passione per Cristo,
passione per l’Umanità

nelle parole di P. Bruno Secondin
 


Rita Salerno (a cura)

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P. Bruno Secondin, o. carm., professore ordinario di spiritualità presso la Pontificia Università Gregoriana, è l’unico esperto italiano che ha collaborato nella stesura dell’Instrumentum laboris in preparazione al Congresso Mondiale sulla Vita Consacrata che si terrà a Roma dal 23 al 27 novembre c. a. Aveva anche seguito il Sinodo del 1994 nella sua preparazione e nel suo svolgimento, come teologo, per incarico dei Superiori Generali (USG). Ha scritto vari libri sulla spiritualità e sulla vita consacrata, tradotti anche in altre lingue.

Egli da oltre un decennio fa parte del Consiglio di Redazione della Rivista dell’USMI Consacrazione e Servizio all’interno del quale ha sempre offerto validi apporti e ha sempre collaborato con qualificati articoli, tanto per la rivista come per i molteplici e apprezzati supplementi.

Non potevamo non chiedere anche a lui il suo apporto per questa altra voce dell’USMI: la pagina Web.

Lo abbiamo fatto nella certezza di ricevere risposte dense, sincere, opportune, che ora offriamo a chi si accinge a navigare nel nostro sito (b.m.).

Il titolo del Congresso mondiale “Passione per Cristo, passione per l’umanità” allude chiaramente alla passione che deve animare la missione dei consacrati. Declinata attraverso quali modalità?

La modalità che anzitutto deve guidare la declinazione di queste due prospettive è quella di evitare ogni dicotomia o giustapposizione. Non si tratta di due dinamiche divergenti, ma della stessa unica dinamica che è insieme adesione conformativa a Cristo e i suoi sentimenti di fronte al Padre, e pro-existencia in compagnia degli uomini e delle donne di questo storia. Evitare le dicotomie, e favorire una spiritualità olistica e globale, sta nel fondo di questo documento e del progetto del Congresso. Nonostante tante affermazioni di Vita Consacrata sulla intrinseca unità fra consacrazione e missione, tanti consacrati continuano a giustapporre le due prospettive, o perfino a contrapporle come un prima e un poi, un valore e un rischio. Bisogna forse fare uno sforzo geniale per uscire da questi equivoci, e riuscire a intrecciare in maniera inestricabile le due esigenze, per realizzare esistenze radicate nell’ardore di una contemplazione non evasiva e di una carità operosa e vibrante”. 

Obiettivo centrale del Congresso, si legge nel documento di lavoro, è quello di discernere insieme cosa sta facendo nascere tra noi lo Spirito di Dio, verso dove ci conduce e come rispondere alle sfide del nostro tempo. Si tratta, certamente, di un obiettivo non facile che presuppone un lungo lavoro preparatorio. Ci chiarisce quale è stato l’iter che ha portato a questo documento?

“Un lungo lavoro preparatorio sta dietro questo documento, e soprattutto dietro le opzioni globali del Congresso. Si è partiti da una larga sollecitazione a centinaia di religiosi con responsabilità e competenza, chiedendo di mettere a fuoco  i problemi e le urgenze che, secondo loro, potevano essere oggetto di approfondimento e discernimento. Poi un “Visioning Group”  ha analizzato le risposte cercando individuare i nuclei più interessanti e problematici. Una speciale commissione teologica internazionale ha elaborato un primo testo di sintesi, e con successive rielaborazioni è giunta alla redazione del Documento di Lavoro attuale. In tutto questo lavoro è sempre stata in esercizio la responsabilità e la puntualizzazione delle due unioni dei superiori generali (USG e UISG). Inoltre in vista delle esigenze di un Congresso così complesso, sono state attivate varie “commissioni” per i molteplici aspetti organizzativi e pratici. Una macchina enorme che lavora da tempo, coordinata da un comitato centrale che di continuo è informato e sollecita secondo le varie esigenze. Il Documento è solo un aspetto, certo importante, del Congresso. Molto importante si considera anche la partecipazione degli esperti nell’esprimere pareri e reazioni; ma sarà anche fondamentale la partecipazione viva e intensa di tutti nel momento del Congresso. Non si vuole avere la pura esposizione di grandi discorsi e teorie, ma piuttosto vivere un evento che sia insieme gioia e grazia, discernimento e progettualità, in dialogo sereno e aperto”. 

La vita consacrata oggi: come deve proporsi specialmente ai giovani, che il Papa ha definito “speranza della Chiesa” in un contesto storico che assiste a una crescente crisi di vocazioni?

“Io non avrei tutta questa paura della “crisi di vocazioni”. Sono in crisi certi modi di vivere la “vocazione”, certi modelli deculturati di religioso, suora, prete, consacrato. E non è detto che in fondo sia un male che avvengano certe crisi: altrimenti non si mette in discussione mai nulla. La crisi è crisi salutare, anche se i numeri (in discesa da decenni) sconvolgono molte cose costituite e ormai standardizzate. Siamo ancora tanti noi consacrati, e soprattutto non abbiamo saputo conservare lo slancio profetico di cui il Concilio e il rinnovamento ci aveva fatto credito.

E’ questa la vera crisi problematica: l’affievolirsi dello slancio, della capacità di innovazione e di creatività. Facciamo troppi esercizi inutili di sopravvivenza: che a mio parere mostrano uno stato nevrotico e impaurito di molti istituti. E pur di non chiudere case o anche province ci si aggrappa a tutto, perdendo qualità e forse anche identità. E i giovani questo lo percepiscono subito, hanno antenne sensibili per questo; e quindi non si sentono attratti per progetti dettati dalla paura e dalla nevrosi di sopravvivere comunque”. 

Quali le urgenze, le sfide che interpellano dal profondo la vita religiosa oggi?

“Nella prima parte del Documento se ne descrivono parecchie, anche se ce ne sono pure altre degne di attenzione. Ma quelle che sono presenti bastano per cominciare ad aprire gli occhi, per abitare in questa storia e in questi orizzonti, e non vivere a cespuglio, come molti fanno, preoccupati nevroticamente del loro “particolare”.

Inoltre la terza parte riprende ancora altre sfide e urgenze, in un linguaggio più positivo e propositivo. Io credo che sia urgente smettere di guardarsi l’ombelico e di piangersi addosso, di riciclarsi senza un discernimento serio e carismatico.

Credo ancora che sia urgente accettare la sfida di un mondo senza grandi ideali, che fa della religione un supermercato e un melting pot, per proporre – come insiste il Papa nella sua esortazione - non nuove teorie ma esistenze segnate e trasfigurate dalla grazia, dalla passione per il dialogo interiore autentico e guaritore, dalla compagnia audace e trasformatrice con tutti i flagellati della storia”. 

Perché la scelta delle due icone, la Samaritana e il Samaritano, se come si legge nel documento non sono state tradizionalmente applicate alla vita consacrata? Quali spunti in concreto offrono alla vita consacrata oggi?

“Saranno in molti a rimanere sorpresi e forse anche perplessi di fronte alla scelta delle due icone illuminatrici. Ma quando avranno letto la parte che le riguarda – e sono 17 bei paragrafi – credo che si ricrederanno. Anzitutto perché questa parte è scritta con uno stile suggestivo e perfino poetico, niente affatto scontato. E poi perché attraverso queste icone vengono recuperati tutti i grandi valori della vita consacrata, ma sotto una nuova luce, quella detta “samaritana”. Che è fatta di cuori guariti e mani servizievoli, di danza femminile attorno al pozzo dell’acqua viva e di diaconia della carità fattiva e coinvolgente.

Dobbiamo probabilmente liberarci da una certa teologia imbalsamata che insiste da secoli sulla “via della perfezione”, per scoprire il valore ispirante proprio della vita “samaritana”, della fragilità e della imperfezione recuperate in modo empatico e avvolgente”.

In Italia le parrocchie sono il terreno privilegiato di questo rinnovamento nel segno degli Orientamenti Pastorali per il nuovo decennio. A suo avviso, andrebbe ripensato anche il ruolo dei religiosi e delle religiose all’interno di questa “palestra di umanità”?

Io ha un po’ di difficoltà a collocare la vita consacrata dentro lo schema parrocchiale. Anzi penso che la sua perdita di incisività sia dovuta anche alla eccessiva “parrocchializzazione”, nel senso della riduzione al servizio e manutenzione della struttura di base territoriale. Per sua natura la vita consacrata ha orizzonti più ampi, ha un tasso di profezia che fermenta trasversalmente la chiesa, e sta stretto dentro la manutenzione burocratica della fede, come spesso avviene in parrocchia.

Se vuole conoscere un nuovo rilancio la vita consacrata deve ritrovare il suo statuto di marginalità e di flessibilità carismatica, deve essere capace di intuire nuovi bisogni e inventare nuove forme di aggregazione sui valori e la evangelizzazione. Credo che non sia vocazione dei consacrati vendere pane: devono essere piuttosto lievito che tutto fermenta, devono sapere abitare i nuovi orizzonti con libertà sovversiva e creativa. Così sono state le stagioni migliori”.

A Suo avviso quale è il punto centrale del documento di lavoro per il congresso?

L’obiettivo centrale è detto chiaramente al n. 3: “Discernere insieme, con una consapevolezza globale, cosa sta facendo nascere tra noi lo Spirito di Dio, verso dove ci conduce”. All’interno di questo obiettivo io sottolineerei proprio lo sforzo di individuare non solo i segni e le sfide dei tempi, ma la illuminazione che proviene dalle due icone bibliche. Esse parlano al cuore dei consacrati, più di quanto forse a prima vista si penserebbe: e richiamano insieme contemplazione assetata e diaconia di carità. La vita consacrata ha su questo duplice versante la propria identità”.
 

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