TEOLOGHE IN QUALE EUROPA?

        
nelle parole di Serena Noceti


a cura di Rita Salerno
 
 

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English version

E’ nata il 25 maggio 1966 a Firenze dove ha conseguito il dottorato in teologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, con una tesi sull’ecclesiologia di W. Pannenberg. Serena Noceti è docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell'Italia centrale, presso lo Studio teologico interdiocesano di Camaiore (Lucca) e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “I. Galantini” di Firenze. Lavora, come responsabile della catechesi degli adulti, presso l’Ufficio Catechistico della diocesi di Firenze. Dal 2003 è membro del Consiglio di Presidenza dell’Associazione Teologica Italiana. Fa parte, inoltre, del Coordinamento Teologhe Italiane che hanno organizzato a Roma il loro primo convegno internazionale dal titolo “Teologhe: in quale Europa?” nell’aprile scorso. Al dibattito, articolatosi in tre giornate, hanno partecipato ben centocinquanta teologhe di venti paesi europei e di diverse tradizioni cristiane oltre ad una delegazione ebraica e musulmana. Offrendo un contributo originale in un momento storico così complesso per l’Unione Europea in particolare sul ruolo che la riflessione teologica può giocare per promuovere un legame fecondo tra libertà religiosa e laicità. Alla Noceti, che ha contribuito non poco alla realizzazione di questo convegno internazionale abbiamo posto alcune domande sui lavori congressuali.

Quali a suo avviso gli spunti più interessanti e le istanze più originali emerse nell’ambito di questo convegno internazionale?

“Questo convegno ha rappresentato un unicum nel panorama teologico italiano di questi ultimi anni. Perché è stata una occasione per un dialogo tra teologhe appartenenti a diversi stati europei, di tradizione anglosassone e di lingua latina. La possibilità di convergere in una dimensione di confronto in Italia è da leggere come una novità. Ed è per me il primo elemento di valutazione. Il secondo aspetto, a mio parere, è stato il tema scelto per il congresso. Paragonandolo con altri percorsi sviluppati nel nostro paese in questi ultimi anni, quanto al dibattito teologico. Soprattutto l’idea di pensare alla tematica “teologia ed Europa”, che pure è stato affrontato nel dibattito teologico italiano, in chiave di domanda sul post-secolare e post-cristiano, sulla laicità. E successivamente analizzata guardando ai due occidenti, che ha offerto una riflessione molto interessante a livello di contenuti, nella comprensione del rapporto tra idea di occidente nordamericana e quella europea. Dove spesso si contrappone occidente rispetto alla cultura islamica. L’apporto più originale è stato proprio quella di analizzare l’idea dell’occidente statunitense e quella europea.

È stato interessante, cioè, che si sia sviluppato l’idea di cultura occidentale secondo questi due diversi modelli, cercando di coglierli alla luce di quello che è il nodo del rapporto tra la dinamica religiosa e sviluppo della dinamica sociale. Dal momento che per quanto attiene al modello europeo, uno dei nodi chiave è stato sicuramente quello delle guerre di religione e soprattutto  la comprensione che da questo è nata, con la pace di Westfalia, dell’impossibilità di garantire su base religiosa, il processo di pace sociale. Che alla base della costituzione del principio di tolleranza, di idea di laicità, ben diversa da quella statunitense.

Europa cristiana da declinare dunque in chiave di pluralità di appartenenze confessionali e con una certa idea di laicità che è trasversale per certi aspetti al mondo cattolico e a quello protestante. Il terzo elemento significativo di questo raduno è stato il confronto tra teologhe riguardo ai percorsi formativi che sono possibili e che si sono sviluppati in questi anni e concretamente, una riflessione sullo status riconosciuto dell’apporto delle teologhe alla teologia tout court. Era evidente quanto i tempi siano stati diversi per la Germania, la Francia e in parte la Gran Bretagna e quello che è invece il mondo cattolico italiano e quello spagnolo. Dove la svolta del Vaticano II ha rappresentato la possibilità di accedere agli studi di teologia e di acquisire le competenze scientifiche significative per poi accedere alla docenza. Ancora più stimolante è stato il confronto con le teologhe dell’est Europa che hanno segnalato una situazione in evoluzione, anche se difficile perché segnata da tanti ostacoli che in parte le italiane e spagnole hanno cominciato a superare”.

Dal punto di vista della riflessione teologica femminile quali sono le prospettive in ottica europea?

Penso che non si possa offrire una visione unitaria per rispondere a questa domanda, dal momento che ci sono differenze sostanziali tra il mondo tedesco e quello anglosassone. Diverso è il contesto, perché differente è il livello, la storia alle spalle, la possibilità di inserimento a tempo pieno nella ricerca teologica. Si può sottolineare il fatto che siamo ormai arrivate alla terza generazione di teologhe, questo vuol dire che la riflessione teologica si sta spostando dall’interesse più direttamente concentrato su questioni inerenti l’appartenenza di genere, all’elaborazione di dati dal punto di vista antropologico, ad una riflessione sulla teologia tout court, all’acquisizione di strumenti di riflessione teologica allargata e quindi la partecipazione al consesso della ricerca teologica in quanto tale. L’apporto che le donne sono chiamate a dare è quello che si orienta proprio sul tema del genere. Che teorizza sostanzialmente una impossibilità di definire l’essere umano a prescindere dalla determinazione di genere sul piano del linguaggio e su quello della struttura esistenziale e sulla determinazione dei modelli relazionali sostanzialmente. Tanto sul piano della categorizzazione linguistico-concettuale quanto sul piano proprio di una determinazione delle relazioni intraecclesiali, la questione di genere costituisce il passo in avanti significativo che si sta sviluppando sempre più. Soprattutto in quei paesi che solo ora hanno cominciato ad avvicinarsi a queste prospettive”.

Come definirebbe il contributo femminile in chiave interreligiosa, sulla base di quanto emerso all’interno del convegno?

“Dipende dall’esperienza religiosa di partenza. In genere è il contributo in chiave interreligiosa di coloro che spesso sono state ingiustamente relegate ai margini. Come tale c’è la possibilità nel riconoscimento della comune identità di genere, di aprire spazi di dialogo a partire da un’appartenenza al limite. Mi sembra che la cosa più interessante sia giunta da quei contributi che si sono caratterizzati per una interpretazione critica delle fonti e di una ermeneutica dei testi e delle tradizioni. Perché su questo si gioca in maniera particolare un processo di liberazione e di partecipazione delle donne al riconoscimento dell’uguaglianza in dignità e in diritti che si avverte sempre più necessario. Così pure l’apporto che le donne possono offrire anche alla ricerca teologica tout court, che va nell’ermeneutica dei testi e nel definire sempre il punto di partenza e di vista del soggetto che pone la domanda. A mio parere è stato significativo l’apporto, per le donne più facile, di interazione tra teologia ed elaborazione culturale tout court. Penso alle donne nella Chiesa cattolica in cui diventa evidente se pensiamo agli ultimi 40 anni cogliere come sia stato fondamentale il processo di elaborazione della coscienza di sé e dell’autocoscienza come soggetto collettivo donne e il processo di acquisizione di ruoli a livello sociale e politico per quella che è poi la vita ecclesiale. In verità, pur essendo portatori come cristiani di un messaggio di forte liberazione della donna, nei primi secoli per la partecipazione alla vita di Chiesa, in realtà malgrado questa grande eredità la Chiesa cattolica in particolare e quelle cristiane in generale per due millenni hanno operato per una marginalizzazione delle donne, imponendo una scarsa partecipazione dal punto di vista della responsabilità di costruzione della Chiesa. Direi che non sono stati questi fattori interni alla realtà ecclesiale a permettere una svolta in teologia. In questi ultimi 40 anni sono stati i processi sociali, culturali e politici a determinare il profondo cambiamento. Le donne apportano la chiara consapevolezza che lo sviluppo della teologia non viene solo per fattori endogeni o per sviluppo di riflessione esclusivamente sulle tradizioni ma avviene anche attraverso fattori esogeni, delle problematiche sociali. come sottolinea il testo conciliare Gaudium et spes”. 

Quello concluso da poco è stato il primo convegno di respiro europeo promosso dal CTI che ha coinvolto 150 teologhe di diverse tradizioni cristiane. Su questo piano, è stato certamente complesso organizzare una iniziativa di questo genere. Quali ostacoli ha incontrato sul suo cammino questo Convegno?

“E’ stato complesso perché mettere insieme centocinquanta teologhe di diversa provenienza, venti i paesi rappresentati, è stato non facile sul piano organizzativo. A livello logistico, a parte l’associazione che riunisce le donne impegnate nella ricerca teologica in Europa rappresentativa di seicento esperte, non potevamo contare su un indirizzario a livello europeo che offrisse i nomi delle teologhe o di chi ha conseguiti titoli e si occupa del tema. C’è stato dunque un problema di pubblicità per la mancanza di elenchi. Siamo lavorando invece ad un elenco per forza di cose incompleto sulla realtà italiana.

Quello che a mio parere è stato l’ostacolo maggiore è stato far riconoscere e far conoscere il tipo di iniziativa che andavamo proponendo, a livello italiano. Dal momento che non è tradizione organizzare convegni secondo questo taglio, così aperto al confronto con così tanti teologi provenienti da tante nazioni. Un carattere di novità che se da una parte era in grado di attirare per la sua apertura, dall’altro non era di facile riconoscimento. C’è stato, a mio avviso, un ostacolo di fondo per far conoscere l’apporto di una ricerca teologica in quello che è il vasto mondo del pensiero culturale italiano, dove la teologia, non solo quella delle donne, è sempre ancora riconosciuta sotto la cifra sostanzialmente clericale, chiuso tra le mura ecclesiali. In fondo, la teologia non ha grande diritto di cittadinanza nel panorama del dibattito culturale italiano. Come tale, dunque, quello che noi desideravamo, cioè far conoscere il più possibile quello che è il contributo delle teologhe nel panorama italiano, è stato l’ostacolo maggiore da abbattere. Penso, ad esempio, ai mezzi di comunicazione di massa laici”.

A più di 40 anni dalla fine dei lavori del Concilio ecumenico vaticano II, cosa è cambiato per le donne nella Chiesa?

“Moltissime cose che definirei secondo tre prospettive diverse. La prima è una prospettiva di presenza dal punto di vista di una ministerialità di fatto riconosciuta come significativa e importante per la vita di Chiesa. Penso ad un fatto molto semplice: su 300mila catechisti italiani, più del 90% sono donne. Questo vuol dire avere la possibilità  di una trasmissione della fede  che non è limitata alle mura domestiche, come è avvenuto per secoli e secoli. Ma assumere un ruolo nella trasmissione della fede nell’edificazione della comunità attraverso il momento della catechesi particolarmente significativo. Quindi, una serie di ministeri che di fatto stimolano ed aiutano la vita della comunità. Seconda cosa che è cambiata è la possibilità di uno sviluppo della riflessione sull’identità dell’essere donna, credente e cristiana. Dal momento che fino al Concilio Vaticano II non si teorizzava neanche lo specifico di genere, essendo declinato solo al maschile. La terza cosa, che mi riguarda più da vicino, è cambiato molto per le donne, proprio per la possibilità di acquisire strumenti per poter pensare la fede, pensare la realtà ecclesiale come soggetti credenti grazie alla concreta possibilità di acquisire gli strumenti scientifici per poter essere iscritte, per poter accedere come discenti alle facoltà teologiche e soprattutto, poter ormai da due-tre decenni insegnare teologia. Tutto ciò apporta non solo alle donne ma alla Chiesa intera un nuovo volto e una nuova opportunità. Come è evidente non solo in Europa, ma in molti paesi del pianeta. Ad esempio, mi viene in mente la vivacità di parole delle donne dell’America Latina.

Il Vaticano II ha segnato una grande apertura dal punto di vista ecumenico e di dialogo con le altre Chiese. E di conseguenza la possibilità per le donne cattoliche di un confronto più immediato e continuo con le donne appartenenti alle altre Chiese cristiane. In termini pratici, significa offrire l’opportunità di apprendere reciprocamente il senso dell’essere donna nella Chiesa e di una presenza di servizio. C’è oggi la possibilità di accesso alla Parola di Dio, come radice, per poter dire la propria identità e al tempo stesso l’accesso alla Parola significa per tutte e per tutti diritto di parola dentro la Chiesa, riconosciuta come parola autorevole. Per quanto mi riguarda, insegno ecclesiologia e ministero ordinato, mi consente di partecipare ed accedere ad uno spazio negato per secoli”.

Le donne, laiche e religiose, quali spazi potranno ritagliarsi all’interno della comunità ecclesiale?

“Di sicuro non dispiacerebbe avere spazi non solo nelle facoltà teologiche ma anche un ruolo riconosciuto e significativo nella vita quotidiana, ordinaria delle Chiese locali, delle diocesi e delle parrocchie. Prenderei esempio dalle esperienze delle Chiese locali dell’America Latina e dell’Africa dove donne laiche e religiose animano comunità parrocchiali di fatto quanto alla formazione degli operatori. Per quanto riguarda la teologia, i campi che dovrebbero essere maggiormente al centro di un processo di sviluppo sono l’antropologia teologica essendo le donne molto interessate al tema della corporeità, la teologia sacramentaria, la morale sessuale dove per secoli è stata portata avanti da uomini e la bioetica. Penso sia essenziale che alle donne sia data la possibilità di esprimere la loro riflessione sulla morale sessuale e sulla bioetica, in cui l’apporto di genere sarebbe davvero di primo livello quanto a riflessione. È il tempo di discutere di nuovo del tema del diaconato delle donne perché ci sono attestazioni del nono secolo in tal senso. Nella Chiesa di Roma forse una riflessione teologica con grande libertà nella ricerca penso che sia opportuna. C’è un atteggiamento delle donne che non è quello della rivendicazione. Anzi, è forte il desiderio di un servizio ecclesiale a tanti livelli e a vario titolo”.

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