La Pastorale in Parrocchia
nelle parole di
sr. Giovanna Della Luna, canossiana
sr. Emilia Donati, adoratrici del Sangue di Cristo
sr. Francesca Berton, pastorella


Rita Salerno (a cura)

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“Le religiose sono una ricchezza per la vita pastorale”. Parola di don Domenico Sigalini, vicepresidente del Cop, Centro di Orientamento Pastorale, che di recente ha focalizzato su questo tema il sesto simposio telogico-pastorale realizzato grazie al prezioso contributo dell’USMI.

A sfilare, sullo sfondo dell’Istituto teologico Leonino di Anagni, sono le molteplici esperienze delle suore che rispondono alle sfide del tempo attuale, in diverso modo. Come fa suor Giovanna Della Luna, canossiana, testimone a 360 gradi di carità vissuta in parrocchia.

“Accogliere implica, prima di tutto, apertura del cuore, disponibilità all’incontro libero, non legato da pregiudizi di razza, di religione, di pre-comprensione, per cui ti devi sempre richiamare a una rettitudine di coscienza, a una conversione continua per coltivare un rapporto che si presenta sempre nuovo ed unico. Le persone sono le più varie, dal ragazzino che quotidianamente entra nella nostra casa per la catechesi o il gioco, all’adolescente che chiede aiuto per un’interrogazione o una ricerca di religione, alla mamma che non sa come riaprire il dialogo interrotto con la figlia, alla persona sola che chiede un po’ d’ascolto e di compagnia, al povero italiano albanese o rumeno che chiede accoglienza, sostegno, lavoro o almeno un’indicazione come risposta concreta per andare avanti con una nuova speranza”.

Il contatto con la gente, certo, non è sempre facile… 

“E’ vero. Qualche volta possono scattare, anche inconsciamente, delle difese, delle chiusure, ma il pensiero che sto ascoltando una persona, che sto servendo un fratello mi dà la carica giusta per aprirmi a quella gratuità giusta per aprirmi a quella gratuità che apre porta e cuore per incontrare  e lasciarmi interrogare, mettere in discussione, non dare  ricette preconfezionate, ma cercare insieme le risposte ai tanti interrogativi che nascono nel cuore di ciascuno. Si tratta di domande che in fondo ricercano sempre il senso profondo della vita, attese che nascondono disagi e sofferenze, fatiche e solitudine. È nel quotidiano che ritrovo queste persone, negli incontri che qualche volta sono richiesti ma che spesso nascono da situazioni familiari o personali di gioia o di dolore e che ho la possibilità di visitare personalmente o tramite altre sorelle della  comunità. La religiosa, mi sento di poterlo  affermare, è la persona che ancora oggi, nella nostra realtà apparentemente vuota e superficiale, è cercata, invitata, accolta; e non soltanto da persone sole, anziane o malate, ma anche da giovani, famiglie, da adolescenti che guardano ad un futuro spesso nebuloso o frammentato”.

In che modo, qual è lo stile di assistenza, secondo il carisma canossiano?

“Termine che richiama alla parabola del Buon samaritano... «e si chinò su di lui..». È questo chinarsi sull’uomo, guardando i suoi occhi, ascoltando più che le parole, il suo cuore, facendo nostre le sue attese, le sue ansie, i suoi problemi e facendoci carico del suo dolore. È un cammino lento che diventa conseguente all’ascolto, ma  è anche la  risposta che nessuno spesso, può dare da solo, né come Istituto, né come comunità ecclesiale, anche se devo dirlo, cerchiamo come comunità di dare almeno inizialmente, nella consapevolezza che la risposta spesso è limitata nel tempo e nella qualità (per esempio cibo, vestiti, medicine, ospitalità, sostegno economico...). L’assistenza è la prima risposta concreta ai bisogni più urgenti: cibo, indumenti, accoglienza per qualche breve periodo... ma deve rimanere un tempo transitorio, altrimenti non aiutiamo la persona o la famiglia al raggiungimento di una vera promozione.

La risposta vera ed esaustiva può essere data soltanto quando una comunità ecclesiale, debitamente preparata e sostenuta si avvale di quegli organismi e di quelle strutture che il sociale ha il dovere di creare e di sostenere e che la «creatività della carità» è capace di inventare. Quante case di accoglienza  per bambini, anziani, malati, profughi e poveri in genere la comunità cristiana ha aperto e gestisce quotidianamente senza prendere fama e onori, ma va avanti sostenendo oneri non indifferenti, forte della fede nella Parola di Gesù.

Alla vita religiosa, alla persona consacrata il compito primo di dare anima all’interno di queste realtà, di indicare le motivazioni profonde che devono sostenere il servizio, perché non sia assistenzialismo passivo ma sia azione autentica di promozione, rispetto, sostegno, animati sempre dalla parola evangelica: «Tutto quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me». Le nostre realtà ecclesiali, sollecitate anche dalla Caritas, hanno preparato persone per aprire centri di ascolto, luoghi in cui si cerca di dare una prima risposta ai bisogni urgenti, ma ora si presenta  più che necessario il cammino di formazione permanente per rimotivare continuamente le scelte fatte, per educare alla discrezione, al rispetto, alla gratuità vera, che allontana anche il pensiero di un «ricatto affettivo o religioso».

È, dunque, necessaria un’animazione continua delle comunità cristiane, un’evangelizzazione che richiami al dono-risposta del battesimo che nella Chiesa e nel mondo ci chiama ad essere sacerdoti-re-profeti. Ci sono difficoltà, legate spesso al limite personale o della struttura: pericoli di autogestire in proprio la carità, di un certo senso di autonomia personale, di una ricerca di protagonismo... manca qualche volta lo stile umile e semplice, povero e staccato che permette di accostarci alla persona in modo totalmente disarmato, pulito, accogliente. Qualche volta, anche all’interno delle comunità religiose ed ecclesiale emerge uno stile di «potere» che nasconde un orgoglio e una superbia piuttosto raffinati.

Alla luce della sua esperienza, cosa bisogna fare?

È necessario imparare a lavorare in stretta relazione con la parrocchia, in alcuni casi con la diocesi, con le persone incaricate e con le strutture sociali per rispondere in modo sempre più adeguato alle povertà vecchie e nuove della nostra società.

Aiutare ad eliminare tanti pregiudizi nei confronti delle persone. Assumere sempre più uno stile umile,   semplice e paziente nel servire ogni fratello in difficoltà; non giudicare mai perché la persona umana ha un valore immenso perché voluta e amata dal Cuore di Dio che è Padre. Dobbiamo agire insieme per «rompere il circolo vizioso della povertà, che vuol dire quella sorte di miseria prodotta dall'inerzia e noncuranza, che porta al raddoppio di miseria, e divenire agenti di cambiamento. Come si legge nella Novo millennio ineunte, al numero 51 «La carità si farà allora necessariamente servizio alla cultura e alla politica, all'economia, alla famiglia perché dappertutto vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino dell’essere umano e il futuro della civiltà».

Mi auguro che la presenza delle religiose all’interno delle parrocchie non manchi mai, sia compresa non soltanto come «forza lavoro» ma soprattutto come segno di una Presenza che ci supera e ci sostiene: l’Amore fattivo del Signore Gesù «e per non lasciar mancare a questo mondo un raggio della divina bellezza che illumina il cammino dell'esistenza umana».

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Di animazione della liturgia si è occupata, invece, suor Emilia Donati, delle suore Adoratrici del Sangue di Cristo, di Roma.

“Ho sviluppato la mia riflessione in base alla connessione: sacra scrittura-vita liturgica-preghiera, perché non posso raccontare la mia esperienza di preghiera, e quindi della preghiera, se non come canto che sgorga dalla Parola annunciata, dalla liturgia che la attualizza, dall’azione della Chiesa che la celebra. Affermano i maestri della vita spirituale che le fonti della vita cristiana e, quindi della preghiera, sia pubblica che privata, sono la Parola e la liturgia. La preghiera, perciò, non nasce da noi, ma è dono dello Spirito elargitoci dal Padre per mezzo del suo figlio, Cristo Gesù. Ed è lo stesso Spirito Santo che, durante la preghiera, «dipinge nell’anima, che è già immagine di Dio, la somiglianza di Dio». Sono questi i «punti forza» da cui scaturisce tutta l’azione liturgica e pastorale della Chiesa. Sono questi i «punti forza» su cui si è radicata e si sviluppa la mia esperienza spirituale. Sono questi i «punti forza» con i quali offro il mio servizio alla Chiesa e alla mia congregazione.

Dalla Parola e dalla liturgia, infatti, parte e prende contenuto ogni attività all’interno della Chiesa parrocchiale e quella a favore del popolo santo di Dio, in tutte le sue implicanze. A tale proposito, così recita la Sacrosanctum concilium, la costituzione conciliare sulla sacra liturgia: «… la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù. Infatti le fatiche apostoliche sono ordinate a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al sacrificio e mangino la cena del Signore…

Dalla liturgia, dunque, particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la  grazia, e si ottiene, con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo, verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa”. La stessa costituzione esorta, tuttavia, i fedeli a non fermarsi alla preghiera pubblica, cioè, alla preghiera liturgico-sacramentale, ma a coltivare anche la preghiera privata, sia personale che comunitaria, con pii esercizi, espressioni di pietà popolare, culto ai santi «purché siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa».

La pietà popolare è una grande risorsa e ricchezza nella vita spirituale di un popolo; ma se non rientra nelle linee che ho appena enunciato, rischia di trasformarsi in magia che non solo non alimenta la fede, ma la distorce e la distrugge. Nelle parrocchie, dove mi è stato dato di partecipare a vari ministeri, ho cercato di condividere il dono della preghiera e della liturgia così intesi, come catechista e formatrice di catechisti, guida in centri d’ascolto, animatrice di liturgia, di  gruppi e di commissioni della liturgia.  

Il servizio pastorale parrocchiale come religiosa, arricchito del proprio carisma fondazionale e personale, è di aiuto concreto al popolo santo di Dio, contribuendo alla formazione spirituale e liturgica dei battezzati, alla comunione dei credenti,  alla loro testimonianza che deve brillare  nel mondo, non di luce propria, ma della luce salvifica del Cristo morto e risorto”.

Quali le difficoltà che incontra nel suo servizio?

“Le difficoltà, per esercitare attivamente soprattutto il servizio liturgico, le ho trovate, anche se non molte, in quelle parrocchie in cui i parroci esercitano il sacerdozio ministeriale come «potere», e credono ancora opportuno essere i soli detentori dei beni della Chiesa,  i soli ministri della Chiesa; essi ritengono i laici e, soprattutto le suore,  non idonei a esercitare il sacerdozio comune con una «attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, richiesta invece dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto”, ha diritto e dovere in forza del Battesimo». La costituzione conciliare esorta invece i «pastori d’anime» a formare, educare, coinvolgere i fedeli a una partecipazione attiva e responsabile alla celebrazione dei misteri del Signore”.

Quali prospettive si aprono alla luce di queste considerazioni?

“Le prospettive le considero proposte alle attese della persona e della società contemporanee che gridano in mille modi il loro bisogno di spiritualità, di ritrovare la propria identità,  di intrecciare e vivere un rapporto autentico con Dio  e con gli altri, stanche come sono della frantumazione e delle frustrazioni conseguenti a una vita frenetica, dissociata da sé e dalla famiglia, ecc… Tutti conosciamo i cappi e le pseudo felicità che il consumismo ci tende e ci propina.

La lettera apostolica Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II ci traccia la strada: «Le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche “scuole di preghiera”»: è urgente, infatti, educare alla preghiera  e alla vita liturgica attiva e responsabile; favorire la riflessione, il silenzio, la preghiera del cuore, l’ascolto della Parola, la sua contemplazione sapienziale per un’appropriazione-incarnazione personale di essa e una autentica celebrazione dei misteri di Cristo Gesù. Sono opportuni, a tale scopo, centri di ascolto, scuole di lectio divina, di lettorato, di gruppi e di commissioni della liturgia. 

La Parola di Dio risiederà sovrana nel nostro cuore e ci insegnerà e ci guiderà all’ascesi autentica, cioè a somigliare ogni giorno di più al volto del Padre, attraverso il figlio Gesù, nello Spirito Santo. È da questa luce che potremo ripartire e tenere viva la nostra fede da cui poi, come per naturale flusso, nascono la testimonianza missionaria della Chiesa, la nuova evangelizzazione, il servizio della carità”.

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A suor Francesca Berton, delle suore pastorelle, di Nocera Superiore in provincia di Salerno, spetta raccontare l’esperienza della conduzione di una parrocchia:

“La presenza pastorale delle suore di Gesù buon Pastore nella diocesi di Nocera Inferiore-Sarno si colloca all’inizio del ministero episcopale di monsignor Gioacchino Illiano, nell’ottobre 1987, il quale dopo un solo un anno, ha avuto l’audacia e il coraggio, tramite padre Gerardo Cardaropoli, di inoltrare la richiesta alla nostra Congregazione, e dare  inizio a una nuova presenza pastorale di persone consacrate nel territorio di suddetta diocesi, applicando il can. 517 §2 il quale recita: « Nel caso che il vescovo diocesano, a motivo, della scarsità di sacerdoti, abbia giudicato di dover affidare ad un diacono e ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia, costituisca un sacerdote il quale, con la potestà e le facoltà di parroco, sia il moderatore della cura pastorale». Dal settembre 1988 siamo presenti nella parrocchia di «San Michele Arcangelo» a Nocera Superiore-Salerno e dal settembre 1999 nella parrocchia di «Santa Maria delle Grazie» Lavorate di Sarno-Salerno.

Cosa ha voluto dire promuovere questa esperienza?

“Dare inizio a questa presenza nuova ha significato, sia per il vescovo che per la nostra Congregazione, percorrere, con una certa audacia, una strada nuova che ha richiesto e richiede tuttora coraggio e riflessione nell’approfondimento della nozione di «cura pastorale», espressione che ha avuto una complessa evoluzione  e che numerosi fattori, alla luce del concilio Vaticano II, obbligano oggi a ripensare o meglio organizzare tale nozione. Fattori come, l’ecclesiologia di comunione; la consapevolezza che tutti i christifideles partecipano della triplice missione di Cristo di insegnare, di santificare e di governare; la convinzione che tutti i christifideles devono cooperare all’edificazione del Corpo di Cristo; la riflessione sulla «ministerialità laicale»; la ri-comprensione del ministero ordinato e del suo operare in persona Christi capitis.

Occorre pazienza, ma anche coraggio per mettere in opera il principio che «fra tutti i fedeli, in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo, secondo la condizione e i compiti propri di ciascuno» (can. 208).

La messa in opera del can 517 §2 pone dei problemi, obbliga, in particolare, a ripensare la «cura pastorale» come tradizionalmente intesa.  Sembra non possa più essere vista come qualcosa di esclusivo del parroco. Anche i non sacerdoti concorrono alla sua attuazione, affinché la comunità organicamente strutturata abbia a realizzare la missione della Chiesa, per la quale è necessariamente costituita. È in questa visione di orizzonti nuovi, che la richiesta del vescovo di Nocera Inferiore-Sarno ci ha raggiunto e  ha trovato la risposta positiva da parte della nostra Congregazione.

La stesura di una convenzione tra la diocesi e la congregazione è servita e serve a chiarire e a salvaguardare l’equilibrio delle funzioni e la loro unità. In pratica, «il dover affidare ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale…» si è tradotta nella responsabilità, nell’animazione e nel coordinamento di tutte le attività pastorali con la presenza di un sacerdote, non residente, quale amministratore parrocchiale.

Non sono le linee programmatiche del cammino pastorale realizzato in questi anni che vogliamo qui evidenziare, ma è soprattutto la possibilità che ci è stata offerta di vivere il senso della nostra vocazione di pastorelle nella Chiesa. Vocazione che si esprime in una consacrazione pastorale a servizio della comunità ecclesiale attraverso la condivisione del ministero pastorale di Gesù-Pastore. Secondo lo spirito del nostro fondatore, il beato  don Giacomo Alberione, pensando le suore pastorelle, egli ha voluto delle donne consacrate a Cristo che copiano la sua vita pubblica, la sua vita di pastore, che si prende cura di tutti. Di conseguenza egli pensava ad una vita religiosa apostolica agile, duttile, semplice inserita tra la gente, in piccole comunità, che abitano tra le case degli altri, con la porta sempre aperta, condividendo la vita quotidiana del popolo, nell’intento di far crescere e consolidare la vita cristiana in tutte le sue dimensioni.

Don Alberione chiedendoci di condividere il «ministero pastorale» di Gesù, non ci chiedeva solo di svolgere delle mansioni pastorali ma di incarnare in noi il significato profondo racchiuso in questo verbo «condividere», come partecipazione dall’interno alla missione di Gesù Pastore, che conosce e ama le sue pecorelle e per esse dona la vita.

Percorrere questa strada, in questa nuova esperienza, all’interno dell’ecclesiologia di comunione, ci ha insegnato che il «ministero pastorale» non si vive senza il discernimento, il quale ci richiede di assumere la complessità della vita, cioè guardare con occhio di simpatia, di attenzione, di essere «con» prima di essere «per», di rinunciare a essere una Chiesa elitaria , ma essere una chiesa che si riconosce unica e uguale attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia; di saper indicare delle soluzioni provvisorie ma credibili; provvisorie non significa senza progettualità, ma progettualità che è fedeltà a Dio e all’uomo in sintonia con i «segni dei tempi».

 Dal primo momento, ci siamo coinvolte nella cultura e nella vicenda del popolo al quale siamo state mandate. Stiamo continuando a essere solidali con i problemi e le speranze della gente, non solo con la profezia della parola, ma soprattutto con l’esemplarità della vita attraverso un servizio libero, gratuito, semplice; servizio che ci fa essere non «maestre» ma «compagne di viaggio». Questa esperienza di «affidamento» a comunità religiose femminili ha incontrato la difficoltà dell’accoglienza del servizio della donna, proveniente sia da una mentalità ancora di tipo patriarcale, la quale vede solo nel sacerdote-parroco, l’unica guida di una comunità cristiana, sia da parte di una chiesa ancora troppo clericale.

Il coraggio della domanda del vescovo affidandoci la cura pastorale, lascia trasparire la convinzione che anche alla donna, oltre ai ruoli tradizionali, sono aperte all’interno della Chiesa, le prospettive per nuovi compiti e nuovi servizi pastorali. Posso affermare che solo la consapevolezza che la barca è affidata alla forza dello Spirito Santo, il quale guida la Chiesa, ci ha spinto, in questi anni, a fugare ogni tentativo di dichiarare forfait e ci ha aiutato a mantenere dritta la vela anche quando la tentazione spingeva ad ammainarla perché il vento non sembrava favorevole alla traversata”.

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