n. 3
marzo 2004

 

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di Tiziana De Rosa
 

PARI OPPORTUNITÀ E PARITÀ TRA I SESSI

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Nel mese di marzo ricorre la festa delle donne: una giornata, l’8, è dedicata, infatti, alla donna, quasi fosse un risarcimento "in pillola" per tutto ciò che le viene negato nella vita quotidiana sia privata sia pubblica.

Dando per scontato un po’ di storia sul come è nata l’idea di questa data da dedicare alle donne, quali sono stati i motivi ispiratori, perché si è pensato di indire una festa per la donna e non per gli uomini, per esempio, ecc. vorrei soffermarmi, invece, sull’effettiva parità/disparità tra uomini e donne nella nostra società.

Cominciamo con la vita politica: a che punto siamo con l’integrazione dei sessi? Vi è veramente pari opportunità per gli uomini e per le donne? Purtroppo anche in questo campo dobbiamo constatare che il problema c’è ed è ancora grande. Se guardiamo al Parlamento italiano, infatti, non vi troviamo più del 10% della presenza femminile. Come mai? Le donne sono forse meno capaci degli uomini ad occuparsi e preoccuparsi della res publica? E allora perché ogni tanto si ipotizza di stabilire una "certa quota" da riservare alle donne, nella vita politica italiana? Come stanno le cose attualmente? Domandiamoci: in questo attuale Parlamento quanti dicasteri sono affidati alle donne e quanti agli uomini? Quante segreterie sono gestite da uomini e quante da donne? E’ facile per una donna dedicarsi interamente alla vita politica e raggiungere i luoghi decisionali più alti, oppure ne è impedita, almeno parzialmente, dal potere dei maschi e dal dolce "carico", ma sempre "carico", della famiglia e della conduzione della casa? Vale lo stesso per l’uomo? Come mai? Quante donne hanno raggiunto i vertici della politica e quante sono state costrette a ritirarsi? Perché? Forse sono meno intelligenti e capaci dei colleghi maschi? Meno preparate culturalmente? C’è da crederlo?

Nel mondo economico e del lavoro, poi, non credo che le cose vadano molto meglio. Quante sono le donne imprenditrici? Nello svolgimento dello stesso lavoro professionale, per esempio, la donna è, quasi sempre, remunerata meno degli uomini. Se poi c’è in famiglia qualcuno che deve sacrificarsi per la crescita e la cura dei figli, questo qualcuno è, normalmente, la donna. E’ lei che deve accudire e farsi carico dei figli piccoli, lei che deve preoccuparsi del buon andamento domestico, lei che deve assistere gli anziani bisognosi del nucleo familiare, se ci sono, è lei che deve rinunciare al proprio lavoro fuori casa, per qualsiasi bisogno familiare e per qualsiasi necessità, ed è ancora lei che viene licenziata per prima, in presenza di crisi lavorativa o esubero del personale della ditta o dell’ente per cui lavora.

E nella Chiesa, che posto ha la donna? Qui la situazione è molto complessa. Qualcosa è stato fatto, basti pensare ai discorsi di Giovanni Paolo II e alla Mulieris dignitatem, sul genio femminile e sulla dignità della donna, ma molto resta ancora da fare, a cominciare con l’assunzione di un linguaggio inclusivo, che tenga presente la differenza di genere; perché se è vero che è il pensiero a generare il linguaggio, è anche vero che il linguaggio può modificare il pensiero…

E nel mondo dei mass media, quale donna ci viene presentata, esaltata, mostrata, bistrattata? La donna oggetto, tutta curve e moine, oche giulive che sanno scodinzolare al primo maschio di turno, mostrandosi e offrendosi senza ritegno e senza pudore. E’ forse questa l’immagine della donna moderna? Reginette di bellezza, vittime di soprusi e di violenza maschilista, persone che passano da un uomo all’altro, da un matrimonio all’altro, quasi fossero noccioline…? Donne senza valori morali?

Ben a ragione Elisa Manna del CIF afferma che "forse i media non lo sanno, ma fuori dei loro studi televisivi esiste il mondo reale, quello non raccontato, quello fatto di donne che senza essere né regine di bellezza né povere vittime stanno scrivendo libri, saggi, articoli; che stanno insegnando nelle scuole, stanno curando i pazienti, stanno difendendo o accusando presunti rei nelle aule giudiziarie…"

Se questa è la situazione reale, può forse bastare una giornata per supplire a questa grave mancanza di rispetto della dignità della donna? A questa sorta di eterna schiavitù che continua a mascherarsi di belle frasi, ma senza dare effettiva opportunità di crescita e di riscatto umano e spirituale? Io direi di no, ecco perché non mi interessa l’8 marzo e non desidero camuffare la reale situazione delle donne con piccoli contentini e zuccherini che rendono ancora più amara la situazione reale delle donne in Italia e nel mondo.

Qualcosa per cambiare la situazione reale, tuttavia, bisogna fare e, a mio modesto avviso, occorre che le donne prendano sempre più coscienza della propria dignità di persone umane, con tutti i limiti e le potenzialità di qualsiasi altra persona, senza differenza di genere.

Occorre impegnarsi a fondo per educare e formare le giovani generazioni all’onestà, alla verità, all’autonomia, al rispetto di se stessi e degli altri, senza cedimenti e senza abdicazioni alle mode, al successo, al denaro, al sesso.

Rispettarsi per farsi rispettare: non cercare facili scappatoie nella realizzazione di sé, nel lavoro, nello studio, nelle relazioni, nella vita familiare e amicale. Puntare su valori umani forti, educarsi a possedersi per potersi donare, allenandosi con l’esercizio quotidiano della rinuncia e della disciplina a saper essere padrone e non schiave delle proprie passioni e dei propri istinti, pensando in proprio, usando la propria testa e allenandosi alla critica e al discernimento. Il parametro di confronto dovrebbe essere quello dei propri valori di appartenenza e di gruppo, i valori perenni, morali e religiosi, che permettono di avere e coltivare ideali alti, che ci innalzano da terra e ci aiutano a tentare, tutta la vita, di migliorare il proprio carattere, senza farsi facili sconti, né farsi grossi sensi di colpa. Solo così diventeremo persone sagge, mature, capaci di suscitare rispetto in coloro che avremo l’occasione di avvicinare, perché sarà evidente il rispetto che avremo per noi stesse: un rispetto che dice dignità per se stesse e per gli altri, donandola e ricevendola in uno squisito, vicendevole scambio.

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