LA 52
a ASSEMBLEA NAZIONALE

nelle parole di P. Bartolomeo Sorge


Rita Salerno (a cura)


 

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In un mondo sospeso tra crisi e speranza la vita consacrata deve farsi testimone e costruttrice di una società capace di dialogare, aldilà di qualsiasi steccato. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario un cambiamento di mentalità, una seria revisione nell’ambito formativo e soprattutto, ripartire da Cristo. Per padre Bartolomeo Sorge, della Compagnia di Gesù, direttore della rivista Aggiornamenti Sociali, che interverrà alla cinquantaduesima Assemblea Nazionale sul tema della “Vita Consacrata nella realtà multietnica e multireligiosa dell’Europa”, sono queste le tre sfide da superare per essere fermento e lievito in un mondo sempre più esigente, scristianizzato eppure bisognoso di Dio.

“Più che partire da premesse teoriche è necessario prendere spunto dall’analisi della situazione concreta del nostro tempo. Ci troviamo in un tempo storicamente nel quale dopo la fine dell’equilibrio di un mondo spaccato a metà dal muro di Berlino, l’umanità è alla ricerca di un nuovo assetto che, solo probabilmente tra qualche anno apparirà chiaro, a tutti essere basato su un equilibrio multipolare. Siamo chiamati a realizzare la presenza della vita consacrata, il servizio del Vangelo in questa fase di transizione, soprattutto in Europa.

Quello che colpisce è la crisi di speranza che oggi affligge il Vecchio Continente a causa della caduta delle grandi ideologie che tanto avevano fatto sperare nella liberazione dell’uomo con le proprie mani. È in crisi anche la cultura illuministica che pensava di potersi servire della ragione per risolvere tutti i problemi e si ritrova invece nella crisi del pensiero debole e nel nichilismo. Mentre, al tempo stesso, è in atto un’aspirazione al Soprannaturale, un desiderio di Dio che torna prepotente. Ci sono dei segni dei tempi che fanno capire come sia propizio il messaggio della vita consacrata che profeticamente annuncia la speranza cristiana. Come prova il fatto che i popoli si parlano tra di loro. Sta nascendo una coscienza europea nuova, tutti accettano il metodo democratico. Sono  segnali chiari di un mondo in crisi e alla ricerca di una speranza nuova. Qui s’inserisce la testimonianza profetica della vita consacrata.

Dobbiamo, quindi, riuscire ad essere testimoni e costruttori di liberazione in un mondo sempre più desideroso di speranza. È una liberazione che comincia qui, ora, in mezzo a noi, nella nostra storia. Anche se siamo consapevoli che l’autentica liberazione si realizzerà pienamente nel Regno di Dio. Superamento delle lacerazioni del peccato e delle strutture sociali ingiuste è un impegno con il quale ci dobbiamo confrontare per annunciare il Vangelo della speranza. Vedo, in questo momento storico, nella vita consacrata una duplice missione: da un lato, deve fare da specchio e dall’altro, non deve mai venire meno alla sua funzione profetica.

Nel primo caso significa avere un compito critico, nel senso che misurandoci con le diverse speranze di liberazione, con le diverse correnti del pensiero moderno e con le frontiere delle moderne tecnologie e i problemi morali ed etici che ne discendono, dobbiamo essere coscienza critica. Illuminare, cioè, per condurre avanti nel servizio all’umanità e in conformità al disegno di Dio. Nel secondo caso, implica l’annuncio del cammino di salvezza riportando, non solo, la parola del Signore, ma la presenza stessa di Gesù Risorto nel nostro tempo. Questo dovrà avvenire necessariamente in una società multietnica e multiculturale, attraverso il dialogo. Il dialogo, dunque, è la strada della nuova evangelizzazione.

E’ indispensabile avviare un dialogo tra le culture, un dialogo interculturale. In questo contesto, sarà importante che i consacrati sappiano vedere quello che unisce le diverse culture. Perché tra di loro non sono alternative, non ci sono culture di serie a e di serie b, come non lo sono le razze. La testimonianza delle Beatitudini evangeliche che la vita consacrata propone è il cemento tra le varie culture. Qui s’inserisce il dialogo specifico che la vita consacrata può avviare tra le diverse presenze culturali. Lo stesso può fare in ambito religioso. Il Papa ha sempre creduto, al pari di noi, che dove non sono arrivate le ideologie che pretendevano di creare la pace, magari basata sulle armi atomiche e missili puntati su obiettivi sensibili, possono arrivare le religioni che adorano il Dio unico. il dialogo tra le religioni, dunque, può diventare il fondamento della pace. E qui la vita consacrata deve confrontarsi con alcune sfide che non può ignorare.

La prima cosa da fare è cambiare mentalità. Il panorama, il teatro entro cui ci muoviamo è talmente diverso che non si può più ragionare come prima. Questo suppone una vera conversione anche apostolica, pastorale. Non possiamo più avere le stesse opere di ieri, le stesse tradizioni del passato, lo stesso modo di esercitare la testimonianza e il servizio apostolico di ieri. In pratica, questo significa formazione nuova. A mio modo di vedere, la sfida fondamentale di questo tempo alla vita consacrata è rivedere la nostra formazione. In modo da preparare uomini e donne che siano capaci di mettere insieme una vera santità, quindi una spiritualità profonda, ma al tempo stesso, anche una professionalità.

Al giorno d’oggi, non basta più che i consacrati siano santi, ma è richiesto loro anche di essere competenti per recare un servizio di testimonianza e di promozione umana. Questo significa, per usare l’espressione cara al Papa, “ripartire da Cristo”. Riscoprire, quindi, una spiritualità della strada, come amo definirla, essere contemplativi nell’azione, in modo da testimoniare le Beatitudini mentre serviamo l’uomo, specialmente i più poveri e i più deboli, a trovare il cammino della speranza che non delude, specialmente dopo il crollo della fiducia in un mondo migliore”.

Quando parla di dialogo tra le religioni, il pensiero va subito ai tre grandi incontri di Assisi, voluti dal Papa, per chiedere il dono della pace nel mondo. Come è possibile tradurre nel quotidiano, attraverso gesti condivisibili da tutti, questi tre grandi momenti di fede?

“L’Assisi quotidiana vuol dire accoglienza. Tanto per fare un esempio, aprire le nostre opere, che come consacrati abbiamo, alla presenza di seguaci di religioni diverse. Significa rispettare la coscienza altrui, come faceva madre Teresa di Calcutta. Addirittura, il miracolo su cui si è appuntata l’attenzione ha avuto per protagonista una non cristiana. È lei certamente il simbolo di questa apertura, per cui siamo tutti figli di un solo Padre. Il dialogo non è solo un metodo, è anche l’essenza della Rivelazione cristiana. Noi dobbiamo avere il cuore grande, come quello di Dio, e sentirci fratelli, figli dell’unico Padre. Tutto questo ha una ricaduta molto forte nelle nostre opere. Implica sapere che abbiamo da dare ma anche da ricevere, per cui ci sono anche delle verità al di fuori della nostra fede cristiana, di cui sono portatori i famosi germi del Verbo, come il Concilio Ecumenico Vaticano II affermò, presenti anche nei non credenti e non solo tra le confessioni cristiane e non. Occorre avere il cuore grande di Dio, testimoniare il Vangelo, annunciare a tutti la Parola, perché Gesù è morto per tutti, accogliere quanto di buono e di valido c’è in chiunque noi incontriamo. Questo a livello operativo. Un dialogo non teorico attorno ad un tavolo. Ma di testimonianza, di servizio alla pace e alla giustizia, ai poveri, ai grandi valori della vita umana e della famiglia. Da vivere quindi in spirito interreligioso e interculturale”.

Lei dice che è necessario cambiare mentalità e rivedere la formazione. Una questione, senza dubbio, complessa e di non facile soluzione. E’ sufficiente, a Suo avviso, una formazione al passo con i tempi per rispondere alle esigenze del mondo attuale?

“Quando dico cambiare mentalità, significa una coscienza nuova. Il mutamento è stato talmente forte per cui il Vangelo eterno di sempre, la Verità immutabile di Dio va mediata in situazioni nuove. Quando facciamo catechesi o siamo impegnati nelle attività scolastiche, non ci rivolgiamo più a generazioni cristianizzate o evangelizzate. Molti non sanno più chi è Gesù. Allora, non possiamo operare con la mentalità della cristianità o affrontare un mondo, che per certi aspetti, è postcristiano. Non siamo più in una società statica o monoculturale. Per portare il messaggio di Cristo in una società aperta e multiculturale, è necessario sviluppare nuove strategie. Implica un cambio di mentalità che in molte istituzioni consacrate non si è realizzato. Con il pericolo di chiudersi.

Camminare con la Chiesa, che in questo è maestra e ci guida, è l’impegno da tradurre in pratica. Anche l’esempio del Papa, che è andato in una moschea e in una sinagoga, ci deve aiutare ad operare con un cuore grande. Suppone una formazione nuova, in parrocchia come in seminario. Perché siamo tutti impreparati di fronte alle trasformazioni enormi di questi anni, in particolare alla globalizzazione. È una rivoluzione anche pastorale, su cui dobbiamo impegnarci con vigore. L’importante è non stare fermi. A me farebbe paura una Chiesa immobile. La missione profetica della vita consacrata potrebbe essere proprio quella di precedere, con l’esempio e con lo stimolo, tutta la Chiesa aiutandola ad incamminarsi su questa strada”.

 


 

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