passione per Cristo,
passione per l’Umanità

Il Congresso mondiale
sulla Vita Consacrata

nelle parole di M. Giuseppina Alberghina, sgbp


Rita Salerno (a cura)

English version

trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte)

 
LaPassione per Cristo, passione per l’umanità” va intesa nel senso più pieno e ampio del termine. Non solo appassionarsi, ma patire come condivisione della vita. Nel caso della vita consacrata, il titolo vuol chiaramente alludere alla condivisione della passione di Cristo per il Padre, per il Regno, per la nostra salvezza. Quindi anche per l’uomo. È questa la chiave di lettura di madre Giuseppina Alberghina, superiora generale della congregazione delle Suore di Gesù Buon Pastore e Vicepresidente dell’USMI nazionale, a proposito dello slogan del congresso mondiale per la Vita Consacrata che si svolgerà a Roma dal 23 al 27 novembre prossimi.

Il documento di lavoro su cui saranno chiamati a riflettere i partecipanti già a partire dall’introduzione non nasconde le grandi sfide che interpellano nel ventunesimo secolo la vita consacrata.  “Noi consacrati e consacrate – si legge nel testo – viviamo giorni di grazia e di prova”.

“Mi sembra che siamo chiamati ad affrontare sempre momenti di prova che sono anche momenti di grazia – precisa M. Giuseppina –. In questo caso specifico si vuole intendere che l’attuale crisi di vocazioni va letta come una ulteriore chiamata a tornare alle origini della vocazione cristiana e quindi ai fondamenti della vocazione di speciale consacrazione. E’ una prova, come direbbe Bonhoeffer, proprio perché non c’è grazia se non a caro prezzo. Fa appello alla nostra collaborazione e alla nostra libertà.

Questo è un tempo di grazia perché un momento a noi concesso per poter discernere insieme, questo è infatti l’obiettivo principale del congresso, per chiederci cosa sta facendo nascere tra noi lo Spirito di Dio. La diminuzione delle vocazioni, dunque, da interpretare in chiave positiva, ma anche come qualcosa che sta morendo per poter assumere una vita nuova. Vita nuova che non siamo noi a plasmare, ma lo Spirito di Dio. È l’attitudine a discernere e a scoprire la validità delle res novae, delle cose nuove che il Signore sta facendo, ma anche per accogliere e promuovere questa novità come dono.

Mi sembra che tutto il documento è attraversato da questa attenzione: l’ascolto dello Spirito, l’ascolto dei segni dei tempi, da leggere sempre nella chiave delle quattro fedeltà: a Cristo, all’uomo, alla Chiesa e alla vita religiosa”.

Come si colloca questo congresso nel cammino di rinnovamento?

“Mi sembra di capire che questo congresso è nato da un iniziale discernimento sul nostro tempo. Non solo perché ci troviamo all’alba di un nuovo millennio e quindi di un passaggio epocale. Ma proprio perché la consapevolezza di questo cambiamento, che va al di là del fatto cronologico, ci dice che il mondo sta mutando vertiginosamente e noi sentiamo l’esigenza di discernere questo tempo e, in questo tempo, la nostra vocazione. La nostra stessa appartenenza a Cristo ci interpella, a partire dall’umanità. Questa passione per Cristo e per l’umanità esprime quelle icone samaritane che permeano il documento. C’è un tempo della storia in cui vogliamo con più attenzione e più fedeltà ascoltare che cosa Cristo ci vuole dire e che cosa il dolore dell’umanità ci chiede”.

Tutta la prima parte è dedicata alla realtà che ci circonda. Tra le domande, una in particolare colpisce: quale vita consacrata sta suscitando lo Spirito Santo?

“A me pare di cogliere dal documento e dalla lunga fase preparatoria che la prospettiva della vita consacrata sia sempre più una. In passato abbiamo riflettuto sulle diversificazioni della vita consacrata. Oggi, l’urgenza dell’evangelo e della dignità della persona umana ci spinge a ripensare che la vita consacrata è fondamentalmente una. Quindi, a ritrovare questa unicità, che non annulla le differenze ma che comunque, non le mette in primo piano. Unicità fondata sulle cose essenziali. Direi che la prima cosa che ci è richiesta è proprio quella di garantire la continuità dell’annunzio del Vangelo. Occorre che ci siano delle persone che garantiscano questa appartenenza a Cristo, questa totale esposizione perché il Vangelo continui ad essere annunciato”.

In particolare nel documento si parla di blocchi, a proposito dei limiti personali e comunitari: anche questa è una sfida che interpella ognuno singolarmente e comunitariamente?

“Certo. I blocchi di cui si parla nel testo, frutto di un’ampia riflessione a cui hanno partecipato moltissimi religiosi e religiose in ogni parte del mondo, vogliono esprimere la consapevolezza che la vita consacrata ha bisogno di sbloccare alcuni elementi che rischiano di essere degli ostacoli. Questo sblocco riguarda, sì, le nostre infedeltà e i nostri limiti personali, la mancanza di coerenza o di radicalità nella risposta vocazionale. Ma questa paura di essere troppo pochi, cui si accenna, non la considero molto evangelica. Siamo in una situazione di diaspora, di disseminazione nel mondo che dobbiamo saper interpretare come spinta, come sblocco di alcune nostre chiusure.

Una Chiesa troppo preoccupata di sé e ripiegata all’interno non è più in grado di garantire l’annuncio del Vangelo. C’è una nota nel documento che fa riferimento alla preoccupazione dei consacrati di ‘sentirsi in disparte rispetto ad altri gruppi più docili e di fatto poco apprezzata’.

Credo che la nostra preoccupazione, per quanto mi è dato vivere concretamente, non è tanto di essere messi in disparte e poco apprezzati. Non ci interessa essere protagonisti perché il nostro intento è di diventare coraggiosi e audaci discepoli di Cristo, che non hanno paura di essere piccoli e poveri. Perché solo così agisce la potenza di Dio”.

Ombre ma anche luci sono contenute nel documento. Si parla, infatti, di segni di novità? Il tempo attuale offre segnali contraddittori, che sono per se stessi un seme che fermenta non sempre di facile interpretazione in questo senso.

“Credo che la cosa più importante, in questo caso, è proprio quella di dissetarsi alle sorgenti della Vita così come ricorda l’icona della Samaritana che l’evangelista Giovanni suggerisce. E condurre quelli che ci sono affidati a dissetarsi alle sorgenti della Vita. Proprio perché la vita è minacciata e rischia di inaridirsi, ma è la stessa vita cristiana ad essere minacciata a causa della mancata alimentazione. E, dunque, di non ritrovarsi nella sua verità di appartenenza a Cristo. Pensando anche alla sete di sacro della gente in un contesto sempre più asservito al materialismo, come dice chiaramente il documento, è una contraddizione che al pari di altre richiede una sola terapia: quella di lasciarsi dissetare alle fonti della vita e condurvi gli altri.

L’altra cosa è il gesto di chinarsi sull’uomo della strada, allusione forte all’altra icona del Samaritano cui si fa riferimento. Attraverso di noi è Cristo che si china sull’umanità dolente. Questa è una prospettiva fondamentale. Voglio dire che non siamo noi che siamo così brave a caricarsi sulle nostre spalle l’uomo sofferente, perché noi stesse siamo insieme ai nostri contemporanei queste persone sul ciglio della strada. È Cristo che continua a chinarsi su di noi. E si serve di noi, che abbiamo conosciuto il suo amore, per continuare a farlo”.

Ma la nuova vita consacrata richiede anche e soprattutto comunità nuove. Condividere una missione per rifondarla su quali basi?

“Credo che proprio uno dei capisaldi di questa unità della vita consacrata di cui parlavo prima sia la testimonianza della comunione fraterna. Che diventa anche questa, un piccolo segno profetico per la Chiesa e per l’umanità. Mi sembra di capire che quello che nel mondo di oggi non funziona è proprio la vita di relazione alle prese con una profonda crisi. Dove sta, allora, la profezia? Noi che siamo chiamati a contemplare le relazioni trinitarie e che vogliamo starci dentro come figli nel Figlio e nello Spirito che tesse questa comunione, non siamo ancora esperti di comunione.

Lo saremo quando arriveremo a credere che Dio può, con la nostra debolezza, farci diventare uno. Può tesserla Lui questa comunione facendo sì che noi, di giorno in giorno, ci accogliamo e ci perdoniamo. Ed è questa forza di ricominciare che può essere profetica. Nel momento in cui sembra lacerarsi maggiormente il tessuto della società, noi consacrati possiamo testimoniare che ogni lacerazione può essere riconciliata. E dove sta la novità della comunità? Sta nel fatto che la comunità è capace di intessere relazioni intessute dallo Spirito di Dio. Dunque, c’è sempre lo spazio per perdonarsi e riconciliarsi. Questo diventa un segno e una profezia”.

Infatti non a caso si legge della volontà di voler “configurare una vita consacrata autenticamente samaritana”.

“E’ una bella espressione che fa riferimento alle due icone bibliche. Nelle persone che si accostano a Cristo in modo autentico, pur nella marginalità della loro collocazione sociale, si possono intravedere il dono del risanamento di tutte le dicotomie che ci affliggono, ad esempio tra spiritualità e missione”.
 

Torna indietro