La docilità dello Spirito
santo
Coltivarci
negli atteggiamenti che rinsaldano la tensione alla comunione trinitaria
è responsabilità inalienabile di ciascuno/a di noi e delle nostre
comunità; premessa, contesto, conseguenza, criterio orientativo della
docilità allo Spirito, della fame e sete del nostro bene, dell’amore
obbediente al Padre.
Dimenticare che la
realtà umana non si giustifica senza il riferimento al creatore (Mnd, n.
26) – benché fenomeno diffuso, potenziato dalla tentazione di ridurre il
Mistero alle nostre dimensioni, piuttosto che aprirci noi alle
dimensioni di esso – è insidia che narcotizza il cammino delle comunità
religiose e l’obbedienza al Padre. Egli ci vuole ferventi nella
condivisione della Sua misericordia per noi e per tutti. Nel Suo Spirito
ci mette in condizione di camminare in Cristo, la Via. Questa situazione
ci interpella profondamente.
La persona se non ha
sete non beve; se non beve muore per disidratazione. L’indifferenza,
l’inerzia, l’inquietudine, nelle quali trascorre la vita di gran parte
di noi è un fenomeno molto grave e una sfida esigente. Impone di
verificare la coerenza alla sincerità e qualità della condivisione della
volontà del Padre, che ci vuole tutti salvi nella conoscenza fedele alla
Verità (cfr. 1Tm 2,4).
Il moltiplicare le
diagnosi di questo fenomeno è segno di sanità spirituale, solo se
accompagna il mettere in pratica la terapia indicata dalla rivelazione
dell’intervento delle Persone divine nella nostra vita.
Il sitio della
Croce, l’azione dello Spirito, la testimonianza dei nostri fondatori
esigono risposta sincera alle domande del Signore: Perché piangi? Chi
cerchi? (cfr. Gv 20,15), Quello che dici di me lo dici da te,
oppure ripeti quello che altri ti hanno detto sul mio conto (cfr. Gv
18,34)?
Siamo sinceri nel dire:
cerco Te Signore, sono tuo/a e tuo/a voglio essere, se mettiamo in atto
quanto Egli ci ha messo in condizione di vivere nella grazia del
battesimo, della vocazione e professione, nella vita comunitaria. Tutto
è donato per scuotere la nostra inerzia, renderci testimoni di
misericordia, di compassione (cfr. Mt 15,22). La vocazione non tollera
compromessi.
La proposta di un
Anno per l’Eucaristia è anch’essa un dono destinato a scuotere
l’indifferenza, la trascuratezza nei confronti del nostro bene, della
relazione al fine dell’ esistenza e della storia a curare il ‘male
antico’ personale, comunitario: l’oblio di Dio e la fiducia
nell’autosufficienza umana (Mane nobiscum, cit. in Mnd,
n. 26).
La coerenza alla
coscienza dell’identità cristica della nostra vita, il prendere in mano
le nostre potenzialità di natura e di grazia, la fedeltà alla
risurrezione in Cristo per lo Spirito è il dono che il Padre attende da
noi e che noi facciamo a noi stessi quando viviamo in Lui.
La celebrazione dell’Eucaristia
E’ dimensione
decisiva per la vita di una comunità che, conformata nella sete del
Cristo, nella Sua obbedienza al Padre, vuole guarire e potenziare la
decisione di mettere in atto le iniziative belle e sincere che fanno
presa nei cuori addormentati, curano il lucignolo fumigante, risanano la
canna incrinata (cfr. Mt 12,20).
Questo risveglio non
avviene in modo meccanico. Opera in, con, per la comunità, che,
nata dall’Eucaristia, diventa Eucaristia e viene risvegliata al
desiderio di cooperare nel tendere insieme al bene che la Trinità
creatrice vuole per noi. Non si cresce in comunione da soli e non si è
in comunione senza la nostalgia che tutte le persone chiamate al
banchetto abbiano la veste nuziale (cfr. Mt 22,11), siano libere e
gioiose di prendervi parte, in proporzione della condizione di ciascuno.
Il desiderio di Dio è
iscritto nel cuore umano creato da Dio per Dio. Lo sviluppo e il
dinamismo di esso non è frutto di automatismi, è umano, intelligente,
amoroso, coerente, responsabile. Senza la nostalgia risvegliata e
assecondata, la persona non potrebbe accogliere il dono di Dio (CCC, n.
36) a cui è connesso l’appagamento della ricerca della felicità che la
rende inquieta.
Dio si rivela e si dona
alla persona umana rivelando il suo Mistero, il suo disegno di
benevolenza, prestabilito da tutta l’eternità in Cristo. Esso è
universale, non selettivo. Anche se il figlio dimentica il padre o la
mamma, il Signore non dimentica le creature del suo amore e per
redimerle dona ad esse il Figlio del Suo compiacimento.
La fede non è un atto
isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno viene alla vita
da solo, da se stesso. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come
nessuno si è data l’esistenza. Il credente è… come un anello nella
grande catena dei credenti (CCC, n. 166).
La Chiesa, nostra
Madre, risponde al Padre per tutti i suoi figli e figlie e con la sua
fede ci insegna a dire io credo, noi crediamo (ivi, n.
167). «La fede della Chiesa precede la fede del credente che è invitato
ad aderirvi, e quando la Chiesa celebra i sacramenti confessa la fede
ricevuta dagli apostoli» (ivi, n. 1124).
L’unione di Dio con
l’umanità ha avuto la suprema attuazione nel tempo pieno (cfr. Gal 4,5)
dell’Incarnazione di Gesù. Egli nel tempo della sua vita è diventato per
noi Via alla vera Vita e continua ad esercitare la sua azione con
e su di noi attraverso l’Eucaristia.
Consentire al fascino
che Egli esercita su noi, volerlo Via al Padre, fonte delle risorse di
olio nelle lampade nel tempo del peregrinare (cfr. Mt 25,3ss) è operare
perché tutte le persone, con le quali condividiamo il cammino, si
vogliano nella Via della pace, e mettere in atto iniziative perché
possano perseverare in essa.
L’essere umano è
chiamato all’amicizia e all’intimità con il Padre, che ci vuole
provvidenza per noi e per gli altri e gioiosi per la partecipazione
della Sua beatitudine.
Il fine per cui il
Padre ha voluto l’umanità, l’ha voluta alleata, ha voluto che quest’alleanza
diventasse piena, nuova ed eterna nella Pasqua, è la verità che orienta
il cammino: più questa alleanza è amata, più è seguita.
Il Catechismo di s. Pio
X proclamava che Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in
questa vita e goderlo eternamente in Paradiso.
Se questa meta non
attira e non vivifica i desideri, diventiamo vaganti, sbandati, privi di
criterio per valutare il nostro essere nella storia.
Il mistero della Pasqua
svela il fine originario, ultimo, supremo che il Padre, la prima
sorgente e il datore di vita fin dal principio, vuole nella
comunicazione della Sua vita all’umanità, nella quale fonda il
riconoscimento stupito, adorante, grato, di azione di grazie, nei
confronti di Sé e della sua misericordia.
Un solo corpo e un solo Spirito
La bellezza della
comunione con Cristo che, incarnatosi nel seno della Vergine Maria più
di venti secoli fa, continua a offrirsi all’umanità come sorgente di
vita divina (TMA 55), è il tesoro nascosto nel campo (cfr. Mt 13,44) di
cui solo coloro che sono disposti a vendere tutto per acquistarlo
pregustano in qualche modo la bellezza e la preziosità.
Gesù nella sua Pasqua
rivela il Padre che ama l’umanità nella e per la Sua
umanità, l’accoglie in Lui nella Sua vita di Capo del Corpo e di
primogenito di molti fratelli (cfr. Rm 8,29). Con la comunione ci uniamo
al Corpo di Cristo e con la fede si riceve l’immortalità.
La lode a Dio e il
rendimento di grazie scaturiscono dall’alleanza che Dio gratuitamente
stipula con il suo popolo (cfr. Gn 24,1-11) e che nella Pasqua ha il suo
testamento, la sua realizzazione suprema.
Gesù Cristo dona in
nutrimento all’umanità il suo corpo e il suo sangue e inaugura la nuova
condizione di comunione con Dio, quella che dà il potere di diventare
figli di Dio, quella che fonda l’amicizia indistruttibile, grazie
all’amore del Cristo che il Padre ricambia, donando la nuova vita
immortale nella risurrezione.
Il memoriale della
Pasqua è ordinato ad alimentare e far crescere l’unione con il Padre, il
grazie e la lode della sua gloria, e ci mette in condizione di essere
genitori della nostra perfezione finale (Gregorio di Nissa).
Questa conformazione
non avviene in modo meccanico. Il Signore agisce in, con e per
noi attraverso noi, ci vuole cooperatori suoi nel conseguimento
del bene che Egli vuole per noi.
Impegnarci a
contemplare con intelligenza d’amore l’Eucaristia, valorizzare la
celebrazione quotidiana e soprattutto domenicale di essa, sostare in
adorazione dinnanzi al Sacramento dell’altare esige un impegno fattivo
nell’edificazione di una società più equa e fraterna… e nel farci carico
di qualcuna delle tante miserie che tormentano il mondo.
La comunità che
influisce sulle persone che la compongono alimenta il desiderio di
diventare se stessa, di non trascurare la via maestra che è il Signore
vivente nella Chiesa. Se è vero che non si cresce in comunione da soli,
non si può neppure essere in comunione senza la partecipazione accordata
alle capacità di ciascuna persona.
L’Eucaristia fonte e culmine della fede
operante in amore
La centralità
dell’Eucaristia nella vita cristiana è richiamata da molti eventi:
l’enciclica Ecclesia de Eucaristia del 2003; l’Anno
dell’Eucaristia (ott. 2004 - 2005) indetto con la Lettera Apostolica
Mane nobiscum Domine (cit. Mnd) del 7 ottobre 2004; il Congresso
Eucaristico Nazionale, maggio 2005, a Bari; il Sinodo dei Vescovi
dell’ottobre 2005, ecc.
Tutto mira ad ancorare
la vita al Mistero che costituisce la radice e il segreto della vita
spirituale dei fedeli (Mnd, n. 5) e tutto induce a verificare come
stiamo vivendo la fede nell’Eucaristia, la presenza reale di Gesù e la
disponibilità a testimoniarla in tutta la vita (cfr. Mnd, n. 18).
Il Risorto ci ama e ci
vuole salvi, ci rigenera nella celebrazione del Suo mistero che si
irradia in tutte le manifestazioni della vita e, di Pasqua in Pasqua, ci
attira alla partecipazione della Sua gloria. La conversione alla Sua
chiamata, la fedeltà alla grazia dell’iniziazione cristiana passa per la
docilità alla maturazione di una nuova mentalità di fede, nella quale si
radica anche un atteggiamento globale nei confronti di noi stessi e
della nostra salvezza.
Gesù Eucaristia ci
unisce a Sé nel modo più intimo; «è sorgente ed epifania di comunione e
novità di vita» (cfr. Mnd, n. 4).
Il mistero del Corpo e
del Sangue di Cristo ci fa diventare “sacramento visibile” della
presenza santificante di Gesù nella storia.
Il cristiano opera per
quello che è, e cioè per Colui con cui è unito e che nello Spirito
obbedisce alle esigenze della crescita umana della realtà, così come
egli la comprende e con la forza che ha.
Vivere con coscienza
fedele la celebrazione sacramentale del dono del Signore è imparare a
crescere insieme, differenti, diversi e a rigenerare i rapporti
comunitari in, con, e per la Chiesa che prepara l’avvento
del Regno di Dio; è perseverare nella conversione permanente al
battesimo.
Ogni persona diventa
viva in Cristo nella famiglia umana, nuova creazione attraverso l’aiuto
degli altri e, soprattutto, attraverso l’aiuto che fa nascere dal cuore
nei confronti di altri, aiutando a crescere nella responsabilità del
bene comune. Gregorio di Nissa ci ricorda che «ogni persona è genitrice
della sua perfezione finale». Nessuno diventa perfetto al posto nostro,
ma noi non diventiamo perfetti se non nella solidarietà con tutti nella
creazione, nella condivisione della sollecitudine materna e missionaria
della Chiesa che ci vuole far pregustare la gioia dell’unione con Dio.
Il dono esige
l’accoglienza e il rendimento di grazie, vissuto nella vita quotidiana
orientata dalla contemplazione, che ritraduce in opere nella Via che il
Padre indica per vivere in Lui nello Spirito santo.
Questa novità di vita
porta alla riscoperta della celebrazione domenicale. Il Signore, nel
giorno in cui è Risorto, raduna la comunità per attrarla alla
partecipazione della Sua Gloria presso il Padre, per unirla a Sé, per
liberare e rinsaldare in essa il desiderio della vita in eterno nella s.
Trinità.
A tal fine la
istruisce, la rigenera, la conforma al Suo stile di vita e la educa
perché, nella docilità allo Spirito, cooperi alla formazione di ciascuna
persona nella comunità e di tutta la comunità alla sua missione nella
storia, vivendo in amicizia con il Padre. «Il Corpo di Cristo e la sacra
Scrittura sono sommamente necessarie all’anima fedele» (Imitazione di
Cristo lib. IV c. 10).
L’appartenenza a Cristo
e l’incorporazione alla Chiesa è l’effetto immediato e specifico del
battesimo (Rm 6,1-11) e si perfeziona nell’Eucaristia, la quale
presuppone la comunione ecclesiale e battesimale (EdE 35). In essa si
esercita il sacerdozio battesimale e si cresce nel rapporto vitale con
Cristo (cfr. Gv 6,55ss), nell’unità dei fedeli, quali membra dello
stesso corpo e nella missione.
L’Eucaristia è pegno
della gloria futura, della visione di Dio, e l’ultimo effetto di essa
sarà la resurrezione della carne, quando Dio sarà tutto in tutti (1Cor
15,28).
La mistagogia1 per
la partecipazione vitale all’Eucaristia
L’esigenza di
rieducare al Mistero, alla celebrazione coerente e vissuta di esso è
primaria per vivere attraverso i riti la realtà invisibile del Mistero.
La conversione
permanente va alimentata soprattutto nella sollecitudine di non
disattendere gli aspetti visibili della celebrazione e di non arrestarsi
ad essi, per dimorare nella comunione con le azioni e le sofferenze di
Cristo, Via alla vera Vita nel Padre.
La mistagogia cristiana
ha come suo costitutivo il fatto che Gesù stesso nel Suo Spirito è il
mistagogo principale del Padre, le sue azioni e le sue parole lo
rivelano. Egli manifestandosi agli undici aprì loro la mente
all’intelligenza delle Scritture (Lc 24,45); si rivela esegeta del suo
mistero da esse veicolato e conferisce ad esse il potere di aprire a
Lui, soprattutto attraverso le espressioni sacramentali della Sua opera
e ora attraverso le parole e i gesti della Liturgia.
Egli porta a fare
esperienza (ex perire) a camminare nel Mistero e a “tenere
esperimento”, ad afferrare per esperienza la realtà
celebrata: è via viva e vivificante al Mistero.
La fede va dal mistero
celebrato all’unione con il Vivente. L’atto del credente non termina
all’enunciato; in esso la sorgente di acqua viva (Is 49,10) lo unisce a
Sé e potenzia le sue energie per contemplarlo e viverlo nella
celebrazione liturgica, quale fonte della vita celebrata e dei sensi
spirituali che rendono feconda e diffusiva l’esistenza del credente.
Questi sensi scaturiscono dall’habitudo che la grazia
santificante fonda e vivifica nello spirito umano e che si esprime negli
atti delle virtù teologali e in quelli informati dalla carità, che è la
suprema virtù.
La celebrazione
dell’Eucaristia, nelle sue principali fasi, educa a
contemplare l’invisibile presente, sottrae alla tirannia del sensibile,
potenzia i sensi spirituali: udito, vista, tatto, parola; chiede di
rappresentare con verità il Mistero che si celebra, di rapportare ad
esso la propria vita; rigenera il desiderio di dimorare nel Padre e di
portare a compimento l’opera che Egli affida ad ogni persona nel suo
Corpo Mistico (parabola dei talenti, cfr. Mt 25,15ss). Ciò avviene:
-
Nel consenso alla convocazione per partecipare alla celebrazione.
In essa lo Spirito ci snida dalla solitudine del cuore e ci dispone
all’ascolto della Parola, svelando quello che il Padre ha detto sulla
dignità e missione umana e sull’uso delle proprie potenzialità.
-
Nell’offerta di noi stessi nella comunità e della stessa comunità
nella presentazione del frutto del proprio lavoro, per la trasformazione
della città, in modo che diventi degna del disegno di Dio.
-
Nella preghiera eucaristica, il Padre in, con e
attraverso la Chiesa, vivificata dallo Spirito, rende i nostri doni
in Cristo cibo e bevanda di salvezza dei fedeli, ci rende altrettanti
Cristi che cooperano all’avvento del Regno.
-
Partecipando alla sollecitudine permanente della Chiesa visibile: la
memoria della Chiesa discente; la memoria dei defunti; l’implorazione
della partecipazione alla gloria.
Nel
congedo, l’Eucaristia spinge i partecipanti a diventare quello
che sono diventati, li spinge, cioè, all’impegno per la propagazione del
Vangelo, all’animazione della società. L’Eucaristia non fornisce solo la
forza interiore ma anche il progetto, e cioè un modo nuovo di essere,
che da Gesù passa nel cristiano/a e, attraverso la propria
testimonianza, mira a irradiarsi nella società e nella cultura, in modo
che ogni cristiano/a assimili nella meditazione personale e comunitaria
ciò che l’Eucaristia suscita (Mnd, n. 25).
1. Da mueo
(non sa parlare, non riesce ad esprimersi) e agogia (iniziare).
Camminare nella strada che porta alla conversione personale, al mistero
nel popolo che esso raduna e vivifica.