trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte) trasp.gif (814 byte)

Teologia e Santità

Anton Štrukelj

San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, pp. 356, € 24,00

Teologia e santità sono due sorelle che si coappartengono inseparabilmente, sono sorelle nello Spirito. Tuttavia se fino all’inizio del Medioevo era riscontrabile una continuità e un’unità tra vita vissuta e sapere dei grandi dottori della Chiesa, nel corso dei secoli successivi e col sopravvenire dell’alta scolastica, tale regola è venuta progressivamente meno.

Dopo Tommaso d’Aquino si viene a stabilire una sorta di divisione di ambiti sempre più profonda, il kairòs singolarissimo in cui la teologia trasfigurava sacramentalmente la scienza, rendendola viva, lascia sempre più spazio ad una fredda teoretica. I tentativi di tenere uniti due pilastri sempre più lontani ed estranei tra loro, durante la Riforma e con la neoscolastica della Controriforma, sono sempre più fallimentari.

La teologia “scientifica” sembra divenire estranea alla preghiera così come la teologia spirituale sembra non trovare più alimentazione nella rivelazione. Tutti i più tardi dottori della Chiesa non collocano più al centro della loro vitalità la dogmatica ma la spiritualità intesa come devotio moderna.

Il pensiero ecclesiale conosce la scissione del dogma dall’ascesi e dalla mistica. Non vi è più carattere ministeriale riscontrabile in nessuna fattispecie di spiritualità. La sapienza sembra escludere la santità ed ogni tipo di predica conosce un “immeschinimento” poiché non supporta più la rivelazione in sé, ma una semplice esaltazione del proprio personale sentire.

Grazie al lavoro compiuto da Hans Urs von Balthasar invece, la teologia è tornata ad un metodo d’indagine nuovo, idoneo ad illuminare il senso più autentico della rivelazione. Si è posta in ascolto e in obbedienza della Parola, ha cercato di farla seguire, di interpretarla, di perseguirla attraverso il sostegno costante della preghiera. Poiché la preghiera è l’unico atteggiamento realistico di fronte al mistero. Nella teologia non vi è nulla degno di essere pensato che non possa diventare oggetto di preghiera.

Per von Balthasar la teologia “razionale” non può essere altro che una indispensabile anticipazione della teologia orante e confessante ed è così che conia la famosa espressione della “teologia prostrata in ginocchio e seduta a tavolino”.

Del resto quale è la vera essenza della teologia? Parlare di Dio basandosi sul suo fondamento originario. Quale è la legge fondamentale di ogni riforma ecclesiale? Ritornare alle fonti.

I santi sono l’esempio più autentico di teologia vissuta, la loro esistenza è di per sé fenomeno teologico, dottrina viva direttamente donata dallo Spirito Santo e quindi degna di attenzione, di considerazione, di ascolto. Perché la storia della teologia si è dimostrata efficace solo dove ha affermato verità vitalmente operanti con spiritualità in sé, incorporate nel suo intimo, non accanto a sé, come descrizioni sterili di qualcosa di fatto non accolto, non vissuto, non direttamente testimoniato.

L’Autore

Nato nel 1952 in Slovenia, è stato ordinato sacerdote nell’arcidiocesi di Ljubljana nel 1976. Ha studiato teologia a Ljubljana e a Roma. Dal 1984 è professore di dogmatica, di teologia ecumenica e di patrologia alla Facoltà Teologica dell’Università di Ljubljana. È stato professore ospite a Friburgo, Svizzera, (1991), Lugano (1994) e San Pietroburgo (1998 e 1999). Dal 1993 al 2002 ha ricoperto l’incarico di segretario della Conferenza Episcopale Slovena. Dal 1997 al 2002 è stato membro della Commissione Teologica Internazionale. Dal 1999 è redattore capo dell’edizione slovena della rivista Communio. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Leben aus der Fülle des Glaubens, con una presentazione di Hans Urs von Balthasar (Styria Verlag 2002).


 

Filosofia della comunicazione

Mariano Ure

Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 282, € 18,00

Questo libro si configura come un ponte: un ponte costruito e gettato fra ambiti diversi del sapere ma ricollegati tutti ad un’indagine filosofica di base. Del resto la filosofia è sempre un termine destinato a comprendere in sé “altro”; scopo della filosofia è mettere in relazione, attuare un legame tra pensiero e mondo.

In questo caso l’attenzione è rivolta al mondo della comunicazione e, sulla base della tradizione, l’Autore delinea una “ontologia della comunicazione”, cerca di stabilire criteri etici per i quali la comunicazione può essere annoverata come “buona”, pone delle verifiche pratiche.

Il punto teorico decisivo del libro sembra appunto essere il passaggio tra ontologia ed etica, ovvero dal comprendere ciò che è (magari cose buone), all’attuare tutti quei comportamenti mirati a promuovere ciò che si riconosce essere “buono”. Nel significato del termine comunicazione infatti è compresa sia la struttura di relazione sia la modalità in cui tale relazione viene a compiersi.

E l’etica non si risolve in un’armonia dei comportamenti sociali basata su diritti e doveri di forma, può anche essere personalizzata mediante l’esercizio di un dialogo esistenziale fino all’elaborazione di un’etica della motivazione. Con ciò si tende quindi ad operare un coinvolgimento di tipo emotivo all’esercizio del bene, a passare da un’enunciazione di principi alla loro messa in opera.

Tutto attraverso la comunicazione.

Per questo motivo il lavoro di Mariano Ure ha l’ambizione -esplicita- di collocarsi ben al di là di un approccio puramente sociale ai fenomeni comunicativi, -implicita- di voler elaborare filosoficamente, tramite il filo conduttore della comunicazione, il legame che unisce essere ed agire.

Un legame che nel cercare di essere districato attraverso l’analisi filosofica, deve riagganciarsi ad appigli mai puramente teorici o puramente etici, bensì nutrirsi di razionalità, motivazioni e intuizioni capaci di produrre una comunicazione quotidiana umanizzata. Affinché sullo sfondo di ogni attività mediatica e della sua fruizione vi sia l’impegno e la partecipazione di ciascun essere umano al dispiegamento della personalità di ciascun altro.

Perché il fenomeno comunicativo contiene in sé molto altro che non può necessariamente essere compreso in discipline distinte ed esclusive quali: la sociologia, la semiotica, la psicologia, la politica o altro. Con essa non si attua un semplice scambio ma si possono coinvolgere esistenze; per tale motivo si dovrebbero considerare seriamente delle metodologie affinché il dialogo sia strumento di umanizzazione, di collaborazione e di solidarietà.

Questo libro, oltre ad illuminarci sulla possibilità reale di orientare la comunicazione al bene, senza avere con ciò la pretesa di delineare ciò che lo è da ciò che non lo è, cerca di motivare le scelte, di giustificare perché è importante comunicare “in un certo modo” piuttosto che in un altro.

La domanda di base da cui parte l’intero lavoro è proprio: perché si deve comunicare bene? E soprattutto: cosa si intende per comunicazione buona? Per cui si pone lo scopo di andare a smantellare tutti gli ostacoli che celano l’autenticità del rapporto intersoggettivo dietro false utopie di modernità e digitalizzazione, per sottolineare l’importanza del vero incontro interumano e l’assunzione di serie responsabilità sociali.

  


La carne e il cuore: storie di donne

Carlo Bellieni (a cura)

Ed. Cantagalli, Siena 2010, pp. 115, € 9,00

Questo libro vuole convogliare l’attenzione del lettore sul problema sempre più imperante dell’omologazione nel mondo femminile.

Non si fa la voce grossa e non si ricorre a statistiche o spiegazioni socio culturali, semplicemente ci si pone in ascolto di alcuni dialoghi tra persone che parlano di tutto, di temi di vita. Un mix di interlocutori alquanto insolito e bizzarro, formato da quattro suore, due femministe, due ginecologi e una psichiatra che semplicemente ci mettono al corrente delle loro impressioni personali. Danno voce a quella gran parte di persone che proprio non ne possono più di questa massificazione selvaggia che colloca la donna al ruolo di ‘velina’.

In questo libro trova spazio una voce che è la voce di chi prova a dire basta ai dettami della moda e agli standard uniformanti legati all’immagine “barbie-fotomodella”.

Le donne vogliono poter scegliere come essere e chi essere senza più sentire il controllo opprimente del “grande fratello” (alias grande maschio) mediatico; di chi mercifica il loro corpo o specula su fantomatici ideali di perfezione generando continuo senso di inadeguatezza, stress e depressione. Attraverso queste conversazioni di donne “arrabbiate” si vuole provare a gettare interrogativi concreti su cui far riflettere, innescare un senso di indignazione costruttivo.

Capire quanto sia abominevole e deplorevole questa imposizione continua di modelli da emulare e ideali falsi da perseguire può significare porre le basi più solide per far ergere una corrente “a contrario”, una rivolta ragionata, una ribellione di crescita e di riqualificazione della persona.

Chi parla e si pone a confronto sono persone diverse e libere, non si vuole sottolinearne l’estrazione culturale o il credo personale. Si vuole piuttosto far capire l’importanza del dibattere per smascherare l’idea diffusa che a regnare sia solo incomunicabilità ogni qual volta vengono tirate in ballo le grandi questioni della vita. Tra persone oneste e civili invece, ci può essere sempre un incontro basato sul buon senso e sul rispetto della dignità umana.

Questo lavoro riporta alla luce l’identità e la ragione e ci fa capire come il più delle volte siano la pressione sociale e politica a gettare nebbia e causare dispersione. Basta sedersi ad un tavolo per far emergere cose che in televisione non sono dette ma che ci appartengono nell’intimo.

Per rendersi conto che il senso di de-responsabilizzazione e di autodeterminazione narcisista che ci vengono inculcati vanno ad ostacolare le nostre scelte, la nostra evoluzione interiore, la nostra stessa maturità e consapevolezza.

a cura di Romina Baldoni
usminforma@usminazionale.it

Archivio recensioni