n. 10
ottobre 2003

 

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Le preghiere e il pregare
di Tonino Lasconi *

 

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Mia madre aveva la seconda elementare, non aveva frequentato scuole di preghiera, non sapeva niente dei salmi. Però, tutte le volte che vedeva qualcosa di bello nella realtà o in tivù, esclamava: «Come si può dire che non c’è il Signore!». Era una preghiera di lode.

Quando la salutavo: «Ci vediamo tra un paio di ore», commentava: «Se Dio vuole». Era una preghiera di affidamento al Signore.

Quando uscivo da casa per andare a svolgere il mio lavoro tra i ragazzi o in parrocchia, non dimenticava di ammonirmi: «Ricordati di voler bene soprattutto a quelli che sono meno buoni e meno bravi. Non avere mai preferenze». Quando le raccontavo di qualcosa andato bene, mi suggeriva: «Ringrazia il Signore». Quando mi vedeva preoccupato per qualcosa non andato per il verso giusto, mi incoraggiava: «I tribolati sono amici di Dio». Quando mi vedeva arrabbiato o turbato per un torto, o per un atto di riconoscenza non arrivato, mi consigliava: «Fa’ del bene e scordati, fa’ del male e pensaci!». Era il suo modo di accogliere con verità e generosità la parola del Signore.

Quando, negli ultimi giorni di vita, stringendomi la mano con le ultime forze rimaste, mi sussurrava: «Ti lascio, ma stai tranquillo, pregherò sempre per te, e ti rimarrò vicino», affermava in modo semplice e forte la sua fede nella risurrezione.

 

Mi scuso per questo incipit personale, ma non trovo modo migliore per commentare l’invito di Gesù a pregare sempre, senza stancarci (Lc 18,1). Invito, come sempre, accolto più dai piccoli (Mt 11,25) che dai sapienti e dagli intelligenti. E’, infatti, tra i piccoli che ho sempre trovato – e trovo – tanti che sanno pregare sempre, senza stancarsi, con il risultato di un profondo legame tra fede e vita. Meglio! Con una vita che diventa preghiera e una preghiera che diventa vita.

E i sapienti e gli intelligenti? Beh, tra costoro – e tra costoro dobbiamo includere per forza preti, frati, suore – la preghiera sempre spesso lascia il posto alle preghiere tante. Che non è assolutamente la stessa cosa, e quindi non produce i medesimi risultati.

Mi scuso di nuovo se ricorro ancora all’esperienza invece che ai massimi sistemi della spiritualità. Mi è capitato – e mi capita – di frequente di bazzicare conventi maschili e femminili, di vita attiva o contemplativa, e di provare, a volte, sensazioni di tristezza e di spavento.

Di tristezza, per non essere riuscito a pregare in luoghi dove speravo di poterlo fare in modo profondo e alto.

Di spavento, perché siamo noi, preti, frati e suore, che dovremmo insegnare alla gente, soprattutto ai bambini e ai ragazzi, a pregare sempre senza stancarsi.

Perché queste sensazioni?

Ricordo una domenica mattina in un convento (non dico di dove) di suore (non dico di quale istituto). Si stava facendo un corso di aggiornamento sulla pastorale dei ragazzi e dei giovani, e le suore partecipavano con molto entusiasmo e impegno.

Scendo in chiesa, una chiesa aperta anche alla gente, per le Lodi prima della messa (dopo aver ottenuto di non mischiarle insieme: un obbrobrio assai frequente un po’ dappertutto!). Cominciano le Lodi… Una lagna, una tristezza, una monotonia! I salmi presentati con la solite indicazioni: «Questo salmo viene recitato da una solista e dal coro…», «Questo salmo viene recitato a cori alterni…», «Questo…».

Intanto i fedeli cominciavano a entrare. Io dicevo tra me: «Chissà la gente che cosa pensa che si stia facendo? Come potrebbe credere che stiamo celebrando le lodi al Signore? Per le persone normali, per i piccoli, lodare significa gioia, allegria, festa… Qui è un mortorio!…»

In gran parte dei conventi e dei monasteri – e anche in diverse parrocchie –, pregare si riduce a recitare le lodi, i vespri e in più il rosario, sempre con lo stesso tono, sempre con lo stesso clima, sempre con gli stessi meccanismi. Tutt’al più, in qualche festa, interviene la variazione di antifone e salmi cantati con melodie che sembrano venute fuori da un pugno di note gettate a caso sul rigo.

Se le cose stanno così – prego fortemente Dio di sbagliarmi – ci si può meravigliare se la preghiera non incide nella vita e non diventa vita proprio nelle persone che recitano più preghiere?

E sì! Purtroppo questo capita! Lo so, ci è difficile ammetterlo. So anche che il solo farlo notare viene interpretato – quando va bene! – come il solito gusto di fare polemica per la polemica. Ma, a chi ha orecchi per intendere è difficile negare che, oggi, noi: preti, frate e suore, dovremmo avere più sensibilità, maturità, professionalità, cortesia, ampiezza di vendute, disponibilità all’aggiornamento e all’educazione permanente; una maggiore visione «globale» dei problemi, più gusto della propria libertà e maggior rispetto di quella degli altri, coraggio delle proprie scelte…. Doti tutte – grazie a Dio! – sempre più richieste, e quindi sempre più ricercate e perseguite, dal «mondo» per motivi puramente umani, e forse non sempre coltivate a sufficienza nei nostri ambienti per motivi… spirituali.

Ogni volta che mi capita di parlare a preti, frati e suore, invito a riflettere sulla carenza di questi valori genuinamente umani, e quindi autenticamente cristiani, tra di noi e nelle nostre comunità. E’ triste constatare come tanti predicatori, santi sul pulpito (non solo quello delle chiese), da dove straparlano di grandi valori e tuonano contro comportamenti non adeguati, nella realtà siano privi di quelle virtù che, senza tante chiacchiere, la società esige da chi vuole essere rispettato e valorizzato.

Un esempio, per non tirarla troppo per le lunghe. La cortesia è un requisito fondamentale in tutti coloro che aprono la porta nelle aziende, nei negozi, negli uffici, nelle segreterie, nei supermercati. Nei nostri ambienti? A volte sembra che questo incarico venga affidato alle persone più selvatiche. A me non suscita pensieri devoti un portinaio o una portinaia che non mi sorride, che non mi ascolta…, che però ha la corona del rosario in mano. Non so a voi.

Quanti soldi vengono investiti dagli istituti religiosi, dalle diocesi, dalle singole persone per esercizi spirituali, ritiri, corsi di aggiornamento? Si recitano i salmi, si ascoltano le prediche, si fanno ore di adorazione, si recitano tante preghiere, ma con quali risultati?

Tornati a casa, tutto ricomincia come prima. Si continua a celebrare la messa come prima, a recitare i salmi come prima, a fare la catechesi come prima, a fare la predica come prima, a fare scuola come prima, ad avere, con la gente, con le consorelle e i confratelli, lo stesso rapporto di prima. Allora, mi domando, se la preghiera non cambia la vita, è davvero preghiera?

«Ma questo è matto!», starà sicuramente pensando qualcuno. «Questo ce l’ha con i salmi: la preghiera della Chiesa, la preghiera rivelata, la preghiera…».

Non ce l’ho affatto con i salmi. Ce l’ho con i salmi preghiera che Dio ci ha suggerito per pregare sempre, ridotti a dire le preghiere in ore e modi prestabiliti per sentirsi a posto, per rispettare le regole.

Non riesco a levarmi dagli occhi la scena di pochi giorni fa. Nota bene: pochi giorni fa, non prima del Concilio Vaticano II!

Si stava celebrando il funerale di un giovane. In tutti: profonde e sofferte domande sul senso della vita, grande commozione e profonda partecipazione in ogni gesto, parola, canto… Accanto all’altare un religioso si leggeva, devotamente, il suo breviario!

A mia madre, come a tutti i piccoli che affollavano la chiesa, una cosa del genere, forse, non sarebbe passata nemmeno per l’anticamera del cervello… I salmi veri, in quel momento, erano le domande, le emozioni, lo strazio dei presenti. Vivere e condividere quei momenti era pregare. Quelle del religioso erano, invece, un recitare preghiere.

Non riuscirò mai a dimenticare un grande convegno di Roma con più di duecento suore di diverse congregazioni sul tema: «Pregare oggi in un mondo di suoni e di immagini». Ero riuscito con molta fatica a ottenere di celebrare le Lodi con canti e danze di un gruppo di novizie filippine vestite… da cristiane. Una preghiera stupenda. Beh, nel cominciare la relazione, mi accorsi che due suore in cima alla sala stavano leggendo il breviario per ridire le Lodi, perché le altre «non valevano».

L’altro giorno, mi ha telefonato una parrocchiana: era sconvolta! Aveva chiesto a una signora di andare, qualche giorno, a preparare il pranzo in una casa di accoglienza per poveri di passaggio.

«Non posso, non ho tempo, sono troppo impegnata in un cammino di fede per incontrare Gesù», si era sentita rispondere.

«Don Tonino, allora io che faccio mangiare mio marito e mio figlio alle due e mezza del pomeriggio per fare il pranzo a questa gente sporca, arrogante, a volte violenta, che ruba anche le forchette, non incontro Gesù? Non dici sempre che Gesù sta nei poveri?»

«Certo», le ho risposto, «almeno il Gesù del Vangelo. Quello della persona che sta facendo un cammino di fede, forse, è un altro, oppure ha sbagliato cammino per incontrarlo. Ma, vedrai, il Gesù, quello vero, riuscirà a recuperarla».

Quanti esempi di preghiere tante ma di pregare sempre niente nei nostri ambienti?

Conseguenza: quanti, nei nostri ambienti, non lascerebbero mai un salmo, ma non si fanno problemi a non dare un sorriso, una parola buona, un gesto di cortesia?

 

Come mai questo deterioramento del pregare sempre? Il motivo va cercato – anche se non esclusivamente – nell’aver ridotto il pregare a un fatto di testa, nell’aver smesso di pregare con tutto noi stessi, con i sensi: gli occhi, il tatto, l’udito, il gusto, l’olfatto. Nell’aver escluso il corpo e quindi la vita. Senza un impatto vero con la realtà, non c’è vita autentica, e quindi non c’è preghiera genuina. Si pensi alla parabola del buon samaritano. Il primo atto del sacerdote, del levita, del samaritano è: lo «vide». Soltanto dopo viene la decisione di passare dall’altra parte, di passare oltre, di farsi vicino per fasciargli le ferite (Lc 10,29-37). Si ricordi Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Ha domandato: «E’ lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». Silenzio. Allora: «Guardandoli con indignazione…». «Si pensi alla casa di Betania», definita dal documento dei vescovi italiani «tra le più affascinanti di tutta la Scrittura». Maria ha appena cosparso i piedi di Gesù con il nardo. Tutta la casa si riempie di profumo. Immagino Gesù che se ne riempie i polmoni e dice a Giuda, che ha chiuso il naso e gli occhi per mettere in funzione soltanto il suo cervello calcolatore: «Lasciala fare! » (Gv 12,1-8).

 

Una lezione straordinaria di cosa può diventare dire le preghiere, senza prima aver aperto gli occhi e tutti gli altri sensi sulla vita, ci viene offerta proprio dai salmi della Bibbia.

 

Nei salmi c’è la vita. Tutta la vita: le sofferenze, le gioie, le battaglie vinte e quelle perse, i successi e gli insuccessi, la politica giusta e quella ridotta a interesse personale, le ingiustizie pubbliche e private, gli scontri all’interno della famiglia e con i vicini, le umiliazioni e le oppressioni da parte dei potenti, i tradimenti degli amici… C’è il bene fatto, ripagato con l’inganno e la cattiveria, le grandi domande sul male, sulla morte, la paura per il silenzio di Dio, il tormento per il suo modo di vedere le cose diverso dal nostro, la contemplazione delle opere di Dio, la lode per la sua grandezza e bellezza, le feste, i pellegrinaggi, i propositi di bene, la confessione delle sconfitte e dei tradimenti, la rabbia contro coloro che ci ostacolano nella via del bene, il ringraziamento per le cose andate a buon fine…, la vita, tutta la vita.

Quanto della nostra vita entra nella nostra preghiera e diventa preghiera nella nostra recita dei salmi, nei nostri rosari e coroncine e novene?

 

«Che cosa si può fare? Non possiamo certo eliminare Lodi e Vespri e tutte le altre pratiche di pietà per sostituirle solo con preghiere inventate da noi?»

Non si tratta di sostituire le preghiere con altre preghiere, ma di far diventare le nostre preghiere, anche i salmi, un pregare sempre. Occorre trasformare in preghiera la vita che ci passa davanti agli occhi, alle orecchie, al tatto, al gusto, all’odorato, in modo che il nostro pregare sia come il nostro respirare. Sia vivere. E vivere diventi pregare.

In un corso di esercizi per preti, invitai a fare lo sforzo di trasformare le Lodi e i Vespri del breviario in pregare.

Nei primi due giorni non venne fuori niente. I soliti: «Questo salmo lo recitiamo così, quest’altro cosà…»

Poi, la terza mattina, un prete, finalmente, trovò il bandolo della matassa. Prima di ogni salmo, con poche parole, riuscì a trasportarci nel cuore della vita.

«A quest’ora i miei parrocchiani sono in mezzo al traffico, nervosi, preoccupati di arrivare tardi al lavoro. Come loro, tantissimi uomini e donne stanno andando a lavoro, magari dopo una notte insonne, perché il bambino ha pianto sempre, oppure con il cuore gonfio perché non si trovano bene con i colleghi, o perché si sta parlando di licenziamenti. Noi stiamo qui calmi e tranquilli e le parole accorate di questo salmo ci sembrano estranee. Preghiamole per coloro e con coloro che le stanno recitando in mezzo al traffico, dentro alle fabbriche o ai negozi».

«Tante famiglie nella mia parrocchia sono con l’acqua alla gola, perché non sanno più come fare con un genitore colpito da ictus, o altra malattia debilitante, e bisognosi di assistenza totale. Gli ospedali non li accettano, l’assistenza domiciliare non possono permettersela, far lasciare il lavoro alla mogli, nemmeno...»

«Questo salmo lo preghiamo per e con i giovani che oggi si innamoreranno»;

«Questo, invece, lo preghiamo per le ragazze e i ragazzi che non si accettano, finendo nell’anoressia, nella depressione, in esperienze sbagliate»; «Questo…».

Quelle mattine, i salmi del breviario diventarono davvero salmi della Bibbia: la preghiera che Dio stesso ci ispira e ci suggerisce.

 

Quante cose capitano nei conventi, nelle comunità, nelle parrocchie…, nella vita di ogni giorno! Difficoltà di rapporto, litigate, mugugni, incomprensioni, ingiustizie, parzialità, preferenze di persone, deboli trattati con forza e forti trattati con dolcezza…

Sarebbero meno Lodi e meno Vespri se, almeno una volta alla settimana, i salmi fossero storicizzati con la vita di ogni giorno?

Quante cose la televisione ci mette davanti agli occhi e al cuore! Terremoti, allagamenti, conquiste della tecnica e della scienza, gente che gioisce e gente che piange, guerre e pace, contrasti politici e sindacali…

Per ognuna di queste situazioni c’è un salmo che può aiutarci a farle diventare preghiera.

Certo, ci vuole fatica. Un pregare vero, buono, bello richiede la stessa fatica di una vita vera, buona, bella. Ci si organizza e ci si dà da fare per la festa del ringraziamento alla direttrice, alla responsabile di comunità, al Superiore, al Vescovo…, perché non darsi da fare per celebrare le lodi al Signore, senza affidare il cuore e la mente alla pigrizia dell’abitudine?

Le Lodi e i Vespri, e ogni altra preghiera comunitaria, possono (e devono!) diventare i polmoni che danno ossigeno nuovo alla nostra vita, per farla uscire dai frutti della carne: «fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizia, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie…» (Gal 5,19-21), e spingerle verso i frutti dello Spirito: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé…» (Gal 5,22). Senza questo ossigeno la vita si inaridisce e il pregare diventa soltanto dire le preghiere.

 

Però le Lodi, i Vespri, (i salmi scritti) non bastano per obbedire all’invito di Gesù a pregare sempre. Perché sempre è sempre. In tutti i luoghi e in tutti i momenti del giorno.

Lo so, c’è chi pensa di scavalcare la difficoltà portandosi sempre appresso il breviario, o la corona del rosario. Non risolve! Anzi, questi gesti sanno molto di quella ostentazione di tipo farisaico che faceva arrabbiare Gesù: «Quando pregate non siate simili agli ipocriti che amano pregare ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini» (Mt 6,5). Quando ero ragazzo, un vecchio frate – una di quelle persone che la Provvidenza ti mette sulla strada e ti lasciano un segno indelebile – mi disse: «Stai attento a coloro che vanno in giro con la corona tra le mani. Se non ti hanno gabellato, stanno per farlo». L’esperienza mi ha convinto che aveva ragione: le preghiere ostentate non sono per il Signore, ma – almeno molte volte – sono per altri scopi.

Per pregare sempre non occorre portarsi appresso orpelli. Siamo stati equipaggiati dal Creatore: gli occhi, le orecchie, il naso, la gola, il tatto. Tutto ciò che vediamo, tocchiamo, ascoltiamo può diventare pregare sempre.

Mi è capitato di viaggiare in auto con persone pie che guai se non si diceva il rosario, o non si leggevano i salmi. Però erano completamente cieche e sorde di fronte a ciò che il Creatore ci metteva davanti agli occhi: l’alba, i monti, le pianure, il temporale, l’arcobaleno dopo il temporale, l’incidente, il furbo che sorpassa a destra, il prepotente che ti si infila davanti, il cafone che strombazza, il misericordioso che ti dà il tempo di manovrare per rimediare un errore, il tramonto… Tutti inviti a pregare: lodare, ringraziare, meditare, chiedere perdono, interrogarsi.

Quante cose la vita, e la vita comunitaria, porta davanti agli occhi e alle orecchie! Cose belle o brutte, buone o cattive, incoraggianti o deprimenti. Tutto questo può diventare pregare sempre.

Ringraziare la cuoca per una pietanza particolare, inaspettata, indovinata è pregare sempre. Lodare Dio per una consorella o un confratello che hanno fatto qualcosa di bello, di nuovo, di riuscito, è pregare sempre. Sorridere alla consorella, anche se la si incontra per la centesima volta, è pregare sempre.

 

Ma il pregare sempre non viene spontaneo. Richiede convinzione, scuola, impegno, esercizio, allenamento. Cose necessarie e anche possibili, senza eccessiva fatica, se non quella di decidersi a battagliare contro la pigrizia, l’abitudine, il si è fatto sempre così.

Perché, una mattina, in mezzo alla chiesa, invece del solito vaso di fiori, non sistemare gli strumenti del lavoro quotidiano: una pentola, un computer, un telefono, un televisore?

Perché, un’altra mattina, al posto di un salmo, non invitare la consorella, tornata da un incarico o da un’esperienza, a raccontare per ringraziare insieme il Signore?

E se una sera, durante il vespro, si condividessero le cose belle o difficili della giornata?

E se, un’altra sera, dopo una giornata con momenti difficili, di disagio, di incomprensioni, invece del «questo salmo lo recitiamo tra solista e coro», lo si pregasse riproponendo davanti agli occhi, al cuore e alla mente ciò che è accaduto?

 

I salmi non ci sono stati dati per intorpidirci con l’abitudine e la monotonia delle formule (siamo sinceri! Chi riesce a dire tutti i giorni il Magnificat e il Benedictus, vivendo sentimenti di lode e di ringraziamento veri e sinceri al Signore?). Non ci sono stati dati per risparmiarci la fatica di ascoltare e rispondere a Dio. Ma per insegnarci la strada di un dialogo vero e sincero che porti la nostra vita sulla sua strada: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8).

 

Qualche sera, molto tardi, quando il traffico non è più prepotente, se l’aria arriva da Nord, da una finestra di casa mia, riesco a sentire il rumore del treno. Quando è così, penso alla gente che sta su quel treno. A chi parte, a chi arriva, a chi torna a casa con gioia, a chi se ne allontana con tristezza, a chi è sfiduciato, a chi è soddisfatto, a chi spera di trovare amore, a chi l’ha trovato, a chi è sereno, a chi è ubriaco, a chi è drogato, a… Penso alla vita.

Per ognuno lodo, ringrazio, chiedo perdono, invoco aiuto.

Quelle sere non leggo il salmo del breviario. Non dico le preghiere.

Quelle sere prego. Come dovrei fare sempre. Come dobbiamo cercare di fare sempre.


* Parroco, catecheta, scrittore e animatore di gruppi giovanili.

 

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