La speranza e l'oggi
 

        
nelle parole di don Mauro Cozzoli


Rita Salerno (a cura di)


 

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Monsignor Mauro Cozzoli, nato a Bisceglie in provincia di Bari nel 1946, è ordinario di Teologia morale alla Pontificia Università Lateranense, E' consultore del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute e fa parte del Consiglio Scientifico dell’Istituto “Veritatis splendor” di Bologna e di gruppi di ricerca nella Pontificia Accademia per la Vita. E' autore di varie pubblicazioni e coautore di diverse opere in collaborazione e dizionari.

Lo abbiamo interpellato su tematiche di attualità ecclesiale, tutte imperniate sul tema della speranza.
 

Un nuovo anno è appena iniziato con il suo carico di promesse e di speranze. L’anno che ci siamo lasciati alle spalle si è chiuso all’insegna della speranza, filo conduttore della seconda enciclica del Papa “Spe Salvi”. Su che cosa si fonda la speranza cristiana, in un mondo sempre più intriso di secolarismo e di ateismo?

“Ogni speranza per essere tale è sempre una promessa. La promessa di qualcosa di nuovo che ci sta davanti. La promessa di un futuro. La speranza cristiana è la profezia dell’avvenire di Dio. Il futuro dischiuso dalla speranza cristiana non ci sta semplicemente davanti, come un al-di-là tutto e solo da raggiungere. E’ un futuro-adventus: è l’avvento, l’av-venire di Dio e del suo Regno nel regno dell’uomo. L’avvento di Dio muove come esodo, come pellegrinaggio, la vita del cristiano e della Chiesa e con essi dell’umanità.

È questo il grande annuncio della speranza cristiana: Dio è venuto, con Gesù Cristo, adempiendo così la speranza messianica. Dio viene, il suo regno av-viene continuamente nell’oggi della Chiesa, dei cristiani e del mondo. Viene a «fare nuove tutte le cose», coinvolgendo il cristiano e la Chiesa in questo esodo di liberazione prefiguratrice e anticipatrice dei «cieli nuovi e terra nuova, in cui avrà stabile dimora la giustizia» (2Pt 3,13). La speranza cristiana è la fonte più grande di senso e di impegno morale. E’ «la grande speranza» di cui parla il Papa nella Spe salvi: «la grande speranza che sorregge tutta la vita» (§ 27).

 
A proposito di San Paolo, c’è da ricordare che tra pochi mesi, l’apostolo delle genti sarà al centro dell’anno paolino, per volontà di Papa Benedetto XVI che lo ha indetto lo scorso 28 giugno: vogliamo affrontare il tema della speranza dall’angolazione di San Paolo?

“San Paolo è il grande teologo della speranza. Gli spunti che ci offre sono notevoli. Mi limito a segnalarne qualcuno. Innanzitutto, per San Paolo la speranza non è a partire dall’uomo, ma da Dio. C’è una speranza umana, intesa come invocazione di Dio: è l’attesa di Dio da parte dell’uomo. Ma San Paolo capovolge la prospettiva e parla del «Dio della speranza» (Rm 15,13), a significare che è Dio che si fa speranza per noi. Altro elemento della speranza paolina è la sua centratura cristologica, legata all’espressione «Cristo nostra speranza» (1Tm 1,1). Da leggere sia in senso oggettivo che soggettivo. Nel primo significato, il cristiano spera Cristo, il destino di resurrezione e di gloria di Cristo. Cristo risorto è la nostra speranza, cosicché la sua ascensione e la sua glorificazione è il futuro che ci sta davanti. Nel secondo significato, in me spera Cristo. Io spero con la speranza piena di fiducia e di certezza di Cristo. La speranza del cristiano partecipa della forza di Cristo, dello Spirito di Cristo nel nostro cuore. Un terzo elemento è dato dalla forza di convinzione e di motivazione morale della speranza cristiana. La speranza è per Paolo la fonte dell’impegno più faticoso e sofferto: «Noi ci affatichiamo e lottiamo perché speriamo nel Dio vivente» (1Tm 4,10). La fonte della parresia (coraggiosa franchezza): «Forti di tale speranza ci comportiamo con molta parresia» (2Cor 3.12)”.

 
L’anno appena trascorso sarà ricordato anche per la seconda enciclica di Benedetto XVI “Spe Salvi”. C’è un passaggio del documento papale che merita un’attenta analisi in questa circostanza?

Merita particolare attenzione la denuncia della secolarizzazione della speranza cristiana nella modernità. “Il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell'instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e ad una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile (§ 30). S’è prodotta così la secolarizzazione della speranza cristiana: “La speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell'uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero «regno di Dio»” (§ 30). Speranza innescata dalla “fede nel progresso” (§ 17), dettata dal potere pressoché infinito sulla prassi che la scienza concede all’uomo e di cui si nutre il progresso (§ 16). “Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano” (§ 30). Una speranza di redenzione posta tutta e solo nelle mani dell’uomo, nel potere di una ragione ridotta a scienza, è semplicemente falsa. “Con una tale attesa si chiede troppo alla scienza; questa specie di speranza è fallace” (§ 25). “Non è la scienza che redime l'uomo. L'uomo viene redento mediante l'amore… Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l'uomo è «redento», qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha «redenti». Per mezzo di Lui siamo diventati certi di Dio” (§ 26). “La vera, grande speranza dell'uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio” (27). Non un Dio che costituisce “una lontana «causa prima» del mondo”. Ma il Dio che ci ama, “perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: «Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20)” (§ 26).
 

C’è un’immagine dell’anno che si è appena chiuso – sul piano ecclesiale – che le è rimasta impressa?

“E’ l’immagine del Pontefice che ci mostra instancabilmente il volto razionale e amante di Dio in Gesù Cristo: Dio insieme e indivisibilmente logos e agape. Il Dio dell’intelligenza che si rivolge alla mente e il Dio dell’amore che si rivolge al cuore dell’uomo, valorizzandolo in ciò che egli è ed ha di più proprio come uomo; venendogli incontro nelle sue aspirazioni primarie e insopprimibili alla verità e all’amore”.
 

All’uomo di oggi confuso e smarrito quale volto di speranza deve offrire, sul piano della testimonianza, la vita consacrata e le religiose in particolare?

“La vita consacrata deve offrire il volto della speranza delineato da un vissuto credibile di povertà, obbedienza e castità. I consacrati sono chiamati ad essere con i loro voti un segno trasparente e attraente del futuro di libertà annunciato dalla speranza cristiana: libertà dal dominio dell’avere, dalle pretese delle pulsioni e  dal sopruso dell’arbitrio. Il mondo, oggi più che mai, ha bisogno di questi testimoni capaci di  coniugare la libertà con la verità, la bontà e la bellezza del vangelo e «dare ragione – così – della speranza che è in loro» (1Pt 3,15).
 

Perché oggi il tema della speranza è tornato d’attualità?

“Perché non il passato, non il presente ma il futuro – il destino della vita – è il problema, il «caso serio» dell’uomo disincantato e inquieto del nostro tempo. Alla fede l’uomo domanda il futuro della vita. Per lui la fede è tanto più credibile quanto più è in grado di dischiudere futuro: il futuro ultimo, la vita eterna”.


E’ possibile e dove porta una speranza senza Dio?

“E’ una illusione che finisce in delusione. Perché una speranza ultima, una speranza di salvezza è possibile solo come rivelazione e grazia. Un’autosalvezza è una contraddizione in termini. Una salvezza infatti è possibile soltanto a condizione di essere salvati. Solo colui che è ed ha la vita in se stesso, il Vivente, Dio può salvarmi. Questa salvezza è venuta a noi con Gesù Cristo ed il cristiano la vive e l’annuncia nella speranza”.



 

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