A QUARANT'ANNI DAL CONCILIO

        
nelle parole di Mons. Domenico Sigalini


Rita Salerno (a cura di)

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Del Concilio  dice che “è giovane perché dà spazio ai sogni e accoglie i giovani. La migliore sintesi del Concilio per un giovane è il discorso di Paolo VI del 7 dicembre 1965. Il Papa spiega: con il Concilio, la Chiesa ha scelto di gettarsi completamente in braccio all’umanità e ai suoi problemi, non per restarne soffocata, ma per donare speranza. Il Concilio dà ai giovani una speranza e un luogo, la Chiesa, in cui questa speranza possa crescere e diventare vita. Se gran parte del mondo non crede né investe in loro, i giovani devono sapere che qualcuno un posto per loro ce l’ha, e una speranza, e un significato. Questo qualcuno è la Chiesa del Concilio”.

Monsignor Domenico Sigalini è nato a Dello, provincia e diocesi di Brescia, il 7 giugno 1942. Ha compiuto gli studi liceali e teologici nel Seminario di Brescia. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 23 aprile 1966. Appartiene al clero secolare della diocesi di Brescia. Nel 1971 si è laureato in Matematica all’Università degli Studi di Milano, disciplina che ha insegnato presso il Seminario di Brescia dal 1967 al 1991.

E’ autore di diverse pubblicazioni, soprattutto articoli su riviste pastorali: Orientamenti Pastorali, Settimana, Note di Pastorale Giovanile, nei periodici dell’Azione Cattolica, e altre riviste. Dal 1966 al 1969, è stato Vicario Cooperatore festivo a Frontignano e Bargnano (Brescia) e ha ricoperto anche l’incarico di Vice-Rettore del Seminario di Brescia. Continuando ad insegnare, ha assunto l’ufficio di Vice-Assistente diocesano di Azione Cattolica Italiana, dal 1974 al 1980, divenendovi in seguito Assistente dal 1980 al 1991.

Nel 1991, Mons. Sigalini è stato chiamato a Roma come Responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della CEI, incarico che ha mantenuto fino al 2001, quando è stato nominato Vice-Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana, compito che svolge tuttora.

L’impegno principale che Mons. Sigalini ha avuto in questi ultimi anni è stata la preparazione e celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù a Denver, Manila, Parigi, Toronto e soprattutto Roma. A lui abbiamo chiesto di rispondere ad alcune domande sull’attualità del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, a distanza di 40 anni, non cessa di scatenare un dibattito acceso tra gli addetti ai lavori. Quale è, a Suo avviso, la corretta interpretazione dell’evento e il suo valore dottrinale?

“E’ una esperienza ecclesiale unica che ha riscritto il volto della Chiesa per il mondo di oggi, non solo nella modernità, ma anche per la post modernità. E’ stato un dialogo con il mondo da pari, non con senso di inferiorità o di superiorità. Invito chiunque critica o non capisce il Concilio a leggere il discorso di Paolo VI del 7 dicembre del 1965, il giorno della promulgazione degli ultimi documenti. Lì chiaramente emerge il grande affetto del Concilio per l’uomo contemporaneo e la mano tesa a rispettarne la dignità e a offrire la grandezza della fede cristiana”,

E’ fuorviante leggere il Concilio come una rottura col passato?

“Se per rottura si intende discontinuità nella verità e nella sequela del Vangelo non fu certo rottura. Se si intende che si è rotta l’ingessatura in cui era stata anchilosata la sacra scrittura, la liturgia, la teologia, la pastorale, la autosufficienza della chiesa cattolica rispetto alle altre confessioni cristiane, allora c’è proprio stata e ancora deve essere realizzata”.

Nell’introduzione al volume pubblicato dalla San Paolo sull’eredità conciliare monsignor Loris Capovilla afferma che “l’eredità del Concilio chiede a tutti i credenti di coniugare fedeltà e rinnovamento”. In che modo tradurre questo impegno prioritario? E il ruolo del vescovo in questo senso quale deve essere?

“Si tratta sempre di tornare all’ascolto della Parola, alla vita sacramentale e liturgica e alle opere di carità, entro una forte accentuazione della scelta contemplativa. Il problema quindi non è di tipo organizzativo, ma di accoglienza del dono del vangelo nelle nostre vite. La prima cosa che, io come vescovo, mi sento impegnato a sostenere e a promuovere è la rigenerazione della fede mia e del popolo di Dio, dei presbiteri e dei laici. Oggi in più siamo sfidati dalla missione e dal primo annuncio, che solo una chiesa in cui si vive la corresponsabilità dei laici può affrontare seriamente”.

Nel 2000 il Papa volle un convegno di studio sull’attuazione del Concilio. Quanto è stato recepito lo spirito conciliare? E quali gli eventuali ostacoli che hanno impedito il recepimento?

“A me pare che alcuni elementi fondamentali siano stati ben recepiti. Abbiamo tante difficoltà nella liturgia, ma è davanti a tutti che c’è una partecipazione viva, consapevole e matura di tanta nostra gente. Molte comunità cristiane vedono la corresponsabilità dei laici a buoni livelli di maturità, di consapevolezza e di azione evangelizzatrice. Il ruolo della parola di Dio è molto preciso. Ci sono molti laici che la studiano, la leggono e se ne fanno trasformare. Il rapporto con il mondo non è né da talebani, né da smidollati, ma da persone che hanno coscienza di essere un seme che ha una forza invincibile, pur sempre nella debolezza, che trova in Gesù la forza unica e necessaria. Gli ostacoli principali non sono più tanto quelli dei nostalgici del vecchio modo di vivere la vita di una comunità cristiana, ma le sfide del mondo postmoderno, liquido e senza riferimenti. E’ la cristianizzazione soprattutto, non le remore interne di chissà quali oppositori del Concilio. Quelli c’erano ai primi tempi, non ora. Ora non si crede più e la comunità che deve testimoniare deve affrontare con più determinazione la sua missione”.

Quale immagine di Chiesa emerge dai documenti conciliari? Che cos’è e che cosa non è? In che cosa sta la sua straordinaria attualità e forza?

“Emerge una immagine di un popolo salvato da Dio che cammina con tutti gli uomini su un’unica barca per essere sempre segno dell’amore di Dio. In questo c’è la forza straordinaria di Dio per chi si affida a Lui solo. L’attualità è nella forza di un seme, di un lievito, di un sale, di una luce che trova oggi nella Chiesa maggior consapevolezza e maggior decisione”.

In quale direzione è incamminata oggi? E come conciliare, oggi, fedeltà e rinnovamento sulla base delle priorità del cammino ecumenico?

“Il cammino ecumenico oggi scoppia spontaneo nelle nostre comunità. Abbiamo tra noi ortodossi, protestanti, anglicani per il grande mescolamento dei popoli. Le famiglie sono costrette a vivere assieme, tutte trovano di dover essere missionari nel loro ambiente e si sta sperimentando voglia di pregare assieme, di affrontare le stesse sfide assieme. Mi diceva un pope ortodosso: rispettando pure le nostre appartenenze non è possibile che facciamo pastorale giovanile assieme? I giovani rumeni e i giovani italiani devono affrontare le stesse provocazioni alla fede, sono nello stesso consumismo. Ha ragione e forse questa sarà la strada nuova oltre quella della preghiera di sempre”. Torna indietro