Paolo di Tarso
e il suo messaggio

        
nelle parole di Anna Caiazza


Rita Salerno (a cura di)


 

trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte)

English version

Sr. Anna Caiazza, napoletana, laureata in legge e licenziata in diritto canonico è Figlia di San Paolo dal 1985. Si è occupata di animazione e diffusione, di redazione alla radio e all’Editoriale Libri. Ha svolto il servizio di Consigliera provinciale per sei anni. Attualmente è Consigliera generale.
 

Cosa può dire all’uomo di oggi Paolo di Tarso?

Credo che abbia molte cose da dire agli uomini e alle donne di oggi, l’Apostolo delle genti. Mai definizione mi è parsa più appropriata di questa per evidenziare la straordinaria attualità della sua figura e del suo messaggio per la variegata umanità dei nostri giorni. Come ripete spesso Benedetto XVI, «Paolo non è una figura del passato». Anzi, oserei dire, è figura di tutti i tempi perché incarna le aspirazioni più profonde dell’essere umano, il suo bisogno di trascendenza, la sua nostalgia di autenticità, di stabilità, di comunione. Chi si avvicina a Paolo – e l’Anno Paolino sta contribuendo molto a questo – vincendo l’ostacolo dell’apparente difficoltà dei suoi scritti, scopre prima di tutto un uomo “solido” e determinato, perché proteso verso un unico centro: Gesù Cristo; un uomo appassionato, autentico nel manifestare i propri sentimenti. Il suo linguaggio è franco, a volte pungente, spesso carico di tenerezza e, sempre, di profonda partecipazione. A Paolo sta a cuore l’altro, qualsiasi altro. Nessun ostacolo lo frena; nessuna appartenenza etnica, sociale, religiosa, di genere, lo spaventa. Egli attraversa ogni differenza, condivide, si coinvolge fino in fondo, si fa carico dell’altro, si fa “tutto a tutti”, senza mai cedere a compromessi troppo facili. E proprio perché gli interessa l’uomo, a 360°, non può esimersi dal proporgli – con carità e rispetto – ciò che costituisce il motivo della sua felicità: la fede in Gesù Cristo.

Le religiose quale insegnamento possono trarre e mettere a frutto quotidianamente?

Penso che non sia sbagliato pensare a Paolo come “padre e modello” dei consacrati, soprattutto per il suo radicamento a Cristo, per la sua vita totalmente dedicata a Lui e all’annuncio del Vangelo. Vorrei, tuttavia, sottolineare alcuni “segreti” dell’Apostolo che, a mio parere, devono essere custoditi e coltivati sempre più da noi religiose e religiosi.

Prima di tutto la profonda e sempre rinnovata consapevolezza di essere state scelti fin dal seno materno (cfr. Gal 1,15), “afferrati”, conquistati da Dio. Ed è questo amore di predilezione che ci spinge alla missione (cfr. 2Cor 5,14); comunicare questo amore è una necessità che ci “costringe” (cfr. 1Cor 9,16). Paolo ci ricorda che dobbiamo vivere di fede (cfr. Rm 1,17) e che il “successo” dell’evangelizzazione non è opera nostra, non dipende dalla nostra “professionalità”, dai nostri mezzi. Ciò ci aiuterà anche a liberarci dalla tentazione di abbandonare il campo perché non vediamo i risultati sperati… Credo che, oggi, testimoniare il primato di Dio nella nostra vita sia la vera profezia della vita consacrata.

Paolo, ancora, ci insegna che non si può concepire la vita apostolica senza la luce che proviene dalla preghiera. Una preghiera che nasce da un cuore sollecito e grato, che abbracci persone, situazioni, problemi, gioie, e che esprima l’assillo di portare a tutti la Buona Notizia, il Cristo stesso. Una preghiera, sull’esempio dell’Apostolo, che non dimentichi i nostri “collaboratori per il Vangelo”.

C’è, infine, un’altra dimensione interiore di Paolo che noi consacrati dobbiamo coltivare: l’accoglienza della fatica, della sofferenza e dell’insuccesso dell’apostolato. Si tratta, in altre parole, di portare in noi la croce di Cristo perché tutti abbiano la vita (cfr. 2Cor 4,10-12).

Far conoscere meglio san Paolo e inserirlo in un progetto ecumenico di crescita e dialogo, sono gli scopi dell’Anno Paolino. Secondo lei in che modo è possibile proporlo alle giovani generazioni?

Sono convinta che l’apostolo Paolo sia davvero in grado di entusiasmare i giovani, in genere attratti da quanti incarnano grandi ideali, da testimoni che li aprono a orizzonti sconfinati e misteriosi. Paolo è un uomo audace, che ha lottato per ciò in cui ha creduto, che si è spinto sempre “oltre”, obbedendo alla forza imperiosa dello Spirito. Ha lottato anche con se stesso, e ha saputo confessare le sue debolezze, ammettere i suoi fallimenti. Ha creduto nell’amicizia e nella collaborazione, nel calore che può donare l’appartenenza a una comunità, ma non si è mai chiuso all’incontro con quelli “di fuori”… Come proporre Paolo ai giovani? Prima di tutto aiutandoli ad accostare direttamente questo grande Apostolo, attraverso il racconto degli Atti e poi, gradualmente, attraverso i suoi stessi scritti. Sì, è vero, il contenuto è denso, il linguaggio spesso ermetico e difficile, il pensiero vulcanico e talvolta, a una prima lettura, non lineare. Ma, fidiamoci: se entreranno con pazienza, e con una buona guida, nel mondo di Paolo, si lasceranno coinvolgere dalla sua prorompente personalità, dalle sue incrollabili certezze e, chissà, magari scopriranno di condividerne gli ideali.

In che modo raccontare oggi ai ragazzi la conversione di Saulo di Tarso, il più grande missionario di tutti i tempi?

I modi possono essere tanti. Comincerei dai racconti dell’evento di Damasco, per esempio quelli riportati negli Atti degli Apostoli, estremamente affascinanti, costruiti su un registro “cinematografico”: la luce, la voce che chiama, il dialogo: «“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”... “Chi sei, o Signore?”... “Io sono quel Gesù che tu perseguiti!”». Quello che mi sembra importante è che si trasmetta ai ragazzi il significato profondo di ciò che avvenne a Damasco: il Cristo, che si identifica con i cristiani perseguitati da Paolo, irrompe nel mondo di Paolo e lo sconvolge; niente più, da quel momento, è come prima… Solo in questo senso si può parlare di “conversione”.

Se vivesse oggi, secondo lei, san Paolo a quale tipo di iniziativa massmediatica penserebbe?

Nel 1914 il mio Fondatore, il beato Giacomo Alberione, riferiva, condividendola, una espressione usata circa un secolo prima da mons. Ketteler, arcivescovo di Magonza: “Se san Paolo tornasse al mondo si farebbe giornalista”. Può darsi. Magari sarebbe un inviato “speciale”, realista, ispirato e… appassionato di internet, per una comunicazione “globale” del Vangelo.

La figura di san Paolo, definito dal papa “ambasciatore itinerante di Cristo” ed “evangelizzatore di popoli e culture”, è un simbolo di unione nel variegato mosaico ecumenico. In questo scenario le religiose e le paoline in particolare che ruolo possono ritagliarsi?

Paolo è stato un evangelizzatore di frontiera, lui che, a motivo delle sue origini e della sua formazione, ha vissuto alla frontiera tra il mondo giudaico e quello greco-ellenistico. Ha sperimentato nella sua carne la lacerazione delle divisioni e ha pregato e operato per l’unità, costruendo pazientemente comunione, una comunione che relativizza le diversità ma le mantiene, perché in Cristo il greco, il libero, l’uomo contano quanto il gentile, lo schiavo, la donna… Il suo stile “ecumenico” è una forte provocazione per le consacrate e i consacrati. È invito a sentirci davvero debitori del Vangelo verso tutti, senza alcuna distinzione e discriminazione; è stimolo a coltivare una mentalità aperta alla diversità, al dialogo, al confronto a tutti i livelli, nel rispetto dell’altro e nella carità.

In particolare, per noi Figlie di San Paolo, che consideriamo l’Apostolo “forma” del nostro essere discepole e apostole, tutto ciò si traduce in un’apertura ecumenica più convinta e più attenta, nella sollecitudine pastorale che ci fa “trattare gli uomini secondo le loro condizioni fisiche, intellettuali, morali, religiose e civili” (beato G. Alberione), nell’impegno di farsi “tutto a tutti”, ma senza svuotare il Vangelo della sua forza e della sua verità, dovunque valorizzando il vero, il bello, il bene, i semi del Verbo presenti in ogni persona, in ogni popolo, in ogni cultura, in ogni religione. Torna indietro