In
ogni tipo di relazione è coinvolta tutta la persona. Non è possibile
trattare l’aspetto spirituale e teologico delle relazioni senza
implicare anche la realtà fisica e le dinamiche psicologiche. Tuttavia,
nel "registro delle relazioni", proviamo a evocare alcuni tratti di
rilevanza più spirituale.
Uomo-donna, marito-moglie
La prima relazione presentata nella Bibbia come
teologicamente significativa è quella tra uomo e donna. La rivelazione
del racconto della creazione è il fatto che l’essere umano è
sessualmente identificato come maschile o femminile, e che questo uomo
(maschio e femmina) è creato secondo "l’immagine e la somiglianza di
Dio". Questa è la vocazione di ogni essere umano: nella relazione con
uno diverso diventare una sola carne. La medesima vocazione è data
all’umanità come tale che, nella relazione con Dio - il diverso assoluto
-, sarà chiamata a diventare una sola carne, costituendo così la Chiesa
nell’eucaristia, ossia una famiglia di figli. La chiamata alla comunione
nella diversità è dunque parte essenziale del significato spirituale
dell’unione coniugale.
Nella relazione marito-moglie si rivela una grande
verità della fede: si risuscita nella misura in cui si ama e si perde la
vita per amore. L’amore ci rende simili a Cristo, realizza in noi la
verità dell’essere ad immagine e somiglianza di Dio che è amore.
Incamminarsi in una vita in cui si promette di mettere in pratica la
salvezza, come amore e fedeltà all’amore, è incamminarsi alla
manifestazione della nuova creatura, in quanto liberamente si accetta di
percorrere la via della Pasqua.
La vita cristiana degli sposi li predispone alla
santità, non solo per la sofferenza della trasformazione dall’uomo
vecchio alla nuova creatura, ma anche per i frutti di novità che il loro
amore porta nella società. "È una vera passione portare il duro
sacrificio di ogni giorno", afferma Giovanni Crisostomo. Questa passione
prepara il regno di Dio, crea spazi di accoglienza della vita, di
godimento dei beni creati, inventa strutture di cura dei più deboli
(troppo piccoli o troppi anziani), assicura una dignità per tutti.
L’amore crea la famiglia, la società, la Chiesa: "Non
c’è nulla di più grande dell’amore, né che uguagli l’amore, nemmeno il
martirio, che è l’apice di tutti i beni... L’amore, infatti, anche senza
il martirio rende discepoli di Cristo, mentre non è possibile affrontare
il martirio senza l’amore " (Giovanni Crisostomo). Dalla concezione
dell’amore fra uomo e donna dipende il destino di una persona, di una
civiltà e dell’umanità.
Padre e madre, "morti da seppellire"?
La relazione umanamente prima e fondante è quella in
cui si viene al mondo: si nasce in uno spazio sacramentale, si nasce
come espressione e incarnazione dell’amore. La sicurezza esistenziale
che rappresenta la figura paterna e materna è profondamente teologica:
non è possibile nascere e vivere senza questo ambiente sacramentale che
dà alla vita la speranza di una qualità umana.
Anche su questo Gesù sconvolge la nostra logica: non
chiamate nessuno né padre, né madre. Nella relazione con il padre o con
la madre c’è il pericolo di una identificazione della vita con quanto
proviene da loro. Non chiamare nessuno padre e madre significa che la
vita della persona umana non può essere ridotta né identificata con
nulla di creato. Ognuno di noi è più di uno che ha o non ha una madre
perché ha la vita del Padre celeste; ognuno è più di uno che ha o non ha
avuto un padre e dei fratelli, delle sorelle, perché ha ricevuto Cristo
e con lui una familiarità con Dio e una famiglia vera che è l’umanità
intera.
Padre, madre, maestro… sono relazioni che possono
indicare "luoghi di morte", ossia rappresentare la percezione di sé come
vecchio Adamo e non come nuovo Adamo rigenerato dall’amore di Dio, ossia
dal battesimo.
Le relazioni umane evocano un concetto di vita, uno
stile di vita e di cultura. La vita nuova del battesimo ci ha introdotti
nello stile di vita e di cultura propri di Dio. Lo stile di vita da
figli è quello di Cristo. La cultura del battesimo è quella che hanno
saputo creare i santi. Padre e madre sono "morti da seppellire", se ci
impediscono di vivere la vita divina.
Le parole di Gesù sono un invito a passare dalla coscienza della vita
che viene dai genitori alla coscienza di possedere in noi il dono della
vita dello Spirito da far crescere.
Fratelli: un dono da accogliere
Sulla fraternità si deve essere particolarmente
cauti. La storia ci mostra che nell’umanità i figli della stessa madre e
dello stesso padre non sono sempre capaci di essere fratelli. La Bibbia
sembra parlare solo di questo. Dio è Padre e gli uomini sono dei figli
che non sanno vivere da fratelli, o dei fratelli che non vogliono avere
un Padre. Quasi tutti gli esempi di fratelli nella Scrittura sono
tragici: Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, il figlio prodigo e il fratello
avaro. Sono pochi gli esempi di fratelli edificanti, a parte i sette
fratelli che muoiono per la loro fede, perché solo di fronte alla morte
si ridimensiona la meschinità delle rivalità. Infatti, la fratellanza
universale si manifesta di più nelle occasioni in cui la vita è
minacciata e quando la solidarietà si rivela unica àncora di salvezza.
E noi sappiamo come la fraternità sia difficile anche
nelle comunità religiose. Perché? Il fratello, la sorella si ricevono
così come sono, non si sceglie di averli, né di avere proprio loro. Si
subiscono, si sopportano; si amino o no, comunque sia, non ci si può
liberare. Neanche se vengono eliminati. Caino rimane nella storia il
fratello assassino di Abele, anche quando Abele scompare dalla scena!
La vera fraternità manifesta l’amore di Dio. La
fraternità non è lo scopo della vita da redenti; lo scopo è entrare
nella gioia del Padre che ama tutti i figli! È arrivare alla comunione
della Trinità passando dalla fraternità, dono rivelato dalla croce,
perché il Figlio prediletto ha amato il Padre e ha dato la vita per
amore dei suoi fratelli, perché il Padre nostro è il Padre suo. Cristo
ha manifestato di essere Figlio e fratello proprio mentre moriva per
noi. Ha anche manifestato la vera immagine del Padre, ha rivelato la
potenza dell’essere Figlio che nessuno può uccidere (il fatto di essere
Figlio dipende solo dal Padre e dall’amore del Figlio), ha manifestato
la verità della Risurrezione.
L’accoglienza del fratello o della sorella è
l’accoglienza dell’amore del Padre. Perciò la categoria spirituale nella
quale ci introduce la fratellanza è l’accoglienza, non l’elezione o la
tolleranza. Se non scegli, sei chiamato ad accogliere un dono e a vivere
una dimensione ancora più profonda della libertà e della fiducia. Siamo
tanto più maturi quanto più sappiamo accogliere. Chi sa accogliere il
fratello così com’è, impara ad amarlo in verità, e questo amore può
diventare forza che trasforma e rivela una relazione più profonda,
quella con il Padre.
Il carattere tragico della fraternità è la perdita
del senso dell’amore del Padre e si manifesta come gelosia. Nelle
comunità religiose la gelosia ha generato l’ideologia dell’uguaglianza:
bisogna essere uguali, avere tutti gli stessi diritti, doveri, vacanze,
studi… Nel cuore dell’essere umano c’è una ferita sempre aperta, quella
di identificare l’essere con l’avere, e, nell’avere, paragonarsi
all’altro per non avere di meno. La parità è difficile da trovare,
perché è cercata sempre a livelli che non sono quelli dell’amore del
Padre. La fraternità può essere dunque un inganno se non aspira alla
manifestazione della libertà dei figli di Dio e della "consostanzialità"
di Cristo con ogni uomo. In Cristo si rivela l’unità ontologica di
tutti gli uomini che ci fa fratelli.
Questa è la nostra vocazione e la nostra missione. Il
massimo che ci è chiesto è testimoniare di essere figli. Ignazio di
Antiochia di fronte al martirio non accetta di accontentare i fratelli.
Per lui è chiaro: prima di tutto è figlio del Padre, che gli permette di
consegnare la vita fisica per manifestare la vita divina. Vive il
fondamento della fratellanza testimoniando di essere figlio.
La parola fratellanza non è quindi una parola che
evoca una certa qualità di socializzazione. Le opere di carità
testimoniano che siamo tutti fratelli, e questo è un bene, ma non è lo
scopo ultimo. Se l’altro, attraverso questa testimonianza, non scopre
che Dio è Padre, che lui è amato e dunque chiamato a vivere da figlio,
allora la fraternità o la missione non portano frutto di salvezza, ossia
non hanno rivelato l’amore che sana dalla paura della morte, guarisce
dalle malattie e salva dal peccato.
La fratellanza cristiana non è dunque un complesso di
stati psichici che si disintegrano, ma una testimonianza di essere
legati alla stessa fonte di vita.
L’amicizia, paradigma della vita cristiana
Contrariamente al fratello, l’amico si sceglie e
molti autori spirituali sarebbero d’accordo nel dire che, più della
fratellanza, l’amicizia è il paradigma della vita cristiana. La
tradizione cristiana ha familiarità con il tema. Il breviario latino
presenta nell’Ufficio delle Letture del 2 gennaio una pagina commovente
sull’amicizia fra due santi, Gregorio di Nazianzo († 390) e Basilio di
Cesarea († 380), festeggiati lo stesso giorno. Gregorio, dopo la morte
dell’amico, si considera
"morto per metà e diviso in due parti". E Pavel
Florenskij afferma: "Come nascita misteriosa del Tu, (l’amicizia) è
l’ambiente nel quale incomincia la rivelazione della Verità"1
perché l’amore reciproco ha un potere di rivelazione, è fondamento della
missione e dell’annuncio.
Cosa si può dire in particolare della relazione fra
consacrati? Dal punto di vista della vita spirituale, quale parola di
salvezza porta l’amicizia fra consacrati? Senza dubbio: verità sulla
vocazione, fecondità nell’apertura all’universale.
Verità sulla vocazione
Aelredo di Rievaulx scrive che l’amicizia fra
consacrati è chiamata ad oltrepassare sia le fantasie della sensualità,
sia i capricci del sentimento. Per lui, la vera amicizia è una scuola di
castità. La relazione di amicizia fra consacrati ha come "base iniziale
la purezza dell’intenzione, il magistero della ragione e il freno della
temperanza: il senso di piacere intenso che si aggiungerà a queste cose,
sarà certamente sperimentato come dolcezza, senza per questo cessare di
essere un affetto ordinato".
L’amicizia educa i consacrati ad essere legati e
liberi insieme, vicini e lontani sempre. L’amore fra un uomo e una donna
tende all’unione dei corpi, l’amicizia fra consacrati tende all’unione
dei cuori. La vocazione indica quale è la mediazione del corpo nella
relazione, ma anche l’ascesi dei sentimenti che caratterizza l’amicizia
fra consacrati.
La componente erotica, indispensabile alla vita
stessa, va capita nel senso di componente di desiderio e di godimento
dei beni che procura la presenza della persona amica nella propria vita,
il gusto di crescere come persona in relazione e la gratitudine di
scoprire in un altro una fonte di ispirazione. "L’amicizia ha un
carattere ispiratore di eros spirituale" perché è costituita dal
"superamento del ripiegamento su se stesso" e si alimenta alla
"particolare ispirazione reciproca" (S. Bulgakov).
L’amicizia non è dunque soltanto una questione
sentimentale. Anzi. "Amare suppone che si salga su un monte: il monte
dei propri sentimenti e dei propri desideri, cioè amare suppone che si
superi ciò che si prova. Spesso sono i nostri sentimenti ad impedirci di
amare, perché o amiamo solo in funzione di ciò che ci piace, o non
amiamo a causa di ciò che non ci piace: l’umore (come mi sento e ciò che
sento) è il barometro dell’amore se ci limitiamo ad amare in funzione
dei sentimenti che proviamo … I sentimenti cambiano con i cambiamenti
dell’uomo, con il via vai dei desideri e dei bisogni …".2 Non
l’attrazione fra due corpi alla ricerca di unione, e neanche una
relazione continuamente minacciata dagli alti e bassi dei sentimenti.
Cosa allora?
L’amicizia è quella relazione fra "volti", perché il
volto è la persona nella sua più profonda unicità, verità e bellezza.
Vicini come fratelli, e separati come fratelli. Esseri che sono
spiritualmente fratelli o sorelle possono essere molto vicini, ma il
loro destino, la loro vocazione non è di costruire la loro vita insieme.
La perdita del senso della propria vocazione, della verità di se stesso
e dell’altro è un pericolo per l’amicizia, mentre la grazia
dell’amicizia fa entrare nella terra promessa dello Spirito, dove c’è
verità e carità, compassione e timore, familiarità e distanza.
Apertura alla fratellanza universale
Fecondi lo si diventa in una relazione esclusiva nel
matrimonio. Come i consacrati possono essere fecondi nell’amicizia? Per
la via opposta a quella del matrimonio, ossia nella non esclusività
della relazione.
Generalmente, si pensa che il valore dell’amicizia
sia tanto più grande quanto più l’amico è detto "unico". Certo,
l’amicizia è unica rispetto a tutte le altre modalità di relazioni. Ma
nell’amicizia cristiana, ogni amico, pur nella unicità della relazione,
non può essere l’unico. Nell’amicizia, lo Spirito è dono di comunione e
apre all’universale, non chiude sul particolare.
È proprio del dinamismo dello Spirito il fatto che un
amore particolare diventa universale, il fatto cioè che "in ogni amore,
possiamo fare spazio a Dio affinché egli vi dimori" (T. Radcliffe).
Allora è superato il rischio di fare dell’amicizia una specie di egoismo
vissuto a due, un amore rivolto più all’immagine di sé nell’altro, che
veramente ad un altro come tale tramite il quale si incontrano tutti.
Nell’amicizia vera il terzo deve essere sempre
presente, o atteso, o accolto, o invocato. Il libro di Aelred de
Rievaulx sull’amicizia comincia col precisare che, mentre scrive, sente
che è presente lui, l’amico e "un terzo in mezzo a noi, il Cristo".
La prova di autenticità dell’amicizia, la prova della
presenza del Terzo e la forza che fa durare ogni relazione è la capacità
di aprirsi all’amore per il non amabile, per il nemico. Scrive sant’Agostino:
"Beato chi ama te, e il suo amico in te, e il suo nemico a causa di te"
(Le Confessioni IV 9,14).
Venga il tuo Spirito
La persona umana si realizza nella comunione, nella
libera adesione alla realtà dell’altro. La sfida della testimonianza
oggi è la sfida della personalità, e dunque di una relazionalità sana,
fra i membri di una famiglia, di una società e anche fra le varie realtà
di Chiesa. Questo manca nel mondo ed è quello che l’umanità chiede ad
ogni cristiano. Come cristiani abbiamo una risposta da far vedere perché
il mondo creda nella famiglia, nell’amicizia, nella Chiesa?
"Venga il tuo Regno", lo sappiamo, aveva in alcune
varianti del Padre Nostro "Venga il tuo Spirito". Lo Spirito Santo è
comunione. Per lui possiamo chiamare Dio Abbà, Padre, e in lui
possiamo riconoscere l’altro come immagine di Dio. La relazione, se è
legata alla manifestazione dello Spirito Santo, è consolazione, è
ecclesialità.
1 P. FLORENSKIJ, Colonna e fondamento della verità, Rusconi,
Milano 1974, 456.
2 M. B. BERNARD, "L’amitié chez Aelred et Augustin", in
Collectanea Cisterciensia 68 (2006) 51.
Michelina Tenace
Centro Aletti
Via Paolina, 25 – 00184 Roma