La nuova evangelizzazione
 
nelle parole di Sr Fernanda Barbiero

a cura di Biancarosa Magliano

     (11 luglio 2012)

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Nell’avvicinarsi del Sinodo può essere urgente, senz’altro utile, disporsi con alcune pertinenti precisazioni sui fondamenti teologici e pastorali della nuova evangelizzazione stessa e cosa comporti questo evento per la vita religiosa femminile. Per questo abbiamo posto  alcune domande a sr Fernanda Barbiero, smsd.                       

Con Laurea in Materie Letterarie - Libera Università’ “Maria Ss. Assunta” - e Dottorato in Teologia Dogmatica - Pontificia Università Gregoriana - è stata docente di Teologia Sistematica  in diverse Università Pontificie a Roma, Preside del Pontificium Institutum “Regina mundi”, “Coniunctum” alla Pontificia Università Gregoriana (Roma) dal 1996 al 2002. A Roma ha collaborato con l’Ufficio Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana; dal 2002 al 2008 è stata Superiora provinciale dell’Italia occidentale (Provincia Tirrenica) con sede a Brescia. Attualmente è Consigliera generale, incaricata per la Formazione, docente di Teologia presso la Pontificia Università Urbaniana; fa parte del Consiglio di Redazione della Rivista dell’USMI Consacrazione e Servizio; è responsabile della Rivista del suo Istituto; svolge una ricca attività di conferenze.

Sr Fernanda, dopo fondamentali chiarimenti teologici e pastorali, amplia alcuni orizzonti e propone di “ritrovare uno stile cristiano di comunità per il nostro tempo”, di “coltivare il desiderio di dare testimonianza della propria fede”, di “essere icone dell’umanità della fede”, e, infine, invita ad “avere  a cuore non tanto salvare le nostre singole comunità, quanto di portare avanti ciò in cui abbiamo creduto”.

1. La piattaforma teologico-pastorale della Nuova evangelizzazione

 

Vorrei anzitutto dire che risvegliare la dimensione evangelizzatrice, nella Chiesa, in questo momento della sua storia è grazia: una grazia da vivere e da far maturare in una visione sapienziale della realtà; in una nuova modalità di azione appropriata alla diversa situazione culturale che si è venuta a creare.

Con la Nuova evangelizzazione la Chiesa ci mette di fronte a una straordinaria proposta di fede in un cammino di umanizzazione per far tesoro della sapienza di vita racchiusa nel Vangelo.

Ma pure la Nuova evangelizzazione obbliga la Chiesa a immaginare una nuova forma del suo essere e della sua missione. Ripensare una nuova pastorale intesa in senso meno tecnico di come la pensiamo di solito.

Quale il fondamento teologico, da cui scaturisce la necessità di una Nuova evangelizzazione?

Per la Chiesa evangelizzare è necessità ed è dimensione insostituibile, espressione della sua stessa natura. La Chiesa esiste per annunciare sempre e dovunque il Vangelo di Gesù Cristo: l’evangelizzazione è la continuazione dell'opera voluta dal Signore Gesù.

Ora la Nuova evangelizzazione esprime questo primato e questa urgenza in un ambiente nel quale la Chiesa è già fondata, evangelizzata e anche massicciamente strutturata .

Questo significa ricordare che il Vangelo è un diritto di tutti,  e va portato a tutti. È compito di ogni credente dunque cercare nuove vie per poterlo fare, nuovi linguaggi  per renderlo comprensibile e rilevante per l’uomo d’oggi.

Perciò la Nuova evangelizzazione non sarà tale se non ci saranno nuovi evangelizzatori che abbiano imparato ad essere discepoli, cioè a stare in comunione e in intimità con Gesù, a vivere la stessa passione di Cristo per la salvezza dell’uomo.

La Nuova evangelizzazione ha la finalità di agevolare, di preparare la strada perché la salvezza raggiunga le persone. Troviamo in Gregorio Nazianzeno l’immagine di Dio che ha creato l’uomo rivolgendogli la Parola. Ma l’uomo, essere dialogante, a causa della tentazione e del peccato di Adamo, non ha risposto a questa Parola. Ha balbettato altre parole, ma non ha risposto alla Parola che il Creatore gli rivolgeva. Occorre nuovamente insegnare all’uomo a rispondere all’appello di salvezza del Creatore ecco il fondamento della Nuova evangelizzazione. Evangelizzare significa aiutare l’uomo scoprire sempre nuovamente che Cristo è la risposta al Padre. La salvezza è allora di chi, nel Figlio e con la forza dello Spirito Santo, può pronunciare: Abbà, Padre. Non è una cosa astratta perché si condensa in Cristo e vive nella Chiesa.

 

La Nuova evangelizzazione trova il suo fondamento esattamente nel servire la salvezza, vale a dire operare in modo che essa possa realizzarsi e raggiungere le persone di questo tempo presente. Dio le ha chiamate alla salvezza, ha preparato per loro la salvezza, l’ha realizzata in Cristo. Dio le attende nella Chiesa. La Nuova evangelizzazione consiste nell’arte di fare  in modo che avvenga l’incontro tra il Salvatore e la persona. Il Papa lo afferma indicando il compito per il nuovo Dicastero: si tratta “di una missione da svolgere presso i credenti che si sono allontanati dalla fede o sono indifferenti”. “Nuova evangelizzazione è piuttosto la capacità di “rifare il tessuto cristiano della società umana Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali che vivono in questi paesi e in queste nazioni” (n. 34). Evidentemente la Nuova evangelizzazione chiama la Chiesa a misurarsi con il fenomeno del distacco dalla fede, che si è progressivamente manifestato presso società e culture che da secoli apparivano impregnate dal Vangelo.

 

2.     I fondamenti pastorali della nuova evangelizzazione

 

Ma perché la fede cristiana ha bisogno di una Nuova evangelizzazione, di un nuovo annuncio? Che cosa è mutato o sta mutando nel mondo? Se è necessaria una “nuova” evangelizzazione, la ragione sta nel fatto che la Chiesa si trova davanti a un uomo culturalmente nuovo, più sensibile a certi valori, più refrattario ad altri e al margine di altri che sono non negoziabili per noi. Si tratta di aprire spazi di dialogo con tutti coloro che non cessano di interrogarsi su Dio. Non si deve ignorare che la Nuova evangelizzazione è un programma spirituale e pastorale pensato non solo per l’Europa ma per tutto il mondo.

 

a.     Un irrinunciabile fondamento per la pastorale è la preoccupazione per la fede delle persone.

 

La fede della Chiesa ha bisogno di cercare e costruire un nuovo equilibrio di rapporti con la cultura contemporanea. Ci sono aspetti nel pensiero e nel costume dominanti che al cristiano fanno problema e mettono in crisi il suo rapporto con la Chiesa e con la fede. Se si aggiungono poi gli scandali, da quello della pedofilia a quelli più ricorrenti della finanza ecclesiastica che stanno trascinando la Chiesa a livello di estimazione e di consenso sempre più basso, è evidente che lo scollamento fra Chiesa e società civile si fa sempre più manifesto, anche sul piano politico. E non è un fenomeno puramente congiunturale. Si diffonde l’idea che il cristianesimo non sia più in grado di dare un contributo positivo allo sviluppo dell’umanità. La situazione sta portando verso un diffuso senso di smarrimento. Bisogna prendere atto è che la crisi dei rapporti tra Chiesa e società ha il suo punto nevralgico nella crisi della fede. Questo significa che c’è una evangelizzazione che non aiuta gli uomini a scoprire il cammino della vita e della felicità.

Pastoralmente  sarebbe utile mettere in primo piano l’attenzione alle persone, da raggiungere nella loro ricerca del senso e la cura dell’annuncio del Vangelo. Si tratta di comunicare  una parola che possa ricondurre l’uomo alla verità di sé e di quello che vive.  

 

Condivido quanto sulla Stampa ha detto il Priore di Bose: Le rapide mutazioni storiche esigono un ripensamento del problema della verità... Nell’ambito della fede cristiana viviamo in una situazione di minoranza in un contesto di indifferenza diffusa... la non-eloquenza della fede oggi non può non interrogarci: occorrerà una nuova sintesi che la renda dicibile. Si tratta di accompagnare la trasmissione della fede con una educazione alla vita, alle relazioni, agli affetti, alle virtù. Si tratta di divenire umani a immagine e somiglianza di Gesù, il rivelatore del Padre: a questo chiama la fede cristiana.

 

b.     Un secondo punto fondamentale della cura pastorale è il senso di responsabilità della Chiesa, a partire dal cuore della sua  missione: “comunicare al mondo la fede.

 

L’avvio di un rapporto dialogico con il mondo contemporaneo ha un’importanza decisiva, e va fatto con rispetto e amore da estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi. Con quanta più umanità e amore si penetra nei modi di sentire, tanto più facilmente si può iniziare un dialogo. Ci si attende che la Chiesa aumenti il coraggio e le energie per riscoprire la gioia di credere, aiuti a ritrovare l’entusiasmo del comunicare la fede. Non si tratta di immaginare soltanto qualcosa di nuovo o di lanciare iniziative inedite per la diffusione del Vangelo, ma di vivere la fede in una dimensione di annuncio di Dio.

Va curata l’arte di saper coniugare l’annuncio del kèrigma con l’impegno esigente dell’educazione della fede e lo zelo nel campo sociale. Per la comunità ecclesiale diventa fondamentale confrontarsi con la diversità delle situazioni e ciò non va senza un attento discernimento. Questo dovrà renderci più umili, più aperti più accoglienti e docili all'opera gratuita dello Spirito del Risorto, che accompagna quanti sono portatori del Vangelo e apre il cuore di coloro che ascoltano.

 

3.     Cosa comporta ciò per la vita religiosa femminile

 

Lasciarsi evangelizzare; vale per noi religiose, oggi più che mai, l’invito di Paolo VI alla Chiesa: Evangelizzatrice, la Chiesa comincia a evangelizzare se stessa. La Chiesa ha sempre la necessità di essere evangelizzata se vuole conservare la sua freschezza, il suo impulso e la sua forza per annunciare il vangelo. Chiunque osservi il panorama di noi religiose, non ha dubbi sul fatto che è urgente uno sforzo di evangelizzazione “nuova”. Questa caratteristica è comprensibile semanticamente solo in contrasto con una evangelizzazione “vecchia”, passata, alla quale si sostituisce la “nuova”. La Vita religiosa, come la Chiesa tutta, deve prima evangelizzarsi e lasciarsi evangelizzare (cf. Ad Gentes 5.11-12; EN 15). Questo presuppone il fatto di prendere molto sul serio il Vangelo, molto più in serio di quanto si è soliti fare. Già questo sarebbe qualcosa di realmente nuovo in un continente stanco di apparenza e demagogia ma “assetato di autenticità”.  Ciò significa che se si annuncia Gesù Cristo si deve incarnare il modus vivendi di Gesù Cristo: cioè essere permeati di Lui. Quando questo si realizza, l’evangelizzazione sarà realmente “nuova”.

 

Ritrovare uno stile cristiano di comunità per il nostro tempo che sappia superare la frammentazione e unire le forze per una nuova grande audacia missionaria. La Nuova evangelizzazione non può essere desiderio di singoli, ma consapevolezza di tutta la Chiesa. In questa prospettiva è tutta la comunità che si fa evangelizzatrice. È ormai tempo di liberarci da un certo individualismo e iniziare a coltivare uno spirito di collaborazione, di comunione che ci faccia sentire responsabili le une delle altre. È compito di noi religiose essere esperte di comunione, dove uomini e donne di età, culture e sensibilità diverse si integrano in comunità, come la prima comunità cristiana e, tenendo tutto in comune, sono un cuor solo e un’anima sola. Questa nuova forma di relazione produce quelle minoranze creative che incarnano un modello culturale alternativo al modello dominante. Nella capacità, di mostrare la radicalità evangelica e di testimoniarla nella gioia dei suoi membri, nella semplicità della vita, nella fraternità delle sue comunità e nella generosa donazione agli altri, si gioca tutta la vita religiosa. 

Coltivare il desiderio di dare testimonianza della propria fede per ciò si richiede anzitutto che si faccia profonda esperienza di Dio. E il primo contributo che siamo chiamate ad offrire al mondo è proprio quello di dare ad esso Dio. La nostra prima grande missione è stata e deve essere quella di testimoniare Dio. Si tratta di coniugare l'inscindibile rapporto nel cristianesimo tra “contenuto” di fede e “modalità” di procedere e di situarsi nell'esistenza. L'uomo contemporaneo è particolarmente sensibile a questo rapporto ermeneutico tra contenuto e stile. Questo dato di fatto è stato stigmatizzato in un'osservazione di Paolo VI: “L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”. È la sfida per noi, oggi, presentare il “cristianesimo come stile” e aiutare la teologia perché diventi un “modo di fare a servizio di questo stile”

Essere icone dell’umanità della fede, privilegiando la trasmissione della fede attraverso la mediazione di rapporti umani veri, stabili, che possano veicolare valori come la fedeltà, il rispetto, la capacità di critica e autocritica. La strada da seguire è quella che si inserisce laddove si trovano gli uomini e le donne più poveri, di qualsiasi tipo gli emarginati o coloro che sono privati della loro dignità e dei loro diritti, per poter, insieme, collaborare alla costruzione della civiltà dell’amore.

C’è in atto (almeno in Europa) un qualche rinnovamento dei nostri Istituti tramite un complesso processo di ristrutturazione delle opere, di ridisegno delle presenze e di ricollocazione delle comunità. Tutto ciò inteso non come un fatto amministrativo imprescindibile, ma come una conversione personale e pastorale, convinti che non si tratta di sopravvivenza ma di profezia. Possiamo allora chiederci cosa è importante per noi. Quali scelte e quali priorità ci chiede questo momento storico. Quali presupposti si possono creare per un fecondo e sano percorso di nuova evangelizzazione… il discorso diventa molto ampio e domanda profondità.

Ci deve stare a cuore non tanto salvare le nostre singole comunità, quanto di portare avanti ciò in cui abbiamo creduto. È necessario uno sguardo ampio, un cuore dilatato per non fermarsi alla propria piccola realtà. Dunque, quali donne e religiose di oggi, pienamente immerse nell’attuale cultura, possiamo farci compagne nel cercare il senso e la verità dell’esistere. Crediamo che i nostri luoghi di vita sia pur segnati da debolezza e fragilità, se vissuti con consapevolezza e in modo costruttivo, possano diventare luoghi di profezia per indicare all’uomo una via d’uscita. In particolare, dobbiamo liberarci dalle tante illusioni che ci portano inevitabilmente a giudicare la realtà più che a viverla, a cercare di trasformarla più che ad assumerla nella sua ambivalenza.

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