’Islam e P. Rovira ha chiarito tutto con molta
competenza.Dal punto di vista teologico, qual è il più importante dei
voti? L’obbedienza che è a Dio; il celibato è quello più
caratteristico; la povertà è stata la più riformata. Parliamo
di profezia dei voti: ma chi è il profeta? E la risposta ci viene da
Papa Benedetto XVI: il profeta è l’uomo di Dio, colui che vive in
amicizia con Dio, nel discernimento del Volere di Dio. E’ colui che si
sente sedotto da Dio (v. Geremia). Vive un’esperienza fortemente
spirituale, vedendo costantemente Dio nella storia, annunciando ad essa
la Volontà di Dio. Il profeta compie dei gesti che si rivolgono a tutti
e per questo diventa scomodo. E’ portatore di un messaggio che non è
suo, compie un’interazione tra Dio e l’uomo.

E’ l’esperto di Dio a
cui è tenuto a essere fedele. E’ l’uomo intelligente, libero, coraggioso,
appassionato, umile, compassionevole e gioioso. E’ talmente libero per Dio
e per gli uomini da vivere nel pericolo del martirio. Ritornando su
fatti presenti, quali l’aborto, P. Rovira ci dice che la persona va
amata sempre, anche se malata e deforme. Noi siamo chiamati a difendere la
vita: “Sbrigatevi ad amare la gente, perché se ne va in fretta”.Amore
= a santità, vissuta nel carisma che lo Spirito ha depositato in noi.
Abbiamo una grande responsabilità nel vivere il carisma per la missione.
Santità è lasciare che Dio ci invada e ci trasformi. Il santo
lascia intravedere nella sua umanità qualche cosa di Dio: la
compassione, la tenerezza, la paternità, la maternità, il servizio.Ma
come essere profeti e di che cosa? Tutti siamo chiamati alla
perfezione anche se in modo diverso. Noi siamo chiamati a vivere la
castità nel celibato; la povertà come vero distacco interiore ed
esteriore. Noi dobbiamo difendere i poveri da ogni ingiustizia, con loro
condividiamo i nostri beni. La povertà di Cristo non sta nel dormire sopra
la pietra, ma nell’incarnazione con il rischio di morire sulla croce.
La sobrietà delle cose ci è di aiuto per l’autenticità interiore (Uso del
telefonino, di internet, della TV…). Talora noi rischiamo di vivere nella
infantilizzazione delle pretese. A tutti è richiesto di sottomettersi gli
uni agli altri, di vivere la vita fraterna, di pregare incessantemente, di
accogliere la Sua voce, sapendo che Egli ha bisogno di me.. La nostra vita
è perciò teocentrica, insiste sul primato di Dio su tutti e
tutto. Siamo chiamati a vivere la Trinità insieme ad altri per la
Chiesa e per il mondo. La nostra Professione è l’inizio della Pienezza,
della vocazione ad essere uomini e donne di Dio. I consigli evangelici
sono l’espressione del primato di Dio.
Avremo futuro? Sì,
se saremo uomini e donne di Dio, che vivono di fede, di preghiera
contrastando un mondo secolarizzato; Sì, se siamo uomini e donne di
comunione, di fraternità, di solidarietà e pace in un mondo individualista
e laicista; Sì se saremo uomini e donne semplici, disponibili, essenziali
per difendere la libertà contro il consumismo e l’imborghesimento.
Cristina Onassis prima di morire ha detto: “Sono talmente povera da
avere solo soldi”. La vita in Cristo risponde alle esigenze più
profonde del mondo contemporaneo.
La comunione
è la sorgente e il traguardo della missione; è una vita profondamente
unitaria e semplice, è consapevolezza amorosa di Dio. I consigli
evangelici non sono rinuncia a qualcosa di cattivo, noi annunciamo che le
cose di questo mondo sono transitorie, non definitive.
Viviamo
l’esagerato profumo della casa di Betania. Noi siamo per Dio e per i
fratelli, per rendere visibile l’amore di Dio, ben lungi dalla mentalità
sociologica del marketing.

I tre consigli
evangelici vanno vissuti in ottica teologica: la castità
è espressione della carità, è segno della donazione totale a Dio,
perché sedotti da Lui. Castità è vivere come Cristo e per Cristo, è
segno della Chiesa al servizio del Regno. Ricordiamo sempre che ciò che
anticipa l’aldilà non è il celibato, ma la carità: questo è il tesoro in
vaso di creta. La povertà è l’annuncio che il Figlio è l’unica
ricchezza dell’uomo; il consacrato confessa che tutto riceve dal Padre
e tutto gli restituisce. Viviamo come Gesù, abbandonati totalmente in Dio
Padre. La povertà ci fa essere fratelli e sorelle semplici,
disponibili, solidali, umili. Con la povertà mettiamo al
servizio di Dio tutte le nostre possibilità, diventando professionisti di
comunione e di condivisione. La semplicità e l’austerità esterna
saranno la prova di quella interna. L’obbedienza confessa Cristo Amante
e Amato, ci offre il carisma del servizio. Con l’obbedienza non
rinunciamo a pensare e a decidere, ma rinunciamo a farlo da
soli, in favore della comunione. E’ ancora espressione e testimonianza
di amore fraterno, anche se dobbiamo mettere in preventivo le
difficoltà umane. In comunità ci rassomigliamo tutti per il carisma
ricevuto; è vero che non è facile vivere in comunità, ma non è
impossibile. Chi presiede la comunità ha il grande ruolo di
favorire la comunione; il suo è un compito teologico e pastorale.
Sappiamo che davanti c’è solo Dio, il superiore sta in mezzo.
Giornata di memoria
di quanto il Signore ha compiuto fra noi in questo tempo santo del
“Trimestre sabbatico” Sr Giampaola prepara una sintesi che
ricapitola, a larghe linee, quanto abbiamo vissuto e amato insieme. Questa
sintesi serve per cogliere il filo rosso che attraversa ogni
argomento, oggetto di riflessione e di preghiera: il cammino verso
l’interiorità. Seguono i lavori di gruppo per riflettere insieme sul
nostro pellegrinare per le vie di Dio. E’ un ritrovarsi nella veste di
sorelle che stanno percorrendo la stessa strada con Cristo. Tutto è
vissuto nella lode e anche nella presa di coscienza di alcune difficoltà
alle quali ora si cercherà di ovviare per quanto possibile. Veramente Dio
sta facendo grandi cose fra noi.
Diamo anche inizio al
percorso di “Lectio Divina” guidata da Sr Barbara Rzepka
delle Camaldolesi. Ci introduce dapprima a questa preghiera, dicendo ciò
che non è la “Lectio”: non è discussione, non è richiesta di spiegazioni:
è amorosa lettura della Parola del Signore, che ogni volta ci svela
qualcosa di nuovo, anche nella Parola udita altre volte. Prima di entrare
nelle letture della domenica c’è però bisogno di chiarimenti per meglio
introdurci nelle profondità della Parola. La lettura della Parola
liturgica ci segue in tutta la settimana e la collatio, che in essa
si fa, è il risultato del nostro contatto con Dio, fatto in modo semplice,
tutto personale che mai potrà essere giudicato. La Parola ci ha parlato
dell’unione tra uomo e donna che mai può essere disgiunta, è
un’Alleanza alla quale siamo chiamate anche noi nel nostro matrimonio
mistico.
La “Lectio” è stata
preceduta dalla S. Messa celebrata da don Stefano Albertazzi
con vera devozione del cuore, il quale ha quindi ascoltato le nostre
confessioni.
9 Ottobre:
mattina meravigliosa, il cielo non ha alcuna nube, l’aurora sta cedendo il
passo al sole nascente e noi partiamo per Assisi. Preghiere, canti
e poi…momenti di gioia insieme sul pullman; quindi ancora immersione
nello spirito di Francesco che ci attende nella prima tappa di
S. Maria degli Angeli. Il silenzio meditativo, la preghiera ci
accompagnano alla Porziuncola, quindi al luogo della morte, sulla
nuda terra, di Francesco… poi l’acqua benedetta che sgorga da sotto la
cara statua del Santo…il roseto privo di spine, perché tolte dal calore
ascetico di Francesco. Il momento forte è però la S. Messa presso
l’altare papale. Il Vangelo ci parla del Buon Samaritano e quindi dello
spirito di carità verso i più poveri, senza paura di sporcarci le mani, o
di perdere qualcosa di noi. Dopo il parco pranzo, ci attende S. Damiano,
ove Sr Rosanna, una giovane francescana, ci fa da guida. Qui tutto
parla di amore alla natura, a quel Grande Dio dell’umanità da amare di un
amore misericordioso. Qui è anche il luogo di Chiara: tutto profuma
di povertà, di semplicità, di amore fraterno, di un grande amore di Dio,
vissuto nella preghiera e nell’abbraccio di Madonna Povertà. Sostiamo nel
dormitorio della monache, ove una Croce ci indica il posto di Chiara,
quello dal quale è partita per il Cielo. Ci arranchiamo sulla stradina
ciottolosa, che ci fa anche un po’ ansimare per giungere alla Basilica
di S. Chiara. Preghiamo davanti al Crocifisso che ha parlato a
Francesco, ci fermiamo a guardare le misere vesti di Francesco, le
pantofole fatte da Chiara per i piedi piagati del caro Fratello; vediamo
l’urna con i biondi capelli di Chiara ricoperta poi dal velo monacale;
sostiamo in preghiera davanti al corpo di Chiara.

Tutto ispira
semplicità, povertà, purezza. Ci avviamo alla Basilica di S. Francesco,
ove P. Marcello, attraverso gli auricolari, ci introduce nella vita di
Francesco, ci illustra tutta la storia di immedesimazione con Cristo del
Santo. Ci interpreta le varie allegorie. Scendiamo alla tomba di
Francesco e un fremito di commozione ci prende. Lì lasciamo tanta
preghiera: tanta voglia di santità viene invece portata con noi. Si
sta avvicinando il tramonto e il pullman ci attende per riportarci a Roma.
Salutiamo la cara Assisi sentendo che la portiamo con noi, nelle nostre
case. E’ l’ora del Vespro: lo preghiamo, lo cantiamo in segno di
ringraziamento e di intercessione di pace. Maria è con noi in
questa magnifica sera di ottobre e la preghiamo con il Rosario. La
festa è nei nostri cuori e la dimostriamo in mille maniere: con canti, con
aneddoti scherzosi, per terminare con il ringraziamento per tutte e anche
per il nostro autista Gerardo che tanta pazienza ha avuto con noi.
E’ buio pesto al nostro ritorno, ma nel cuore brilla la gioia.
Ritorna a parlarci
don Fabrizio Pieri: “In vasi di creta è la storia che lo Spirito
compie con noi”. Nella nostra “debolezza forte” si apre la nostra
liturgia quotidiana. Tutto coniughiamo nella debolezza che lo Spirito
assume vivendola in noi con gemiti inesprimibili. Anche S. Paolo, dopo
essere stato atterrato, ritorna al suo humus, alla sua terra debole,
la nostra vocazione infatti è direttamente proporzionale alla debolezza,
che è dono del Figlio. Bisogna vantarsi? Paolo si vanta della spina
nella carne e all’invocazione di esserne liberato, risponde Dio
dicendo: “Ti basta la mia grazia”. Il mio vantarmi è allora
nell’ assimilazione a Cristo Crocifisso e Risorto.La mia debolezza
mi permette di stendermi, in un gesto nuziale, sul talamo della Croce,
ferita di amore nella fragilità quotidiana. Ciò vuol dire liberarsi da
ogni pretesa, accettare la scommessa di Dio anche nella prova. Così
Dio ha fatto con Giobbe: l’ha addirittura consegnato a Satana, sapendo che
Giobbe sarebbe stato vincitore e avrebbe poi visto Dio con occhi diversi:
“Ora i miei occhi ti hanno riconosciuto”. L’umiliazione mi permette
di diventare quello che sono. Guai a me se pretendessi e provocassi Dio
nel non voler sottomettermi alla prova. S. Paolo prega tre volte di
essere liberato dalla spina, proprio come Cristo nel Getsemani domanda
tre vote che sia allontanato il calice della passione. Ma il Padre non
ascolta, Egli ci mette in una logica di trasformazione lenta e graduale,
fino all’urlo, fino all’amore penitente (don Alberione). Quell’urlo di
Maria, “rema” deve avvenire anche nella mia carne.. Non dobbiamo aver
paura della gradualità del nostro divenire, è sempre crescita del
mio 30, 50%. Giovanni ci offre le coordinate della crescita: ascoltare,
farsi tutto orecchi. Egli ci darà un cuore e un orecchio capaci di
crescere nell’ascolto, per capire il Suo disegno. E’ la povertà
dei poveri di Jahvè che commuove Dio. In Amos leggiamo:
“Verrà un tempo in cui avrete fame e sete di Parola, ma non ve la
darò”, ce la darà solo nel riconoscimento della debolezza di un cuore
umile. Giovanni ci parla anche del “vedere debole” per esclamare con
Zaccaria: “I miei occhi hanno visto la salvezza” “Ho visto,
quindi so”. Penetriamo nel mistero, contemplando il nostro quotidiano.
Occorre entrare nel segreto del “palpare il Verbo della Vita”: ciò è
tipico dei sensi spirituali (Ignazio di Loyola). Ciò è
consolazione. La desolazione è pigrizia, è negligenza nella
vita spirituale. Sono desolato quando penso che tutto dipenda da me, anche
il mio apostolato. La mia gioia è nell’incarnazione compiuta.
Rifacendosi alla
lettera di Paolo ai Romani,8, don Fabrizio ci parla dei tempi di
Dio, che sono sempre i migliori, anche se sono tempi di prova e di deserto…”tutto
concorre al bene di coloro che amano Dio”. Un tempo
privilegiato di Dio è quello della preghiera, quale cantico
dell’Amata: è l’ascolto dei gemiti dello Spirito in noi, che dà
qualità d’amore alla preghiera. Per questo devo scendere dai miei altari,
dove magari ho messo il mio equilibrio di preghiera. E’ lo stesso Spirito
di Gesù che prega in noi, quello che Egli ha riconsegnato al Padre dalla
Croce. Non imbrigliamo lo Spirito e non annacquiamolo con la nostra
tiepidezza, che è smania di restare nelle proprie sicurezze.
Non conta il molto
della preghiera, ma la profondità che sa trasformare in Dio, facendoci
santi e irreprensibili. Questa preghiera è resa possibile dalla nostra
debolezza forte che ci rende conformi all’immagine del Figlio: “Tu sei
mio Figlio, in te mi sono compiaciuto!”. C’è una scuola di affetto nel
rapporto con Dio, una teologia affettiva: devo sentire di essere
innamorata di Dio e che Dio è innamorato di me. Tutto questo tocca la
nostra verginità che è “vivere con cuore indiviso”,
come dono carismatico che ci rende tutti suoi. La preghiera è la chiave
dell’unificazione, dell’incarnazione della Volontà del Padre, nella
dinamica di essere “sacrificio vivente”, ostensorio dei gemiti
inesprimibili dello Spirito. La nostra vitalità può avere i suoi alti e
bassi, ma non vergogniamoci di questo, ma facciamoci la carità della
verità scambievole, a vantaggio del bene comune. Vivere il Kayròs vuol
dire essere sereni, trasparenti dell’azione di Dio, vedendo la sua
operosità anche nella nostra banalità. Ed allora Giovanni ci
suggerisce la sintesi di questa vita spirituale nel racconto della
“lavanda dei piedi”: vivere la kenosi di servizio, di amore
oblativo. La debolezza dichiarata di Pietro è anche la mia.
Anche se nel cuore c’è il buio della manchevolezza, il desiderio
dell’amore purifica: non c’è nulla di tecnico per Iddio, Egli è libero di
fare di me ciò che crede. Perfino l’aridità è dono suo; essa ci fa gridare
dalla “terra arida e senz’acqua”. La tensione d’amore rende ogni mia
azione, anche la più semplice, contemplativa.
Don Massimo Grilli
svolge questo tema: “Il volto come cammino verso l’altro”. Ci
conduce attraverso gli scritti di Levinàs, di Bonhoeffer per risponderci
alla domanda di “chi sono?” Sono forse ipocrita, sono rottame?
“Sono tuo, o Dio”. Anche Adamo, dopo il peccato, cercava il suo volto,
ma si vergognava per vedersi nella nudità della fragilità. Adamo si
nasconde per non rendersi conto del suo stato, ma scivola sempre più nella
sua falsità. Anche noi abbiamo forse imparato a fuggire o a nasconderci
quando ci scopriamo di essere e questo e quello…Dio si manifesta anche nel
limite di noi stessi, della nostra Congregazione… il tesoro può essere
sotto la stufa di casa nostra. Occorre acconsentire ai limiti
che ci sono tracciati, anche se sempre si insinua la tentazione di essere
altrove. Solo la ricerca del volto in altri volti dà senso a ciò che
facciamo e ci riconciliamo con noi stesse secondo la centralità di Dio
nella nostra vita. Ritornando a Levinàs, capiamo che il volto è il
modo in cui l’altro si presenta a noi. Dagli occhi degli altri io mi
riconosco. Il senso della nostra vita lo troviamo nel faccia a faccia,
quando può avvenire la vera comunione. Adamo esultò solo quando si trovò
di fronte l’altra. La comunione non è mai possesso: siamo infatti
missionari e non colonizzatori. Le nostre tentazioni sono quelle di
impadronirsi o di fuggire dall’altro. La vera comunione è quella dei
volti, scoprendo la nostra vulnerabilità e affidandoci agli altri. Don
Massimo richiama la morte di Rachele: Gesù stesso parla della
sua morte facendola simile al parto di una donna. Rachele muore e dà la
vita, proprio come Gesù.. Quasi sempre nella Bibbia la morte è legata alla
vita: vedi la nuora di Eli, Rachele, Abramo. Con Isacco poteva
morire un popolo, una terra promessa, con Gesù muore l’immagine di Dio.
Egli ci ha salvati: quale peccato dell’uomo può meritare la pena eterna?.
Gesù ci ha riscattati a libertà e la libertà del cristiano non è quella
dello stoico, ma è trasfigurazione di ciò che ci tormenta come passione.
Dio non riempie i nostri vuoti affettivi, tutti desideriamo un volto da
guardare, un figlio che prolunga la vita. Rachele vive anche il dramma di
un Dio che l’aveva resa feconda, Geremia si lamenta di un Dio che l’ha
sedotto (ingannato). Il figlio di Rachele è Beniamino “figlio della mia
tristezza” che Giacobbe volle mutare in “figlio del mio vigore”,
uccidendo l’ultimo desiderio della moglie. Anche Gesù sulla Croce dimostra
tutto il dolore, che diventa vigore, trasformando tutto in amore. Da
allora qualsiasi morte, peccato, qualsiasi storia possiamo aver vissuto,
tutto questo non ha potere di ucciderci, ma tutto è trasformato in amore,
in speranza e sorgente di vita. Anche Gesù ha gridato: “Perché mi hai
abbandonato?” cui segue “Nelle tue mani affido il mio spirito”.
Talora scendiamo nel nostro inferno, ma ciò vuol dire uscire da esso.
Cristo è venuto non per insegnarci a rinunciare, ma a trasformare.
Il Volto è segno di
nuzialità, di ospitalità; l’ospitalità è la vera comunione, la
nuzialità è vissuta con Cristo per il regno dei Cieli. Che cosa dà senso
alle rinunce dei nostri voti? Solo l’amore. Occorre scegliere
sempre quello che si fa per amore e non avremo paura. Si sceglie per amore
di Qualcuno diventando capaci di dare la vita. Il “rinnega te stesso”
pronunciato da Gesù ha un significato profondo, quello di non sentirci
capaci di salvarci da soli, perché la salvezza viene da Lui. Si vive la
croce trasformando il negativo in benedizione.
Venerdì,
giornata speciale di preghiera con la S. Messa celebrata sempre da
don Stefano con omelia sull’amore di Cristo che ci strappa dalla
forza maligna che attenta sempre al nostro bene. I demoni vogliono
prendere in noi il posto di Dio, ma Egli è più grande di ogni male.
L’animazione della
Messa è stata veramente bella e sentita, con l’armonia della pianola.

Sr Barbara ci
offre una “lectio” su Mt 10: l’incontro di Gesù con il giovane ricco.
Gesù si rifà dapprima alla legge, ma poi scruta profondamente quel giovane
per amarlo: aveva visto tutta l’intimità di quel giovane e suggeriva di
fare quanto mancava alla vita eterna: “Va’, vendi quello che hai
e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Una cosa sola è necessaria
alla vita, come Gesù aveva detto anche a Marta, riferendosi alla sorella
Maria che aveva scelto la parte migliore. La scelta unica è Lui; la realtà
da ricercare è il Regno di Dio. L’attaccamento alle cose porta alla
tristezza, il cuore libero fa spazio alla realtà vera. Dio ci chiama
talora a fare le cose impossibili; d’altra parte, Egli è il Dio
dell’impossibile e ci spiana la via.
E’ seguita una
collatio, guidata da Sr Giampaola; una collatio ricca di
preghiera, di pensieri che vengono dal Signore Gesù. E’ stata una vera
mattina passata tutta nell’esperienza di Cristo Gesù.
“Conoscenza di sé,
nei nostri dinamismi interiori per camminare verso l’altro”: questo il
tema di don Octavio Balderas. Ci introduce in questo discorso nel
sentiero di S. Giovanni della Croce, strada di purificazione
dell’umano nel modo di pensare, nella memoria, nella volontà. La vita
spirituale si manifesta nelle opere; S. Teresa di Gesù B., avendo
conosciuta la sua vocazione all’Amore, ha fatto un grande lavoro
sulle sue sensazioni che la inducevano alle antipatie, alla tristezza. La
depressione è incompatibile con la gioia della salute spirituale che si
accompagna a quella fisica. I comportamenti sono quelli che denunciano la
nostra salute, il camminare e agire secondo un vissuto. Spesso la nostra
vita è traumatizzata e noi reagiamo in modo protettivo, con
modifiche psichiche. L’energia che si sviluppa in noi può essere talora
bloccata, e allora la persona si trova in una situazione incontrollabile.
Se rimango nel trauma non saprò avere carità, non costruirò fraternità.
Come prendere il controllo di noi stessi? Camminando nello Spirito che
è caratteristica dei miti, arricchendo la memoria con esperienze
positive, finché l’esperienza diventa norma generale. La memoria non si
può cancellare, essa fa parte del bagaglio di saggezza della vita. Quando
siamo sotto un’emozione forte, occorre cambiare valutazione sui fatti,
guardando alla meta prefissa: Teresa di Gesù B. ha incanalato
tutto sul giudizio dell’amore. Così potrò anch’io incanalare la forza
della rabbia, frutto di frustrazione, la gelosia del ruolo, l’invidia per
il successo dell’altro, la superbia che non accetta limiti, la
tristezza…L’ansia è molto vicina alla paura, il sentimento di inferiorità
a quello di colpa. Come venirne fuori? Talora da soli e molto
spesso con l’aiuto di altri. Ci sono dei bambini immuni, cioè quelli che
pur avendo vissuto situazioni molto problematiche, vivono una buona
salute, sono sani anche dal punto di vista emozionale. Il nostro cammino è
quello di diventare adulti, cioè persone che non reagiscono per
impulso, ma sanno rispondere con la calma della saggezza: alla
esplosione sostituiamo la compassione.
Noi reagiamo sempre
alla valutazione delle varie realtà, eppure S. Paolo ci parla di
metànoia, che è cambiamento di valutazione, rischiando nuovi comportamenti
di saggezza. Quando si è trovato il vero senso della vita, nessun prezzo è
troppo alto da pagare: il banchetto che la consacrata può offrire come
Teresa di Gesù B. è quello della carità amabile. Occorre allora
discernimento che è attività di giudizio secondo criteri evangelici.
La notte passiva dello
spirito è
la più drammatica: è un sentirsi abbandonati da Dio, privi di punti di
riferimento, ma tutto questo induce a maggiore consapevolezza, umiltà,
stato che fa comprendere le cose in profondità. Ci dona innocenza di
vita, saggezza, amore di Dio, senza volere alcuna ricompensa (S.
Francesco di Sales). In alcuni momenti si tratta solo di vivere
nell’oscurità, nell’incomprensione fino a diventare liberi da ogni
giudizio altrui. Questo è u cammino di crescita che ci porta al
matrimonio spirituale, che è sempre punto di arrivo nella semplicità e
impercettibilità da parte di altri. l’anima chiede allo Sposo di godere
della bellezza e armonia di tutte le cose Il matrimonio spirituale ha le
sue caratteristiche. Non gusta nient’altro e non sa fare altro che amare.
Sceglie sempre il meglio, come l’ape per fare il suo miele. S. Teresa
di Gesù Bambino, accusata in pubblico, ha scelto di percepire
che una persona sbaglia quando giudica, di tutto l’evento ha scelto
l’amore. Il perdono è questo evento straordinario, possibile quando
si sono superate le notti precedenti. Lo stato di innocenza è dato
dalla mancanza di giudizio sul male, sullo stesso peccato capendo i
meccanismi che possono stare dietro.. L’amore maturo è compassione,
è empatia, il tratto più intelligente della sfera emozionale.
L’amore di Dio è compreso nella sua totalità quando si capisce che anche
se fossi Maddalena sarei come colei che si trova nell’innocenza
battesimale, perché l’amore di Dio reintegra la persona.. In questo
cammino la sensibilità viene modificata dando padronanza sugli
impulsi, gli affetti e per questo è importante constatare le nostre
cadute che devono renderci capaci di riconoscere i nostri stati d’animo
seguenti per migliorarli. La santità oggi si manifesta nella
gratuità della misericordia, lo straordinario lo si vede sempre con
l’occhio dell’amico. La santità si manifesta nelle sofferenze
quotidiane, senza stancarmi mai, sapendo però che le grandi crisi
arriveranno. E’ sempre compatibile lo stato di croce con la felicità,
fino ad arrivare al diletto, alla felicità profonda che non è mai
alienabile. Un buon suggerimento è quello di ascoltare i segnali
dell’altro per aiutarci a modificare noi stessi: l’intelligenza emotiva
sa interpretare i gesti. Lo scopo di queste giornate è stato quello di
conoscere meglio noi stesse, per entrare in profondità, vedendo la
dimensione psicologica nel contesto della fede. Nel giudizio finale avremo
il nostro incontro con Lui che riguarderà le opere di misericordia.
Un ateo sano, può superare nell’amore un nevrotico religioso, è
questa una grossa sfida in campo umano: l’ateo può incontrare Dio.
P. Alberto
Valentini tratta il tema mariologico partendo dall’Annunciazione a
Maria. Egli ci fa notare come tutte le Scritture parlino di Maria,
Ella è la pienezza della Chiesa. Con Lei è nata la Nuova Alleanza, perché
su di Maria è disceso lo Spirito Santo. Maria è creata dalla tenerezza di
Dio e l’annuncio fatto a Lei è quello stesso fatto alla Chiesa; tutta la
Misericordia di Dio è in questo annuncio. In Lei è il compimento della
Promessa Antica, ma è anche il Futuro della creazione nuova. Noi non siamo
più solo figli di Abramo, ma figli di Maria. Un giorno noi saremo quello
che è Lei. Per conoscerla e capirla occorre discernimento spirituale
nei Sacramenti e nella Parola. Le più belle laudi a Maria sono queste:
Vergine, Kecharitomè (plasmata dalla tenerezza di Dio), Madre del Figlio
di Davide, ricolmata dalla Spirito, Serva che rimette la sua vita al
progetto del Padre; annunciatrice del Signore, ma soprattutto Madre del
mio Signore.
L’esortazione di Maria
a Cana : “Fate quello che Egli vi dirà” è il prologo dell’”Ora”
della Croce. Gesù chiama la Madre con il titolo di Donna,
trasferendo la sua missione a Madre di tutti i credenti. Solo chi posa il
suo capo sul petto di Gesù potrà comprendere tutti i misteri racchiusi in
Maria, quegli stessi misteri che Ella meditava nel suo cuore. Maria è
l’immagine viva della Chiesa, là dove lo Spirito vede amore per Maria,
vola (Montfort) e riempie di Sé quell’anima. L’”ora si compirà
perfettamente sulla Croce quando saremo tutti salvati e nascerà la Chiesa.
Siamo immersi in un mistero grande di miracoli e di segni: il
miracolo quale manifestazione dell’onnipotenza di Dio, il segno quale
rivelazione della Presenza del Divino.
Dopo un venerdì di
Eucaristia coinvolgente, celebrata sempre da don Stefano,viene
a noi Marina Stremfelj che subito ci invita a ringraziare il
Signore per il tempo di grazia offerto dal “Trimestre
sabbatico”. Il suo discorso si rivolge alla persona, che è tale
perché è in relazione tanto nella gioia quanto nella sofferenza la quale
sa portare alla vita più intima. Il dolore va condiviso, se non messo in
relazione si raddoppia. Papa Giovanni Paolo II il Grande ci ha
dato una fisionomia esatta dell’uomo presente che si rifugia nel potere,
nel benessere, nel conformismo e quindi nella solitudine. E’ un uomo che
ha paura e, come le, diventa aggressivo. L’unico rimedio per quest’uomo
è la speranza che mai delude (Rm 5,5). Dove si trova oggi la
speranza, dopo aver proclamato la morte di Dio? Si tratta di trovare un
Centro, aiutati anche dalla possibilità di colloquio con altri e, magari,
nel pianto. L’amore di Dio unifica tutto. La Parola di Dio rimanda
subito alla comunione con gli altri perché l’uomo è stato creato
per la comunione. Più si vivono le relazioni e più nell’uomo vi è pienezza
di unità, di armonia, bellezza, amore, vita: tutto questo è l’uomo.
Il segreto per arrivare a tale integrazione è l’umiltà: “Dio
resiste ai superbi e dà grazia agli umili”. L’umiltà porta alla
semplicità che è trasparenza e non ignoranza. L’uomo ha la
possibilità di diventare immagine nell’Immagine, ricevendo il dono
dell’essenza di Dio che è l’amore. Mai si potrà distinguere l’amore di Dio
da quello per il fratello o la sorella. Ci può essere talora una certa
stanchezza nella nostra vita, ma non deve mai rompere le relazioni,
non può portare mai a non vivere la serenità di fondo. E ci apriamo così
alla grazia, perché il Signore ha una parola per me anche nella ferita,
Egli mi parla quando la mia ferita è aperta. Lo Spirito è il portavoce
del Padre e in Lui possiamo gridare: “Abbà, Padre!”. E’ lo
Spirito che ci fa vivere la maternità nella Chiesa, senza questa
maternità spirituale si annulla la nostra stessa vocazione. Accogliamo
infatti l’Amore di Dio e lo doniamo in sovrabbondanza agli altri.
La nostra persona è
tricotomica: corpo, anima e Spirito santo come è dichiarato in
Tess 5,23.
Il corpo, pur
essendo materia, si nutre del Corpo e del Sangue di Cristo e così viene
nutrita tutta la personalità. Il corpo è carnale e presenta le sue
tentazioni che occorre combattere spiritualizzando tutto il corpo.
Giovanni Paolo II diceva che il corpo esprime all’uomo il pensiero di
Dio, manifesta Dio che cogliamo con occhi puliti. “La vera intelligenza
è quando l’uomo riesce a vedere il bene anche nel male” (Edith Stein).
I corpi sono destinati a risuscitare per la potenza dello Spirito santo,
lo stesso Spirito che ha risuscitato Gesù. Il corpo è un grande dono di
Dio che rimanda al Donatore che ci fa consacrare tutte le cose
attraverso l’amore. Il dono di Dio domanda gratitudine senza mai cadere
nel criterio del paragone con gli altri. Il corpo è dipendente da tutto
e se non riceve, diventa aggressivo e violento. L’aggressività non ci
permette né di pensare, né di voler bene.. Il corpo manifesta l’amore
che, in una persona consacrata, è tutto grazia, fecondità, attraverso il
sorriso, lo sguardo gentile, la serenità, la pace; l’ascolto fecondo fa
rinascere una persona. Il corpo è anche fragile e questa
consapevolezza ci fa evitare il peccato, primo fra i quali,
l’autosufficienza. “La virtù si perfeziona nella debolezza”
(Tertulliano). Il corpo ha bisogno di essere purificato, perché nel
suo interno c’è la parte passionale e la purificazione avviene nella
conoscenza del mistero di Cristo in noi. Il corpo è mezzo di
comunicazione e mi viene donato perché io lo doni in un sacrificio che
rende sacra la mia azione.. Anche l’anima è un dono di Dio e
rimanda al Donatore. Ad essa dobbiamo dare il giusto valore, come allo
Spirito: è nell’insieme delle nostre tre componenti che viviamo
l’integrità. L’equilibrio deve essere trovato per migliorare le nostre
relazioni con gli altri e ciò avviene nella preghiera. Popovic dice che “l’anima
non è Dio, ma è destinata a partecipare alla vita divina”.
L’anima deve avere la sua apertura allo Spirito per non cadere nella
sensualità. Nell’anima ci sono i pensieri, i sentimenti, la volontà e ci
sono anche i pensieri Dio: “Abbiate in voi gli stessi
sentimenti che furono in Cristo Gesù” Fil 2….Ci sono pensieri
psicologici e pensieri spirituali che domandano liberazione per rendere la
volontà trasparente, affinché passi la luce di Dio. L’anima si può
spiritualizzare dopo che si è aperta allo Spirito santo, ricevendo
serenità spirituale, la memoria buona che migliora lo stato della mia
anima. Questa si apre all’accoglienza che dona serenità, ci rende
capaci di pregare, di relazionarci con Dio. Una signora, provata tanto dal
dolore, così si è espressa: “Fin quando posso pregare e parlare con il
Signore, in tutto quello che mi capita sto bene”. Il fine della
vita non è lo star bene, i frutti dello Spirito arrivano solo attraverso
la sofferenza, il sabato santo dell’abbandono e della solitudine
sempre in modo relazionale. Lo Spirito giunge attraverso l’anima al nostro
corpo e la persona raggiunta diventa bella oltre che buona. Chi ama con il
vero amore di Dio è bello: il criterio dello Spirito santo è bellezza.
Oggi, per capire il senso del futuro della vita religiosa occorre
contattare le persone dallo sguardo bello e profetico. La persona
raggiunta dallo Spirito è raccolta, lo si vede dal suo stesso
atteggiamento. E’ unificata perché amata. L’amore e la bellezza non
sono solo per noi, ma per far gioire gli altri. C’è un movimento
unitivo ed uno espansivo nei confronti dello Spirito, per cui
interiorizziamo e usciamo da noi per condividere l’amore. La questione
della vocazione è questione di amore. Niente è in contraddizione per la
persona spirituale, tutto è superabile, anche il male. Se soddisfiamo solo
il corpo e l’anima cadiamo negli “ismi”, nel dare a una parte il valore
assoluto. La persona chiamata a vivere la vita religiosa riceve una grazia
speciale per far fronte ad ogni esigenza anche del sesso; noi testimoniamo
infatti la vita escatologica.
Il pomeriggio è tutto
dedicato alla bellezza dell’arte ammirata al Quirinale, l’antica
sede dei Papi, quindi dei Savoia e ora del Presidente della Repubblica.
Quella bellezza ci riempie l’anima, mentre di fuori suona una musica che
invita al senso della Patria, dell’altruismo. Confrontiamo la sontuosità
di questo Palazzo dei Papi con quanto visto la sera precedente alla TV,
sulla semplicità e umiltà di vita di Giovanni Paolo I e sentiamo,
nonostante tutto, una stretta al cuore.
Passiamo ora
all’incarnazione del discorso spirituale con argomenti che toccano la
vita di carità. Sr Eugenia Bonetti, con la passione che la
caratterizza, ci parla del suo lavoro all’USMI fra “le sorelle
della notte” alle quali ridare dignità. Le nostre Fondatrici hanno
pensato al futuro e ci hanno tramandato lo spirito di maternità
verso queste giovani sorelle usate, maltrattate, violentate. Per questo è
necessario aprire le porte delle nostre case, farci voce presso le sedi
parlamentari perché cessi questo terribile commercio di vite giovani.
Sono, di solito, giovani cristiane che subiscono questa violenza proprio
nel nostro Paese. Con Sr Eugenia facciamo anche la preghiera del
buon samaritano e sentiamo che è proprio la preghiera per noi in
questo momento.
All’intervento di
Sr Eugenia si aggiunge quello di Giuliana Martirani, la quale,
subito, dimostra un grande apprezzamento per la nostra vita religiosa.
Ella ci parla dei “viandanti maestosi nelle vie della bellezza”. Il nostro
cammino è aiutato dalla regalità di Cristo che porta alla
onnicrazia= il potere di tutti. Questa regalità è un valore assoluto,
che crea orizzonti e spazi che fanno andare oltre gli steccati
deboli, per metterci in relazione. Siamo viandanti di relazione la
quale fa vivere e toglie da ogni depressione.. La nostra vita è ostacolata
dal tempo-lavoro che diamo alle troppe cose che possediamo. E’
necessario passare dalla situazione di talpe solitarie per diventare
rondini che preparano la primavera; passare dalla supremazia del
potere a quella della spiritualità, avendo come unico regolamento il
Vangelo. Passiamo dalla fissità dei ruoli, dalla ripetitività dei
riti, alla libertà che scioglie conflitti nell’individuazione di
mediazioni; dalla supremazia delle alleanze, dalla difesa dei privilegi,
dalla separazione dal mondo esterno, al servizio, all’inclusività,
all’integrazione con la realtà. Con i nostri voti noi gridiamo la profezia
dei tempi nuovi, vissuti nella sobrietà che ha accanto a sé verbi
importanti: resistere, ridurre, rinunciare, riparare, risparmiare,
riciclare, rinunciar: tutti verbi della bellezza Giuliana ci
riporta una frase di don Mazzolari detta nel 1946, ma attuale: “Si
è stanchi di fare il povero e si ha paura di diventarlo”. Una pagina
sulla mentalità dell’uomo di oggi chiude una giornata densa di
provocazioni.
Continuano le
mattinate dedite al discorso sulla carità di frontiera. Sr Patrizia
Pasini ci consegna un’icona: quella di due adolescenti abbracciati e
in cammino, uno è ebreo e l’altro è palestinese. Ciascuno ha
un’identità chiara e l’amicizia li unisce. E’ un’amicizia che gestisce i
conflitti, che fa vivere nella reciprocità anche quando le differenze
sono profondissime. Così è per noi: se annunciamo concretamente la vita di
Cristo, possiamo andare d’accordo. Nelle nostre conflittualità e
differenze ci sono sempre delle risorse. Per questo è necessaria
un’autocritica, guardando alle cose che ci uniscono e non a quelle
che ci dividono. Non è importante risolvere i conflitti, essi sono da
comprendere dando lo spazio per esprimere la complessa unicità. La
soluzione non può mai essere appiattimento.
Sr Rita Giaretta
ci porta la sua bella testimonianza di vita fra le “sorelle della strada”
che hanno trovato una casa, “Casa Rut”, la straniera accanto a
Noemi. Talora si dice che non ci sono problemi solo perché non li abbiamo
osservati nel territorio: chi soffre sta nascosto ed è reso nascosto.
Sr Rita ci parla dell’approccio alle carceri, alle tante ragazze della
Nigeria, dell’Est, portate qui in Italia per lavoro e gettate sulla
strada. Quando vengono accolte a casa Rut occorre tempo per ascoltarle,
per permettere loro di raccontare la loro sofferenza, per insegnare loro
la lingua che le può mettere in contatto vero con il mondo. Gli
appartamenti “Rut” sono al centro della Città perché queste ragazze non
devono più vivere nell’ombra della periferia, devono poter usufruire come
ogni altra giovane dei servizi della Città. Devono sentire il calore della
vita vera, dell’ambiente che non tradisce e le rispetta anche nel proprio
“Credo”. Con Sr Rita c’è anche una giovane della casa Rut,
finalmente libera dalla schiavitù del padrone e della strada. Ella affida
a noi la sua dolorosa storia, si sente fra le suore nell’ambiente delle
sorelle. E’ rumena, ma ora conosce bene l’italiano e può studiare e farsi
una professione. Ha con sé dei prodotti di sartoria fatti dalla
cooperativa per queste giovani che hanno il gusto di lavorare
dignitosamente, di sentirsi amate da Dio perché amate dalle sorelle
consacrate e dalle loro amiche. Quanti conflitti sono risolti in questo
ambiente di accoglienza e di amore….
Suor Giampaola Periotto
Roma, 9 novembre 2006 |