L'accoglienza
 

nelle parole di
Don Geremia Acri
 

a cura di R. Salerno
 

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English version

Lei si considera un “prete di strada”
“Questa espressione a me, personalmente, non piace molto! Cerco di vivere il mio ministero secondo il sacerdozio inaugurato da Cristo che, come afferma la Lettera agli Ebrei, è un uomo preso tra gli uomini per il bene degli uomini. Sull’esempio di Cristo che, come afferma Pietro, passava per le strade beneficando e sanando tutti coloro che incontrava, cerco di vivere il mio sacerdozio accanto ad ogni uomo, soprattutto a chi soffre, perché nel suo volto scorgo la presenza reale di Cristo e, attraverso le attenzioni si infonde speranza”.

Come si combatte, giorno dopo giorno, la povertà e la miseria di chi è escluso da ogni diritto di cittadinanza?
“Innanzitutto non volgendo le spalle e non delegando ad altri ciò che spetta ad ogni cristiano: amore senza calcoli e indiviso, senza preferenze di persona, ma semplicemente amore. Quando uno ama con verità e mette in gioco la propria esistenza, inevitabilmente contagia gli altri e così si crea una cordata di solidarietà che rende possibile ciò che da solo risulta impossibile”.

Cosa ricorda in particolare degli anni vissuti in seminario? Quali aspetti vanno curati in particolare nella formazione dei candidati al sacerdozio?
“L’umanità dei rapporti, la felicità di percorrere e condividere lo stesso cammino di identificazione a Cristo. Oggi gli aspetti che vanno curati nei futuri presbiteri sono, a mio parere, la formazione umana, l’equilibrio psicologico e la maturazione cristiana. Sembra assurdo quello che sto per affermare, ma mi sembra opportuno verificare nel futuro presbitero se effettivamente la sua vita è intrisa di fede, se insomma, crede veramente in Dio”.

Lei dirige la Casa Accoglienza di Santa Maria Goretti ad Andria dove si prodiga nell’assistenza di persone che vivono ai margini della società. Come affronta le difficoltà quotidiane?
“Fin dall’inizio del mio servizio presso la Casa di Accoglienza S. Maria Goretti, ho cercato di creare una rete di solidarietà capace di coinvolgere quante più persone, enti, Parrocchie e associazioni nel venire incontro alle tante domande di aiuto che salgono da una umanità realmente ferita dalla povertà. A ciò si aggiunge un costante lavoro di educazione all’accoglienza dell’altro considerato un fratello da amare e servire in tutte le sue necessità”.

Cosa possono fare i religiosi e le religiose per infondere speranza a chi vive il momento presente tra le difficoltà e stare accanto a chi soffre?
“In una società contrassegnata da discordie e divisioni, ferita dalla povertà causata dall’egoismo di molti, incapace di comunione perché esperta ad innalzare steccati di orgoglio, le comunità religiose, vivendo in pienezza il loro carisma, certamente possono costituire la differenza e annunciare che è ancora possibile vivere in comunione, mettendo in comune ogni cosa e avendo sempre spalancate le porte del cuore (e del convento) ai tanti “Lazzaro” che lambiscono la polvere degli atri, delle nostre Chiese e dei nostri Conventi”.

Lei ha prestato il suo volto per uno degli spot per l’otto per mille. Cosa pensa dei mezzi di comunicazione di massa? Come utilizzarli al meglio per diffondere il messaggio cristiano?
“I mezzi di comunicazione di massa sono un ottimo canale per veicolare contenuti e valori che possano irrobustire la spina dorsale etica del nostro paese ed annunciare il Vangelo di Cristo che è seme di speranza per la costruzione della Città dell’uomo a immagine e somiglianza della Città di Dio. Certo si possono e si devono utilizzare inventando strategie sempre nuove per creare nella nostra gente una mentalità di fede, atta a creare motivazioni e condizioni per l’edificazione di una società più giusta”.

Ci racconta la sua esperienza di responsabile della Casa Accoglienza?
“La Casa di Accoglienza e l’Ufficio per le Migrazioni rappresentano nella Diocesi di Andria un faro, che dà alla città di Andria una luce diversa e la rende una vera e propria  “Casa nel Mondo”. Varcare la soglia della Casa di Accoglienza significa entrare nella Chiesa, nella famiglia di Dio, nella famiglia dell’uomo e dell’umanità dolente, disorientata, misera, ma anche ricca perché redenta dall’amore di Cristo e dei suoi amici. Nel corso degli anni la Casa di Accoglienza si è prefissata tanti obiettivi per cui si è ritenuto necessario attivare una serie di servizi per gli ospiti. Di anno in anno aumentano smisuratamente le richieste di aiuto non solo materiale. Chi bussa alla nostra porta non ha bisogno semplicemente di un aiuto economico come comunemente si pensa ma ha delle problematiche e disagi che vanno ben oltre. Ognuno di loro ha alle spalle delle storie pesanti fatte non solo di difficoltà economica, ma soprattutto di umiliazioni, di soprusi, di violenza, di malattia, di ignoranza che spesso portano a perdere il controllo della loro vita ed abbandonati molto spesso a se stessi non riescono più a riappropriarsi della propria vita e della propria dignità. La nostra Casa mira a rendersi luogo di integrazione sociale che non rimanga intrappolata tra le nostre mura ma che coinvolga tutti i cittadini. Col passare degli anni la nostra realtà è cresciuta intervenendo in molti settori di promozione sociale, dando spazio alla formazione\informazione, cercando di portare al di fuori della Casa di Accoglienza le realtà con cui ogni giorno siamo chiamati a confrontarci e cercando di coinvolgere nel mondo del volontariato tutti, soprattutto i giovani. La Casa di Accoglienza cerca di diventare un porto sicuro in cui trovare aiuto, sostegno, solidarietà, comprensione, conforto e, soprattutto, il calore di una famiglia. Ogni servizio nasce con l’intento di soddisfare le diverse necessità non solo primarie. Le famiglie e gli ospiti italiani e non sono aumentati negli ultimi anni e per far fronte alle loro esigenze è necessario avere a disposizione un equipe di collaboratori che ogni giorno mettono a disposizione del prossimo il proprio tempo, le proprie competenze, le proprie capacità”.

Parlare di Dio a persone prive di riferimenti precisi e di diritti fondamentali richiede una particolare abilità?
“Non ci sono abilità precise per parlare di Dio agli uomini. Prima parla con Dio e nella preghiera, racconta a Dio le angosce, le speranze e le ansie che mettono in tumulto il cuore degli uomini. In seguito, lasciati guidare dallo Spirito ed Egli suggerirà parole e contenuti che possano convincere l’umanità circa il bisogno inalienabile della presenza di Dio nel mondo”.

Quali storie le sono rimaste dentro nell’esercizio quotidiano della sua missione sacerdotale?
Ne ricordo tante. “Ho bussato a questa porta come “ultima ratio”, incapace di porre fine ad una situazione ormai senza scampo. Il cuore a pezzi, dilaniato dagli “eventi” della vita che a volte ti trascinano e ti spiazzano via come uno tsunami inatteso e pauroso, lasciandoti intorno un vuoto devastante.

È impressionante constatare la velocità con cui tutto si allontana da te: gli “amici”, le circostanze, tutto ciò in un attimo sparisce in un vortice che si allarga distruggendo ogni cosa. E ti ritrovi a constatare di essere solo, tu e te stesso, senza più nessuno, senza casa, senza niente per sopravvivere, ad una età che ha già assunto la “facies” dell’ultima dirittura prima del traguardo, quando anche il fisico scricchiola nello sforzo finale.

Ho bussato a questa porta. Mi apriranno? Cosa ci sarà? Miseria, quella certamente, sopravvivenza ai limiti, umiliazioni tante, rassegnazione. La scelta non è tanta: o mangiare quella minestra… o trovarsi in un mondo… che non pensavi ci fosse.

Mi hanno raccolto alla stazione. Era tardi. Sono venuti in tre. In macchina. Hanno preso i miei bagagli, mi hanno dato il braccio. Comminavo a stento, per i dolori alla spina dorsale, mi hanno chiesto il mio nome e come stavo, dandomi del lei, e portandomi in una casa molto decorosa, pulita, ordinata, con altre tre persone che già dormivano.

Un letto pulito anche per me. Un sogno, al caldo, in un vero letto. Buona notte. Ci sentiamo domattina. Sono crollato. Appena il tempo di chiedermi chi fossero, queste persone così gentili. Credo di aver capito che uno di loro è un prete.

Al mattino un altro viso ignoto. Mi ha aiutato a sollevarmi dal letto, a togliermi gli indumenti, e mi ha condotto a fare una doccia, aiutandomi perché mi muovevo a fatica. Mi ha rivestito infilandomi persino i calzini, e in macchina mi ha accompagnato a fare colazione.

Ho cominciato a conoscere così Don Geremia, e i suoi collaboratori. È iniziata una nuova vita. Incredibile! Tutti gentili, tutti disponibili al massimo, per ogni circostanza, per la più piccola necessità. Circondato da angeli che assumevano di volta in volta le sembianze delle Suore pronte a “SERVIRE” i pasti in abbondanza e con il sorriso, degli assistenti pronti ad accompagnarmi e a seguirmi nei controlli medici in ospedale, senza mai perdere il sorriso, senza mai dare segni di stanchezza o di impazienza. Non è possibile…è un sogno da cui presto mi sveglierà.

Sono cominciati a trascorrere i giorni, è cominciato a cambiare qualcosa dentro di me. Quell’amarezza che mi aveva condotto in quel posto stava tramutandosi in qualcosa di ancora indefinito. Avevo molto tempo per pensare, per riconsiderare gli ultimi devastanti avvenimenti della mia vita, e pian piano mi accorgevo che quell’acredine che aveva avviluppato il mio animo si stava placando, e lentamente faceva spazio ad una sensazione di pace e di serenità, che aumentava ogni giorno. Un miracolo.

Ho sentito forte il bisogno di rendere grazie al nostro Signore che si è degnato di accogliermi nella Sua benevolenza, e in chiesa ho pianto di commozione e gratitudine, e nel mio animo ho visto accendersi il fuoco della pace, della serenità, della fiducia. So che mi è vicino, e sarà Lui a guidare il resto dei miei giorni, e questo mi onora e mi dà la forza di esserne degno.

Ho parlato di pace, e me ne ha dato occasione la festa che si è svolta ieri nel nostro centro di accoglienza per onorare la giornata mondiale della pace. È una pace diversa, quella che tutti ci auguriamo, pace come antitesi alla guerra, alle prevaricazioni, alla violenza. Frutto dell’ingordigia, della sete di potere, di interessi, di egoismi, di “homo omini lupus”, di “mors tua vita mea”, tutto ciò a discapito dei più deboli, dei meno fortunati. Guerre etniche, di religioni, fomentate dall’imperialismo, dall’espansionismo economico.

Là si è voluta celebrare, questa giornata per innalzare una preghiera e un coro di speranza. Nella Casa Accoglienza Don Geremia e i suoi collaboratori si sono prodigati per riunire gli immigrati presenti nel territorio e offrire loro le musiche della loro terra e alcune specialità gastronomiche dei loro paesi, portando a tutti gli auspici della Santa Sede, del Vescovo e delle Autorità.

La serata è trascorsa così fra musiche e balli, degustazioni e scambi di manifestazioni di solidarietà. Cosa che non è nuova per chi è avvezzo a convivere con gli immigrati e le loro problematiche, spesso disconosciute dai superficiali che si trincerano dietro gli ormai soliti discorsi sui disordini che gli immigrati provocano, sul fatto che tolgono lavoro agli italiani, e non considerano minimamente l’aspetto umano e religioso del problema.

Qui si è pregato nelle varie religioni , perché la fede non ha una sola identità , ma ogni credo esprime la duplice veste della pace: in primis quella interiore, punto d’arrivo di percorso spirituale e di consapevolezza, e punto di partenza per la diffusione dell’amore, del bene, e quindi della pace stessa. Cose sottolineate dallo stesso Don Geremia in un piccolo discorso, e testimoniate dalla consueta e concreta presenza degli operosi collaboratori.

Emozionante il momento in cui tutti i presenti hanno aderito allo scambio della stretta di mano a testimonianza dell’interazione e al desiderio di pace. Il tutto si è concluso con un applauso di consensi, simpaticamente ripreso dagli scatti della solerte suora attenta ad archiviare negli annali di questo sodalizio il ricordo di una bella serata”.  

» Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (16-1-2011)

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