IL PRIMO LIBRO
DI PAPA BENEDETTO XVI

        
nelle parole di Don Fabio Corazzina


Rita Salerno (a cura di)
 
 

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Don Fabio CorazzinaSarà pubblicato in primavera il primo libro di Papa Benedetto XVI Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione. Incentrato sulla figura di Gesù, il volume, scrive il Pontefice nella prefazione, vuole offrire delle indicazioni di metodo per poter leggere la Bibbia e capire chi è realmente Cristo. La Rizzoli, casa editrice del volume, ha diffuso recentemente alcuni brani su cui abbiamo chiesto una riflessione a don Fabio Corazzina. Nato a Castenedolo in provincia di Brescia nel 1960, figlio della terra e di contadini, sacerdote diocesano dal 1984. Impegnato da sempre in oratorio e nella pastorale giovanile, ha seguito gli obiettori di coscienza e diverse  esperienze di volontariato internazionale in zone di conflitto. Da due anni coordinatore nazionale di Pax Christi Italia.

 “Questo libro – scrive il Papa nella prefazione, che porta la data del 30 settembre, festa di San Gerolamo – non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore”. Un racconto appassionato, frutto di un cammino interiore, a cui possiamo accostarci per comprendere la complessa personalità del Ratzinger teologo?

Credo che questo libro più che un modo per comprendere la complessa personalità del Ratzinger teologo voglia, come intenzione stessa dell’autore, sfuggire a questa preoccupazione. Colgo in Ratzinger la volontà di penetrare il mistero della vita di Gesù di Nazareth. Per poterlo fare si stacca dalla preoccupazione sistematica e razionale di alcune teologie per percorrere la teologia che emerge dalla vita di Gesù e dell’umanità. Come Gesù ha parlato di Dio e del rapporto col Padre è meraviglioso; come noi racconteremo di questo incontro sarà altrettanto meraviglioso solo se l’incontro ci sarà stato atraverso una vera esperienza di fede e una sintonia vitale e quotidiana con il suo Vangelo. Se atto magisteriale esiste, può riscontrarsi solo nella vita, nella testimonianza, nella coerenza al Vangelo dell’amore dei singoli credenti e del popolo di Dio che è la chiesa. Nessun teologo può pretendere in tal senso di dire e spiegare la verità. Una verità indisponibile alla dogmatica e aperta alla coscienza, sapienza e alla storia. Una verità corale e colorata, una verità donata e che chiede il dono della propria vita.

Nella prefazione di cui nel mese scorso sono stati resi noti ampi brani si legge: “ognuno è libero di contraddirmi”. È un atteggiamento che denota grande umiltà da parte del Papa. Ritiene che possa prestarsi l’opera ad un dibattito e polemiche da parte degli addetti ai lavori?

La fede non si impone, nemmeno a colpi di dogmi e dettati teologici. Più che umiltà mi pare intelligente apertura. In una chiesa in cui si denuncia che il dibattito è quasi spento e che le voci “fuori da coro” non possono rimanere sotto lo stesso tetto mi pare interessante la scelta di riaprire il dibattito e il confronto sulla figura ed esperienza di Gesù. E’ un richiamo ai cristiani perché accettino di ritornare loro stessi a un cammino di ri-evangelizzazione che li renda meno improvvisati, presupponenti e violenti nei confronti degli altri. Spero anche che sia un modo per dire che guardiamo con immensa simpatia a tutto il mondo, a tutti gli uomini e donne in ricerca spirituale seria e concreta. In fondo Gesù non è “nostro” è dono per tutti e l’unico modo per riconoscerlo è accettare che anche altri lo raccontino e lo incontrino, a volte indipendentemente da noi e nonostante noi cristiani. Questo libro, dice Ratzinger, è la espressione della ricerca personale del “volto del Signore”. Mi piace pensare che l’umile ricerca del volto di Gesù e il ritorno al Vangelo ci aiuti a superare innanzitutto le barriere che dividono i cristiani, e che il cammino ecumenico ritrovi un ulteriore slancio propositivo.

Quale insegnamento trarre dall’opera, per quanto è possibile capirne dalle anticipazioni? E soprattutto come gustarlo per rendere più ricca la propria vita di consacrazione a Dio?

Per quanto è possibile capire dai brevi passi disponibili vedo che Ratzinger parte da una appassionata confessione: “ho fiducia nei vangeli”. Mi pare proprio una bella e fruttuosa prospettiva, ritornare a dare casa nel nostro quotidiano al Vangelo e ai vangeli. Ritornare a dare casa alla speranza e alla prospettiva che il Regno di Dio non è semplicemente frutto di calcolo, di razionalità, di istituzioni, di progetti e verifiche ma trova la sua pienezza solo se accanto a ciò che accennavo c’è ancora spazio per il Padre che non abbandona né il Figlio, né i figli e che li “riempie” con il suo amore. Consacrare la vita a Dio è donarsi appassionatamente a questo mondo come segno di speranza e, con la propria vita, offrire un primaverile annuncio di freschezza all’umanità così piegata da paure, depressioni, timori e sensi di colpa. E’ questa umanità il nostro monastero, la nostra chiesa, la nostra casa, come l’umanità dei suoi tempi lo è stato per Gesù.

Il Papa, che ha iniziato a scrivere quest’opera prima dell’elezione al Soglio di Pietro, spiega che a partire dagli anni Cinquanta divenne “sempre più ampio” lo strappo “tra il Gesù storico” e il “Cristo della fede”. I progressi della ricerca storico-critica, aggiunge il Pontefice, “condussero a distinzioni sempre più sottili” e dietro di essi la figura di Gesù “divenne sempre più incerta, prese contorni sempre meno definiti”.  Da questo punto di vista, come si presenta oggi la situazione? E a chi o a che attribuirne la colpa?

Mi sembra di intravedere ciò che sta accadendo quando ci approcciamo all’uomo, alla donna, all’umanità. Diverse “scienze” come la psicologia, la sociologia, la genetica, la cibernetica, l’informatica, la storiografia, la geografia, la filosofia, l’urbanistica, l’antropologia, … cercano di sviscerarne i più remoti elementi per “capire”, per giustificare ogni moto di libertà e spiegarlo, cioè imprigionarlo e renderlo calcolabile, determinato e quindi controllabile. Così si è cercato di fare con Gesù. Ma, non possiamo nasconderlo,  ciò che affascina è la sua vita intera, il suo percorso, il suo tempo trascorso in mezzo a noi, pieno di amore, di desiderio di verità e trasparenza, di libertà, di accoglienza, di perdono.
Come chiesa, prima di preoccuparci di difenderci dagli altri, e attribuire delle colpe dovremo difenderci dal tentativo di trasformare Gesù in piccolo idolo al servizio dei nostri progetti e a giustificazione dei nostri comportamenti e linguaggi.  Forse è giunto il tempo di liberare Gesù anche dalle categorie interpretative che provengono unicamente dal mondo occidentale per aprirci all’incontro che altri hanno fatto con lui affascinandoci delle loro narrazioni. Chissà l’Africa come racconta Gesù? e l’America Latina? e l’Asia? E il Medio Oriente?....

Di fronte ad una “situazione drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende”, la riflessione del Papa teologo vuole essere un tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il vero Gesù, come il Gesù storico nel vero senso della espressione”. Riuscirà nel suo intento?

In questi ultimi anni è molto cresciuto l’interesse per Gesù da parte di credenti e non credenti, da parte di romanzieri e agnostici incalliti che ne vorrebbero dimostrare l’inconsistenza storica, da parte di studiosi e pellegrini. I motivi i questo interesse sono diversi: una maggiore disponibilità di documentazione a disposizione di tutti, una decisa rivalutazione della vita spirituale dopo una ondata di secolarizzazione, una naturale crescita della pratica del dialogo ecumenico e interreligioso, una preoccupazione di vivere una fede matura e cosciente, meno fondata su assiomi infantili.

Approcciarci alla vita di Gesù ci chiede contemporaneamente di riconoscere il salto qualitativo che Egli ha provocato nella qualità di vita dell’umanità e guardare alla vita dell’uomo d’oggi con maggiore desiderio di partecipazione e coraggio di ascolto. Al Convegno di Verona don Giulio Brambilla nella prolusione ha offerto un buon metodo: “Un pensiero antropologico cristiano, cioè una filosofia/pedagogia dell’uomo e una teologia della storia, troverà la sua forza di irradiazione culturale solo se partirà e ritornerà continuamente alle forme pratiche della vita, all’esperienza quotidiana delle persone, all’esistenza degli uomini e delle donne che ci domanderanno se a Verona abbiamo solo discusso su loro o se ci siamo appassionati alla loro vita reale.” Questo lo dobbiamo proprio imparare! Se il testo di Ratzingere si mostrerà solo discussione su Gesù sarà una ulteriore occasione persa. Ma credo che Ratzinger voglia decisamente evitare questo rischio.

Assieme alla prefazione è stata resa nota parte dell’introduzione del libro, intitolata “Un primo sguardo sul segreto di Gesù”. L’insegnamento di Gesù, scrive il Papa, “non proviene da un apprendimento umano”. Viene, invece, “dall’immediato contatto con il Padre, dal dialogo faccia a faccia, dal vedere quello che è nel seno del Padre”. Una sottolineatura che è anche un indizio dello straordinario atto d’amore compiuto dal Papa. Cosa ne pensa?

E’ bello cogliere lo stupore di Ratzinger che dichiara “inspiegabile” il messaggio e la proposta di Gesù con le scuole del tempo. Non esiste determinismo storico, educativo, culturale, generazionale …, esiste la libertà di crescere e di scegliere, e così rendere migliori il nostro tempo e il nostro territorio.   Gesù è indisponibile ad ogni schema e a ogni tentativo di limite. Gesù salva perché annuncia all’umanità la possibilità del superamento del limite. Un  Gesù liberatore che con la sua presenza apre cammini di liberazione tanto attesi, tanto desiderati e tanto indisponibili all’umanità sola.
Precisa Ratzinger nell’introduzione: “Per la conoscenza di Gesù sono fondamentali gli accenni ricorrenti al fatto che Gesù si ritirava «sul monte» e lì pregava tutta la notte, «da solo» con il Padre. Questi brevi accenni diradano un po’ il velo del mistero, ci permettono di gettare uno sguardo dentro l’esistenza filiale di Gesù, di scorgere la fonte sorgiva delle sue azioni, del suo insegnamento e della sua sofferenza. Questo «pregare» di Gesù è il parlare del Figlio con il Padre in cui vengono coinvolte la coscienza e la volontà umane, l’anima umana di Gesù, di modo che la «preghiera» degli uomini possa divenire partecipazione alla comunione del Figlio con il Padre.”  Coinvolgere le coscienze e le volontà umane al bene e all’amore, non solo constatare le fatiche e le sconfitte, le violenze e le ingiustizie tragicamente compiute dall’umanità: questa è spiritualità nel quotidiano.

Con quale spirito prenderà in mano questo testo? E cosa si aspetta dalla lettura?

Lo spirito con cui affronterò questa lettura lo colgo da un caro amico e maestro, don Tonino Bello che suggeriva in un suo progetto pastorale: “Dissipiamo ogni equivoco. La Parola non si annuncia con le parole soltanto. Si annuncia anche con la vita, con i gesti, con la prassi. Anzi, quando la vita, i gesti la prassi hanno un’anima e non si staccano da Gesù Cristo, diventano il veicolo privilegiato della Parola. La Chiesa perciò, evangelizza non solo quando predica, ma anche quando contempla, quando prega, quando ama, quando serve in silenzio, quando si spoglia per i poveri, quando soffre per essi. Evangelizza non solo per quello che dice, ma soprattutto per quello che è e che fa Il guaio è che nella Chiesa molte parole non sono seguite dai fatti, e molti fatti non sono attraversati dalla Parola”.
Vorrei leggere questo testo confessando il mio amore per l’umanità, per la Chiesa, per i piccoli e i poveri, per Gesù, le sue parole, i suoi gesti e la sua vita. Perché i ”miei fatti” e gesti siano attraversati dalla Parola che è Gesù.

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