nelle parole di…
Mons. Michael Fitzgerald, Card. Josef Tomko,
Mons. Angelo Comastri, e M. Teresa Simionato


Rita Salerno (a cura)

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Sacerdote da 57 anni, vescovo da 45 e pontefice da 25. Giovanni Paolo II è il 264° successore di Pietro ed il quinto pontificato più lungo della storia, dopo San Pietro, Pio IX, Leone XIII e Pio VI. Millecento le udienze generali, cui hanno partecipato oltre 17 milioni di pellegrini, 9 concistori, 6 riunioni plenarie del collegio cardinalizio e 13 le assemblee generali del Sinodo dei vescovi, sette speciali. Ha proclamato 473 santi e 1313 beati. I viaggi apostolici internazionali sono 102, 14 le encicliche e le esortazioni apostoliche. Karol Wojtyla è stato il primo pontefice a trasmettere via internet un documento (l’esortazione apostolica alle diocesi dell’Oceania), a visitare una sinagoga (quella di Roma, dove ha pregato col rabbino Elio Toaff), a sostare in una moschea (in Siria, nel maggio 2001) e in una chiesa protestante (dicembre 1983).

Monsignor Michael Fitzgerald, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, quale il contributo di Giovanni Paolo II al dialogo interreligioso?

“Il Papa ha, sopra ogni altro, indirizzato i suoi sforzi in una direzione precisa: quella di applicare gli insegnamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, specialmente dal punto di vista del rapporto con le altre religioni. Innumerevoli sono le occasioni in cui il Pontefice ha sottolineato questo rispetto della Chiesa cattolica nei confronti delle altre religioni. E lo ha messo in pratica accettando di incontrare i leader religiosi. Non c’è dubbio che il contributo più significativo, da questa angolazione, è stato l’incontro di preghiera per la pace nel mondo ad Assisi nel 1986”.

A proposito di Assisi, come valutare in un pontificato ricco di gesti e di documenti questo appuntamento nella città del Poverello?

“È stato un incontro voluto e preparato lungamente dopo una lenta maturazione. Nel salone del Dicastero che dirigo c’è un quadro dipinto nel 1978 che mostra Papa Paolo VI in piazza San Pietro mentre accoglie sia capi delle comunità cristiane che di altre religioni. Una fantasia dell’artista all’epoca, che si è poi realizzata nella realtà. E dunque, una profezia. Credo che questo evento seguito dai mezzi di comunicazione di tutto il mondo e da milioni di persone abbia dato un impulso rilevante al dialogo interreligioso. Specialmente nei momenti critici. Penso, in particolare, alla guerra del Golfo nel 1991. So di musulmani che hanno chiesto ad ebrei di pregare insieme per la pace. L’iniziativa è stata presa da loro. In tante località del mondo si sono susseguiti momenti di preghiera. Mi rendo conto che si può correre il rischio di sincretismo, cioè di sembrare tutti uguali o il relativismo, cioè di considerare che non c'è differenza tra le religioni e che importa poco a quale religione uno appartiene. Ma sono certo che il Santo Padre è conscio di tutto questo. Il suo radicamento nella fede cristiana gli permette questa straordinaria apertura verso le altre persone”.

E’ da notare che il Papa non ha perso occasione per ricordare al mondo che Dio è sinonimo di pace e di concordia tra i popoli, e non di conflitto e di violenze interetniche come troppo spesso è accaduto in questi anni…

“Questo è tanto vero in quest’ultima guerra che ha opposto l’Iraq agli Stati Uniti. Il Papa si è opposto fermamente a questo evento con i mezzi della diplomazia e del dialogo. Sono stato in Libano, nel mese di aprile, dove ho incontrato alti funzionari statali e capi religiosi che hanno espresso la loro gratitudine per l’intervento del Pontefice. Non c’è stata tensione tra cristiani e musulmani in Libano. L’atmosfera era di preoccupazione per il precipitare degli eventi, ma al tempo stesso era palpabile il grande apprezzamento per l’impegno papale. Tutti avevano chiara la distinzione tra guerra politica e guerra religiosa”.

C’è un episodio, in particolare, che le è rimasto impresso in grado di aiutarci a comprendere la ricca personalità di questo Papa?

“Sono rimasto molto colpito da una sua visita apostolica in Argentina che comprendeva, dietro sua esplicita richiesta, anche un incontro con i capi musulmani. Nell’organizzare un viaggio in un paese sudamericano, non è automatico pensare alla comunità islamica, ma il Papa invece non trascura alcun aspetto legato al territorio che deve incontrare. Dimostra un’attenzione tutta particolare nei confronti di tutte queste realtà locali”.

Tenendo presente il suo osservatorio privilegiato, quale documento ha segnato una svolta? E quale gesto?

“Dal punto di vista del nostro Pontificio Consiglio, il documento di riferimento è stata la Redemptoris Missio, l’enciclica sulla missione della Chiesa in cui Giovanni Paolo II scrive chiaramente che il dialogo interreligioso è parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa. Questo è un ragionamento, frutto di una lunga riflessione in seno alla Chiesa. Non è più possibile affermare che è solo un passatempo incontrare buddisti o musulmani. Al contrario, è un compito della Chiesa. E’ un dovere di ogni comunità cristiana quello di avere rapporti con rappresentanti di altre religioni. Questa enciclica che ho appena citato ne richiama anche un’altra, Dominum et vivificantem, che sviluppa questa teologia dell’azione dello Spirito Santo al di fuori dei confini visibili della Chiesa. Questo è importante anche nel confronto con responsabili di altre confessioni, perché è proprio nel dialogo che si manifesta l’opera dello Spirito Santo.

Quanto ai gesti, non posso dimenticare il biglietto con la sua preghiera lasciato in una fessura del Muro occidentale del Tempio a Gerusalemme in occasione del pellegrinaggio in Terra Santa del 2000. Ha molto impressionato gli ebrei. La visita alla Moschea degli Omayyadi in Siria ha colpito molto la collettività. Ricordo che, dopo l’incontro mondiale di preghiera per la pace di Assisi avvenuto il 24 gennaio 2002, il Papa invitò tutti i partecipanti a pranzare con lui in Vaticano. Ero a tavola con un Sikh che era molto grato per aver questo evento e per le sue implicazioni dirette nel processo di pace nel mondo. Un fatto, questo di accogliere nella propria casa ospiti di altre tradizioni religiose, che ha saputo offrire anche cibo spirituale accresciuto dall’incontro ravvicinato con ognuno dei presenti che il Papa ha avuto dopo la colazione. Ad ogni persona ha saputo testimoniare il suo interesse e la sua partecipazione, nella lingua di origine di ognuno, all’impegno per la pace in favore dell’umanità. Pur nella difficoltà derivante dal suo stato di salute. E non sono parole di circostanza”.

È stato il primo Papa a varcare la soglia di una moschea, il primo Successore di Pietro a visitare una sinagoga, il primo Pastore della Chiesa universale a servirsi di internet per trasmettere alle diocesi dell’Oceania l’esortazione apostolica frutto del lungo confronto sulle sfide della Chiesa locale. Sono gesti di un pontificato destinato a segnare una svolta nella storia della Chiesa, tracce di un papato destinato a lasciare un’impronta indelebile nella comunità ecclesiale e civile. Pellegrino di Cristo per le strade del mondo, Giovanni Paolo II ha compiuto centodue viaggi pastorali e ben cento quarantaquattro visite in Italia.

 

 

Cardinale Jozef Tomko, uno dei più stretti collaboratori del Pontefice in quanto numero uno del Dicastero per l’Evangelizzazione dei Popoli per sedici anni,  quello dei viaggi di Giovanni Paolo II è un tratto peculiare del Pontificato… 

“L’evangelizzazione è un tema caro al Papa. Giovanni Paolo II è conscio che è sempre più urgente educare alla fede in Cristo non solo nei luoghi di missione ma anche nella civilissima Europa. Le giovani generazioni specialmente hanno una scarsa cultura religiosa e sono spesso soggetti ad influssi di altre credenze. Troppe le questioni in ballo: la difesa della vita nascente e di quella al tramonto, i continui traguardi della scienza e della tecnica: troppi sono i valori in gioco in una società in velocissima trasformazione. Pochi si soffermano a verificare le benefiche conseguenze delle visite apostoliche del Papa sulle comunità incontrate in venticinque anni. Sono certo che sarà l’Europa intera a beneficiare di questo sforzo compiuto da Giovanni Paolo II. Perché possa in futuro respirare con i suoi due polmoni: l’Oriente e l’Occidente. Come dimostra il caso della Slovacchia, una nazione piccola e dalla forte tradizione religiosa, che è uno stato ponte tra le due aree”.

C’è un viaggio, un tassello di questo ricchissimo mosaico che le è rimasto impresso? E perché?

“Ricordo, in particolare, il primo viaggio che ho compiuto in India al suo seguito. Era il 1986. La spiaggia di Madras e non meno di due milioni di persone accorse lì per il Papa: è questa l’immagine che mi è rimasta impressa di quell’occasione. Un raduno di considerevoli proporzioni se si pensa che il numero di cattolici in India è davvero esiguo. I due milioni di partecipanti all’incontro con il Papa non potevano essere tutti cattolici. Al massimo, il dieci per cento. Ma erano lì per ascoltare dal vivo le parole di quello che consideravano nella migliore tradizione il Maestro di spiritualità. Era commovente. E il Papa era felice di questo dialogo che si era instaurato con loro.

Ma è altrettanto vivo in me il ricordo di quell’episodio avvenuto nello stadio di Casablanca, in Marocco, dove si era accalcati ottantamila giovani entusiasti di assistere all’incontro con Giovanni Paolo II. Testimoni di un evento in grado di scuotere le loro coscienze. Ero nella tribuna d’onore. Davanti a me avevo Giovanni Paolo II e Re Hassan del Marocco con la sua famiglia. Ho letto nei loro occhi una crescente incredulità per le coraggiose parole del Papa che osava conversare con i giovani del suo Dio, di Cristo e del suo ufficio come Successore di Pietro. Ad ogni passo importante, in cui Giovanni Paolo II citava i valori religiosi, questa massa di giovani lo applaudivano. Non c’è dubbio: è un grande comunicatore del Vangelo. Io l’ho ammirato. Saper parlare con questa forza trascinante, vuol dire essere un grande missionario”.

Malgrado ciò, gli operatori della comunicazione di tutto il mondo si ostinano a mettere in evidenza solo l’aspetto del Papa anziano e sempre più fragile a causa delle precarie condizioni di salute…

“La sua energia è lo specchio di una personalità carismatica, propria di chi vive fino in fondo la sua missione nelle pieghe della storia. Di chi ha plasmato gli eventi nello scacchiere internazionale. Con l’azione diplomatica e con il dialogo. Di chi ha agito dietro una sola bandiera: Gesù. Senza mai stancarsi di ripetere a tutti, credenti e non, giovani e anziani, di aprire le porte a Cristo. Per lasciarlo entrare e fargli posto nel cuore e nella mente. E dare vita alla civiltà dell’amore. L’uomo che ha cambiato il volto del collegio cardinalizio, i due terzi dei cardinali elettori sono stati creati infatti da Wojtyla. Il primo Papa slavo dai tempi di Adriano II è una delle figure più grandi della storia della Chiesa. Le crescenti difficoltà di salute non condizionano assolutamente l’operato del Papa. Anzi. Più si aggrava il suo stato e più le masse lo ascoltano, consapevoli della dedizione totale del Pontefice alla causa dell’uomo. Dalla mia casa su via della Conciliazione spesso osservo la moltitudine di pellegrini assiepati in piazza San Pietro per seguire cerimonie e udienze generali del mercoledì. E mi chiedo il perché della loro presenza. Queste persone sono qui per sentire il Papa che con la sua voce sempre più flebile, cadenzata, con il respiro sempre più affannoso: è Lui. Basta questo e accorrono per salutarlo”.

Un pontificato mariano. Anzi, cristologico. Quello di Papa Wojtyla è un papato che si è aperto nel segno di quel famoso monito lanciato a tutti gli uomini: “Aprite le porte a Cristo, non abbiate paura di spalancare il cuore a Gesù”.



 

Monsignor Angelo Comastri, arcivescovo prelato di Loreto, molto stimato dal Papa che lo ha scelto per gli esercizi spirituali predicati alla curia romana nel corso dell’ultima quaresima, questa è una caratteristica essenziale della missione di Giovanni Paolo II...

“La prova sta nella prima enciclica, la Redemptor hominis, incentrata cioè su Gesù. Maria è intimamente legata al pontificato di Giovanni Paolo II così come al Vangelo. Quando si fissa lo sguardo su Cristo, accanto c’è Maria. E la Madonna è la libertà umana che si è aperta a Dio. È la prima accoglienza dell’Altissimo, è l’inizio della Chiesa, Colei che ci insegna ad accogliere Cristo. Maria è la donna del sì. Credo che il Papa abbia incontrato Maria proprio perché è un uomo che ha lo sguardo fisso su Gesù. Contemplandolo, non si può non guardare Maria che ci rimanda a Lui. Ci aiuta ad entrare in comunione profonda con Gesù. Perché è la creatura che meglio di ogni altra è il tramite tra noi e Dio”.

Che sia viaggio in terra di missione o un’iniziativa incentrata sulla Madre di Cristo: sta di fatto che il Papa non perde occasione per chiedere l’intercessione di Maria. Ogni suo gesto, ogni sua azione è un atto di omaggio alla Vergine: come dimostra il motto del suo pontificato, quel “Totus tuus”, che è un’espressione di consacrazione alla Madre di Cristo.

“Il Papa, più volte, ha affermato che ha scoperto negli anni giovanili il senso della sua devozione a Maria. Giovanni Paolo II l’ha scoperto leggendo il libro di San Luigi Maria Grignon de Montfort ‘Il trattato della vera devozione a Maria’. Nelle pagine scritte dal santo si legge che: ‘ogni devozione ha valore perché ci aiuta ad entrare in comunione con Cristo. La devozione a Maria è senz’altro quella che più di ogni altra permette ai credenti di entrare in comunione con Cristo’. In questo senso, è la prima devozione. Il Papa si è formato proprio a partire da questo libro. Ed è chiaro che ha imparato ad amare Maria ed ha scoperto anche il senso dell’affidamento alla Vergine, che è poi definito in radice nel Vangelo di Giovanni al capitolo 19. Quando Gesù nel momento supremo, rivolto a Giovanni dice a proposito di Maria: ‘ecco, la tua Madre’, con queste parole vuole affidare il discepolo alla Madre. O meglio, l’umanità alla Vergine. L’atto di affidamento a Maria si ricollega a queste parole di Gesù: non è altro che l’accoglienza del dono che Cristo ha fatto per noi sulla croce”.

Lo stesso attentato compiuto da Ali Agcà in piazza San Pietro il 13 maggio 1981, giorno in cui la Chiesa ricorda la Madonna di Fatima, è un avvenimento da leggere in chiave di protezione per intercessione di Maria.

“Una mano ha sparato. Un’altra ha deviato la pallottola”, ha ripetuto in varie occasioni Papa Wojtyla. E quella pallottola è oggi incastonata nella corona della statua venerata in tutto il mondo insieme a 313 perle e 2676 pietre preziose. “Nessuno può negare che l’attentato fosse organizzato in ogni minimo dettaglio per uccidere. I colpi furono precisi. Eppure il Papa non morì. Ci fu un chiaro intervento di Maria. Ed è evidente già dalla data, 13 maggio. Come negare tutto questo? Il Papa, che è consapevole del significato di quel giorno e di quell’attentato, ne ha tratto tutte le conseguenze, da uomo di fede. Tanto è vero che una volta ha detto: ‘Fino al 1981 io contavo i miei anni, da allora non conto più né gli anni né i giorni. Perché sono un dono di Dio attraverso Maria’. È un fatto commovente. E dal punto di vista della fede, è esemplare”.

La Madonna, donna con la d maiuscola, rimanda al tema dell’universo femminile che Giovanni Paolo II ha dimostrato di conoscere alla perfezione. Come nella Lettera alle donne, atto di ossequio nei confronti del genio femminile, scritta nel 1995 in occasione della Conferenza mondiale Onu di Bejing che ha fotografato la condizione della donna nel pianeta. E più recente, la beatificazione a tempo di record di Madre Teresa di Calcutta prevista per il 19 ottobre, giornata missionaria mondiale, a siglare le celebrazione per il venticinquesimo di Pontificato.

“Il Papato è caratterizzato da un grande rispetto e difesa della dignità, oltre naturalmente ad una notevole stima, della donna. E del suo irrinunciabile genio femminile. Giovanni Paolo II si erge a difesa della donna per il suo genio femminile. E la donna è la grande educatrice dell’umanità attraverso la maternità, che è un bisogno innato di dedizione agli altri. Da nubile o da sposata. La donna è il richiamo vivente alla radicalità del dono. Simbolo del dono di sé, per questo il Papa la difende. Perché se si infanga o si tradisce questo simbolo, il mondo precipita in un pauroso egoismo. Affermazioni, queste, contenute nell’enciclica ‘Mulieris dignitatem’ che è il primo documento di questo Pontefice sul genio femminile. Tutto questo l’ha visto realizzato in una donna, Madre Teresa di Calcutta. Un angelo che l’ha accompagnato lungo il suo pontificato. Quale donna ha saputo impersonare meglio questa immagine in questo periodo storico? Quale donna contemporanea ha amato più di Madre Teresa di Calcutta? E quale madre, al giorno d’oggi, è stata più madre della ‘piccola matita di Dio’ come amava definirsi? Il Papa ha visto concretizzato nella vita di una donna, umile e indomita, quasi tutto il suo insegnamento”.

Non c’è dubbio che è il rapporto che la unisce al Papa è di stampo tutto speciale.  Non a caso Giovanni Paolo II lo ha chiamato a predicare gli esercizi spirituali alla curia romana in occasione della quaresima 2003. Che ricordo conserva del Pontefice?

“Mi ha molto commosso l’invito ricevuto proprio un anno fa a predicare nella casa del Papa. Il 6 agosto 2002, giorno in cui fui raggiunto dalla telefonata, rimasi molto stupito e stordito di fronte a questa prospettiva. Poi capii che sarebbe stata, sì, una grande fatica, ma anche una grande grazia perché, mi dissi, potrò vivere una settimana accanto al Papa. E sperimentare da vicino la spiritualità del Papa. Debbo dire che tutto questo si è realizzato, tanto è vero che il ricordo più emozionante dei miei esercizi spirituali è proprio questo: vedere il Papa in preghiera. Ogni volta che lo guardavo, mi venivano alla mente le parole della Lettera agli ebrei in cui l’autore ispirato descrivendo Mosè scrive: ‘sembrava vedere l’invisibile’. Anch’io ho avuto la stessa percezione. Pur non avendo la forza e la salute di un tempo, il Papa vive in questo momento un rapporto ancor più forte con il Signore. S’immerge ancora più intensamente nella preghiera e nella preghiera ottiene per la Chiesa. Ragion per cui la sua infermità diventa un elemento di forza e di benedizione. Questo è un ricordo che serberò con me per sempre”.



 

Madre Teresa, Giovanni Paolo II ci ha abituato a gesti e documenti forti. Ce n’è uno in particolare che, in base alla sua sensibilità, l’ha colpita particolarmente e perché?

 Gesti, potrei citarne molti: il suo affacciarsi sull’Oceano in Senegal, angosciato per il dolore inflitto dagli europei ai  popoli africani quando dalle loro terre li avevano obbligati all’emigrazione in terra d’America, la cosiddetta “deportazione degli schiavi”; il suo passo già debole verso il muro del pianto a Gerusalemme per deporre quel biglietto tra le fessure; ma soprattutto quel suo viaggiare con un'unica motivazione: dire agli uomini: “spalancate le porte a Cristo”. E dirlo con chiarezza, con forza e con audacia, con un ardire unico.  Perché “aprire le porte a Cristo” può significare molte cose: dal non dichiarare una guerra preventiva assurda, al ribadire all’infinito l’alto valore della vita in tutti i suoi momenti e in tutte le situazioni, alla fedeltà matrimoniale in un’epoca in cui tutto è ad tempus. Quel suo mettere tutti in una prospettiva globale alta, infinita, carica di valori che valgono oggi, ma varranno ancora domani e sempre. Posso ricordare quel suo anticipare la storia con i sinodi continentali. Posso citare quel suo fare memoria della storia con le inusuali e autentiche richieste di perdono. Ma soprattutto mi stupisce quel suo immergersi in Dio quando si dispone alla preghiera e quel suo essere immerso in Dio quando prega. Dalla sua preghiera tutto: documenti, viaggi, parole pronunciate a braccio, visite, abbracci tenerissimi.

Tra i suoi documenti posso citare, come donna e come consacrata, la Mulieris Dignitatem; la Lettera alle Donne, l’esortazione apostolica Vita consecrata. E ancora, con forza e con gratitudine, con gaudio interiore, e diletto intellettuale, Laborem excersens, Sollicitudo rei socialis, Fides et ratio; Veritatis splendor. Sono espressione di un pensiero alto che segna l’abbraccio tra Dio e l’uomo: la verità di un Dio che si china sull’uomo, e dell’uomo che può alzare lo sguardo verso l’Alto, verso Dio, con piena gioiosa coscienza. Credo che siano frutto del suo alto pensare, del suo profondo meditare, e intenso pregare.

Che ricordo ha di quel 16 ottobre 1978?

Il 16 ottobre 1978 mi trovavo a Padova e ho seguito il tutto davanti al televisore. La sua elezione è stata il primo soffio dall’Est, che ha maggiormente spalancato le porte della Chiesa. Ho percepito fin da allora la sua forte personalità, la sua profonda fiducia nell’uomo, prova della sua granitica fiducia in Dio, il suo robusto sentire pastorale, espresso anche nel suo sentirsi ‘romano tra i romani’. E quella sua prima ardita parola pubblica da sommo pontefice: “Sia lodato Gesù Cristo”. E compresi che sarebbe diventato sempre più il programma del suo pontificato.

Che cosa rappresenta per Lei il Papa?

L’uomo del Vangelo, di tutto il Vangelo senza glossa, vissuto e annunciato, senza paura. Chiaro e forte; paziente e sofferente, orante e apostolo, viaggiatore instancabile pur di annunciare Cristo. Forse si può dire di lui quello che S. Giovanni Crisostomo disse di Paolo: “Mancarono i popoli a Paolo, ma non mancò Paolo ai popoli”.

Giovanni Paolo II e le religiose. È noto a tutti il rapporto straordinario che il Papa sa intessere con le donne. Una Sua valutazione in merito.

Ho già citato i documenti. La sua fiducia nelle religiose è provata dal fatto di averle chiamate ad essere membri effettivi del Sinodo sulla vita consacrata; e nominarne alcune, secondo la competenza specifica, ad essere membri di alcuni dicasteri romani. Normalmente quando visita i paesi esteri ha sempre un incontro con i consacrati e le consacrate; per loro ha parole di fiducia, di coraggio, di speranza, di piena coscienza della loro “necessità” come elemento insostituibile nella Chiesa. Mi stupisce, inoltre, la sua parola sempre molto pertinente in occasione di Capitoli generali. Quando i membri di questi Capitoli sono presenti nelle udienze generali, oppure sono ricevuti in udienza privata, non fa differenza, egli ha sempre un richiamo alla spiritualità tipica e alle attività carismatiche di ognuno. E richiama sempre ai valori fondanti della vita consacrata da viversi nel contesto presente.

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