L’Istruzione Il servizio
dell’autorità e l’obbedienza

        
nelle parole di Pascual Chávez
 


Rita Salerno (a cura di)


 

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English version

Pascual Chávez

Don Pascual Chávez, messicano, è stato eletto il giorno 3 aprile 2002 nono Successore di Don Bosco e riconfermato nella stessa carica  il 25 marzo scorso durante il capitolo generale 26 celebrato tra febbraio ed aprile 2008. La lingua madre è lo spagnolo, ma parla correttamente l'inglese e l'italiano. Comprende anche il tedesco, il francese e l'ebraico. Oltre che in possesso di titoli ecclesiastici, don Chavez ha ottenuto il titolo di insegnamento basilare di discipline scientifiche. L'una e l'altra formazione lo hanno reso un uomo concretamente spirituale. Persona intelligente e mentalmente organizzata, di dialogo, affronta i problemi  immediatamente senza rimandarli ad altro tempo; è capace di captare le problematiche e affrontarle alla radice con tenacia e costanza, coinvolgendo le parti in causa e indirizzandosi alle soluzioni intraviste. Di profonda cultura scritturistica, è notevole in il senso delle cose che lo rende uomo pratico e concreto, figlio di quella sensibilità latino-americana che imposta la lettura cristiana della vita sull'uomo e la sua realtà quotidiana. L'aggiornamento costante sui fatti della vita e della storia, lo ha reso  particolarmente attento ai segni dei tempi. A lui sono state poste alcune domande sulla recente Istruzione su Il servizio all’autorità e l’obbedienza pubblicata recentemente dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

Tutta l'Istruzione è un inno all'obbedienza, l'obbedienza che nasce dall'amore, si nutre della speranza, vive di fede”: ha detto il cardinale Franc Rodé, prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, commentando il documento. Possiamo cono-scere la sua personale valutazione dell’Istruzione?

“Personalmente, sono molto soddisfatto di questo documento. Prima di tutto, mi sembra che sia un documento che tocca il midollo non solo della vita religiosa ma della vita di ogni cristiano. Parlare di autorità e di obbedienza non è un elemento specifico dei religiosi e dei consacrati. È un elemento che viene precisato chiaramente al numero 29 del testo, quando elenca tra gli elementi di carattere universale l’origine e la fine della vita di ogni essere umano, distinti in chiave di obbedienza. Il testo dice esplicitamente che “con un atto di obbedienza, sia pure inconsapevole, siamo venuti alla vita accogliendo quella volontà buona che ci ha preferiti alla non esistenza e concluderemo il nostro cammino con un altro atto di obbedienza”. Direi che questa è una presentazione molto bella della morte come quell’affidamento radicale e definitivo nelle mani del Deus semper major. Per questo dico che è un documento molto bello. Al tempo stesso, penso che si proponga di aiutare l’autorità nel suo triplice servizio che svolge nei riguardi delle singole persone chiamate a vivere la propria consacrazione, ed è questo il tema della prima parte, e a costruire comunità fraterne, argomento centrale della seconda parte, e a partecipare nella missione comune.
Noto che anche qui un elemento che mi sembra fondamentale è proprio questo: la centralità dell’obbedienza non soltanto nella vita di ogni religioso, di ogni cristiano, ma di ogni essere umano e che contrasta con l’irrilevanza con la quale l’obbedienza viene vista e vissuta nella cultura attuale ed ecclesiale. In alcuni ambienti cattolici, l’obbedienza è vista con qualche gesto di rifiuto. Forse perché la si considera come qualcosa che va contro i valori umani fondamentali della libertà, dell’autonomia e persino della propria coscienza. D’altra parte, proprio in conseguenza di questo, è sempre più difficile esercitare l’autorità tipicamente evangelica, che implica servizio, ma anche il doveroso compito del governo e la presa di decisioni. Anche a livello di testimonianza, esagerando un po’, possiamo dire che la povertà tra i tre voti è la più valutata. A volte, unilateralmente. La castità è la più ammirata, anche se a volte non compresa. E l’obbedienza è in genere disprezzata.  Forse, è normale che sia così. Ma, detto enfaticamente, se la povertà costituisce la priorità della testimonianza nella vita dei consacrati, l’obbedienza dovrebbe costituire la priorità del testimone. Penso che queste riflessioni possono ben riassumere il mio parere su questa Istruzione”.

Lei ha definito l'Istruzione sull’Osservatore Romano “un documento concreto e profondo, originale e straordinaria-mente aperto alla situazione attuale”, ma allo stesso tempo “ancorato nella tradizione della Chiesa”. Ci spiega meglio questa sua affermazione?

“Da una parte intendevo dire che si trova come un elemento che definirei ‘controculturale’. C’è un’accentuazione smisurata sulla propria autonomia, sulla propria libertà, sulla propria realizzazione che sembrerebbe controcorrente rispetto ad un tema come questo dell’obbedienza. Dall’altra parte è nella più tipica tradizione, direi non soltanto ecclesiale, ma anche dalla prospettiva della rivelazione della Parola di Dio. Mi riferisco concretamente al fatto che nella Sacra Scrittura, fin dall’Antico Testamento, l’obbedienza viene unita indissolubilmente all’at-teggiamento fondamentale  del credente, cioè la fede. Dalla prospettiva delle Scritture, infatti, gli autentici credenti sono radicalmente obbedienti. Pensiamo ad Abramo, a Davide, a Mosè e ai profeti. Possiamo persino affermare che nel loro orizzonte non appaiono ancora come valori né la povertà né il celibato. Non si tratta tuttavia di personaggi straordinari, perché anche l’espe-rienza di Israele è stata descritta così: un popolo di schiavi libe-rati per diventare un popolo santo che conosce la gioia del libero servizio a Dio. E così anche lo presenta l’Istruzione al punto 2.
Questa prospettiva vetero-testamentaria dire che trova l’incarnazione più perfetta proprio in chiave di obbedienza nel Figlio di Dio, Gesù. Sia la Lettera agli ebrei che la Lettera ai Filippesi mettono in evidenza il fatto che il credente è per sua natura e si definisce come essere obbediente. E ancora, direi che uno dei tratti più affascinanti della cristologia contemporanea è proprio questo recupero della libertà di Gesù, che non si può spiegare se non in quella sua radicale obbedienza al Padre. L’obbedienza rappresenta, direi, l’atteggiamento filiale per eccellenza del Figlio di Dio. Mi sembra che questo aiuta un po’ a superare questo pregiudizio che c’è nella cultura odierna contro l’obbedienza. Perché la prospettiva biblica ci aiuta a capire la differenza tra il ‘sottomettersi’, che implica qualcosa di servile che è indegno dell’essere umano perché parla di mettersi sotto, e tra l’atto di ‘obbedienza’ che in tutte le lingue bibliche ha come radice l’ascoltare. In pratica, quello che ascolta bene è proprio quello che accoglie quanto ha ascoltato.  Non c’è autentico ascolto che non venga accompagnato dall’obbedienza. Questo è quello che ho voluto dire con quell’affermazione”. 

I “destinatari immediati” sono i consacrati, ma per gli argomenti trattati “il documento tocca il midollo della vita di ogni cristiano”, ha detto. Come farla conoscere?

“Penso che anche se i destinatari privilegiati sono i religiosi, non solo quelli che esercitano il ministero dell’autorità, il documento per il suo tema deve essere diffuso tra i credenti, tra i fedeli cristiani, proprio per toccare il midollo della vita cristiana come l’ha sentita Gesù. Da questa prospettiva, che sembrerebbe assoluta, Gesù disse chiaramente di non essere venuto a fare la sua volontà, ma quella del Padre. ‘Il mio cibo, il mio alimento – disse – è fare la volontà del Padre mio’. Sembra che tutto si giochi attorno all’obbedienza. È un documento, come altri, che avendo un gruppo specifico come destinatari, ha però una valenza per l’insieme della vita cristiana”.

Tra i temi affrontati nell’Istruzione, figurano le “obbedienze difficili”, ovvero “quelle in cui ciò che viene richiesto al religioso o alla religiosa risulta particolarmente gravoso da eseguire, o quelle in cui chi deve obbedire ritiene di vedere 'cose migliori e più utili alla sua anima di quelle che gli ordina il superiore'”. Come affrontarle in maniera costrut-tiva da ambo le parti?

“Non c’è dubbio che concretamente il documento affronti, con riflessioni straordinariamente ricche e piene di sfumature sociologiche e psicologiche, elementi come quelli che riguardano innanzitutto il bisogno di dare priorità all’ascolto anche da parte del superiore, in modo da evitare qualsiasi tipo di autoritarismo. Una cosa è l’autorità, che aiuta a crescere le persone e che si esercita dopo aver ascoltato Dio per non far passare come espressione della volontà di Dio quello che nel fondo è il volere soltanto del superiore, e l’autoritarismo. Significa aiutare, dall’altra parte, a superare l’infantilismo e l’obbedienza formale. Questo si fa attraverso una promozione sempre più sviluppata del discernimento unitario. Potrei dire che forse la parte in cui il documento è un po’ più debole e che avrebbe dovuto sviluppare maggiormente è proprio questo. La parte che riguarda il discernimento. Ci si può trovare con questo atteggiamento di far passare come volontà di Dio quello che di fatto non lo è. D’altra parte va detto che sia da parte del religioso che da parte del superiore c’è bisogno di ascolto, di dialogo e di preghiera. Il religioso, in definitiva, avrà sempre come compito quello dell’obbedienza. Potrà sbagliare il superiore nel comando. Di certo, non sbaglierà mai il religioso nell’obbedire”.

A suo giudizio come mai il documento ha avuto scarsa eco sui mezzi di comunicazione di massa?

“Non saprei. Forse è il fatto che abbiano preferito fare una presentazione del documento avendo come interlocutori l’Assemblea generale dei superiori generali e l’Unione internazionale dei Superiori Generali ha provocato questo. Non ho altri elementi in mio possesso. Personalmente è un testo che apprezzo molto, che come tutti i documenti della Chiesa non è perfetto, ma perfettibile. In ogni caso, le cose che dice mi sembra che ci fanno vedere che si tratta di un tema scottante per la cultura odierna, necessario per la situazione che stiamo vivendo anche all’interno della vita consacrata”.