n. 6
giugno 2010

 

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Imitare Dio Lavorando

di MARIAMARCELLINA PEDICO

 

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Da quando i Benedettini hanno riassunto la vita consacrata nel famoso motto programmatico Ora et labora, il tema del lavoro è tornato spesso nella riflessione teologica e spirituale. Oltre ai traguardi raggiunti è necessario ancora indugiare sul nocciolo della questione, che possiamo così formulare: tutto dipende dal significato che si attribuisce alla vita religiosa nella Chiesa e nella società.

Al riguardo due testi ci sembrano particolarmente chiari: Ripartire da Cristo e Vita consecrata. L’Istruzione Ripartire da Cristo sottolinea il necessario legame con l’esperienza del divin fondatore del movimento cristiano, che include il lavoro di Nazaret: "… la vita consacrata è speciale sequela di Cristo, memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli [...]; è immedesimarsi con lui, assumendone i sentimenti e la forma di vita; è una vita afferrata da Cristo, toccata dalla mano di Cristo, raggiunta dalla sua voce, sorretta dalla sua grazia" (n. 22) Vita consacrata da parte sua precisa il fine da perseguire in ogni attività :"…compito della vita consacrata è di lavorare in ogni parte della terra per consolidare e dilatare il Regno di Cristo" (n. 78a).

Se dunque la vita religiosa va intesa "come una scelta radicale di fede che fa del

al Vangelo è il contributo maggiore che si possa dare al bene del- l’uomo, allora anche il lavoro nella vita religiosa trova il suo giusto posto " (L. Guccini). In realtà, il nodo principale da sciogliere non è quello di sapere se devo o no impegnarmi in un lavoro retribuito, ma di vedere come e per quali vie posso spendere al meglio la mia vita perché serva davvero alla causa dell’edificazione del Regno. Se si perde questa prospettiva si può arrivare un po’ alla volta alla secolarizzazione della stessa vita religiosa e alla perdita della propria identità.

Una prima pagina della Bibbia che riflette teologicamente sull’esperienza del lavoro è Genesi 2-3. L’autore descrive le due facce del lavoro: come esso è pensato da Dio e come oggi, di fatto, l’uomo lo vive, e se ne chiede il perché. Il lavoro appartiene all’uomo prima del peccato e rientra, perciò, nel disegno primordiale di Dio. Una seconda pagina di grande densità teologica è il racconto della creazione di Genesi 1. Tre sono i suoi insegnamenti fondamentali: Dio è l’unico Signore dell’intera creazione; tutte le creature uscite dalle sue mani sono buone; l’uomo ha nel mondo un primato e una responsabilità. In questo contesto si accenna al lavoro. "L’uomo, creato a immagine di Dio, - afferma Giovanni Paolo II nella Laborem exercens - mediante il suo lavoro partecipa all’opera del Creatore. [...]. La descrizione della creazione è, in un certo senso, il primo "Vangelo del lavoro". Essa dimostra, infatti, in che cosa consista la sua dignità: insegna che l’uomo lavorando deve imitare Dio, suo Creatore, perché porta in sé - egli solo - il singolare elemento della somiglianza con lui. [...]" (LE 25).

Già il Concilio aveva enucleato le finalità insite nel lavoro cristiano: "Gli uomini e le donne che con il loro lavoro prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e danno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia"(GS 34).

La verità, secondo la quale l’uomo partecipa all’opera di Dio stesso, suo Creatore, è messa in particolare risalto da Gesù, quel Gesù di fronte al quale molti dei suoi primi uditori a Nazaret "rimanevano stupiti e dicevano: Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? [...]. Non è costui il falegname?" (Mc 6,2-3). Due dati salienti sono offerti dal Nuovo Testamento: il fatto che il Figlio di Dio ha dedicato gran parte della sua vita come un comune operaio, e il fatto che il lavoro, come ogni altra cosa, deve proclamare il primato del Regno, non oscurarlo. Certamente, sottolineano i biblisti, i molti anni che il Figlio di Dio ha passato nel lavoro non si possono considerare anni vuoti, bensì rivelatori e redentori, come saranno più tardi i pochi anni della vita pubblica.

Questo pone il lavoro dell’uomo in una luce nuova. L’incarnazione ha lasciato, in apparenza, tutto come prima (ancora la fatica, i pericoli del lavoro…), ma in profondità ha tutto rinnovato. Il lavoro di Gesù è uno dei segni più eloquenti che il Figlio ha condiviso pienamente la nostra condizione umana. Afferma il Concilio: "… ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo" (GS 22). Ma possiamo anche dire: lavorando noi condividiamo, a nostra volta, l’esistenza di Gesù, siamo solidali con la sua fatica e la sua redenzione. Così il lavoro di Gesù ci offre nel contempo una rivelazione e un’opportunità: rivela la solidarietà del Figlio di Dio con noi e ci indica il modo di solidarizzare con lui.

Se è vero che Gesù non ha speso molte parole per parlare del lavoro, è altrettanto vero che ha desunto ampiamente dalla vita dei lavoratori le immagini per parlare del Regno di Dio: il lavoro del seminatore, la pazienza del contadino che attende il frutto, la fatica mai terminata del servo che dopo una giornata piena di lavoro deve ancora servire il padrone a tavola, la preoccupazione del pastore per le sue pecore, i braccianti chiamati a lavorare nella vigna. Più che un discorso sul lavoro, sono immagini desunte dal mondo del lavoro per parlare d’altro. Ma sta proprio qui l’interesse: per Gesù l’esperienza del lavoro è una di quelle essenziali esperienze che permettono al consacrato, come pure ad ogni discepolo, - se sa leggerle - di aprirsi alla comprensione del Regno di Dio. Questo, però, è solo un aspetto del rapporto fra Regno di Dio e lavo- ro dell’uomo. Se è vero che la sua esperienza serve a Gesù per aprire l’uomo alla comprensione del Regno, è ancora più vero che la rivelazione del Regno diventa per il consacrato l’unico criterio per valutare il lavoro, cioè indica lo scopo stesso della consacrazione, che è sempre il Regno di Dio. Consideriamo due frasi pronunciate da Gesù perché si rivelano particolarmente chiare e attuali. La prima è tratta dal Vangelo di Matteo: "Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; ... Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia" (Mt 6,31-33). Il lavoro, qualsiasi lavoro, deve sottomettersi al primato del Regno, non rinnegarlo, né oscurarlo, come avviene quando il lavoro si trasforma in affanno. Il lavoro si snatura non soltanto per l’avidità di possedere, ma soprattutto per mancanza di fede.

che rovina il lavoro è la persuasione che tutto dipenda da noi. La seconda frase è tratta da Luca: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23). In quell’ogni giorno, che il confronto con Matteo (16,24) e Marco (8,34) rivela essere proprio di Luca, è difficile non vedere la fatica quotidiana del lavoro. La fatica del lavoro è luogo di sequela, è la normale condivisione della croce di Cristo.

Amiche lettrici e cari lettori, il sesto numero del 2010 di Consacrazione e Servizio che avete tra mano si apre con la consueta rubrica: "Figlie della promessa", affidata al biblista Tiziano Lorenzin, in sintonia con il tema annuale indicato dalla Presidenza Usmi. Nel percorrere il cammino di fede di Abramo con il Signore, il narratore ispirato ci presenta il piano di Dio assolutamente più grande del piccolo progetto d Abramo.

"Anno Sacerdotale" e "Orizzonti". Nella prima rubrica Paola Bignardi intervista don Luisito Bianchi, prete da 59 anni, che ha una ricca storia alle spalle, un prete scrittore, reso famoso per il suo romanzo La Messa dell’uomo disarmato, ritenuto un capolavoro di umanità. La seconda rubrica arricchisce il numero con tre contributi. Il pr mo di Lorena Bianchetti, giovane giornalista, rievoca le forti emozioni sperimentate in piazza San Pietro il 25 marzo 2010 in occasione dei 25 anni della GMG partecipata da 75.000 giovani. Il secondo, di Maria Campatelli del Centro Aletti, descrive il profilo biografico-spirituale dell’indimenticabile cardinale ˇ Spidlík, definito da Benedetto XVI "un grande uomo di fede". Il terzo contributo del teologo Ugo Sartorio, direttore de Il Messaggero di Sant’Antonio, presenta un percorso critico sul convegno dedicato ai "Testimoni digitali", un importante incontro molto partecipato per "alzare le vele nella Rete".

Una parola particolare per il "Dossier". Sotto il titolo: "… guadagnarsi il pane lavorando", espressione tratta dalla Seconda Lettera ai Tessalonicesi 3,12, sono raccolti cinque studi sintetizzati nel sottotitolo con la frase: "Lavoro e vita consacrata". Si tratta di un tema che si è posto in questi anni in termini nuovi e che rimane di massima attualità. I primi tre contributi riflettono sul significato del lavoro in prospettiva biblica (Cristina Caracciolo), antropologica (Michelina Tenace), spirituale (Badessa Anna Maria Cànopi). Gli ultimi due indugiano rispettivamente sulla parabola dei talenti (Teresa Simionato) e sull’uso del tempo nella vita religiosa (Aldo Basso). Anche il presente Editoriale ha inteso allargare lo sguardo su come il lavoro vada assunto quale dono e missione di una vocazione per il Regno, come la vita religiosa esige.

Oltre alle consuete esplorazioni sui film (Teresa Braccio) e le segnalazioni di libri (Rita Bonfrate), un accenno va alla rubrica: "Facce di preti", affidata alla teologa Cettina Militello, che rilegge in maniera critica romanzi classici che vedono protagonisti i preti: in questo numero viene presentato il romanzo Lo zio prete dello scrittore milanese Luigi Santucci.Ad ogni lettrice e lettore "buona lettura!".

Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it