n. 1 gennaio 2008

 

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Una vita per l’unità  - Sant’Ignazio di Antiochia

di Mario Maritano

 

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Introduzione

I Padri della Chiesa sono gli scrittori dei primi secoli cristiani che con la testimonianza della loro vita e le loro opere hanno esercitato un ruolo importante e basilare nella storia del cristianesimo: hanno trasmesso e spiegato la Parola di Dio, come testimoni privilegiati della Tradizione; l’hanno difesa contro le eresie; hanno creato le varie forme liturgiche per espri-mere la lode e l’adorazione a Dio. Soprattutto poi hanno vissuto con coerenza il messaggio evangelico, hanno diffuso i valori umani e cristiani nella società in cui vivevano, hanno affrontato il dialogo col mondo e la cultura contemporanea. Così hanno trasmesso alle generazioni posteriori un grande patrimonio spirituale e letterario, educando il cuore e la mente alla riflessione e ai sentimenti più nobili ed evidenziando le immense possibilità di bene insite nell’uomo (all’opposto, come ombra, hanno rilevato anche il male, di cui si rende responsabile l’uomo quando rinnega Dio).

Richiamare gli esempi e gli insegnamenti dei Padri della Chiesa è ricollegarci alle radici del nostro cristianesimo, è ritornare là dove pulsa il cuore antico e sempre nuovo della Chiesa, è ricorrere alle sorgenti vive della nostra fede. I Padri sono ancora attuali oggi - e lo dimostrano anche le Catechesi che il papa Benedetto XVI, da marzo 2007, dedica ad essi nelle udienze generali del mercoledì - e ci aiutano a riscoprire sempre più l’affascinante persona di Cristo (e ac-canto a Lui la dolce figura di Maria e dei santi) e a riflettere sulla splendida immagine di Dio presente in ogni creatura umana.

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Tra i primi Padri della Chiesa emerge Ignazio di Antiochia, come una delle personalità più significative e affascinanti. Visse al tempo immediatamente successivo a quello degli apostoli: fu il terzo vescovo di Antiochia (oggi nell’estremo sud della Turchia) dal 70 al 107, anno del suo martirio. In questa città era sorta una fiorente comunità cristiana, che, secondo la tradizione, ebbe come primo vescovo s. Pietro, e proprio ivi «per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26).

Durante il suo viaggio da Antiochia a Roma, ove subirà il martirio - condannato ad essere divorato dalle belve nell’anfiteatro Flavio – Ignazio scrisse sette lettere a varie comunità cristiane: in esse esprime il suo profondo amore a Cristo e alla Chiesa; manifesta la sua preoccupazione perché i cristiani rimangano saldi nell’unità e nella fede, senza deviazioni verso le eresie; afferma con chiarezza i principali dogmi del cristianesimo: unità e trinità di Dio, vera umanità e divinità e di Cristo, «generato e ingenerato… nato da Maria e da Dio» (Lettera agli Efesini 7) e che – ricorda con realismo Ignazio --soffrì realmente come realmente risuscitò se stesso» (Lettera agli Smirnesi 2); rievoca il piano redentivo di Dio, a cui ha collaborato anche Maria Santissima; mette in risalto i sacramenti, particolarmente il battesimo e l’eucaristia; presenta una Chiesa guidata dal vescovo: con lui collaborano in piena concordia sacerdoti, diaconi e popolo.

Il cristiano vive unito a Dio e alla Chiesa

Ignazio si definisce «un uomo al quale è affidato il compito dell'unità» (Lettera ai Filadelfiesi 8,19) e ad essa egli tende in modo irresistibile. L’unità è una prerogativa di Dio, è Dio stesso (cf. Lettera ai Tralliani 11,1). I cristiani sono chiamati a realizzare questa unità nell’amore e nella concordia, per essere «tutti uniti in un cuore indiviso» (Lettera ai Filadelfiesi 6,2).

Come riecheggiando la preghiera di Gesù nell’Ultima Cena, Ignazio raccomandava ai cristiani di Magnesia di essere una cosa sola: «Un'unica supplica, un'unica mente, un'unica speranza nell'amore... Accorrete tutti a Gesù Cristo come all'unico tempio di Dio, come all'unico altare: egli è uno e, procedendo dall'unico Padre, è rimasto a Lui unito, e a Lui è ritornato nell'unità» (7,1-2). Esorta i fedeli di Smirne ad un impegno comune e solidale, scrivendo al loro vescovo Policarpo: «Lavorate insieme gli uni per gli altri, lottate insieme, correte insieme, soffrite insieme, dormite e vegliate insieme come amministratori di Dio, suoi assessori e servi. Cercate di piacere a Colui per il quale militate e dal quale ricevete la mercede. Nessuno di voi sia trovato disertore. Il vostro battesimo rimanga come uno scudo, la fede come un elmo, la carità come una lancia, la pazienza come un'armatura» (Lettera a Policarpo 6,1-2).

L’unione dovrebbe arrivare a tale grado di perfezione da essere una splendida «sinfonia», come un’incantevole musica, in cui tutti gli strumenti si accordano perfettamente e i singoli creano una corale armonica: è la plastica immagine applicata da Ignazio ai cristiani di Efeso nel descrivere la loro ammirevole unità ed esemplare comunione, auspicando che esse emergano e si realizzino nelle comunità cristiane: «È bene per voi procedere insieme d'accordo col pensiero del vescovo, cosa che già fate. Infatti il vostro collegio dei presbiteri, giustamente famoso, degno di Dio, è così armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. Per questo nella vostra concordia e nel vostro amore sinfonico Gesù Cristo è cantato. E così voi, ad uno ad uno, diventate coro, affinché nella sinfonia della concordia, dopo aver preso il tono di Dio nell'unità, cantiate a una sola voce» (Lettera agli Efesini 4,1-2).

La Chiesa per Ignazio è allo stesso tempo una e universale; per primo nella letteratura cristiana egli attribuisce alla Chiesa l’aggettivo «cattolica» cioè «universale»: «Dove è Gesù Cristo, lì è la Chiesa cattolica» (Lettera agli Smirnesi 8,2). L’unità della Chiesa si manifesta «nella fede e nella carità, delle quali non vi è nulla di più eccellente» (Lettera agli Smirnesi 6,1).

Nel servizio all’unità, la Chiesa di Roma esercita una preminenza di amore e di guida, che Ignazio sottolinea, rivolgendosi appunto a questa comunità: «In Roma essa presiede degna di Dio, venerabile, degna di essere chiamata beata... Presiede alla carità, che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre» (Lettera ai Romani, pro-logo).

Il cristiano offre la sua vita sull’esempio di Cristo

Ignazio aspira a congiungersi con Cristo e a raggiungere Dio, la meta finale della sua esistenza. Con una stupenda frase, che sintetizza il suo costante anelito ad una vita in pienezza e la sua profonda fede nella risurrezione, dichiara: «È bello per me tramontare al mondo per risorgere a Dio!» (Lettera ai Romani 2,1).

Egli supplica i cristiani di Roma, affinché non intervengano per impedire il suo martirio, la suprema testimonianza di amore verso Cristo, più volte da lui proclamato come «il mio» o «il nostro Dio»: «È bello per me morire andando verso Gesù Cristo, piuttosto che regnare sino ai confini della terra. Cerco lui, che è morto per me, voglio lui, che è risorto per noi... Lasciate che io raggiunga la pura luce! Giunto là, io sarò uomo. Lasciate che sia imitatore della Passione del mio Dio!» (Lettera ai Romani 6,1-3).

Ignazio si sente chiamato a realizzare pienamente l’offerta della sua vita, come un’eucaristia gradita a Dio: «Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane immacolato di Cristo» (Lettera ai Romani 4,1). La voce dello Spirito Santo, come lo sciabordio continuo di un’onda, lo invita con insistenza a ritornare a Dio: «Un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice:Vieni al Padre!» (Lettera ai Romani 7,2).

Sorretto dalla fede e dall’amore, Ignazio può così congedarsi dai cristiani prima di affrontare il martirio: «Addio, siate forti sino alla fine nel soffrire per Gesù Cristo» (Lettera ai Romani 10,1). Concludendo la sua vita, egli desidera trasmettere ad essi il suo ultimo accorato appello e inviare il suo supremo augurio: «Amatevi l'un l'altro con cuore non diviso. Il mio spirito si offre in sacrificio per voi, non solo ora, ma anche quando avrà raggiunto Dio... In Cristo possiate essere trovati senza macchia» (Lettera ai Tralliani 13,2-3).

Conclusione

Ignazio ha praticato nella sua vita ciò che ha insegnato (cf Lettera agli Efesini 15,1: «è bello insegnare se chi parla agisce»); e i cristiani potevano imparare da lui: era l’impegno che lui raccomandava ai fedeli: «Lasciate che imparino dalle vostre opere» (Lettera agli Efesini, 10). Le sue pagine conservano il fuoco interiore che ha animato tutti i suoi atteggiamenti e le sue parole di cristiano e di vescovo. I suoi ideali furono il Cristo e la Chiesa: il primo da seguire e imitare fino alla morte, la seconda da amare e da armonizzare nell’unità e nella fede. Egli si è rivelato veramente «portatore di Dio» (= Teoforo), come egli stesso si definisce all’inizio di tutte le sue lettere.

Il cielo già viveva e palpitava dentro la sua anima: anche la morte, che segna il passaggio da questa vita terrena a quella eterna, è da lui considerata come il supremo atto d’amore di cui è capace il cristiano; infatti egli restituisce a Dio il dono più grande che ha ricevuto: la vita. Il martire, morendo, realizza e rende visibile nella sua persona il più autentico significato dell’eucaristia: essere dono incondizionato per gli uomini, trasmettendo ad essi quell’«amore incorruttibile» (Lettera ai Romani 7,3), che dal tempo si prolunga nell’eternità.

Mario Maritano
Università Pontificia Salesiana Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1 - 00139 Roma

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