I mezzi di Comunicazione Sociale
"al bivio tra protagonismo
e servizio

        
nelle parole di Cristina Beffa


Rita Salerno (a cura di)


 

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English version

I mezzi di comunicazione sociale: al bivio tra   protagonismo e servizio. Cercare la verità per condividerla” è il tema della 42.esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il “messaggio” di commento, proposto da Benedetto XVI, uscito, come ogni anno, il 24 gennaio, festa di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, ha destato vasta eco non solo nei mezzi di comunicazione ecclesiali. Ciò evidenzia quanto importante sia il ruolo di questi strumenti nella vita delle persone e della società. La Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, l’unica giornata mondiale stabilita dal Concilio Vaticano II (Inter Mirifica, 1963), viene celebrata in molti Paesi, su raccomandazione dei vescovi del mondo, la domenica che precede la Pentecoste (quest’anno, il 4 maggio). Il Papa sottolinea nel documento, che i mass media sono oggi al “bivio tra protagonismo e servizio” ed esorta i comunicatori a ricercare sempre la verità rifuggendo dal materialismo economico e dal relativismo etico. Abbiamo chiesto a suor Cristina Beffa, Figlia di san Paolo, giornalista professionista, laureata in filosofia, già direttrice di Novaradio e vicedirettrice della rivista Famiglia Oggi, attualmente direttrice dell’Editoriale Paoline Audiovisivi, responsabile del Centro Comunicazione e Cultura Paoline, membro della Commissione Organizzativa della Settimana della Comunicazione, di rispondere ad alcune domande sulle questioni legate al mondo della comunicazione a partire dagli spunti offerti dal Messaggio papale.

Il tema del messaggio 2008 punta diritto al nodo della questione: i mezzi di comunicazione sono al bivio tra protagonismo e servizio. Intravede segnali di cambiamento nei mezzi di comunicazione?

“Non da oggi i media sono al bivio, ma ben venga l’opportunità di collocare sul tavolo dei dibattiti, questo argomento. Secondo me, il bivio è l’immagine che più e meglio di altre induce ad optare per una scelta: o ti ispiri a modelli che fanno riferimento ai criteri  dell’economia, dello share e del tuo protagonismo, oppure ti lasci guidare dai criteri che pongono al centro del tuo lavoro la dignità della persona, e dunque, ti “es-poni” al suo servizio con proposte i cui contenuti siano intrisi di verità, libertà, giustizia,. solidarietà. Il messaggio di quest’anno è di ampia portata e va “riletto” per cogliere quelle sfumature che facilmente sfuggono a una lettura veloce. Accenno soltanto ad alcune di queste sfumature, ossia, quelle che guardano positivamente ai media. Infatti, per il papa, i media sono parte costitutiva della vita civile, sociale e religiosa; hanno acquisito potenzialità educative e danno respiro universale al dialogo sulla pace; sono indispensabili per la libera circolazione del pensiero in ordine alla solidarietà e giustizia; sono strumenti al servizio del bene comune pur nel rischio di sottomettere l’uomo a fini ideologici e proporre modelli asserviti al protagonismo individuale. Ma non solo. Benedetto XVI ritiene che i media abbiano l’alta vocazione di “consegnare” quotidianamente  l’uomo  a se stesso, essendo strumenti capaci di far conoscere la verità sull’uomo. Alla luce di queste riflessioni, se per media intendiamo riferirci soprattutto la Tv, non intravedo molti cambiamenti, né la considero capace di rispondere alla vocazione cui si riferisce il papa. Ma rilevo con soddisfazione l’alto traguardo cui dovrebbero ispiransi i media,  compresi quelli cattolici. Desidero aggiungere anche che i cambiamenti che si verificano nei media in generale sono provocati dal contensto sociale in cui vivono gli utenti e dalla capacità degli stessi di filtrare, scegliere, gestire intelligentemente le scelte che il buon senso loro suggerisce”.

Nel documento il papa conia una parola:  “info-etica”. Cosa significa per lei?

“Per me si tratta di un’ottima proposta, anche se non credo che sia la prima volta che viene usata questa parola, visto che esiste già la bio-etica nel campo della ricerca scientifica sulla vita. Comunque, come esiste la bio-etica, allo stesso modo, dovrebbe esistere l’info-etica per quanto attiene al mondo dell’informazione, anche se devo dire che chi fa informazione dispone già del Codice deontologico. Ma qui mi pare si debba fare un passo ulteriore, perché l’info-etica suggerisce caratteristiche che vanno contro le distorsioni e le eccessive semplificazioni, per essere rispettosi  dell’etica comune. Le notizie devono pertanto essere rispettose della dignità della persona umana, della coscienza altrui e delle scelte degli individui. Secondo me, per essere eticamente valutata, l’informazione, non dovrebbe ricorrere ai moralismi né dovrebbe sollevare eccessive paure perché entrambe le cose non aiutano la persona a scegliere comportamenti liberi e maturi (e dunque responsabili, come l’etica vorrebbe) e nemmeno garantiscono il diritto alla libertà, visto che la storia insegna come le paure indotte mirino soprattutto al controllo sociale delle persone. Il gran parlare che ultimamente i media fanno di “sicurezza” e di incolumità personale, in realtà celano dei grossi interessi (si pensi alle cosiddette auto Suv, le cui vendite sono aumentate enormemente perché sono percepite come  più sicure delle altre auto). A volte penso che, essendo venuta meno la credibilità delle grandi idee la paura di un nemico da cui difendersi, sia un messaggio che serve ai potenti per conservare il loro potere. Con questo non voglio dire che non si debba usare prudenza o diminuire la sorveglianza. Intendo indicare un possibile inganno che si nasconde dietro l’apparente correttezza dell’informazione.  In questi mesi ho riflettuto molto sulla ricchezza e il potere che si concentrano in certi Paesi e ho dovuto concludere che ciò non condiziona  soltanto l’economia, ma soprattutto l’etica, visto che si arriva persino a giustificare una guerra. Insomma, penso che l’info-etica sia un ampio campo da coltivare e di cui prendersi cura, senza cadere nella tentazione della pur minima censura”.

Da più parti si è ribadito l’urgenza di un approfondimento sulla formazione dei giornalisti. Che ne pensa?

         “Penso sia una cosa utile e bellissima. Da molti anni, per esempio, la Comunità di Capodarco organizza convegni sull’informazione sociale, per aiutare i giornalisti che si occupano di questo settore, a trovare luoghi e occasioni di formazione. Quando Karl Popper insisteva sull’urgenza di dare la patente all’operatore  televisivo, in nome di una produzione migliore, non diceva una cosa distante dalla formazione professionale. Se pensa poi che i media stanno cambiando la stessa comunicazione, allora si comprende una volta di più l’urgenza di prepararsi al compito elevato di comunicare messaggi e contenuti”.

In questi ultimi anni sono state prodotte numerose fiction su santi e sacerdoti. Non si rischia di assuefare e stancare il telespettatore? Quale immagine si offre della santità da queste produzioni?

“Il rischio dell’assuefazione non le vedo, assolutamente, perché il telecomando è sempre in azione.....Nel suo messaggio, il papa riconosce che programmi televisivi di qualità, in cui verità, bellezza e religiosità della persona, sono state ben rappresentati, hanno riscosso una certa attenzione. Ma certo, tutto ciò non è sufficiente a dare un’adeguata immagine della santità, perché nessuna produzione, per quanto raffinata e ben condotta, è riuscita a dire qualcosa di profondo sulla santità del protagonista o della protagonista. Il tutto è costantemente infarcito di luoghi comuni, di stereotipi, di sentimentalismi vicini alla gente, ma lontani dalla profondità di una vita “donata”. Del resto è difficile tradurre con parole e immagini il vissuto di un prete che vive sino al “martirio” la sua vocazione sacerdotale, le motivazioni che inducono una donna a farsi suora, abbandonando ricchezze e carriera, la carica spirituale che vive la persona che consapevolmente resta sulla breccia nonostante i pericoli annunciati. L’interiorità e la sua forza, possono solo essere “sfiorate” dai linguaggi mediatici e anche i registi più bravi riescono soltanto a dare labili pennellate. Ciò che gravita attorno alla sfera della spiritualità, difficilmente può essere “colto” e comunicato dai media.  L’essenzialità propria della santità, come potrebbe essere descritta da linguaggi che per loro natura necessitano di elementi ridondanti e tali da trasformare in spettacolo anche gli aspetti più intimi di un vissuto umano? E poi, è risaputo che la produzione televisiva, per esempio, segue le onde emotive dei telespettatori e i corsi e ricorsi della storia. Basti ricordare certi filoni, come  quello dei giudici, dei poliziotti, dei carabinieri, dei preti, eccetera. Quindi, a questa lista, aggiungiamo anche il filone delle figura di alta statura cristiana e il gioco è fatto”.

Quali caratteristiche devono avere i mezzi di comunicazione cattolica? Di quale realtà essi devono essere specchio?

   “Devono essere specchio dei valori evangelici e diventare strumenti di comunione reale fra tutti i componenti il popolo di Dio, come diceva il Concilio Vaticano II. Ma, ritorno al contenuto iniziale di questa conversazione, là dove parlavo di sfumature contenute nel messaggio del papa. Davanti a quelle sfumature, ribadisco l’alta vocazione dei media, cui i media cattolici dovrebbero sempre mantenersi fedeli e in parte riconosco che lo siano (fatte salve alcune eccezioni, come ad esempio, certe emittenti cattoliche che non vanno oltre il peggiore devozionismo). Certo, quando il papa invita a “cercare la verità per condividerla” non posso non pensare a quanto cammino abbiano da compiere i media cattolici, perché sappiamo bene che per noi la verità è con V maiuscola. Sappiamo anche che cosa comporti “fare la carità della verità”, come dicevano Rosmini e Alberione. Ogni volta che diffondiamo messaggi non aperti alla verità dell’uomo è l’identità umana stessa ad andare in crisi. Pertanto, i media cattolici dovrebbero eccellere nella rappresentazione della realtà, sfidando sul campo i media commerciali. E non è un sogno, visto che conosco emittenti gestite dalle diocesi o dai cattolici davvero all’altezza del compito. Ma il discorso non può fermarsi a questo. Penso alle nuove generazioni e a come queste si pongano davanti alle nuove tecnologie. Il loro approccio è molto diverso da quello degli adulti. Le nuove tecnologie sono diventate per le giovani generazioni “luoghi” abitati, “luoghi” della socialità e dell’apprendimento e dunque nuove agenzie educative”.

Nota: Puoi visitare i seguenti siti:

www.settimanadellacomunicazione.it

www.festivaldellacomunicazione.it


 

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