n. 5
maggio 2009

 

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Vita consacrata e dialogo ebraico-cristiano

di AGNESE MAGISTRETTI

 

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Il  titolo proposto per questa breve riflessione mi pare esprima bene una linea di grande interesse nel dialogo ebraico-cristiano. Negli anni postconciliari e anche con maggiore intensità in questi ultimi decenni, il tema ha interessato vari ambiti di riflessione sia nelle chiese cristiane sia nelle comunità ebraiche.

Va precisato che nel titolo l’espressione “vita consacrata” si riferisce alla vita dei religiosi, poiché potenzialmente ogni battezzato è consacrato a Dio. La vita dei “religiosi”, potenzialmente ogni battezzato è consacrato a Dio. è detta in modo peculiare “consacrata” perché impegna coloro che vi aderiscono a vivere la vita battesimale con un particolare vincolo di radicalità, in un cammino progressivo alla ricerca assoluta e totalizzante di Do solo, orientandosi tutta la vita.

“ Con tutte le forze…”    (Dt 6,4-9).

Già in questa definizione mi pare si trovi un primo e grande spazio di sintonia con l’ebraismo che vuole mantenersi fedele alle sue radici.   

Basti citare la professione di fede del pio ebreo, lo Shema’: “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti siano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio fra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte» (Dt.6,4-9).

Questo ardore di far penetrare la parola di Dio in tutto l’essere («tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze») ha portato alcuni ebrei osservanti a una vita piena della parola di Dio e i religiosi cristiani a vivere una forma di vita tutta orientata al primato della Parola, attraverso la “preghiera continua” o “preghiera del cuore” e la sua frequentazione assidua.

Nello Shema’ si dice «con tutte le forze», quelle spese per l’amore esclusivo di Dio: attuare i suoi comandi e fare la sua volontà, che egli manifesta. Questo vale per gli ebrei osservanti, in grado maggiore o minore: o vivendo una vita “normale” nel timore di Dio e nell’osservanza nella Legge divina, oppure facendo scelte di vita che privilegino un lavoro il quale lasci largo spazio della giornata per lo studio della Parola e dei suoi commentatori.

Così si vive in zone particolarmente osservanti a Gerusalemme. Certo, queste a volte sono anche luoghi fanaticamente intolleranti. Tuttavia, quando si riesce a stabilire un rapporto personale con ebrei spiritualmente più profondi, si percepisce una singolare sintonia, una vibrazione concorde rispetto ai grandi temi della Rivelazione, una consolazione profonda nell’entrare nelle loro case, dominate da quella Presenza: «…questi precetti li scriverai… sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».

Ricordo ancora l’osservazione di un nostro fratello sacerdote, invitato nella casa di uno di questi osservanti: «Mi è sembrato di entrare in un edificio sacro: tutta la casa, povera e sobria, era tappezzata di Libri sacri».

La stessa norma di legare i precetti come segno alla mano e come pendaglio fra gli occhi, in realtà corrisponde a un desiderio di esprimere a se stessi e agli altri, l’appartenenza all’Unico Dio.

Tutto questo si può ritrovare nella vita religiosa: nel rapporto così importante fra il lavoro e la preghiera; nella cura di vivere in ambienti che manifestino la presenza di Dio; nell’abito religioso,segno anche esteriore per sé e per gli altri.

Non ho sottolineato tutte queste “consonanze” per tentare un’assimilazione che sarebbe falsa e approssimativa, poiché le differenze sono in realtà grandi e sostanziali. Voglio dire che c’è un “luogo” di sintonia in cui ebrei e cristiani possono realmente comunicare, purché non ignorino e non dissimulino le differenze.

Fecondità e celibato

Nello stato religioso la rinuncia alle nozze terrene è un punto che sembra discriminante e in qualche modo inassimilabile per la spiritualità ebraica. In essa, infatti, la generazione dei figli è così importante che la sterilità è considerata un’onta per la donna; per l’uomo è quasi una morte, tanto che nella Bibbia c’è il precetto del levirato per cui se un uomo muore senza figli il fratello è tenuto a sposarne la vedova, «per suscitargli una discendenza ». La continuità della propria vita nei figli è considerata infatti una vera sopravvivenza.

Un altro motivo rende importante per alcuni ebrei la generazione dei figli: la speranza di essere nella linea della generazione del Messia. Tuttavia anche fra gli ebrei ci sono alcuni che scelgono il celibato. Nella comunità di Qumran pare storicamente accertato che ci fossero persone,sia uomini sia donne, che lo sceglievano per dedicarsi totalmente alla parola di Dio. Un rabbi diceva: «Cosa posso farci se lo studio della Torah ha preso possesso di tutta la mia vita? Penseranno altri ad accrescere la comunità di Israele!». Sono esempi lontani e sporadici. Rimane vero che la rinuncia alle nozze è pienamente comprensibile solo in rapporto a Cristo e alla vita futura di cui segna un anticipo già in questa vita.

La celebrazione dei «tempi sacri»

Un altro “luogo” d’incontro profondo con l’ebraismo è la celebrazione dei “tempi sacri”. La “festa ebdomadaria” per gli ebrei è il sabato, per i cristiani è la domenica; per tutti e due è “giorno del Signore”, consacrato a lui. Giorno di riposo per essere più liberi per la preghiera, per lo studio della Parola, per il culto e, in misura e in forma diversa, per le opere di carità.

Certo il “giorno del Signore” oggi non incide sufficientemente nella realtà di vita dei cristiani. Per questo la testimonianza dei religiosi, che ne sperimentano la forza spirituale, può esprimere la comunione col mondo ebraico, anche se il “profumo del sabato”, come lo si vive presso le comunità osservanti d’Israele, ha una sua peculiarità.

La Pasqua e la Pentecoste due feste fra le maggiori sia per noi che per gli ebrei, creano rapporti profondi, anche se invisibili e in gran parte non percepiti. La nostra Pasqua nata dalla celebrazione pasquale ebraica, e l’Eucaristia che in essa è stata istituita, ha con essa legami strettissimi. Questo rapporto si manifesta maggiormente se si considera che per noi cristiani la Pasqua non si celebra solo nel giorno di Pasqua, ma in ogni Eucaristia: quella domenicale è la Pasqua della settimana.

Meno nota è la festa di Shavu’ot (delle Settimane) o Pentecoste. Anche in essa il rapporto è fortissimo: non solo perché il dono dello Spirito è stato dato agli apostoli in questa festa, ma anche per un altro elemento importante. Infatti nella festa della Pentecoste ebraica si legge la storia biblica di Rut, la donna straniera, moabita, venuta a rifugiarsi “sotto le ali della Schekinah (la Presenza di Dio, la nube sulla Tenda nel deserto): nel giorno   della Pentecoste l’annuncio degli apostoli è stato ascoltato dai rappresentanti di tanti popoli, ciascuno nella propria lingua, e il libro di Rut ne è un richiamo.

La preghiera dei Salmi

Un altro “luogo per il dialogo” e forse quello più totalmente comune, senza differenze, è la preghiera dei Salmi. Sono infatti gli stessi testi, le stesse parole, le stesse espressioni ad essere recitate o cantate. Dice un pensatore ebraico, molto attento e rispettoso nei confronti del mondo cristiano: «Da due millenni i conventi e i “ghetti” si incontrano misteriosamente in questa“veglia di guardia” d’amore, per  salmodiare in latino e in ebraico gli inni dei pastori di Israele».

In alcuni monasteri vige ancora la tradizione, dettata da s. Benedetto nella sua Regola, di recitare ogni settimana tutti i 150 Salmi, come si fa anche nella più osservante tradizione ebraica. Per gli uni e per gli altri il Libro dei Salmi non è una raccolta di canti e di poesie, ma rappresenta davvero un Libro, uno dei libri biblici, in cui c’è uno svolgimento tematico coerente.

Tesi che è ora sostenuta da alcuni esegeti moderni con ragioni convincenti, e sostenuta o sottesa da molti studiosi e oranti ebrei.

Naturalmente, questa vera unità fra ebrei e cristiani nei testi fondamentali della preghiera è alquanto indebolita dalla scelta, fatta dopo il Concilio per comprensibili motivi pastorali, di omettere nella lettura e nel canto, e perfino nei testi scritti dei libri liturgici, quelle parti dei salmi che possono essere meno comprensibili per la nostra mentalità moderna e occidentale. Questo può apparire scandaloso per un ebreo osservante che è stato educato a un rispetto infinito per il testo scritto, tutto rivelato e tutto sacro, da cui non può cadere nemmeno un iota, come dice Gesù nel discorso della montagna.

Rimane il fatto oggettivo che la continua lettura e rilettura, proclamazione e canto delle stesse parole sacre, giorno dopo  giorno, plasma il mondo interiore. Le categorie mentali e spirituali che ne derivano, profondamente  capaci di risuonare all’unisono, creano le premesse per un dialogo sempre più aperto e sincero, espressione dello Spirito Santo che ha operato in chi ha scritto questi testi e che opera in chi li legge.

La lettura dell’Antico Testamento

Questa forza di comunione agisce profondamente anche attraverso la lettura più ampia dell’Antico Testamento. Non è solo la lettura degli stessi testi che crea questo vincolo, ma anche la meditazione e la preghiera su di essi, che sempre più può avvalersi dell’apporto dello studio e della meditazione ebraica dei testi. Questi ci permettono di attingere a un’esegesi molto ricca, che ci consente di mettere basi solide, valorizzate da un’antica tradizione. Troviamo in questi commenti un’attenzione scrupolosa al testo originale, e insieme aperture spirituali profonde e suggestive. Talora, nei testi più antichi non ancora influenzati dalla polemica anticristiana vi troviamo singolari luci cristologiche e neotestamentarie.

Anche in questo rapporto con la parola di Dio, la cui lettura sempre di più, per la grazia operante dello Spirito, è raccomandata dalla Chiesa come il fondamento della vita orante di tutti, la vita consacrata può avere un valore particolare nel creare questo “luogo per il dialogo” a cui tutti i credenti sono chiamati.

L’attesa messianica ed escatologica

Accenno infine a un altro “luogo per il dialogo”: l’attesa escatologica o messianica. Ultimamente forse si è un po’ attenuata in alcuni ambienti ebraici, mentre si è esasperata (anche in modo deviante) in altri; il che si dà, nei due sensi, anche nel mondo cristiano.

Certamente la vita religiosa, se da una parte anticipa le realtà future (cf LG 44), dall’altra è chiamata ad essere caratterizzata da una particolare tensione dello spirito verso il ritorno del Signore, verso i nuovi cieli e la nuova terra in cui abiterà la giustizia e in cui ci sarà il riscatto di ogni realtà, del cosmo e dell’uomo. Nelle nostre case religiose dovrebbe risuonare con particolare intensità il grido delle prime assemblee cristiane: «Maranatha! Vieni Signore Gesù!».

Se gli ebrei osservanti attendono e invocano con ardore e lacrime la venuta del Messia, una venuta che segnerà la scomparsa di tutte le realtà negative del nostro mondo: guerra, malattia, morte, per noi cristiani è possibile associarci a loro nell’invocare e affrettare il ritorno del Messia, non più sofferente, ma glorioso, che farà nuove tutte le cose.

Agnese Magistretti
Piccola Famiglia dell’Annunziata
Via Casaglia, 75/7
40043 Marzabotto (Bologna)

 

 

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