n. 4
aprile 2005

 

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L'Eucaristia, nutrimento del coltivarsi
nella crescita del desiderio di Dio

di  Dalmazio Mongillo *

 

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La docilità dello Spirito santo

Coltivarci negli atteggiamenti che rinsaldano la tensione alla comunione trinitaria è responsabilità inalienabile di ciascuno/a di noi e delle nostre comunità; premessa, contesto, conseguenza, criterio orientativo della docilità allo Spirito, della fame e sete del nostro bene, dell’amore obbediente al Padre.

Dimenticare che la realtà umana non si giustifica senza il riferimento al creatore (Mnd, n. 26) – benché fenomeno diffuso, potenziato dalla tentazione di ridurre il Mistero alle nostre dimensioni, piuttosto che aprirci noi alle dimensioni di esso – è insidia che narcotizza il cammino delle comunità religiose e l’obbedienza al Padre. Egli ci vuole ferventi nella condivisione della Sua misericordia per noi e per tutti. Nel Suo Spirito ci mette in condizione di camminare in Cristo, la Via. Questa situazione ci interpella profondamente.

La persona se non ha sete non beve; se non beve muore per disidratazione. L’indifferenza, l’inerzia, l’inquietudine, nelle quali trascorre la vita di gran parte di noi è un fenomeno molto grave e una sfida esigente. Impone di verificare la coerenza alla sincerità e qualità della condivisione della volontà del Padre, che ci vuole tutti salvi nella conoscenza fedele alla Verità (cfr. 1Tm 2,4).

Il moltiplicare le diagnosi di questo fenomeno è segno di sanità spirituale, solo se accompagna il mettere in pratica la terapia indicata dalla rivelazione dell’intervento delle Persone divine nella nostra vita.

Il sitio della Croce, l’azione dello Spirito, la testimonianza dei nostri fondatori esigono risposta sincera alle domande del Signore: Perché piangi? Chi cerchi? (cfr. Gv 20,15), Quello che dici di me lo dici da te, oppure ripeti quello che altri ti hanno detto sul mio conto (cfr. Gv 18,34)?

Siamo sinceri nel dire: cerco Te Signore, sono tuo/a e tuo/a voglio essere, se mettiamo in atto quanto Egli ci ha messo in condizione di vivere nella grazia del battesimo, della vocazione e professione, nella vita comunitaria. Tutto è donato per scuotere la nostra inerzia, renderci testimoni di misericordia, di compassione (cfr. Mt 15,22). La vocazione non tollera compromessi.

La proposta di un Anno per l’Eucaristia è anch’essa un dono destinato a scuotere l’indifferenza, la trascuratezza nei confronti del nostro bene, della relazione al fine dell’ esistenza e della storia a curare il ‘male antico’ personale, comunitario: l’oblio di Dio e la fiducia nell’autosufficienza umana (Mane nobiscum, cit. in Mnd, n. 26).

La coerenza alla coscienza dell’identità cristica della nostra vita, il prendere in mano le nostre potenzialità di natura e di grazia, la fedeltà alla risurrezione in Cristo per lo Spirito è il dono che il Padre attende da noi e che noi facciamo a noi stessi quando viviamo in Lui.

  

La celebrazione dell’Eucaristia

 E’ dimensione decisiva per la vita di una comunità che, conformata nella sete del Cristo, nella Sua obbedienza al Padre, vuole guarire e potenziare la decisione di mettere in atto le iniziative belle e sincere che fanno presa nei cuori addormentati, curano il lucignolo fumigante, risanano la canna incrinata (cfr. Mt 12,20).

Questo risveglio non avviene in modo meccanico. Opera in, con, per la comunità, che, nata dall’Eucaristia, diventa Eucaristia e viene risvegliata al desiderio di cooperare nel tendere insieme al bene che la Trinità creatrice vuole per noi. Non si cresce in comunione da soli e non si è in comunione senza la nostalgia che tutte le persone chiamate al banchetto abbiano la veste nuziale (cfr. Mt 22,11), siano libere e gioiose di prendervi parte, in proporzione della condizione di ciascuno.

Il desiderio di Dio è iscritto nel cuore umano creato da Dio per Dio. Lo sviluppo e il dinamismo di esso non è frutto di automatismi, è umano, intelligente, amoroso, coerente, responsabile. Senza la nostalgia risvegliata e assecondata, la persona non potrebbe accogliere il dono di Dio (CCC, n. 36) a cui è connesso l’appagamento della ricerca della felicità che la rende inquieta.

Dio si rivela e si dona alla persona umana rivelando il suo Mistero, il suo disegno di benevolenza, prestabilito da tutta l’eternità in Cristo. Esso è universale, non selettivo. Anche se il figlio dimentica il padre o la mamma, il Signore non dimentica le creature del suo amore e per redimerle dona ad esse il Figlio del Suo compiacimento.

La fede non è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno viene alla vita da solo, da se stesso. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno si è data l’esistenza. Il credente è… come un anello nella grande catena dei credenti (CCC, n. 166).

La Chiesa, nostra Madre, risponde al Padre per tutti i suoi figli e figlie e con la sua fede ci insegna a dire io credo, noi crediamo (ivi, n. 167). «La fede della Chiesa precede la fede del credente che è invitato ad aderirvi, e quando la Chiesa celebra i sacramenti confessa la fede ricevuta dagli apostoli» (ivi, n. 1124).

L’unione di Dio con l’umanità ha avuto la suprema attuazione nel tempo pieno (cfr. Gal 4,5) dell’Incarnazione di Gesù. Egli nel tempo della sua vita è diventato per noi Via alla vera Vita e continua ad esercitare la sua azione con e su di noi attraverso l’Eucaristia.

Consentire al fascino che Egli esercita su noi, volerlo Via al Padre, fonte delle risorse di olio nelle lampade nel tempo del peregrinare (cfr. Mt 25,3ss) è operare perché tutte le persone, con le quali condividiamo il cammino, si vogliano nella Via della pace, e mettere in atto iniziative perché possano perseverare in essa.

L’essere umano è chiamato all’amicizia e all’intimità con il Padre, che ci vuole provvidenza per noi e per gli altri e gioiosi per la partecipazione della Sua beatitudine.

Il fine per cui il Padre ha voluto l’umanità, l’ha voluta alleata, ha voluto che quest’alleanza diventasse piena, nuova ed eterna nella Pasqua, è la verità che orienta il cammino: più questa alleanza è amata, più è seguita.

Il Catechismo di s. Pio X proclamava che Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e goderlo eternamente in Paradiso.

Se questa meta non attira e non vivifica i desideri, diventiamo vaganti, sbandati, privi di criterio per valutare il nostro essere nella storia.

Il mistero della Pasqua svela il fine originario, ultimo, supremo che il Padre, la prima sorgente e il datore di vita fin dal principio, vuole nella comunicazione della Sua vita all’umanità, nella quale fonda il riconoscimento stupito, adorante, grato, di azione di grazie, nei confronti di Sé e della sua misericordia.

 

Un solo corpo e un solo Spirito

La bellezza della comunione con Cristo che, incarnatosi nel seno della Vergine Maria più di venti secoli fa, continua a offrirsi all’umanità come sorgente di vita divina (TMA 55), è il tesoro nascosto nel campo (cfr. Mt 13,44) di cui solo coloro che sono disposti a vendere tutto per acquistarlo pregustano in qualche modo la bellezza e la preziosità.

Gesù nella sua Pasqua rivela il Padre che ama l’umanità nella e per la Sua umanità, l’accoglie in Lui nella Sua vita di Capo del Corpo e di primogenito di molti fratelli (cfr. Rm 8,29). Con la comunione ci uniamo al Corpo di Cristo e con la fede si riceve l’immortalità.

La lode a Dio e il rendimento di grazie scaturiscono dall’alleanza che Dio gratuitamente stipula con il suo popolo (cfr. Gn 24,1-11) e che nella Pasqua ha il suo testamento, la sua realizzazione suprema.

Gesù Cristo dona in nutrimento all’umanità il suo corpo e il suo sangue e inaugura la nuova condizione di comunione con Dio, quella che dà il potere di diventare figli di Dio, quella che fonda l’amicizia indistruttibile, grazie all’amore del Cristo che il Padre ricambia, donando la nuova vita immortale nella risurrezione.

Il memoriale della Pasqua è ordinato ad alimentare e far crescere l’unione con il Padre, il grazie e la lode della sua gloria, e ci mette in condizione di essere genitori della nostra perfezione finale (Gregorio di Nissa).

Questa conformazione non avviene in modo meccanico. Il Signore agisce in, con e per noi attraverso noi, ci vuole cooperatori suoi nel conseguimento del bene che Egli vuole per noi.

Impegnarci a contemplare con intelligenza d’amore l’Eucaristia, valorizzare la celebrazione quotidiana e soprattutto domenicale di essa, sostare in adorazione dinnanzi al Sacramento dell’altare esige un impegno fattivo nell’edificazione di una società più equa e fraterna… e nel farci carico di qualcuna delle tante miserie che tormentano il mondo.

La comunità che influisce sulle persone che la compongono alimenta il desiderio di diventare se stessa, di non trascurare la via maestra che è il Signore vivente nella Chiesa. Se è vero che non si cresce in comunione da soli, non si può neppure essere in comunione senza la partecipazione accordata alle capacità di ciascuna persona.

 

L’Eucaristia fonte e culmine della fede operante in amore

La centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana è richiamata da molti eventi: l’enciclica Ecclesia de Eucaristia del 2003; l’Anno dell’Eucaristia (ott. 2004 - 2005) indetto con la Lettera Apostolica Mane nobiscum Domine (cit. Mnd) del 7 ottobre 2004; il Congresso Eucaristico Nazionale, maggio 2005, a Bari; il Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2005, ecc.

Tutto mira ad ancorare la vita al Mistero che costituisce la radice e il segreto della vita spirituale dei fedeli (Mnd, n. 5) e tutto induce a verificare come stiamo vivendo la fede nell’Eucaristia, la presenza reale di Gesù e la disponibilità a testimoniarla in tutta la vita (cfr. Mnd, n. 18).

Il Risorto ci ama e ci vuole salvi, ci rigenera nella celebrazione del Suo mistero che si irradia in tutte le manifestazioni della vita e, di Pasqua in Pasqua, ci attira alla partecipazione della Sua gloria. La conversione alla Sua chiamata, la fedeltà alla grazia dell’iniziazione cristiana passa per la docilità alla maturazione di una nuova mentalità di fede, nella quale si radica anche un atteggiamento globale nei confronti di noi stessi e della nostra salvezza.

Gesù Eucaristia ci unisce a Sé nel modo più intimo; «è sorgente ed epifania di comunione e novità di vita» (cfr. Mnd, n. 4).

Il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo ci fa diventare “sacramento visibile” della presenza santificante di Gesù nella storia.

Il cristiano opera per quello che è, e cioè per Colui con cui è unito e che nello Spirito obbedisce alle esigenze della crescita umana della realtà, così come egli la comprende e con la forza che ha.

Vivere con coscienza fedele la celebrazione sacramentale del dono del Signore è imparare a crescere insieme, differenti, diversi e a rigenerare i rapporti comunitari in, con, e per la Chiesa che prepara l’avvento del Regno di Dio; è perseverare nella conversione permanente al battesimo.

Ogni persona diventa viva in Cristo nella famiglia umana, nuova creazione attraverso l’aiuto degli altri e, soprattutto, attraverso l’aiuto che fa nascere dal cuore nei confronti di altri, aiutando a crescere nella responsabilità del bene comune. Gregorio di Nissa ci ricorda che «ogni persona è genitrice della sua perfezione finale». Nessuno diventa perfetto al posto nostro, ma noi non diventiamo perfetti se non nella solidarietà con tutti nella creazione, nella condivisione della sollecitudine materna e missionaria della Chiesa che ci vuole far pregustare la gioia dell’unione con Dio.

Il dono esige l’accoglienza e il rendimento di grazie, vissuto nella vita quotidiana orientata dalla contemplazione, che ritraduce in opere nella Via che il Padre indica per vivere in Lui nello Spirito santo.

Questa novità di vita porta alla riscoperta della celebrazione domenicale. Il Signore, nel giorno in cui è Risorto, raduna la comunità per attrarla alla partecipazione della Sua Gloria presso il Padre, per unirla a Sé, per liberare e rinsaldare in essa il desiderio della vita in eterno nella s. Trinità.

A tal fine la istruisce, la rigenera, la conforma al Suo stile di vita e la educa perché, nella docilità allo Spirito, cooperi alla formazione di ciascuna persona nella comunità e di tutta la comunità alla sua missione nella storia, vivendo in amicizia con il Padre. «Il Corpo di Cristo e la sacra Scrittura sono sommamente necessarie all’anima fedele» (Imitazione di Cristo lib. IV c. 10).

L’appartenenza a Cristo e l’incorporazione alla Chiesa è l’effetto immediato e specifico del battesimo (Rm 6,1-11) e si perfeziona nell’Eucaristia, la quale presuppone la comunione ecclesiale e battesimale (EdE 35). In essa si esercita il sacerdozio battesimale e si cresce nel rapporto vitale con Cristo (cfr. Gv 6,55ss), nell’unità dei fedeli, quali membra dello stesso corpo e nella missione.

L’Eucaristia è pegno della gloria futura, della visione di Dio, e l’ultimo effetto di essa sarà la resurrezione della carne, quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor 15,28).

 

La mistagogia1 per la partecipazione vitale all’Eucaristia

L’esigenza di rieducare al Mistero, alla celebrazione coerente e vissuta di esso è primaria per vivere attraverso i riti la realtà invisibile del Mistero.

La conversione permanente va alimentata soprattutto nella sollecitudine di non disattendere gli aspetti visibili della celebrazione e di non arrestarsi ad essi, per dimorare nella comunione con le azioni e le sofferenze di Cristo, Via alla vera Vita nel Padre.

La mistagogia cristiana ha come suo costitutivo il fatto che Gesù stesso nel Suo Spirito è il mistagogo principale del Padre, le sue azioni e le sue parole lo rivelano. Egli manifestandosi agli undici aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture (Lc 24,45); si rivela esegeta del suo mistero da esse veicolato e conferisce ad esse il potere di aprire a Lui, soprattutto attraverso le espressioni sacramentali della Sua opera e ora attraverso le parole e i gesti della Liturgia.

Egli porta a fare esperienza (ex perire) a camminare nel Mistero e a “tenere esperimento”, ad afferrare per esperienza la realtà celebrata: è via viva e vivificante al Mistero.

La fede va dal mistero celebrato all’unione con il Vivente. L’atto del credente non termina all’enunciato; in esso la sorgente di acqua viva (Is 49,10) lo unisce a Sé e potenzia le sue energie per contemplarlo e viverlo nella celebrazione liturgica, quale fonte della vita celebrata e dei sensi spirituali che rendono feconda e diffusiva l’esistenza del credente. Questi sensi scaturiscono dall’habitudo che la grazia santificante fonda e vivifica nello spirito umano e che si esprime negli atti delle virtù teologali e in quelli informati dalla carità, che è la suprema virtù.

La celebrazione dell’Eucaristia, nelle sue principali fasi, educa a contemplare l’invisibile presente, sottrae alla tirannia del sensibile, potenzia i sensi spirituali: udito, vista, tatto, parola; chiede di rappresentare con verità il Mistero che si celebra, di rapportare ad esso la propria vita; rigenera il desiderio di dimorare nel Padre e di portare a compimento l’opera che Egli affida ad ogni persona nel suo Corpo Mistico (parabola dei talenti, cfr. Mt 25,15ss). Ciò avviene:

- Nel consenso alla convocazione per partecipare alla celebrazione. In essa lo Spirito ci snida dalla solitudine del cuore e ci dispone all’ascolto della Parola, svelando quello che il Padre ha detto sulla dignità e missione umana e sull’uso delle proprie potenzialità.

- Nell’offerta di noi stessi nella comunità e della stessa comunità nella presentazione del frutto del proprio lavoro, per la trasformazione della città, in modo che diventi degna del disegno di Dio.

- Nella preghiera eucaristica, il Padre in, con e attraverso la Chiesa, vivificata dallo Spirito, rende i nostri doni in Cristo cibo e bevanda di salvezza dei fedeli, ci rende altrettanti Cristi che cooperano all’avvento del Regno.

- Partecipando alla sollecitudine permanente della Chiesa visibile: la memoria della Chiesa discente; la memoria dei defunti; l’implorazione della partecipazione alla gloria.

Nel congedo, l’Eucaristia spinge i partecipanti a diventare quello che sono diventati, li spinge, cioè, all’impegno per la propagazione del Vangelo, all’animazione della società. L’Eucaristia non fornisce solo la forza interiore ma anche il progetto, e cioè un modo nuovo di essere, che da Gesù passa nel cristiano/a e, attraverso la propria testimonianza, mira a irradiarsi nella società e nella cultura, in modo che ogni cristiano/a assimili nella meditazione personale e comunitaria ciò che l’Eucaristia suscita (Mnd, n. 25).

 


1. Da mueo  (non sa parlare, non riesce ad esprimersi) e agogia (iniziare). Camminare nella strada che porta alla conversione personale, al mistero nel popolo che esso raduna e vivifica.

* Sacerdote domenicano, liturgista.

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