n. 6
giugno 2010

 

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I religiosi e l'uso del tempo

di ALDO BASSO

 

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Come trascorrono il loro tempo le persone consacrate? Quanto un Istituto religioso si preoccupa di organizzarsi e disporre al meglio delle risorse umane sulle quali può contare per il raggiungimento dei suoi obiettivi? Quanto ci si preoccupa per assicurare che nelle comunità religiose tutti i membri siano impegnati in un lavoro ordinato e fecondo e ci sia un’attenzione oculata e saggia alla gestione del denaro che i membri guadagnano e spendono?

Non è male che qualche volta si prendano in considerazione questi interrogativi, se non altro perché l’immagine che la gente si fa delle persone consacrate – e della vita consacrata in genere – si basa anche su questi aspetti molto concreti e quotidiani.

Una categoria "professionale" atipica

È superfluo sottolineare che una comunità religiosa non può essere assimilata ad un’azienda. Mentre questa è finalizzata alla ottimizzazione delle risorse per ottenere il massimo profitto, la comunità religiosa ha per priorità l’impegno a far crescere nella carità le persone e l’attenzione alle esigenze della diffusione del regno di Dio. Anche l’orario di lavoro della persona consacrata non può essere confrontato con quello di persone che svolgono altre professioni, salvo quei casi in cui essa ha un compito ben preciso legato ad un orario particolare (ad esempio l’insegnamento).

Una comunità religiosa non è neppure confrontabile, dal punto di vista del lavoro, con una normale famiglia, dove è necessario che uno o più membri abbiano un lavoro per assicurare determinate entrate e dove non raramente c’è l’assillo per il posto di lavoro che si potrebbe perdere. Infatti, i membri di una comunità religiosa non hanno normalmente la preoccupazione di trovare lavoro e dal punto di vista economico non devono preoccuparsi di far quadrare il bilancio mensile, in quanto la responsabilità di una gestione economica oculata è affidata ad altri (il superiore locale, il consiglio generale). Infine, anche il tempo del pensionamento è vissuto diversamente dai religiosi rispetto ad altre categorie di persone, perché spesso si continua a svolgere anche dopo l’età del pensionamento l’attività che si era svolta in precedenza.

Questa atipicità che caratterizza il profilo professionale della persona consacrata potrebbe comportare, tra l’altro, la mancanza di un controllo rigido sul lavoro da lei svolto e quindi una organizzazione del lavoro lasciata in buona parte alla sua personale responsabilità (senza comunque dimenticare che le situazioni comunitarie presentano una grande varietà circa il modo con cui sono strutturate): vi è chi sente la responsabilità, chi abusa, chi non si preoccupa.

Organizzare bene il tempo

L’uso del tempo della persona consacrata dipende tra l’altro da: la personalità del soggetto (grado di maturità, valori, interessi, attitudini…); ciò che per obbedienza viene chiesto di fare; il grado di accettazione, da parte del soggetto, del ruolo che gli viene assegnato e il modo concreto in cui lo assolve; le condizioni ambientali in cui opera.

Da un punto di vista psicologico, l’attività svolta dalla persona consacrata e il modo concreto in cui ella impiega quotidianamente il suo tempo hanno senza dubbio una rilevanza significativa per quanto riguarda:

- il suo senso di identità;

- il senso di benessere/malessere generale e, più in generale, la sua salute mentale;

- la qualità del contributo che ella può offrire al gruppo, quindi l’efficienza del gruppo stesso nel raggiungimento dei suoi obiettivi;

- il livello di soddisfazione del gruppo (l’apporto ordinato e ben motivato di ciascun membro contribuisce a creare un clima di gruppo positivo, mentre il disimpegno o la non chiarezza dei ruoli possono minacciare il morale del gruppo e creare disgregazione e scontentezza);

- l’immagine della vita religiosa che viene offerta all’esterno.

I membri di una comunità religiosa impiegano bene il proprio tempo nella misura in cui esso permette sia la migliore soddisfazione possibile dei bisogni dei singoli membri sia il miglior raggiungimento possibile delle finalità apostoliche che la comunità si propone.

In riferimento al tema sul quale stiamo riflettendo, potremmo distinguere tra comunità religiose efficienti e comunità religiose non efficienti (il significato del termine efficienza che qui viene usato va definito tenendo conto delle osservazioni fatte precedentemente). Le prime sono caratterizzate da un lavoro ordinato e fecondo da parte dei vari membri, tale da permettere il raggiungimento degli obiettivi (sia di carattere personale che apostolico) che esse si propongono, mentre nelle seconde ciò non avviene.

Ora, la domanda che ci si pone è la seguente: come si presenta oggi la situazione delle comunità religiose e, più in generale, degli Istituti religiosi per quanto riguarda l’uso del tempo? Quale immagine di ‘efficienza’ offrono oggi le comunità religiose?

Tra efficienza e confusione

È facile rendersi conto che una risposta di carattere generale è praticamente impossibile; forse un singolo Istituto può essere in grado (dovrebbe essere in grado…) di avere alcuni elementi per trovare una risposta a questi interrogativi. In generale, si può affermare che le comunità dove le cose funzionano bene - le comunità efficienti - si somigliano un po’ tutte e presentano aspetti comuni, mentre le comunità non efficienti lo sono ciascuna a modo proprio.

Nelle prime vi è un’assimilazione dell’ideale carismatico e quindi si realizza una identificazione emozionale dei singoli con il gruppo; di conseguenza, si ha un progetto di vita sufficientemente chiaro e definito; gli obiettivi sono esplicitati e condivisi dal gruppo; i ruoli sono ben chiari e tali per cui si sa chi e che cosa ognuno deve fare; ciascun membro dà con gioia e generosità il suo contributo; i processi comunicativi sono tali da favorire un monitoraggio costante dell’andamento della situazione generale e un confronto libero sui problemi che via via si presentano, per cui il gruppo è in grado di metabolizzare i conflitti e superare gli inevitabili problemi che si possono presentare.

Nella misura in cui tutto ciò non avviene, possono presentarsi diverse situazioni che poco o tanto creano tensioni all’interno della comunità e la mettono nelle condizioni di non essere efficiente e di non disporre al meglio delle risorse umane di cui dispone per il raggiungimento dei suoi obiettivi. La casistica è varia.

Ci possono essere, ad esempio, religiosi sotto-occupati, che non sanno come gestire il tempo o che si annoiano in chiacchiere o occupazioni futili e poco significative per loro, con conseguente senso di frustrazione e problemi di identità. A volte ciò dipende da una insufficiente progettazione comunitaria, oppure da una scarsa attenzione ai talenti e alle caratteristiche personali dei singoli (non si valorizzano i loro interessi e le loro attitudini), oppure non si danno responsabilità significative alle persone.1

In altri casi ci si trova in presenza di religiosi che amano la vita comoda, ‘borghese’, hanno scarse motivazioni apostoliche, passano il tempo nel coltivare qualche hobby personale (leggere giornali, internet, telefono…), si creano un gruppo ristretto di relazioni personali alle quali dedicano tempo e attenzioni particolari.

Non mancano, poi, soggetti che presentano un elevato grado di dinamicità e di impegno, ma il loro impegno è marcatamente di tipo individualista. Hanno generalmente un loro settore di lavoro ben definito e vi si dedicano con passione, ma rimane in definitiva un impegno poco o per niente concordato con la comunità, che può portarli anche ad avere orari propri e abitudini di vita che inizialmente erano viste come eccezioni alla regola, ma che con il tempo sono diventate abitudini ben consolidate e assai difficili da mettere in questione.

Professionalità e conflitti

In certi casi ci si trova di fronte a persone che, per scelta dell’Istituto, si sono specializzate in qualche particolare settore. Con il passare del tempo la loro competenza si accresce, è per loro fonte di gratificazione (sono, ad esempio, psicologi continuamente richiesti da un numero crescente di persone, o assistenti sociali di cui c’è particolare bisogno per le tante persone in difficoltà), diventano praticamente indisponibili per altri servizi all’interno della comunità, possono anche disporre di una certa indipendenza economica. Tutto ciò può portare un soggetto ad una confusione di identità o alla prevalenza della sua identità professionale sulla identità legata alla sua consacrazione (si sente psicologicamente anzitutto uno psicologo, un assistente sociale, un esperto in economia…).

Ci si può trovare di fronte, infine, a soggetti che si potrebbero definire disadattati, che non riescono - o non vogliono – inserirsi nel dinamismo d’insieme di una comunità, abitualmente scontenti e critici, per i quali i superiori non riescono quasi mai a trovare un ruolo che accettino di svolgere con senso di responsabilità e con personale soddisfazione. Le motivazioni di questa situazione sono riconducibili spesso o ad una scelta religiosa non autentica o ad immaturità psicologica.2

Quando una o più di queste situazioni si verificano, si hanno comunità che presentano un alto tasso di conflittualità e scontento, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un autentico sciupìo di talenti e di risorse umane, si offre l’immagine di una vita religiosa che deresponsabilizza le persone, riesce difficile comprendere come tutto ciò si possa conciliare con l’esempio di tanti padri e madri di famiglia che devono fare sacrifici per far quadrare bilanci e preoccuparsi di trovare (e mantenere) un lavoro dignitoso.

Sapersi organizzare

Le brevi riflessioni sopra riportate dovrebbero essere sufficienti per richiamare l’attenzione dei responsabili di una comunità o di un Istituto religioso sul problema dell’impiego del tempo da parte dei loro membri. Si può anche tentare di proporre qualche spunto operativo. Alcuni esempi.

- L’organizzazione della vita da parte di una persona dipende fondamentalmente dal senso che la vita stessa ha per lei; è la visione teologica della propria esistenza che la guida nelle sue scelte e quindi nel modo di impostare le proprie giornate. In questo senso, per la persona consacrata l’uso del tempo è strettamente collegato con quel senso di identità che essa deve avere: ciò significa che essa deve mantenere viva in sé la coscienza di essere una persona al servizio del Regno di Dio, donata a Dio e ai fratelli e animata da quella carità di Cristo ("chiarita Christi urget nos") di cui parla s. Paolo.3 Questo lei ha accettato solennemente e pubblicamente un giorno davanti a Dio e alla Chiesa. Questo è il punto fondamentale da cui partire per ragionare sull’uso del tempo delle persone consacrate.

- Esercitare un discernimento attento nei confronti delle persone che mostrano di essere portate ad una vita di consacrazione e verificare se, tra i requisiti che esse presentano, c’è anche la volontà di lavorare, impegnarsi, sacrificarsi, collaborare.

- Definire progetti di vita comunitaria chiari, con evidente distinzione dei ruoli, con assegnazione di responsabilità significative ai singoli membri, come si conviene a persone adulte.

- Favorire nei singoli membri la consapevolezza che ognuno di loro deve mantenersi con il proprio lavoro e deve sentirsi responsabile anche dell’andamento economico della propria comunità e del proprio Istituto. Lavorare per avere il diritto di mangiare: anche per il religioso vale quello che dice s. Paolo!

- Saper investire in modo saggio per la formazione o la specializzazione delle persone. Ciò può significare, ad esempio: prevedere tempi definiti per terminare un curricolo di studi (a volte si ha l’impressione che ciò non sia un problema per un Istituto religioso, come lo sarebbe invece per una famiglia, e così un religioso può dilazionare senza particolare preoccupazione la conclusione degli studi); il tempo necessario ad una persona per un determinato curricolo di studi non sia di norma interrotto per destinarla ad altri incarichi e poi magari chiederle di riprendere a distanza di anni; quando si vuole che un membro si specializzi in qualche disciplina o settore particolare, si abbia chiaro fin dall’inizio per quale impiego futuro si ritiene opportuno investire denaro per la sua specializzazione.

Andare oltre se stessi

In conclusione occorre essere convinti che uno dei modi più significativi ed importanti per impiegare il tempo da parte di una persona consacrata è anche lo studio personale. Studio e impegno apostolico devono rappresentare sempre un binomio inscindibile, come insegnava già s. Agostino4.

Prevedere che ci siano tempi adeguati di lavoro e di riposo ed educare all’uso del tempo libero (dovrebbe far problema, almeno in certi casi, che qualcuno della comunità passi ore e ore davanti alla televisione o nell’uso del computer...). Due pericoli sono in ogni caso da evitare: la pigrizia e l’attivismo.

Infine, tra gli aspetti della vita comunitaria a cui riservare attenzione durante gli incontri di comunità, vi sia qualche volta – oltre naturalmente la qualità della liturgia o l’osservanza dei voti o la fedeltà al carisma… - anche questo: come i singoli membri impiegano il loro tempo, chi deve fare e come farlo, se c’è un clima di vita laboriosa e impegnata o se invece ci sono persone che si distinguono per scarso rendimento.

Quale immagine di persona consacrata potrebbe emergere dalle precedenti considerazioni? Non certamente quella della persona indaffarata e frenetica, programmata e inavvicinabile perché sempre occupata nelle cose da fare. È piuttosto l’immagine di una persona tranquilla e operosa nello stesso tempo, convinta che riceviamo la vita "andando oltre noi stessi, non guardando a noi, ma dandosi all’altro nell’umiltà dell’amore… Diveniamo ricchi allontanandoci da noi stessi".5

Aldo Basso
Seminario Arcivescovile
Via Cairoli 20 - 46100 Mantova

1 Erikson afferma che "la persona matura ha bisogno che gli altri abbiano bisogno di lei". Quando un soggetto ha la sensazione che tutto sommato sia indifferente che lui ci sia o non ci sia, ciò diventa un’esperienza profondamente frustrante per lui.

2 Freud, a chi gli chiedeva da che cosa si riconosce la persona matura, affermava che essa è colei che sa "amare e lavorare". Risposta particolarmente profonda: si tratta della capacità di superare il narcisismo infantile per uscire da se stessi e investire le proprie energie nell’amore degli altri e nel lavoro (responsabilità) che si svolge, inteso quest’ultimo come una modalità concreta di essere utile al mondo e alla realtà circostante.

3 In realtà, ogni cristiano deve pensare come rendere utile e santa davanti a Dio la propria vita, "persuaso - come afferma Manzoni - che la vita non è destinata ad essere un peso per molti, e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego, del quale ognuno renderà conto" (I Promessi Sposi, cap. XXII).

4 "Otium sanctum quaerit charitas veritatis, negotium justum suscipit necessitas charitatis" (De civitate Dei, c. 19, n. 19). Il senso di questa profonda intuizione di Agostino si può tradurre pressappoco così, tenendo conto della difficoltà che abitualmente si incontra quando si tratta di rendere in italiano il suo pensiero: "La carità della verità ha bisogno di un tempo consacrato alla riflessione, l’urgenza della carità si fa carico di un impegno doveroso".

5 BENEDETTO XVI, Discorso in occasione della sua visita alla Chiesa evangelica luterana di Roma il 14 marzo 2010. Al pensiero del papa si può accostare anche quello di un grande pensatore ebreo: "Questo è il significato dell’esistenza: riconciliare la libertà col servizio, l’effimero col durevole, ordire i fili temporali nel tessuto dell’eternità. La saggezza più profonda cui può giungere l’uomo consiste nel sapere che il suo destino è aiutare, servire" (A. J. HESCHEL, L’uomo non è solo, Rusconi, Milano 1987, 292).

 

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