Una
nota del tutto particolare delle esperienze pasquali raccontate nei
vangeli è la gioia intima che prende e sorprende quelli e quelle
che incontrano il risorto. Ne aveva parlato Gesù con frequenza
attraverso le parabole del Regno come pienezza finale (cf. Mt 18,3;
25,21; Lc 15,7.10; 19,17), ne aveva esplicitamente fatto promessa nel
dialoghi della Cena (cf. Gv 15,11; 16,22.24; 17,3).
E di fatto vari sono
gli accenni alla gioia e allo stupore nei racconti delle apparizioni del
Risorto: "Con timore e gioia grande le donne corsero a dare l'annuncio"
(Mt 28,8); i due discepoli di Emmaus si erano sentiti "ardere il cuore"
conversando con lui lungo la strada (Lc 24,32) e poi di nuovo, ritornati
a Gerusalemme presso gli altri, all'apparire del Risorto "per la gioia
non credevano ancora ed erano pieni di stupore" (Lc 24,41). E ancora con
"grande gioia" tornano dal Monte degli ulivi a Gerusalemme dopo l'addio
(Lc 24,52). E Giovanni a sua volta ricorda che la sera della
risurrezione, all'apparire del Risorto "i discepoli gioirono al vedere
il Signore" (Gv 20,20).
La gioia come frutto
della presenza esistenziale della novità della risurrezione torna con
molta frequenza sia negli Atti degli Apostoli che nelle lettere di
Paolo, si prolunga nelle lettere di Pietro (1Pt 1,6.8) e di Giovanni
(1Gv 4,2; 2Gv 12) e si completa con le nozze dell'Agnello nella
Gerusalemme dei cieli (Ap 21).
La
chiave della gioia
Abbiamo evocato
questa grazia della gioia in relazione alla risurrezione, per collegare
il tema centrale di questo dossier con il recente documento della
Congregazione per la Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: la lettera
"Rallegratevi...!" (2 febbraio 2014). Sulla scia del linguaggio ormai
tipico e conosciuto di Papa Francesco, che parla con frequenza di gioia
e misericordia, di tenerezza e abbraccio, di fiducia e dignità nuova, di
passione ed entusiasmo per il Vangelo, la Lettera propone
sostanzialmente due cose.
Da una parte una
ripresa interna a ciascuno di noi, delle ragioni della nostra
consacrazione, per riconoscere la grazia della chiamata, e risvegliare
la gioia di quel fascino di partenza, perché sostenga ancora i cammini e
i progetti del cuore. E dall'altra parte vuole sollecitare ad aprire il
cuore, i gesti e i progetti ad una presenza nella storia che sia
capacità di tenerezza e sostegno, prossimità e audacia di contatti
presso ogni periferia esistenziale. Perché forse una buona causa della
crisi di fantasia e di slancio in cui ci troviamo in questi ultimi tempi
nella vita consacrata è proprio derivata dal raffreddamento di questo
stupore e di questa gioia per una presenza che cammina con noi, ma ci
sollecita anche ad abitare le periferie, come la Galilea.
Come possiamo dire
che stiamo camminando col Vivente se abbiamo un'aria da Quaresima senza
mai mostrare che siamo felici e risorti anche noi? Come si può camminare
col Risorto se strisciamo raso terra impauriti per i cambiamenti che
respingono le nostre risposte di opere e stili ormai vecchi e
impolverati? Come possiamo semplicemente dire che stiamo camminando
verso l'incontro nella "Galilea delle genti" (Mc 16,7; Mt 28,10), se
queste periferie ormai le abbiamo dimenticate e navighiamo a vista,
rotoliamo senza fantasia, privi di inventività? Se viaggiamo come
"passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi
artificiali del mondo" (Evangelii gaudium, 234), quando mai arriveremo
ad essere protagonisti di una nuova storia, esploratori di sentieri
appena intravisti? Siamo figli di profeti che hanno percorso strade
inedite e sfidato abitudini coriacee, non possiamo permetterci di
lasciare la strada (e i nostri carismi) in balia della paura e della
prudenza mondana di chi teme di sporcarsi le mani, e pigramente si
dedica alla manutenzione sbadata.
Reinventare i sogni fondatori
In cammino col
Vivente è allora una esperienza da reinventare, una presenza da
ri-conoscere da capo accanto alle nostre fughe al villaggio tranquillo,
un riaccendersi nel cuore di sogni abortiti per mancanza di speranza,
una nuova esperienza di pane spezzato e gesti che illuminano tutta una
esistenza. Troppe volte facciamo esercizi senza senso di sopravvivenza,
spranghiamo porte e immaginazione per timore delle difficoltà inattese:
il Risorto è un lontano fantasma che non accompagna i nostri passi, ma
solo sembra presente sullo sfondo, in modo indistinto e puramente
inefficace.
"Svegliate il
mondo!", è il titolo che p. Antonio Spadaro ha messo alla sua
registrazione giornalistica del lungo e vibrante dialogo di tre ore di
Papa Francesco con i Superiori Generali associati nella USG (29 novembre
2013).
"Dovete essere
veramente testimoni di un modo diverso di fare e di comportarvi" (p. 5).
E ancora: "Gesù è andato verso tutti, proprio tutti. Io non mi sentirei
affatto inquieto andando verso la periferia: non sentitevi inquieti nel
rivolgervi a chiunque" (p. 7). Fino ad affermazioni che sconcertano per
la semplificazione: "Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata.
Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente" (p. 8).
Credere nel Risorto,
e seguirlo come il Vivente, implica quindi prendere molto sul serio i
due versanti sui quali si basa la raccolta suggestiva di testi e
discorsi di Papa Francesco, fatta nella Lettera accennata, seguendo il
fil rouge della gioia come risorsa interiore di verità e come dono da
offrire dentro i grovigli della storia.
Abitare gli orizzonti dell'anima e del tempo
Interessante la
costruzione su due versanti della Lettera. Entrambe le parti prendono
avvio da una breve ma efficace pagina biblica incentrata sulla gioia, in
questo caso da due testi del profeta Isaia. Si poteva anche partire dai
Salmi, dove il tema della gioia ha una frequenza altissima, e i termini
usati per dirlo variano molto, con una vibrazione che raggiunge vette
mistiche. Ma fra gli altri testi biblici, proprio il profeta Isaia non
solo evidenzia, pensando alle frequenze del vocabolo, una sua
peculiarità in questo valore. Ma anche mescola di continuo gioia e
profezia, intrecciandole con un altro tema, quello della prossimità. Non
si tratta di una gioia superficiale, non si tratta di una alienazione in
tempi di angosce e delusioni: si tratta di una risorsa che viene da Dio,
dalla sua fedeltà, dai suoi progetti che non vengono meno, e a cui si
deve sempre ritornare per non smarrire la speranza e trovare roccia.
Una gioia che
anzitutto - come il testo ben evidenzia, tessendo una sintesi preziosa
con le espressioni di Francesco - è presenza e chiamata, scelta e
sigillo, trasformazione interiore e trasfigurazione, pellegrinaggio e
crogiuolo che fanno diventare il credente e il popolo stesso quasi icona
luminosa che sfavilla nella gioia. Opportunamente viene ribadito
l'invito a collocare la storia personale nella storia di Gesù, alla cui
sequela si pone ogni consacrato, e nella storia di abbracci e rinascite
che sempre accompagnano la maturazione progressiva nella fedeltà. Il
richiamo all'inquietudine del desiderio e dell'amore, che accende sogni
nuovi di evangelizzazione, ma anche interiori percorsi di purificazione
e rinascite, mi pare un felice completamento della prima parte.
La seconda parte,
prende ispirazione dall'incipit del Deutero-Isaia (Isaia di Babilonia),
e si apre con una lectio divina che sottolinea nei vocaboli usati da Is
40,1-2 le consonanze col lessico della misericordia e della sponsalità
di alcuni episodi biblici. E quindi di conseguenza le vibrazioni di Dio
"sposo" in mezzo al suo popolo. Anche qui con preziose citazioni dal
magistero quotidiano di Papa Francesco, si aprono le strade della
prossimità dove espandere la tenerezza che portiamo nel cuore, dove
offrire abbracci e compagnia a chi si sente "scarto" nella società.
"Essere servitori della comunione e della cultura dell'incontro", aveva
chiesto ai religiosi e ai seminaristi Papa Francesco in Brasile (27
luglio). Ma abitando le frontiere, i "non luoghi" (come dice il
sociologo Augé), come terre del nostro futuro, dove ridire, esplorando,
l'identità, praticando una comunione ospitale e creativa.
In questa direzione
spingono anche - in appendice - "Le domande di Papa Francesco", riprese
direttamente dalla sua voce, con quello stile che a volte anticipa anche
le obiezioni, ma alla fine sollecita ad una sincera e audace
autenticità.
Fraternità che accarezza i conflitti e li guarisce
Anche questa è una
espressione di Papa Francesco, ripetuta davanti ai Superiori: "La
tenerezza aiuta a superare i conflitti... Bisogna accarezzare i
conflitti" (p. 14). È quello che ha fatto Gesù nei vari incontri dopo la
risurrezione verso i suoi discepoli. Non sono incontri di tipo
apologetico, cioè per dare prove che è veramente risorto, è proprio lui.
Non è per lo meno il senso principale che io darei a quelle teofanie.
Piuttosto sono stati momenti attraverso i quali ha ricucito la relazione
di fiducia che si era interrotta con la fuga di tutti (eccetto Giovanni)
di fronte alla cattura del Maestro e alla sua morte ignominiosa.
C'era un segno di
colpa e di vergogna nei discepoli: proprio in quella sofferenza suprema
avevano mancato di essergli vicino. E gli incontri e le parole, i gesti
e la pace, l'incoraggiamento e la fiducia avevano bisogno di tempo e
pazienza: poteva essere giusto un rimprovero sonoro, e invece ha
condiviso con loro il cibo e i ricordi, i gesti noti e le parole di
promessa, che stavano per realizzarsi nonostante tutto.
Credere e vivere
nella risurrezione, camminando col Vivente, esige anche proprio questa
arte di "consolare", di ritessere legami e appartenenze, vivere presenze
sincere e spazi che si aprono. Lo si vede in Gesù risorto, lo dice il
testo della Lettera nella sua seconda parte, guidata dal titolo:
"Consolate, consolate il mio popolo". Si tratta di donare abbracci e
fare compagnia senza presunzione, ma anche di vivere l'inquietudine
dell'amore, come succedeva alle donne in quella mattina di Pasqua. Sono
loro a "correre" portando la notizia e generando inquietudine. Ma anche
a loro si fa incontro il Risorto, per farle messaggere entusiaste di un
evento che non si poteva neanche racchiudere ancora con parole umane.
Perché era un evento del tutto nuovo, sconosciuto, impossibile a dirsi
nella sua realtà.
È anche attraverso di
loro, le donne, che Gesù lancia i primi segnali della fraternità che
ricompone le fratture, invita ad incontri che risanano paure e
sconcerto, e annunciano gioia e nuova identità. Come possiamo continuare
a camminare col Vivente senza un profondo ripensamento del ruolo della
fede nel Risorto in dialogo con la emozione, i palpiti del cuore, anche
il coraggio dell'amore inquieto di Maria di Magdala e senza la fragranza
dei profumi delle tre Marie? Neppure senza l'amore inquieto e intuitivo
del giovane amato che "corre più veloce". (cf Gv 20,4). Dobbiamo fare
ancora molto cammino, insieme e con cuore innamorato.
Bruno Secondin ocarm
Pontificia Università Gregoriana
Borgo Sant’Angelo, 15 – 00193 Roma