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n.2
marzo/aprile 2014

 

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Ritrovare la gioia
in cammino col vivente

di BRUNO SECONDIN

 

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Una nota del tutto particolare delle esperienze pasquali raccontate nei vangeli è la gioia intima che prende e sorprende quelli e quelle che incontrano il risorto. Ne aveva parlato Gesù con frequenza attraverso le parabole del Regno come pienezza finale (cf. Mt 18,3; 25,21; Lc 15,7.10; 19,17), ne aveva esplicitamente fatto promessa nel dialoghi della Cena (cf. Gv 15,11; 16,22.24; 17,3).

E di fatto vari sono gli accenni alla gioia e allo stupore nei racconti delle apparizioni del Risorto: "Con timore e gioia grande le donne corsero a dare l'annuncio" (Mt 28,8); i due discepoli di Emmaus si erano sentiti "ardere il cuore" conversando con lui lungo la strada (Lc 24,32) e poi di nuovo, ritornati a Gerusalemme presso gli altri, all'apparire del Risorto "per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore" (Lc 24,41). E ancora con "grande gioia" tornano dal Monte degli ulivi a Gerusalemme dopo l'addio (Lc 24,52). E Giovanni a sua volta ricorda che la sera della risurrezione, all'apparire del Risorto "i discepoli gioirono al vedere il Signore" (Gv 20,20).

La gioia come frutto della presenza esistenziale della novità della risurrezione torna con molta frequenza sia negli Atti degli Apostoli che nelle lettere di Paolo, si prolunga nelle lettere di Pietro (1Pt 1,6.8) e di Giovanni (1Gv 4,2; 2Gv 12) e si completa con le nozze dell'Agnello nella Gerusalemme dei cieli (Ap 21).

 

La chiave della gioia

Abbiamo evocato questa grazia della gioia in relazione alla risurrezione, per collegare il tema centrale di questo dossier con il recente documento della Congregazione per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: la lettera "Rallegratevi...!" (2 febbraio 2014). Sulla scia del linguaggio ormai tipico e conosciuto di Papa Francesco, che parla con frequenza di gioia e misericordia, di tenerezza e abbraccio, di fiducia e dignità nuova, di passione ed entusiasmo per il Vangelo, la Lettera propone sostanzialmente due cose.

Da una parte una ripresa interna a ciascuno di noi, delle ragioni della nostra consacrazione, per riconoscere la grazia della chiamata, e risvegliare la gioia di quel fascino di partenza, perché sostenga ancora i cammini e i progetti del cuore. E dall'altra parte vuole sollecitare ad aprire il cuore, i gesti e i progetti ad una presenza nella storia che sia capacità di tenerezza e sostegno, prossimità e audacia di contatti presso ogni periferia esistenziale. Perché forse una buona causa della crisi di fantasia e di slancio in cui ci troviamo in questi ultimi tempi nella vita consacrata è proprio derivata dal raffreddamento di questo stupore e di questa gioia per una presenza che cammina con noi, ma ci sollecita anche ad abitare le periferie, come la Galilea.

Come possiamo dire che stiamo camminando col Vivente se abbiamo un'aria da Quaresima senza mai mostrare che siamo felici e risorti anche noi? Come si può camminare col Risorto se strisciamo raso terra impauriti per i cambiamenti che respingono le nostre risposte di opere e stili ormai vecchi e impolverati? Come possiamo semplicemente dire che stiamo camminando verso l'incontro nella "Galilea delle genti" (Mc 16,7; Mt 28,10), se queste periferie ormai le abbiamo dimenticate e navighiamo a vista, rotoliamo senza fantasia, privi di inventività? Se viaggiamo come "passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo" (Evangelii gaudium, 234), quando mai arriveremo ad essere protagonisti di una nuova storia, esploratori di sentieri appena intravisti? Siamo figli di profeti che hanno percorso strade inedite e sfidato abitudini coriacee, non possiamo permetterci di lasciare la strada (e i nostri carismi) in balia della paura e della prudenza mondana di chi teme di sporcarsi le mani, e pigramente si dedica alla manutenzione sbadata.

 

Reinventare i sogni fondatori

In cammino col Vivente è allora una esperienza da reinventare, una presenza da ri-conoscere da capo accanto alle nostre fughe al villaggio tranquillo, un riaccendersi nel cuore di sogni abortiti per mancanza di speranza, una nuova esperienza di pane spezzato e gesti che illuminano tutta una esistenza. Troppe volte facciamo esercizi senza senso di sopravvivenza, spranghiamo porte e immaginazione per timore delle difficoltà inattese: il Risorto è un lontano fantasma che non accompagna i nostri passi, ma solo sembra presente sullo sfondo, in modo indistinto e puramente inefficace.

"Svegliate il mondo!", è il titolo che p. Antonio Spadaro ha messo alla sua registrazione giornalistica del lungo e vibrante dialogo di tre ore di Papa Francesco con i Superiori Generali associati nella USG (29 novembre 2013)[1].

"Dovete essere veramente testimoni di un modo diverso di fare e di comportarvi" (p. 5). E ancora: "Gesù è andato verso tutti, proprio tutti. Io non mi sentirei affatto inquieto andando verso la periferia: non sentitevi inquieti nel rivolgervi a chiunque" (p. 7). Fino ad affermazioni che sconcertano per la semplificazione: "Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente" (p. 8).

Credere nel Risorto, e seguirlo come il Vivente, implica quindi prendere molto sul serio i due versanti sui quali si basa la raccolta suggestiva di testi e discorsi di Papa Francesco, fatta nella Lettera accennata, seguendo il fil rouge della gioia come risorsa interiore di verità e come dono da offrire dentro i grovigli della storia.

 

Abitare gli orizzonti dell'anima e del tempo

Interessante la costruzione su due versanti della Lettera. Entrambe le parti prendono avvio da una breve ma efficace pagina biblica incentrata sulla gioia, in questo caso da due testi del profeta Isaia. Si poteva anche partire dai Salmi, dove il tema della gioia ha una frequenza altissima, e i termini usati per dirlo variano molto, con una vibrazione che raggiunge vette mistiche. Ma fra gli altri testi biblici, proprio il profeta Isaia non solo evidenzia, pensando alle frequenze del vocabolo, una sua peculiarità in questo valore. Ma anche mescola di continuo gioia e profezia, intrecciandole con un altro tema, quello della prossimità. Non si tratta di una gioia superficiale, non si tratta di una alienazione in tempi di angosce e delusioni: si tratta di una risorsa che viene da Dio, dalla sua fedeltà, dai suoi progetti che non vengono meno, e a cui si deve sempre ritornare per non smarrire la speranza e trovare roccia.

Una gioia che anzitutto - come il testo ben evidenzia, tessendo una sintesi preziosa con le espressioni di Francesco - è presenza e chiamata, scelta e sigillo, trasformazione interiore e trasfigurazione, pellegrinaggio e crogiuolo che fanno diventare il credente e il popolo stesso quasi icona luminosa che sfavilla nella gioia. Opportunamente viene ribadito l'invito a collocare la storia personale nella storia di Gesù, alla cui sequela si pone ogni consacrato, e nella storia di abbracci e rinascite che sempre accompagnano la maturazione progressiva nella fedeltà. Il richiamo all'inquietudine del desiderio e dell'amore, che accende sogni nuovi di evangelizzazione, ma anche interiori percorsi di purificazione e rinascite, mi pare un felice completamento della prima parte.

La seconda parte, prende ispirazione dall'incipit del Deutero-Isaia (Isaia di Babilonia), e si apre con una lectio divina che sottolinea nei vocaboli usati da Is 40,1-2 le consonanze col lessico della misericordia e della sponsalità di alcuni episodi biblici. E quindi di conseguenza le vibrazioni di Dio "sposo" in mezzo al suo popolo. Anche qui con preziose citazioni dal magistero quotidiano di Papa Francesco, si aprono le strade della prossimità dove espandere la tenerezza che portiamo nel cuore, dove offrire abbracci e compagnia a chi si sente "scarto" nella società. "Essere servitori della comunione e della cultura dell'incontro", aveva chiesto ai religiosi e ai seminaristi Papa Francesco in Brasile (27 luglio). Ma abitando le frontiere, i "non luoghi" (come dice il sociologo Augé), come terre del nostro futuro, dove ridire, esplorando, l'identità, praticando una comunione ospitale e creativa.

In questa direzione spingono anche - in appendice - "Le domande di Papa Francesco", riprese direttamente dalla sua voce, con quello stile che a volte anticipa anche le obiezioni, ma alla fine sollecita ad una sincera e audace autenticità.

 

Fraternità che accarezza i conflitti e li guarisce

Anche questa è una espressione di Papa Francesco, ripetuta davanti ai Superiori: "La tenerezza aiuta a superare i conflitti... Bisogna accarezzare i conflitti" (p. 14). È quello che ha fatto Gesù nei vari incontri dopo la risurrezione verso i suoi discepoli. Non sono incontri di tipo apologetico, cioè per dare prove che è veramente risorto, è proprio lui. Non è per lo meno il senso principale che io darei a quelle teofanie. Piuttosto sono stati momenti attraverso i quali ha ricucito la relazione di fiducia che si era interrotta con la fuga di tutti (eccetto Giovanni) di fronte alla cattura del Maestro e alla sua morte ignominiosa.

C'era un segno di colpa e di vergogna nei discepoli: proprio in quella sofferenza suprema avevano mancato di essergli vicino. E gli incontri e le parole, i gesti e la pace, l'incoraggiamento e la fiducia avevano bisogno di tempo e pazienza: poteva essere giusto un rimprovero sonoro, e invece ha condiviso con loro il cibo e i ricordi, i gesti noti e le parole di promessa, che stavano per realizzarsi nonostante tutto.

Credere e vivere nella risurrezione, camminando col Vivente, esige anche proprio questa arte di "consolare", di ritessere legami e appartenenze, vivere presenze sincere e spazi che si aprono. Lo si vede in Gesù risorto, lo dice il testo della Lettera nella sua seconda parte, guidata dal titolo: "Consolate, consolate il mio popolo". Si tratta di donare abbracci e fare compagnia senza presunzione, ma anche di vivere l'inquietudine dell'amore, come succedeva alle donne in quella mattina di Pasqua. Sono loro a "correre" portando la notizia e generando inquietudine. Ma anche a loro si fa incontro il Risorto, per farle messaggere entusiaste di un evento che non si poteva neanche racchiudere ancora con parole umane. Perché era un evento del tutto nuovo, sconosciuto, impossibile a dirsi nella sua realtà.

È anche attraverso di loro, le donne, che Gesù lancia i primi segnali della fraternità che ricompone le fratture, invita ad incontri che risanano paure e sconcerto, e annunciano gioia e nuova identità. Come possiamo continuare a camminare col Vivente senza un profondo ripensamento del ruolo della fede nel Risorto in dialogo con la emozione, i palpiti del cuore, anche il coraggio dell'amore inquieto di Maria di Magdala e senza la fragranza dei profumi delle tre Marie? Neppure senza l'amore inquieto e intuitivo del giovane amato che "corre più veloce". (cf Gv 20,4). Dobbiamo fare ancora molto cammino, insieme e con cuore innamorato.

 

Bruno Secondin ocarm
Pontificia Università Gregoriana

Borgo Sant’Angelo, 15 – 00193 Roma


 

[1] A. SPADARO, "Svegliate il mondo!", in La Civiltà Cattolica, 165(2014/I), (3-17), p. 5

 

 

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