n. 11
novembre 2010

 

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Colori e sfumature spirituali delle relazioni

di MICHELINA TENACE

 

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In ogni tipo di relazione è coinvolta tutta la persona. Non è possibile trattare l’aspetto spirituale e teologico delle relazioni senza implicare anche la realtà fisica e le dinamiche psicologiche. Tuttavia, nel "registro delle relazioni", proviamo a evocare alcuni tratti di rilevanza più spirituale.

Uomo-donna, marito-moglie

La prima relazione presentata nella Bibbia come teologicamente significativa è quella tra uomo e donna. La rivelazione del racconto della creazione è il fatto che l’essere umano è sessualmente identificato come maschile o femminile, e che questo uomo (maschio e femmina) è creato secondo "l’immagine e la somiglianza di Dio". Questa è la vocazione di ogni essere umano: nella relazione con uno diverso diventare una sola carne. La medesima vocazione è data all’umanità come tale che, nella relazione con Dio - il diverso assoluto -, sarà chiamata a diventare una sola carne, costituendo così la Chiesa nell’eucaristia, ossia una famiglia di figli. La chiamata alla comunione nella diversità è dunque parte essenziale del significato spirituale dell’unione coniugale.

Nella relazione marito-moglie si rivela una grande verità della fede: si risuscita nella misura in cui si ama e si perde la vita per amore. L’amore ci rende simili a Cristo, realizza in noi la verità dell’essere ad immagine e somiglianza di Dio che è amore. Incamminarsi in una vita in cui si promette di mettere in pratica la salvezza, come amore e fedeltà all’amore, è incamminarsi alla manifestazione della nuova creatura, in quanto liberamente si accetta di percorrere la via della Pasqua.

La vita cristiana degli sposi li predispone alla santità, non solo per la sofferenza della trasformazione dall’uomo vecchio alla nuova creatura, ma anche per i frutti di novità che il loro amore porta nella società. "È una vera passione portare il duro sacrificio di ogni giorno", afferma Giovanni Crisostomo. Questa passione prepara il regno di Dio, crea spazi di accoglienza della vita, di godimento dei beni creati, inventa strutture di cura dei più deboli (troppo piccoli o troppi anziani), assicura una dignità per tutti.

L’amore crea la famiglia, la società, la Chiesa: "Non c’è nulla di più grande dell’amore, né che uguagli l’amore, nemmeno il martirio, che è l’apice di tutti i beni... L’amore, infatti, anche senza il martirio rende discepoli di Cristo, mentre non è possibile affrontare il martirio senza l’amore " (Giovanni Crisostomo). Dalla concezione dell’amore fra uomo e donna dipende il destino di una persona, di una civiltà e dell’umanità.

Padre e madre, "morti da seppellire"?

La relazione umanamente prima e fondante è quella in cui si viene al mondo: si nasce in uno spazio sacramentale, si nasce come espressione e incarnazione dell’amore. La sicurezza esistenziale che rappresenta la figura paterna e materna è profondamente teologica: non è possibile nascere e vivere senza questo ambiente sacramentale che dà alla vita la speranza di una qualità umana.

Anche su questo Gesù sconvolge la nostra logica: non chiamate nessuno né padre, né madre. Nella relazione con il padre o con la madre c’è il pericolo di una identificazione della vita con quanto proviene da loro. Non chiamare nessuno padre e madre significa che la vita della persona umana non può essere ridotta né identificata con nulla di creato. Ognuno di noi è più di uno che ha o non ha una madre perché ha la vita del Padre celeste; ognuno è più di uno che ha o non ha avuto un padre e dei fratelli, delle sorelle, perché ha ricevuto Cristo e con lui una familiarità con Dio e una famiglia vera che è l’umanità intera.

Padre, madre, maestro… sono relazioni che possono indicare "luoghi di morte", ossia rappresentare la percezione di sé come vecchio Adamo e non come nuovo Adamo rigenerato dall’amore di Dio, ossia dal battesimo.

Le relazioni umane evocano un concetto di vita, uno stile di vita e di cultura. La vita nuova del battesimo ci ha introdotti nello stile di vita e di cultura propri di Dio. Lo stile di vita da figli è quello di Cristo. La cultura del battesimo è quella che hanno saputo creare i santi. Padre e madre sono "morti da seppellire", se ci impediscono di vivere la vita divina.

Le parole di Gesù sono un invito a passare dalla coscienza della vita che viene dai genitori alla coscienza di possedere in noi il dono della vita dello Spirito da far crescere.

Fratelli: un dono da accogliere

Sulla fraternità si deve essere particolarmente cauti. La storia ci mostra che nell’umanità i figli della stessa madre e dello stesso padre non sono sempre capaci di essere fratelli. La Bibbia sembra parlare solo di questo. Dio è Padre e gli uomini sono dei figli che non sanno vivere da fratelli, o dei fratelli che non vogliono avere un Padre. Quasi tutti gli esempi di fratelli nella Scrittura sono tragici: Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, il figlio prodigo e il fratello avaro. Sono pochi gli esempi di fratelli edificanti, a parte i sette fratelli che muoiono per la loro fede, perché solo di fronte alla morte si ridimensiona la meschinità delle rivalità. Infatti, la fratellanza universale si manifesta di più nelle occasioni in cui la vita è minacciata e quando la solidarietà si rivela unica àncora di salvezza.

E noi sappiamo come la fraternità sia difficile anche nelle comunità religiose. Perché? Il fratello, la sorella si ricevono così come sono, non si sceglie di averli, né di avere proprio loro. Si subiscono, si sopportano; si amino o no, comunque sia, non ci si può liberare. Neanche se vengono eliminati. Caino rimane nella storia il fratello assassino di Abele, anche quando Abele scompare dalla scena!

La vera fraternità manifesta l’amore di Dio. La fraternità non è lo scopo della vita da redenti; lo scopo è entrare nella gioia del Padre che ama tutti i figli! È arrivare alla comunione della Trinità passando dalla fraternità, dono rivelato dalla croce, perché il Figlio prediletto ha amato il Padre e ha dato la vita per amore dei suoi fratelli, perché il Padre nostro è il Padre suo. Cristo ha manifestato di essere Figlio e fratello proprio mentre moriva per noi. Ha anche manifestato la vera immagine del Padre, ha rivelato la potenza dell’essere Figlio che nessuno può uccidere (il fatto di essere Figlio dipende solo dal Padre e dall’amore del Figlio), ha manifestato la verità della Risurrezione.

L’accoglienza del fratello o della sorella è l’accoglienza dell’amore del Padre. Perciò la categoria spirituale nella quale ci introduce la fratellanza è l’accoglienza, non l’elezione o la tolleranza. Se non scegli, sei chiamato ad accogliere un dono e a vivere una dimensione ancora più profonda della libertà e della fiducia. Siamo tanto più maturi quanto più sappiamo accogliere. Chi sa accogliere il fratello così com’è, impara ad amarlo in verità, e questo amore può diventare forza che trasforma e rivela una relazione più profonda, quella con il Padre.

Il carattere tragico della fraternità è la perdita del senso dell’amore del Padre e si manifesta come gelosia. Nelle comunità religiose la gelosia ha generato l’ideologia dell’uguaglianza: bisogna essere uguali, avere tutti gli stessi diritti, doveri, vacanze, studi… Nel cuore dell’essere umano c’è una ferita sempre aperta, quella di identificare l’essere con l’avere, e, nell’avere, paragonarsi all’altro per non avere di meno. La parità è difficile da trovare, perché è cercata sempre a livelli che non sono quelli dell’amore del Padre. La fraternità può essere dunque un inganno se non aspira alla manifestazione della libertà dei figli di Dio e della "consostanzialità" di Cristo con ogni uomo. In Cristo si rivela l’unità ontologica di tutti gli uomini che ci fa fratelli.

Questa è la nostra vocazione e la nostra missione. Il massimo che ci è chiesto è testimoniare di essere figli. Ignazio di Antiochia di fronte al martirio non accetta di accontentare i fratelli. Per lui è chiaro: prima di tutto è figlio del Padre, che gli permette di consegnare la vita fisica per manifestare la vita divina. Vive il fondamento della fratellanza testimoniando di essere figlio.

La parola fratellanza non è quindi una parola che evoca una certa qualità di socializzazione. Le opere di carità testimoniano che siamo tutti fratelli, e questo è un bene, ma non è lo scopo ultimo. Se l’altro, attraverso questa testimonianza, non scopre che Dio è Padre, che lui è amato e dunque chiamato a vivere da figlio, allora la fraternità o la missione non portano frutto di salvezza, ossia non hanno rivelato l’amore che sana dalla paura della morte, guarisce dalle malattie e salva dal peccato.

La fratellanza cristiana non è dunque un complesso di stati psichici che si disintegrano, ma una testimonianza di essere legati alla stessa fonte di vita.

L’amicizia, paradigma della vita cristiana

Contrariamente al fratello, l’amico si sceglie e molti autori spirituali sarebbero d’accordo nel dire che, più della fratellanza, l’amicizia è il paradigma della vita cristiana. La tradizione cristiana ha familiarità con il tema. Il breviario latino presenta nell’Ufficio delle Letture del 2 gennaio una pagina commovente sull’amicizia fra due santi, Gregorio di Nazianzo († 390) e Basilio di Cesarea († 380), festeggiati lo stesso giorno. Gregorio, dopo la morte dell’amico, si considera

"morto per metà e diviso in due parti". E Pavel Florenskij afferma: "Come nascita misteriosa del Tu, (l’amicizia) è l’ambiente nel quale incomincia la rivelazione della Verità"1 perché l’amore reciproco ha un potere di rivelazione, è fondamento della missione e dell’annuncio.

Cosa si può dire in particolare della relazione fra consacrati? Dal punto di vista della vita spirituale, quale parola di salvezza porta l’amicizia fra consacrati? Senza dubbio: verità sulla vocazione, fecondità nell’apertura all’universale.

Verità sulla vocazione

Aelredo di Rievaulx scrive che l’amicizia fra consacrati è chiamata ad oltrepassare sia le fantasie della sensualità, sia i capricci del sentimento. Per lui, la vera amicizia è una scuola di castità. La relazione di amicizia fra consacrati ha come "base iniziale la purezza dell’intenzione, il magistero della ragione e il freno della temperanza: il senso di piacere intenso che si aggiungerà a queste cose, sarà certamente sperimentato come dolcezza, senza per questo cessare di essere un affetto ordinato".

L’amicizia educa i consacrati ad essere legati e liberi insieme, vicini e lontani sempre. L’amore fra un uomo e una donna tende all’unione dei corpi, l’amicizia fra consacrati tende all’unione dei cuori. La vocazione indica quale è la mediazione del corpo nella relazione, ma anche l’ascesi dei sentimenti che caratterizza l’amicizia fra consacrati.

La componente erotica, indispensabile alla vita stessa, va capita nel senso di componente di desiderio e di godimento dei beni che procura la presenza della persona amica nella propria vita, il gusto di crescere come persona in relazione e la gratitudine di scoprire in un altro una fonte di ispirazione. "L’amicizia ha un carattere ispiratore di eros spirituale" perché è costituita dal "superamento del ripiegamento su se stesso" e si alimenta alla "particolare ispirazione reciproca" (S. Bulgakov).

L’amicizia non è dunque soltanto una questione sentimentale. Anzi. "Amare suppone che si salga su un monte: il monte dei propri sentimenti e dei propri desideri, cioè amare suppone che si superi ciò che si prova. Spesso sono i nostri sentimenti ad impedirci di amare, perché o amiamo solo in funzione di ciò che ci piace, o non amiamo a causa di ciò che non ci piace: l’umore (come mi sento e ciò che sento) è il barometro dell’amore se ci limitiamo ad amare in funzione dei sentimenti che proviamo … I sentimenti cambiano con i cambiamenti dell’uomo, con il via vai dei desideri e dei bisogni …".2 Non l’attrazione fra due corpi alla ricerca di unione, e neanche una relazione continuamente minacciata dagli alti e bassi dei sentimenti. Cosa allora?

L’amicizia è quella relazione fra "volti", perché il volto è la persona nella sua più profonda unicità, verità e bellezza. Vicini come fratelli, e separati come fratelli. Esseri che sono spiritualmente fratelli o sorelle possono essere molto vicini, ma il loro destino, la loro vocazione non è di costruire la loro vita insieme. La perdita del senso della propria vocazione, della verità di se stesso e dell’altro è un pericolo per l’amicizia, mentre la grazia dell’amicizia fa entrare nella terra promessa dello Spirito, dove c’è verità e carità, compassione e timore, familiarità e distanza.

Apertura alla fratellanza universale

Fecondi lo si diventa in una relazione esclusiva nel matrimonio. Come i consacrati possono essere fecondi nell’amicizia? Per la via opposta a quella del matrimonio, ossia nella non esclusività della relazione.

Generalmente, si pensa che il valore dell’amicizia sia tanto più grande quanto più l’amico è detto "unico". Certo, l’amicizia è unica rispetto a tutte le altre modalità di relazioni. Ma nell’amicizia cristiana, ogni amico, pur nella unicità della relazione, non può essere l’unico. Nell’amicizia, lo Spirito è dono di comunione e apre all’universale, non chiude sul particolare.

È proprio del dinamismo dello Spirito il fatto che un amore particolare diventa universale, il fatto cioè che "in ogni amore, possiamo fare spazio a Dio affinché egli vi dimori" (T. Radcliffe). Allora è superato il rischio di fare dell’amicizia una specie di egoismo vissuto a due, un amore rivolto più all’immagine di sé nell’altro, che veramente ad un altro come tale tramite il quale si incontrano tutti.

Nell’amicizia vera il terzo deve essere sempre presente, o atteso, o accolto, o invocato. Il libro di Aelred de Rievaulx sull’amicizia comincia col precisare che, mentre scrive, sente che è presente lui, l’amico e "un terzo in mezzo a noi, il Cristo".

La prova di autenticità dell’amicizia, la prova della presenza del Terzo e la forza che fa durare ogni relazione è la capacità di aprirsi all’amore per il non amabile, per il nemico. Scrive sant’Agostino: "Beato chi ama te, e il suo amico in te, e il suo nemico a causa di te" (Le Confessioni IV 9,14).

Venga il tuo Spirito

La persona umana si realizza nella comunione, nella libera adesione alla realtà dell’altro. La sfida della testimonianza oggi è la sfida della personalità, e dunque di una relazionalità sana, fra i membri di una famiglia, di una società e anche fra le varie realtà di Chiesa. Questo manca nel mondo ed è quello che l’umanità chiede ad ogni cristiano. Come cristiani abbiamo una risposta da far vedere perché il mondo creda nella famiglia, nell’amicizia, nella Chiesa?

"Venga il tuo Regno", lo sappiamo, aveva in alcune varianti del Padre Nostro "Venga il tuo Spirito". Lo Spirito Santo è comunione. Per lui possiamo chiamare Dio Abbà, Padre, e in lui possiamo riconoscere l’altro come immagine di Dio. La relazione, se è legata alla manifestazione dello Spirito Santo, è consolazione, è ecclesialità.

1 P. FLORENSKIJ, Colonna e fondamento della verità, Rusconi, Milano 1974, 456.

2 M. B. BERNARD, "L’amitié chez Aelred et Augustin", in Collectanea Cisterciensia 68 (2006) 51.

Michelina Tenace
Centro Aletti
Via Paolina, 25 – 00184 Roma

 

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