n. 11
novembre 2004

 

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di Tiziana De Rosa
 

 

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Giuseppe Schillaci, nel suo articolo «Testimoni di fronte all’indifferenza», pone alcuni interrogativi sulla cultura postmoderna che non possono lasciare indifferenti le persone consacrate. Egli afferma che:
«… L’era del vuoto si delinea come il tempo in cui non è più necessario pensare, per cui non occorre più chiedersi il senso della vita, della realtà in generale. Ora, perché si ritrovi il senso e lo si accolga come un dono è necessario tornare a pensare. Pensare  vuol dire desiderare, domandare, ricercare. E tuttavia, cosa desiderare nell’epoca della crisi? Cosa domandare? Cosa ricercare? L’uomo oggi non avverte più tale esigenza. Oggi, se una domanda viene posta, questa è: perché in fondo cercare? Ma perché ogni uomo si chiede e ricerca il senso delle cose, della vita. D’accordo! Ma il senso cos’è? E poi c’è un senso? In ultima analisi, perché tormentarsi tanto a chiedersi il perché?»1.

Forse è vero che l’uomo contemporaneo non pensa più, lasciandosi trascinare dell’effimero, dalla chiacchiera vuota e dal nichilismo, perché l’avere ha avuto la preminenza sull’essere e la ricerca spasmodica di sesso, dominio, ricchezza e successo ha obnubilato la mente e il cuore, facendogli smarrire la bussola che lo orientava sul vero senso della vita e della propria esistenza. Siamo nell’era dell’individualismo, dove ciascuno cerca la soddisfazione dei propri bisogni, rifugiandosi nel privato e cercando di difendersi da ogni attacco esterno: avvenimenti, fatti, persone, cose… ma poi? Si è davvero più contenti e più felici? Ci si sente davvero più realizzati, oppure alla vita tanto agognata e sognata manca l’essenza, la cosa principale, l’anima?

Risolvere in parte i nostri affanni quotidiani non sempre ci aiuta veramente a essere di più, a crescere in umanità, a dare senso a ciò che siamo e a ciò che facciamo, almeno credo… Come mai, infatti, nella società odierna serpeggia tanta apatia, tanta diffidenza, tanta paura e tanta indifferenza? Eppure sembrerebbe che la tecnica, il progresso, abbia migliorato di molto la nostra esistenza, liberandoci, o cercando di liberarci, da tanti problemi veri o presunti: la ragione si è emancipata, la legge del più forte domina, purtroppo, sul più debole, la famiglia che non vuole figli può pianificare le nascite… e, purtroppo, a volte si ricorre persino all’aborto… Se i vecchi diventano “pesanti” e problematici, c’è sempre la casa di riposo, per non parlare dell’eutanasia… e così per la sofferenza, l’handicap, ecc. E, più vicino a noi, se un membro della comunità crea problemi e difficoltà ci viene la “tentazione” di farlo trasferire in un’altra comunità…, ma ovviamente trasferiamo soltanto il “problema” da una casa all’altra, perché dovunque andiamo portiamo noi stesse e il nostro bagaglio esistenziale… Sono, queste, tutte soluzioni parziali e, a volte, molto negative, che non riescono a dare un senso alla nostra vita, lasciando tutti e tutte sempre più scontenti/e e insoddisfatti/e.

Di fronte all’indifferenza dell’uomo contemporaneo, di fronte ai mille problemi che affliggono l’umanità, forse può aver senso soltanto la testimonianza di un amore adulto, un amore che si incarna nelle pieghe più nascoste della nostra società per annunciare a tutti che Cristo è la nostra vera e unica Salvezza, la nostra Speranza e il nostro Futuro. In Lui siamo già salvati, anche se non ancora in pienezza. Solo Lui ci può dare la forza di amare tutti e tutto, al di là di ogni reciprocità e interesse personale. Egli ci ha insegnato e ci rende capaci, se lo vogliamo, di amare il prossimo come noi stessi, come Lui ci ha amati e ha dato la Sua vita per noi. Solo sul Suo esempio possiamo amare tutti con un amore gratuito, vale a dire prendersi cura dell’altro/a, cercare il suo vero bene, non la nostra comodità, non il nostro tornaconto, non la nostra tranquillità stagnante…

Forse è tempo di ricominciare a pensare seriamente alla testimonianza che diamo al mondo e allo scopo ultimo della nostra esistenza. È tempo di riproporci le domande fondamentali: chi sono, da dove vengo, dove vado? Qual è il fine della mia esistenza? Perché sono nata/o, perché vivo? Perché mi arrabatto quotidianamente… Perché ho seguito questa mia vocazione? Come testimonio ai miei contemporanei che io sono di Cristo e vivo per Lui?

Siamo venute/i nel mondo, viviamo un tot di anni, poi scompariamo nuovamente… Se vogliamo che il nostro permanere nel mondo abbia un significato pregnante, dovremmo lasciare una traccia profonda del nostro passaggio: traccia nella società in cui viviamo, traccia nel cuore e nella vita delle persone che ci circondano, traccia nella Chiesa, traccia nell’Istituto in cui siamo inserite, traccia nella comunità alla quale apparteniamo. E’ veramente così? Sentiamo che le persone che ci hanno lasciato (trasferite o defunte) ci mancano? Che hanno lasciato un solco nel nostro cuore? Sentiamo che la loro presenza ha reso il mondo più bello? Sentiamo e crediamo realmente che la presenza di una sorella (qualsiasi sorella) in comunità ci arricchisce interiormente e che la sua assenza ci impoverisce? Se crediamo realmente nella comunione dei santi, il bene o il male di una sorella diventa realmente il mio bene e il mio male; il suo impegno o disimpegno, il suo malessere o il suo benessere diventano anche i miei. Sono convinta che la stessa cosa accade per ciò che io sono e faccio? Mi rendo conto che io condiziono la vita degli altri e gli altri condizionano la mia vita, nel bene e nel male? Qual è il nostro impegno per vivere e testimoniare questa realtà? Ci riflettiamo, ne parliamo, ne discutiamo insieme?

«Non potete servire a Dio e a Mammona», ci ricorda Gesù. Io, chi servo realmente, chi voglio servire? Dov’è il mio cuore? Che cosa ha davvero importanza per me e per la mia esistenza?

Che cosa conta affannarci da mattino a sera, se poi rischiamo di trascurare i veri sentimenti, se non curiamo i rapporti umani, se siamo quasi estranee le une alle altre, gli uni agli altri, se ci lasciamo trascinare alla mormorazione, al gossip? Non possiamo essere sempre scontente, come non possiamo aver sempre da ridire su tutto e tutti! Non è questo che cerchiamo, non è questo che può appagare il nostro cuore, non siamo noi la misura delle persone e delle cose… Domandiamoci, allora, che cosa conta realmente nella nostra vita, nella nostra comunità: la carità o l’efficienza? Che cosa cerchiamo? Il nostro sfogo o il bene vero dell’altra/o? La calma piatta o il confronto costruttivo? Il decidere insieme l’andamento comunitario o la tranquillante decisione che scende “dall’alto”? Che cosa è più importante per me, per noi, l’osservanza, il quieto vivere, l’essere irreprensibile, il sentirmi “a posto”, oppure il farmi prossimo (prendermi cura) di chi mi sta accanto, il rischiare per far crescere nella vera  libertà le sorelle con cui vivo?

Se ci riflettiamo bene è possibile curare entrambe le cose: essere osservanti e caritatevoli, stabilire veri rapporti umani ed essere fedeli agli impegni presi… favorire i rapporti umani e la vita comunitaria… forse, basterebbe soltanto pensare un po’ di più prima di agire: pensare a quello che si deve fare, pensare a ciò che si sta facendo, pensare a ciò che si è fatto… Pensare singolarmente e comunitariamente. Forse, tutto cambierebbe con un po’ di consapevolezza in più, con la cura di rapporti umani più autentici, con una vita comunitaria più ricca di stimoli e più propositiva, con una più profonda vita interiore, una preghiera più autentica e vitale, un lasciar vivere in me Cristo come ha fatto Maria, come hanno fatto i santi e le sante di Dio.

La vita non sarebbe più bella e interessante se fosse vissuta in pienezza, come l’ha vissuta Cristo?

Aiutiamoci in questo, aiutiamoci ad essere, aiutiamoci a vivere l’essenziale e a lasciar cadere tutto ciò che ci allontana dal nostro ideale, tutto ciò che disturba il nostro impegno di seguire Gesù Via e Verità e Vita. Aiutiamoci con l’esempio e la preghiera, con l’essere e il fare, perché:

 

Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.

(Sl 127,1-2)

 

1. Giuseppe Schillaci, Testimoni di fronte all’indifferenza, in Horeb, n. 38, p. 6.

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