Premessa zippata sui mass
media
In
queste pagine tenterò di zippare un insieme di indicatori culturali
relativi ai mezzi di comunicazione, in particolare alla rivoluzione
digitale in corso, per aiutare le giovani in formazione a vivere in
questo ambiente cibernetico una nuova esperienza evangelica che abbia
come origine e meta la vita delle persone e della comunità.
In un momento storico nel quale la
comunicazione tende ad accentuare l’aspetto tecnologico, la radio, dal
punto di vista del fruitore, resta lo strumento più pervasivo,
accessibile e flessibile. In molti Paesi contribuisce in modo importante
alla formazione della coscienza civile, interpretando il mondo da una
prospettiva locale, rispondendo a quelle che sono le necessità di
informazione e concedendo anche alle fasce più marginali della
popolazione la possibilità di partecipare ai processi di comunicazione e
di costruzione del consenso sulle questioni più importanti che le
riguardano. Penso, in questo momento, alle missioni ad gentes,
dove si hanno popolazioni disperse sul territorio che possono essere
raggiunte soltanto con le onde radio, a patto che dispongano di una
radiolina che può stare in un pugno della mano.
Gli altri media (la televisione, i
telefoni cellulari, la stampa e internet) richiedono strumenti assai più
complessi e strutture di supporto più capillari, con costi che finiscono
per ricadere sui fruitori, escludendoli di fatto dall’accesso. Tuttavia,
essi sono dotati di una attrattiva enorme e di certe specificità che li
rendono altamente appetibili, sicché hanno un pubblico sempre più vasto
e preponderante, soprattutto nei Paesi civilizzati, tanto che la radio,
a dispetto della sua economicità e facilità d’uso, risulta oggi
marginalizzata, mentre è in forte crescita l’ultimo grido della
comunicazione globale: internet.
Comunque, la radio, la televisione e il
cellulare sono i tre mezzi di comunicazione preferiti dagli under
30 italiani. Il dato emerge dal Terzo rapporto Censis/Unione
cattolica stampa italiana sulla comunicazione in Italia. Al
contrario «internet» – come spiega Raffaele Pastore del Censis –
«rappresenta una vera eccezione, infatti spacca in due il mondo
giovanile: metà lo vive come il più avanzato coronamento di tv,
cellulare e radio, l’altra metà lo considera come uno strumento
difficile, che compromette la facilità e la fluidità della
comunicazione». Moltissimi, infatti, sono esclusi oppure sono vittime
della “Rete”. I giovani superano gli adulti nella fruizione dei mezzi
di comunicazione di massa: radio, libri, giornali e internet; in
controtendenza soltanto la televisione, che vede una penetrazione
superiore tra gli over 30.
Rivoluzione nella comunicazione
Ogni forma di comunicazione offre possibilità
che potenziano quelle esistenti e nel contempo, come è ovvio, pone
problemi di natura etica. Sarebbe ingiusto e mortificante partire dai
risvolti deteriori, anche perché gli strumenti sono neutri e il valore
morale viene conferito da chi ne fa uso nella duplice veste, attiva e
passiva; cioè di emittente e ricevente. Possiamo dire, con il Concilio
nel decreto Inter mirifica, e come ha ripetuto molte volte
anche Giovanni Paolo II, che si tratta di strumenti utilissimi per
avvicinare i popoli. Tutto ciò viene esaltato da internet, perché rende
ciascuno ricevente e emittente al tempo stesso, pur restando unità
rispetto alla massa; individuo nella folla; prevalentemente fruitore. Si
comprende da questa semplice riflessione quanto sia necessaria una
preparazione di base all’uso di tale strumento, nella duplice funzione
di ascoltatore e dicitore.
Il problema riguarda soprattutto i giovani,
per una serie di considerazioni. La loro vita si caratterizza con la
scolarità, cioè con l’apprendimento degli strumenti indispensabili
all’inserimento nella vita sociale. Ora le nuove tecniche di
comunicazione entrano di diritto e di dovere nei programmi formativi,
che hanno nei giovani i principali destinatari. Inoltre, richiedendo
un’apertura a nuove tecniche, i giovani sono più predisposti, mentre gli
utenti di una certa età devono adattarvisi. Alcuni si domandano se
presto non scomparirà la carta stampata, che invece è stata, fino a un
secolo fa, il veicolo principe della comunicazione, dopo la voce umana.
Oggi permangono il leggere e lo scrivere, ma le pagine sono diventate un
mare da navigare e lo scrivere un digitare. Le immagini, catturabili con
un clic e in modalità digitale, stanno soppiantando la scrittura e la
lettura, perché più immediatamente decodificabili. Arriverà giorno in
cui nessuno saprà tenere in mano una penna e nessuno saprà più scrivere?
Scrive Fabrizio Mastrofini a questo
proposito: «E’ stato detto e scritto che internet porta con sé una
rivoluzione nella comunicazione pari a quella realizzata dalla
diffusione della stampa nell’epoca di Gutenberg. Oggi l’alfabetizzazione
e il suo contrario, l’analfabetismo, sono di natura “tecnologica”: non
basta dunque saper leggere e scrivere, occorre conoscere gli strumenti
informatici, saperli utilizzare, e non solo, ma anche riuscire a sapersi
districare nel grande oceano delle informazioni che possiamo ricevere.
In pochi anni considereremo “analfabeta” chi non comprende la tecnologia
e l’“analfabeta” del futuro sarà la persona incapace di usare i nuovi
mezzi e leggerne i messaggi»1.
Educarci ed educare alla comunicazione:
ruolo delle formatrici
Inutile dire che tutto ciò apre problematiche
complesse e piene di incognite, con prospettive esaltanti e rischi molto
gravi, che devono essere ben valutati e padroneggiati. È indubbiamente
una sfida. Chi naviga può essere preso dai brividi della piena libertà
di entrare nel mare di internet e può perdersi nella ricerca di siti e
di indirizzi, sciupando tanto tempo e credendo di relazionarsi con
persone, informazioni, fotografie, ecc., ma alla fine rimane solo ed è
vittima della frustrazione e dell’illusione.
«Mi accorgo sempre di più», scriveva una
suora invitata a indicare l’atteggiamento adeguato per riuscire a
“navigare” nella Rete, «che dobbiamo educarci ed educare a una
razionalità che è capacità di penetrare il reale, di orientarsi nelle
molteplicità di informazione, di andare alla radice delle cose
importanti. Forse, saper meno, vedere meno. Ma… meglio»2.
Alla radice della sfida sta il problema
culturale; e per cultura non s’intende caccia ai diplomi o alle lauree,
come è avvenuto qualche tempo fa anche per le religiose, bensì
acquisizione degli strumenti e parallela maturazione per un loro impiego
ottimale. Da suora, io mi pongo qui l’interrogativo della formazione
delle nuove generazioni di consacrate.
Bruno Secondin, conoscitore del mondo
religioso femminile, scrive: «… Il cliché della suora generosa nei
servizi, pia nelle devozioni…, ingenua nei criteri di discernimento
sarebbe superato attualmente da altri volti di donne consacrate più
sveglie e disincantate, attrezzate nel campo sociale, nei rapporti
umani: più grintose anche nel campo della religione»3.
Oggi la persona ha bisogno di essere dotata
di adeguati mezzi di discernimento per essere atta a vivere relazioni
armoniose con se stessa, con gli altri, con l’ambiente e per fare sì che
tutto sia a servizio dell’uomo, non contro di lui.
«Una suora oggi»,
aggiunge Bruno Secondin, «non può
limitarsi a rimasticare antiche tradizioni di ignoranza e di
semplificazione, ma deve essere segno visibile e comprensibile di un
grande amore ai contemporanei, fatto anche di discernimento, di
informazione seria e abbondante e di speranza radicata nella vita reale»4.
Per essere in sintonia con il tempo
“corrente” ed essere “inserite” pienamente in esso, è essenziale che le
formatrici di persone in formazione iniziale sentano il cambiamento in
divenire e accettino il Nuovo, vivendolo attivamente e non subendolo
passivamente, rispettando le sue novità, adattandole al proprio carisma,
ma soprattutto finalizzandolo alla propria missione. Si rende
necessario, quindi, che siano preparate a educare le nuove religiose a
un uso intelligente e appropriato dei mass media, a far sì che questa
rete produca libertà anziché schiavitù, stabilisca legami umani anziché
alienare o robotizzare le persone.
A tale proposito (diciamolo sottovoce) forse
le prime che necessitano di un’adeguata formazione all’uso dei mezzi di
comunicazione sembrano essere proprio le formatrici. Un ruolo importante
di formazione e informazione è svolto dal sito Vidimus dominum5
che, avendo un interessante numero di contatti quotidiani (in massima
parte religiosi/e e tra questi tante donne, mi auguro giovani in
formazione), meriterebbe certamente uno studio e un’analisi a parte. Di
fronte a questo “nuovo areopago”, plasmato in larga misura dai media,
dobbiamo essere sempre più consapevoli che la «evangelizzazione stessa
della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso»6.
Scrive F. Matrofini: «Proprio in questi
anni stiamo assistendo ad una fase nuova della e nella
Vita consacrata: la nascita cioè di una religiosa e di un religioso più
aperto ad una dimensione extra locale… La rete virtuale, nella misura in
cui si infittisce, rafforza insomma la ricerca di maggiore
consapevolezza, diminuisce la chiusura e l’atomizzazione, aumenta le
relazioni sociali. Certo, a patto che il cambiamento sia guidato,
organizzato, gestito, faccia parte integrante di un progetto a livello
Congregazionale»7.
Insomma, occorre creare una sensibilità nuova
ed educare alla comunicazione tout court. Sebbene si pensi che il
rischio sia poca cosa rispetto ai vantaggi e alle interconnessioni
possibili, per la «Chiesa», secondo Soukup, «si profila il rischio che
il collegamento virtuale stacchi le giovani in formazione dal
riferimento alle comunità reali». Potrebbe accadere il paradosso,
infatti, che gli strumenti di comunicazione producano incomunicabilità e
isolamento.
Il ruolo dell’educatrice assume, allora, una
funzione decisamente determinante; ella deve rendersi conto che le donne
in formazione hanno in sé un “mondo” che va riscoperto, riconosciuto,
sostenuto, orientato, accettato con tutte le sue contraddizioni. Queste
giovani, se incomprese o lasciate sole a gestire la nuova realtà,
potrebbero facilmente ricorrere alla rete ove trovassero le cosiddette
comunità virtuali, meglio intese come chat, che sembrano fatte
apposta per esaltare e/o distruggere sentimenti, far soffrire, più che
gioire. Nelle chat, mentre può capitare di fare incontri
significativi per la propria crescita, si può anche correre il rischio
di fare esperienze che alimentano strane e dannose fantasie, a scapito
di un sano ed equilibrato sviluppo della personalità. In tal modo
potrebbe venirsi a creare una frattura tra ciò che si è e ciò che si
vorrebbe essere. Tale situazione, se protratta nel tempo, potrebbe
portare ad una forma di schizofrenia, bloccando il processo formativo e
compromettendone l’identità. In verità, anche dal punto di vista
spirituale, «la realtà virtuale non può sostituire la reale presenza di
Cristo nell’Eucaristia, la realtà sacramentale degli altri sacramenti e
il culto partecipato in seno ad una comunità umana in carne ed ossa. Su
internet, infatti, non ci sono Sacramenti»8.
Sul ruolo di internet, Carlo Climati scrive:
«E’ un bombardamento che trova terreno fertile nella vita di molti
giovani, spesso caratterizzata da una profonda solitudine, da situazioni
familiari difficili e da incertezze per il futuro»9.
Da tutto questo non ne sono esenti le giovani
religiose in formazione. Ma se adeguatamente formate e indirizzate, esse
potrebbero fare un libero e corretto uso della Rete, mediante la quale
avvicinare a Cristo chi è al di fuori della Chiesa. Ma anche attraverso
la quale entrare in contatto con altre giovani di altre nazioni,
inaugurando, così, uno scambio esperienziale a distanza. Internet
si potrebbe rivelare una decisiva opportunità in cui rilanciare una
pastorale vocazionale, sempre più indispensabile per dare alla Chiesa un
contributo più carismatico.
E’ ancora Carlo Climati che afferma:
«Insomma, il mondo di internet presenta moltissime insidie per i giovani
e i bambini e devono essere combattute con forza. Ma non bisogna neppure
esagerare con gli allarmismi. In fondo, i rischi di “naufragio” su
internet sono gli stessi che si possono correre utilizzando qualunque
altro mezzo di comunicazione»10.
Tra le mille potenzialità di internet,
l’elemento più negativo riguarda il rapporto di “dipendenza affettiva”
che si verifica quando una religiosa si isola dalla propria comunità per
cercare nuove amicizie e nuovi stimoli nella rete»11.
Il “richiamo della rete”, quando ciò si
verifica, «diventa più importante dei momenti comuni» e inoltre, «il
rinforzo del supporto sociale che la persona riesce a ottenere in
internet, sopperisce al bisogno di relazioni, soprattutto quando i
rapporti interpersonali sono conflittuali o quando non c’è un
sufficiente clima di amicizia nella propria comunità religiosa»12.
Non sembri strano che anche le giovani in
formazione sperimentino un contatto più profondo attraverso una
“sessualità virtuale” fatta di scambio di immagini o di “confessioni e
fantasie”, per arrivare poi, in seguito, a veri e propri comportamenti
illeciti e patologici. Qui scattano problemi morali, che si
concretizzano uniformandosi al modo dei cattivi pensieri di una volta.
La risposta più adatta da dare in questo caso, spiega padre Crea,
«consiste nell’attivare un “approccio pedagogico” al problema, perché
non si tratta di un “male da estirpare” quanto piuttosto di un
“campanello d’allarme”, di qualcosa che non funziona nel modo di vivere
la propria vita affettiva e relazionale».
Premesso che la bontà o non bontà dei mezzi
dipende dal soggetto che li usa, urge che le formatrici, o chi per loro,
riescano a bloccare sul nascere il percorso di avvicinamento a certi
argomenti “a rischio”, non lasciandole sole a sperimentare novità che
possono rivelarsi fatali per la loro formazione, ma “sappiano indicare
la rotta della navigazione, ciò che si può trovare di negativo, di
immorale, di clandestino, ma anche di positivo, di ufficiale, di legale,
sia a livello di conoscenza culturale, sia religiosa»13.
In questa particolare fase potrebbe accadere
che si instauri un complesso di inferiorità dell’educatrice rispetto
alla giovane in formazione, essendo quest’ultima più a proprio agio
nell’uso degli strumenti. Spetta all’educatrice aiutare le giovani a
sviluppare il loro senso critico, a riflettere, a capire, a saper
scegliere, perché non vi siano steccati e quelli che restano vengano
continuamente rimossi. Tutto questo senza demonizzare inernet tout
court. Internet non deve essere visto come solo “buono” o solo
“cattivo”, ma semplicemente come strumento al servizio della persona.
Essere in digitale: servizio alla pace
«La Chiesa riconosce, in questi strumenti di
comunicazione sociale, dei “doni di Dio” destinati, secondo il disegno
della Provvidenza, a unire gli uomini in vincoli fraterni, per renderli
collaboratori dei Suoi disegni di salvezza anche a proposito di
internet»14.
Nel messaggio diffuso in occasione della 36°
Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali, Giovanni Paolo II
parlava della rivoluzione delle comunicazioni e dell’informazione e
poneva una domanda che è una sfida per tutti, ma specialmente per coloro
che agiscono nel settore dell’informazione e della comunicazione
sociale.
«Come possiamo garantire che la
rivoluzione nell’informazione e delle comunicazioni che ha in internet
il suo motore primo, operi a favore della globalizzazione dello sviluppo
umano e della solidarietà, obiettivi strettamente legati alla missione
evangelizzatrice della Chiesa?»15.
Oggi, diversi Istituti e, quindi, formatori
stanno utilizzando sempre di più internet per contattare e accompagnare
(almeno in una fase iniziale) giovani interessate alla conoscenza di una
particolare vocazione o carisma, stabilendo un’amicizia,
sempre sulla base di una ricerca di fede, che arriva anche all’incontro
e al colloquio personale, che rimangono insostituibili per costruire un
vero rapporto educativo.
«Capire, interpretare e valorizzare la
cultura di internet è quindi la nuova sfida che attende la Chiesa…
Questa sfida è l’essenza del significato che all’inizio del millennio,
rivestono la sequela di Cristo e il suo mandato prendi il largo: Duc in
altum!»16.
Comunità religiosa e comunità virtuale
Si tratta di prendere in considerazione,
perché “molti partecipanti on line” cerchino un senso di comunità
che non trovano nelle loro comunità.
B. Fiorentini e G. Mendes Dos Santos
scrivono: «Una delle caratteristiche della comunicazione, e in
particolare di quella virtuale, è l’interattività che deve stare alla
base del lavoro di qualsiasi gruppo di persone che operano nel settore.
Lo stesso deve valere anche all’interno della Chiesa e nel campo delle
comunicazioni sociali»17.
Tramite la Rete si possono creare, infatti,
comunità fuori dello spazio, fuori del territorio, con relazioni nuove,
una volta impossibili. Oggi il cyberspazio è sinonimo di comunità, di
spazi in cui ci si rende partecipi delle proprie idee ed emozioni. Se si
vogliono migliorare le relazioni umane all’interno della comunità
bisogna che le educatrici accettino di mettere in discussione il
proprio modo tradizionale di vedere, considerare e scegliere delle
opzioni comunicative. Si tratta di formare comunità ove vi sia
comunicazione, condivisione di informazioni, scambio, dialogo, ove si
producano interazioni e identità mature. Oggi, la nozione di comunità si
lega a quella della comunicazione. Si può affermare che «dove c’è
comunicazione c’è comunità».
In sintesi, ciò significa che migliorando la
comunicazione interna nelle comunità, si pongono le condizioni per un
innalzamento del livello di “appartenenza” comunitaria che rafforzi
l’identità carismatica. Tutto ciò acquista maggiore importanza in questo
momento in cui in una stessa comunità possono convivere religiose non
solo di diversa età, ma di diverse razze, diversa formazione culturale e
teologica… Questo è un grande segno di speranza, ed è la prova che la
“rete delle reti” può essere utilizzata per fare del bene e non soltanto
per promuovere odio razziale o etnico, trasmettere pornografia e
violenza gratuita. In Italia, in occasione del 50° anniversario della
nascita della TV, circa duemila suore, dei principali monasteri di
clausura, hanno pregato con intenzioni particolari per tutti gli
operatori della TV. Lo stesso accade per un certo numero di
Congregazioni, che attraverso un proprio sito, oltre al pubblico che lo
visita, hanno l’opportunità di raggiungere persone “in ricerca” con le
quali cercano di realizzare una presenza sempre più ispirata ai criteri
produttivi del bello, del vero e del giusto. In questo senso s’inserisce
l’invito alle formatrici perché siano sempre più consapevoli della
grande responsabilità formativa che la professione assegna loro.
Nella migliore delle ipotesi, nel giro di
qualche anno, un miliardo di persone potranno avere internet, mentre
circa quattro miliardi ne resteranno esclusi. Per motivi di povertà, non
di carenza di collegamenti.
Parafrasando, potremmo applicare a noi e a
internet una frase di Gesù: Non aver paura di proclamare il Vangelo
anche in internet: Io ho un popolo numeroso in quella città18.
Conclusione
Mi piace concludere con un richiamo alla
persona di Giovanni Paolo II. È egli stesso un esempio di intenso e
corretto uso della comunicazione, anche in rapporto ai mass-media. I
suoi frequenti viaggi, il suo modo di comunicare diversificato, sono
universalmente riconosciuti. L’impegno nel mondo dell’arte e del teatro,
in particolare, gli hanno insegnato come utilizzare il linguaggio
dell’immagine, della gestualità, del simbolo, per arrivare dritto al
cuore delle persone.
C’è una lettera che Giovanni Paolo II non ha
mai scritto, eppure ha fatto il giro del mondo. E’ “l’enciclica dei
gesti”: un biglietto infilato nel Muro del pianto di Gerusalemme; la
visita in carcere al suo attentatore; il “mea culpa” durante il giubileo
per le colpe della Chiesa; il baciare la terra all’arrivo in ogni Paese
straniero; l’accarezzare i bambini, lo sciare in montagna, l’entrare in
una sinagoga e in una moschea e mille altri gesti “fuori cerimoniale”,
compiuti in venticinque anni di pontificato. Le immagini, i gesti
comunicano più delle parole, documentano meglio di qualsiasi saggio di
sociologia della comunicazione.
In conclusione, nutrendo la speranza che le
ragioni di questo articolo possano incitare realmente, e non solo
virtualmente, a decomprimere le riflessioni in esso zippate, mi permetto
di esortare le educatrici – che hanno in consegna delle donne
particolari, capaci di ascolto, di tenerezza e tenaci nel perseguire
soluzioni – ad essere premurose nell’invitarle a non stancarsi di
fissare lo sguardo su Gesù di Nazaret, che ha realizzato la
comunicazione più importante per la storia dell’umanità, permettendoci
di vedere, attraverso di Lui, il volto del Padre celeste19.
Se «la sfida è come usare internet – lo
spazio virtuale – per migliorare la formazione al fine di una migliore
qualità della nostra vita comunitaria»20,
suggerisco che «navigare e vivere nel Web è veramente a portata
di… mano, anzi di mouse. Dunque, “prendiamo il largo” nell’oceano
di internet»21.