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Volti dell’anima russa

Natalino Valentini,

Paoline, Milano 2012, pp. 414, € 38,00

Questo testo di Natalino Valentini cerca di cogliere le suggestive   implicazioni che il mondo russo ha portato nella cultura occidentale, soprattutto nell’aspetto -a volte sottovalutato- che riguarda la vita spirituale e la sua direzione in epoca contemporanea. Molti steccati ideologici e stantii di una formazione religiosa e intellettuale rigida e troppo superficiale, hanno impedito un’analisi e una comprensione della realtà nelle sue implicazioni più profonde, hanno offuscato la possibilità di richiamarsi a certe sensibilità e di comprendere i molti punti in comune che la percezione del mistero della vita e dell’esperienza cristiana ha con la Slavia Ortodossa.

Nella religione ortodossa vi è un immenso potenziale creativo di santità e cultura che è fondamentale per conoscere le nostre radici. Erigere dei muri divisori nella riflessione sul senso della vita è stato forse un punto di oscurità irrecuperabile. Le icone russe, l’arte russa, hanno una loro magia, uno splendore in cui è ravvisabile l’intensità di una santità e un annuncio di pace che si erge sopra la grande tragedia della storia. La Trasfigurazione  è sempre rappresentata con gli apostoli estasiati e tremanti, affascinati, rapiti e atterriti. Di cosa può parlare Dio nella sua eternità se non dell’amore per l’uomo che in Gesù si manifesta come vita del mondo? L’interiorità  del popolo russo, il mistero dell’ortodossia sono scanditi da una percezione di luce, da simbologie forti che ci raccontano la contemplazione, la salvezza, la lotta per la verità e per la bellezza. Si tratta di quella luce che non è visibile agli occhi fisici, quella luce che Dio, nel libro della Genesi, crea il primo giorno, prima del sole e della luna, prima delle stelle. La luce che fa capire il mondo e che fu tenuta nascosta fino a quando il Messia arrivò a renderci di nuovo capaci di quello sguardo. La tradizione russa è stata capace di afferrarla quella luce, nella tensione verso la conoscenza integrale e verso una visione d’insieme, nell’unità di ragione e di passione, intelligenza e amore. L’Autore prende ad esempio la raffigurazione della SS. Trinità di Rublev e la persona di Pavel Florenskij come coordinate interiori per muoversi ed individuare l’apporto che l’identità russa ha esercitato sull’esperienza culturale cristiana. L’esperienza suggerita è quella della riscoperta della natura perenne dell’intelligenza della fede nella Chiesa. Come il grande Padre Ireneo di Lione ebbe a scrivere: «Questa [fede] l’abbiamo ricevuta dalla Chiesa e la custodiamo: essa per opera dello Spirito di Dio, come un deposito prezioso contenuto in un vaso di valore, ringiovanisce sempre e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene. Alla Chiesa infatti è affidato il Dono di Dio, come il soffio alla creatura plasmata, affinché tutte le membra, partecipandone, siano vivificate; e in lei è stata deposta la comunione con Cristo, cioè lo Spirito Santo, arra di incorruttibilità, conferma della nostra fede e scala della nostra salita a Dio». La visione unitaria e integrale della conoscenza legata all’ortodossia ne fa convergere i presupposti storici con quella che è la progressiva riscoperta dei suoi fondamenti antropologici, teologici, filosofici, etici e spirituali.


Rivoluzione Cristiana

Primo Mazzolari,
Edizione Critica a cura di Fulvio De Giorgi

EDB, Bologna 2011, pp. 365, € 27,50

Questo libro fu scritto nel 1943. Ed è un dato molto rilevante nelle vicissitudini che sono seguite al suo occultamento, alla prima pubblicazione postuma del 1967 e alle recentissime pubblicazioni mai completamente integrali degli ultimi anni. Ciò che don Primo Mazzolari invocava era una profonda educazione dello spirito che facesse giungere ad un vero amore sociale come applicazione generale e reale del Vangelo. La necessità politica doveva coincidere con la necessità di salvezza, piena responsabilità nella coscienza cristiana  di ognuno. Pur propendendo per una linea non violenta, egli non cercava nemmeno la rassegnazione pavida e remissiva. Fare opposizione in certi casi era un dovere del cristiano, così come richiamarsi ad un ordine sociale nuovo che facesse appello alla collaborazione di tutti nella giustizia e nella carità. Egli osservava che: «In un mondo che muore di fame, di miseria, di pesantezza, d’odio, che gli egoismi più feroci divorano, le parole non bastano. Occorre che qualcuno esca e pianti la tenda dell’amore accanto a quella dell’odio, dichiarandosi contro apertamente a tutte le ferocità dell’ora, ovunque si trovino, sotto qualunque nome si celino, in uno sforzo di santità sociale che restituisca un’anima a questo nostro povero mondo che l’ha perduta». Il suo concetto di carità è totalizzante. Per Don Primo la carità, qualunque sia la quantità di materia in cui si esprime, è sempre una pienezza, qualcosa di avventuroso, di militante, di aggressivo. Bisogna partire da questo per inquadrare il senso più profondo e realmente precursore della sua “Rivoluzione Cristiana”. Egli non accettava le difficoltà materiali sempre maggiori dei civili, della povera gente, e ciò lo portava ad analizzare con critica impietosa una pastorale rubricistica, uno slancio da borghesia romantica pavido, moderato, disincarnato, lontano dal vissuto, lontano dalla realtà. Tutto questo a suo parere avrebbe finito per alimentare vie di fuga disperate, la propaganda comunista si sarebbe imposta trovando terreno fertile, molte anime si sarebbero smarrite. Compito della Chiesa è quello di ergersi a difesa strenua di doveri moralmente suggeriti ed imposti dal cuore, dal messaggio evangelico che ci lega indissolubilmente al nostro prossimo, prima che paladina di diritti violati ed offesi. A questo stadio non si dovrebbe arrivare, significherebbe aver intrapreso una strada sbagliata poiché è l’amore stesso ad avere in ogni sua manifestazione una portata rivoluzionaria ed innovativa, il coraggio dell’amore procede in prima linea, è incorruttibile, è forte del suo ordine morale ed è chiamato a vincere su ogni ostacolo. La visione di Mazzolari era principalmente contro ad un tipo di cristianesimo accomodante e a vertici ecclesiastici propensi a tutelare gli interessi e i pregiudizi di protettori borghesi. La sua incitazione alla resistenza era la negazione del pericolo affiorante della desistenza. Dietro a questo sgretolamento ideologico dei veri intenti evangelici si nascondeva l’insidia di un deterioramento della tensione morale, la morte di un paradigma ideale che veniva schiacciato dal clientelismo. Il suo fervore invece era marcatamente cristologico e cristocentrico, basato su un solido fondamento teologico. La novità non può che venire dall’uomo nuovo, creato nella giustizia e nella santità che sappia dire ogni giorno: Signore, fammi capace di sante novità!


Libertà e laicità

Mario Signore e Luca Cucurachi (a cura),

Cleup ed., Padova 2011, pp. 369, € 16,00

Si cerca di indagare sul nesso libertà-laicità, due saperi che pur apparendo sostanzialmente corrispondenti necessitano di essere chiarificati da diverse prospettive.

E’ quindi necessario un confronto che sappia partire dalle rispettive articolazioni dei due lemmi, vagliando le istanze semantiche, storiche e teorico formative che ne hanno sviluppato il dialogo anche attraverso rinnovate dinamiche sociali e religiose. Con il Concilio Vaticano II sappiamo bene che si è entrati nel profondo di queste dicotomie per superare le posizioni antinomiche ereditate dall’Illuminismo, si pensi ai documenti Lumen Gentium e Apostolicam Actuositatem. Soprattutto è emerso che libertà e laicità si aprono a dimensioni che non sono solo di carattere teologico-pastorale, ma anche di tipo antropologico-relazionale. Nelle attuali società secolarizzate e multiculturali è lecito associare ai termini in questione affinità non solo rintracciabili con il proprio credo ma anche nelle accezioni più ampie di natura umana, persona, diritti, interreligiosità, bioetica, cittadinanza e sviluppo. Del resto la questione che accomuna entrambi i concetti è proporre, affermare e comprendere la verità, ogni eventuale deriva o fraintendimento può portare o a un fondamentalismo o a un sincretismo forzato che genera chiusura o ancora ad un relativismo. Stabilire ciò che è proprio del sacro e ciò che è proprio del mondano non può essere un ostacolo ad una concezione articolata di religio civilis e religio rationalis, nello stesso tempo tentare di neutralizzarne la specificità nel nome di un compromesso sommario ne bloccherebbe i possibili sviluppi. Per riflettere adeguatamente su libertà e laicità bisognerebbe poter uscire fuori dagli steccati storici del rapporto stato/chiesa o società/religione per includere le sfide nuove imposte dalla transazione che si sta verificando tra modernità e post-modernità. Molte delle nuove problematiche sono senza risposta e rischiano di non venir incluse nel dialogo spesso troppo fossilizzato. Con il convegno “Libertà e laicità” voluto dall’Università del Salento e sostenuto dal Progetto Culturale della CEI e dalla Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate, si è voluta aprire una nuova prospettiva di confronto che ha coinvolto illustri intellettuali e giovani studiosi, convenuti a Lecce per dibattere e prendere atto, nel rispetto delle competenze e delle sensibilità

a cura di Romina Baldoni
usminforma@usminazionale.it

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