n. 2
febbraio 2005

 

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I Mass Media e la formazione iniziale
di Zordan Emma*

 

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Premessa zippata sui mass media

In queste pagine tenterò di zippare un insieme di indicatori culturali relativi ai mezzi di comunicazione, in particolare alla rivoluzione digitale in corso, per aiutare le giovani in formazione a vivere in questo ambiente cibernetico una nuova esperienza evangelica che abbia come origine e meta la vita delle persone e della comunità.

In un momento storico nel quale la comunicazione tende ad accentuare l’aspetto tecnologico, la radio, dal punto di vista del fruitore, resta lo strumento più pervasivo, accessibile e flessibile. In molti Paesi contribuisce in modo importante alla formazione della coscienza civile, interpretando il mondo da una prospettiva locale, rispondendo a quelle che sono le necessità di informazione e concedendo anche alle fasce più marginali della popolazione la possibilità di partecipare ai processi di comunicazione e di costruzione del consenso sulle questioni più importanti che le riguardano. Penso, in questo momento, alle missioni ad gentes, dove si hanno popolazioni disperse sul territorio che possono essere raggiunte soltanto con le onde radio, a patto che dispongano di una radiolina che può stare in un pugno della mano.

Gli altri media (la televisione, i telefoni cellulari, la stampa e internet) richiedono strumenti assai più complessi e strutture di supporto più capillari, con costi che finiscono per ricadere sui fruitori, escludendoli di fatto dall’accesso. Tuttavia, essi sono dotati di una attrattiva enorme e di certe specificità che li rendono altamente appetibili, sicché hanno un pubblico sempre più vasto e preponderante, soprattutto nei Paesi civilizzati, tanto che la radio, a dispetto della sua economicità e facilità d’uso, risulta oggi marginalizzata, mentre è in forte crescita l’ultimo grido della comunicazione globale: internet.

Comunque, la radio, la televisione e il cellulare sono i tre mezzi di comunicazione preferiti dagli under 30 italiani. Il dato emerge dal Terzo rapporto Censis/Unione cattolica stampa italiana sulla comunicazione in Italia. Al contrario «internet» – come spiega Raffaele Pastore del Censis – «rappresenta una vera eccezione, infatti spacca in due il mondo giovanile: metà lo vive come il più avanzato coronamento di tv, cellulare e radio, l’altra metà lo considera come uno strumento difficile, che compromette la facilità e la fluidità della comunicazione». Moltissimi, infatti, sono esclusi oppure sono vittime della  “Rete”. I giovani superano gli adulti nella fruizione dei mezzi di comunicazione di massa: radio, libri, giornali e internet; in controtendenza soltanto la televisione, che vede una penetrazione superiore tra gli over 30.

 

Rivoluzione nella comunicazione

Ogni forma di comunicazione offre possibilità che potenziano quelle esistenti e nel contempo, come è ovvio, pone problemi di natura etica. Sarebbe ingiusto e mortificante partire dai risvolti deteriori, anche perché gli strumenti sono neutri e il valore morale viene conferito da chi ne fa uso nella duplice veste, attiva e passiva; cioè di emittente e ricevente. Possiamo dire, con il Concilio nel decreto Inter mirifica, e come ha ripetuto molte volte anche Giovanni Paolo II, che si tratta di strumenti utilissimi per avvicinare i popoli. Tutto ciò viene esaltato da internet, perché rende ciascuno ricevente e emittente al tempo stesso, pur restando unità rispetto alla massa; individuo nella folla; prevalentemente fruitore. Si comprende da questa semplice riflessione quanto sia necessaria una preparazione di base all’uso di tale strumento, nella duplice funzione di ascoltatore e dicitore.

Il problema riguarda soprattutto i giovani, per una serie di considerazioni. La loro vita si caratterizza con la scolarità, cioè con l’apprendimento degli strumenti indispensabili all’inserimento nella vita sociale. Ora le nuove tecniche di comunicazione entrano di diritto e di dovere nei programmi formativi, che hanno nei giovani i principali destinatari. Inoltre, richiedendo un’apertura a nuove tecniche, i giovani sono più predisposti, mentre gli utenti di una certa età devono adattarvisi. Alcuni si domandano se presto non scomparirà la carta stampata, che invece è stata, fino a un secolo fa, il veicolo principe della comunicazione, dopo la voce umana. Oggi permangono il leggere e lo scrivere, ma le pagine sono diventate un mare da navigare e lo scrivere un digitare. Le immagini, catturabili con un clic e in modalità digitale, stanno soppiantando la scrittura e la lettura, perché più immediatamente decodificabili. Arriverà giorno in cui nessuno saprà tenere in mano una penna e nessuno saprà più scrivere?

Scrive Fabrizio Mastrofini a questo proposito: «E’ stato detto e scritto che internet porta con sé una rivoluzione nella comunicazione pari a quella realizzata dalla diffusione della stampa nell’epoca di Gutenberg. Oggi l’alfabetizzazione e il suo contrario, l’analfabetismo, sono di natura “tecnologica”: non basta dunque saper leggere e scrivere, occorre conoscere gli strumenti informatici, saperli utilizzare, e non solo, ma anche riuscire a sapersi districare nel grande oceano delle informazioni che possiamo ricevere. In pochi anni considereremo “analfabeta” chi non comprende la tecnologia e l’“analfabeta” del futuro sarà la persona incapace di usare i nuovi mezzi e leggerne i messaggi»1.

 

Educarci ed educare alla comunicazione: ruolo delle formatrici

Inutile dire che tutto ciò apre problematiche complesse e piene di incognite, con prospettive esaltanti e rischi molto gravi, che devono essere ben valutati e padroneggiati. È indubbiamente una sfida. Chi naviga può essere preso dai brividi della piena libertà di entrare nel mare di internet e può perdersi nella ricerca di siti e di indirizzi, sciupando tanto tempo e credendo di relazionarsi con persone, informazioni, fotografie, ecc., ma alla fine rimane solo ed è vittima della frustrazione e dell’illusione.

«Mi accorgo sempre di più», scriveva una suora invitata a indicare l’atteggiamento adeguato per riuscire a “navigare” nella Rete, «che dobbiamo educarci ed educare a una razionalità che è capacità di penetrare il reale, di orientarsi nelle molteplicità di informazione, di andare alla radice delle cose importanti. Forse, saper meno, vedere meno. Ma… meglio»2.

Alla radice della sfida sta il problema culturale; e per cultura non s’intende caccia ai diplomi o alle lauree, come è avvenuto qualche tempo fa anche per le religiose, bensì acquisizione degli strumenti e parallela maturazione per un loro impiego ottimale. Da suora, io mi pongo qui l’interrogativo della formazione delle nuove generazioni di consacrate.

Bruno Secondin, conoscitore del mondo religioso femminile, scrive: «… Il cliché della suora generosa nei servizi, pia nelle devozioni…, ingenua nei criteri di discernimento sarebbe superato attualmente da altri volti di donne consacrate più sveglie e disincantate, attrezzate nel campo sociale, nei rapporti umani: più grintose anche nel campo della religione»3.

Oggi la persona ha bisogno di essere dotata di adeguati mezzi di discernimento per essere atta a vivere relazioni armoniose con se stessa, con gli altri, con l’ambiente e per fare sì che tutto sia a servizio dell’uomo, non contro di lui.

«Una suora oggi», aggiunge Bruno Secondin, «non può limitarsi a rimasticare antiche tradizioni di ignoranza e di semplificazione, ma deve essere segno visibile e comprensibile di un grande amore ai contemporanei, fatto anche di discernimento, di informazione seria e abbondante e di speranza radicata nella vita reale»4.

Per essere in sintonia con il tempo “corrente” ed essere “inserite” pienamente in esso, è essenziale che le formatrici di persone in formazione iniziale sentano il cambiamento in divenire e accettino il Nuovo, vivendolo attivamente e non subendolo passivamente, rispettando le sue novità, adattandole al proprio carisma, ma soprattutto finalizzandolo alla propria missione. Si rende necessario, quindi, che siano preparate a educare le nuove religiose a un uso intelligente e appropriato dei mass media, a far sì che questa rete produca libertà anziché schiavitù, stabilisca legami umani anziché alienare o robotizzare le persone.

A tale proposito (diciamolo sottovoce) forse le prime che necessitano di un’adeguata formazione all’uso dei mezzi di comunicazione sembrano essere proprio le formatrici. Un ruolo importante di formazione e informazione è svolto dal sito Vidimus dominum5 che, avendo un interessante numero di contatti quotidiani (in massima parte religiosi/e e tra questi tante donne, mi auguro giovani in formazione), meriterebbe certamente uno studio e un’analisi a parte. Di fronte a questo “nuovo areopago”, plasmato in larga misura dai media, dobbiamo essere sempre più consapevoli che la «evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso»6.

Scrive F. Matrofini: «Proprio in questi anni stiamo assistendo  ad una fase nuova della e nella Vita consacrata: la nascita cioè di una religiosa e di un religioso più aperto ad una dimensione extra locale… La rete virtuale, nella misura in cui si infittisce, rafforza insomma la ricerca di maggiore consapevolezza, diminuisce la chiusura e l’atomizzazione, aumenta le relazioni sociali. Certo, a patto che il cambiamento sia guidato, organizzato, gestito, faccia parte integrante di un progetto a livello Congregazionale»7.

Insomma, occorre creare una sensibilità nuova ed educare alla comunicazione tout court. Sebbene si pensi che il rischio sia poca cosa rispetto ai vantaggi e alle interconnessioni possibili, per la «Chiesa», secondo Soukup, «si profila il rischio che il collegamento virtuale stacchi le giovani in formazione dal riferimento alle comunità reali». Potrebbe accadere il paradosso, infatti, che gli strumenti di comunicazione producano incomunicabilità e isolamento.

Il ruolo dell’educatrice assume, allora, una funzione decisamente determinante; ella deve rendersi conto che le donne in formazione hanno in sé un “mondo” che va riscoperto, riconosciuto, sostenuto, orientato, accettato con tutte le sue contraddizioni. Queste giovani, se incomprese o lasciate sole a gestire la nuova realtà, potrebbero facilmente ricorrere alla rete ove trovassero le cosiddette comunità virtuali, meglio intese come chat, che sembrano fatte apposta per esaltare e/o distruggere sentimenti, far soffrire, più che gioire. Nelle chat, mentre può capitare di fare incontri significativi per la propria crescita, si può anche correre il rischio di fare esperienze che alimentano strane e dannose fantasie, a scapito di un sano ed equilibrato sviluppo della personalità. In tal modo potrebbe venirsi a creare una frattura tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere. Tale situazione, se protratta nel tempo, potrebbe portare ad una forma di schizofrenia, bloccando il processo formativo e compromettendone l’identità.  In verità, anche dal punto di vista spirituale, «la realtà virtuale non può sostituire la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, la realtà sacramentale degli altri sacramenti e il culto partecipato in seno ad una comunità umana in carne ed ossa. Su internet, infatti, non ci sono Sacramenti»8.

Sul ruolo di internet, Carlo Climati scrive: «E’ un bombardamento che trova terreno fertile nella vita di molti giovani, spesso caratterizzata da una profonda solitudine, da situazioni familiari difficili e da incertezze per il futuro»9.

Da tutto questo non ne sono esenti le giovani religiose in formazione. Ma se adeguatamente formate e indirizzate, esse potrebbero fare un libero e corretto uso della Rete, mediante la quale avvicinare a Cristo chi è al di fuori della Chiesa. Ma anche attraverso la quale entrare in contatto con altre giovani di altre nazioni, inaugurando, così, uno scambio esperienziale a distanza. Internet si potrebbe rivelare una decisiva opportunità in cui rilanciare una pastorale vocazionale, sempre più indispensabile per dare alla Chiesa un contributo più carismatico.

E’ ancora Carlo Climati che afferma: «Insomma, il mondo di internet presenta moltissime insidie per i giovani e i bambini e devono essere combattute con forza. Ma non bisogna neppure esagerare con gli allarmismi. In fondo, i rischi  di “naufragio” su internet sono gli stessi che si possono correre utilizzando qualunque altro mezzo di comunicazione»10.

Tra le mille potenzialità di internet, l’elemento più negativo riguarda il rapporto di “dipendenza affettiva” che si verifica quando una religiosa si isola dalla propria comunità per cercare nuove amicizie e nuovi stimoli nella rete»11.

Il “richiamo della rete”, quando ciò si verifica, «diventa più importante dei momenti comuni» e inoltre, «il rinforzo del supporto sociale che la persona riesce a ottenere in internet, sopperisce al bisogno di relazioni, soprattutto quando i rapporti interpersonali sono conflittuali o quando non c’è un sufficiente clima di amicizia nella propria comunità religiosa»12.

Non sembri strano che anche le giovani in formazione sperimentino un contatto più profondo attraverso una “sessualità virtuale” fatta di scambio di immagini o di “confessioni e fantasie”, per arrivare poi, in seguito, a veri e propri comportamenti illeciti e patologici. Qui scattano problemi morali, che si concretizzano uniformandosi al modo dei cattivi pensieri di una volta. La risposta più adatta da dare in questo caso, spiega padre Crea, «consiste nell’attivare un “approccio pedagogico” al problema, perché non si tratta di un “male da estirpare” quanto piuttosto di un “campanello d’allarme”, di qualcosa che non funziona nel modo di vivere la propria vita affettiva e relazionale».

Premesso che la bontà o non bontà dei mezzi dipende dal soggetto che li usa, urge che le formatrici, o chi per loro, riescano a bloccare sul nascere il percorso di avvicinamento a certi argomenti “a rischio”, non lasciandole sole a sperimentare novità che possono rivelarsi fatali per la loro formazione, ma “sappiano indicare la rotta della navigazione, ciò che si può trovare di negativo, di immorale, di clandestino, ma anche di positivo, di ufficiale, di legale, sia a livello di conoscenza culturale, sia religiosa»13.

In questa particolare fase potrebbe accadere che si instauri un complesso di inferiorità dell’educatrice rispetto alla giovane in formazione, essendo quest’ultima più a proprio agio nell’uso degli strumenti. Spetta all’educatrice aiutare le giovani a sviluppare il loro senso critico, a riflettere, a capire, a saper scegliere, perché non vi siano steccati e quelli che restano vengano continuamente rimossi. Tutto questo senza demonizzare inernet tout court. Internet non deve essere visto come solo “buono” o solo “cattivo”, ma semplicemente come strumento al servizio della persona.

 

Essere in digitale: servizio alla pace

«La Chiesa riconosce, in questi strumenti di comunicazione sociale, dei “doni di Dio” destinati, secondo il disegno della Provvidenza, a unire gli  uomini in vincoli fraterni, per renderli collaboratori dei Suoi disegni di salvezza anche a proposito di internet»14.

Nel messaggio diffuso in occasione della 36° Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali, Giovanni Paolo II parlava della rivoluzione delle comunicazioni e dell’informazione e poneva una domanda che è una sfida per tutti, ma specialmente per coloro che agiscono nel settore dell’informazione e della comunicazione sociale.

«Come possiamo garantire che la rivoluzione nell’informazione e delle comunicazioni che ha in internet il suo motore primo, operi a favore della globalizzazione dello sviluppo umano e della solidarietà, obiettivi strettamente legati alla missione evangelizzatrice della Chiesa?»15.

Oggi, diversi Istituti e, quindi, formatori stanno utilizzando sempre di più internet per contattare e accompagnare (almeno in una fase iniziale) giovani interessate alla conoscenza di una particolare vocazione o carisma, stabilendo un’amicizia, sempre sulla base di una ricerca di fede, che arriva anche all’incontro e al colloquio personale, che rimangono insostituibili per costruire un vero rapporto educativo.

«Capire, interpretare e valorizzare la cultura di internet è quindi la nuova sfida che attende la Chiesa… Questa sfida è l’essenza del significato che all’inizio del millennio, rivestono la sequela di Cristo e il suo mandato prendi il largo: Duc in altum!»16.

 

Comunità religiosa e comunità virtuale

Si tratta di prendere in considerazione, perché “molti partecipanti on line” cerchino un senso di comunità che non trovano nelle loro comunità.

B. Fiorentini e G. Mendes Dos Santos scrivono: «Una delle caratteristiche della comunicazione, e in particolare di quella virtuale, è l’interattività che deve stare alla base del lavoro di qualsiasi gruppo di persone che operano nel settore. Lo stesso deve valere anche all’interno della Chiesa e nel campo delle comunicazioni sociali»17.

Tramite la Rete si possono creare, infatti, comunità fuori dello spazio, fuori del territorio, con relazioni nuove, una volta impossibili. Oggi il cyberspazio è sinonimo di comunità, di spazi in cui ci si rende partecipi delle proprie idee ed emozioni. Se si vogliono  migliorare le relazioni umane all’interno della comunità bisogna che le educatrici accettino di mettere in discussione il proprio modo tradizionale di vedere, considerare e scegliere delle opzioni comunicative. Si tratta di formare comunità ove vi sia comunicazione, condivisione di informazioni, scambio, dialogo, ove si producano interazioni e identità mature. Oggi, la nozione di comunità si lega a quella della comunicazione. Si può affermare che «dove c’è comunicazione c’è comunità».

In sintesi, ciò significa che migliorando la comunicazione interna nelle comunità, si pongono le condizioni per un innalzamento del livello di “appartenenza” comunitaria che rafforzi l’identità carismatica. Tutto ciò acquista maggiore importanza in questo momento in cui in una stessa comunità possono convivere religiose non solo di diversa età, ma di diverse razze, diversa formazione culturale e teologica… Questo è un grande segno di speranza, ed è la prova che la “rete delle reti” può essere utilizzata per fare del bene e non soltanto per promuovere odio razziale o etnico, trasmettere pornografia e violenza gratuita. In Italia, in occasione del 50° anniversario della nascita della TV, circa duemila suore, dei principali monasteri di clausura, hanno pregato con intenzioni particolari per tutti gli operatori della TV. Lo stesso accade per un certo numero di Congregazioni, che attraverso un proprio sito, oltre al pubblico che lo visita, hanno l’opportunità di raggiungere persone “in ricerca” con le quali cercano di realizzare una presenza sempre più ispirata ai criteri produttivi del bello, del vero e del giusto. In questo senso s’inserisce l’invito alle formatrici perché siano sempre più consapevoli della grande responsabilità formativa che la professione assegna loro.

Nella migliore delle ipotesi, nel giro di qualche anno, un miliardo di persone potranno avere internet, mentre circa quattro miliardi ne resteranno esclusi. Per motivi di povertà, non di carenza di collegamenti.

Parafrasando, potremmo applicare a noi e a internet una frase di Gesù: Non aver paura di proclamare il Vangelo anche in internet: Io ho un popolo numeroso in quella città18.

 

Conclusione

Mi piace concludere con un richiamo alla persona di Giovanni Paolo II. È egli stesso un esempio di intenso e corretto uso della comunicazione, anche in rapporto ai mass-media. I suoi frequenti viaggi, il suo modo di comunicare diversificato, sono universalmente riconosciuti. L’impegno nel mondo dell’arte e del teatro, in particolare, gli hanno insegnato come utilizzare il linguaggio dell’immagine, della gestualità, del simbolo, per arrivare dritto al cuore delle persone.

C’è una lettera che Giovanni Paolo II non ha mai scritto, eppure ha fatto il giro del mondo. E’ “l’enciclica dei gesti”: un biglietto infilato nel Muro del pianto di Gerusalemme; la visita in carcere al suo attentatore; il “mea culpa” durante il giubileo per le colpe della Chiesa; il baciare la terra all’arrivo in ogni Paese straniero; l’accarezzare i bambini, lo sciare in montagna, l’entrare in una sinagoga e in una moschea e mille altri gesti “fuori cerimoniale”, compiuti in venticinque anni di pontificato. Le immagini, i gesti comunicano più delle parole, documentano meglio di qualsiasi saggio di sociologia della comunicazione.

In conclusione, nutrendo la speranza che le ragioni di questo articolo possano incitare realmente, e non solo virtualmente, a decomprimere le riflessioni in esso zippate, mi permetto di esortare le educatrici – che hanno in consegna delle donne particolari, capaci di ascolto, di tenerezza e tenaci nel perseguire soluzioni – ad essere premurose nell’invitarle a non stancarsi di fissare lo sguardo su Gesù di Nazaret, che ha realizzato la comunicazione più importante per la storia dell’umanità, permettendoci di vedere, attraverso di Lui, il volto del Padre celeste19.

Se «la sfida è come usare internet – lo spazio virtuale – per migliorare la formazione al fine di una migliore qualità della nostra vita comunitaria»20, suggerisco che «navigare e vivere nel Web è veramente a portata di… mano, anzi di mouse. Dunque, “prendiamo il largo” nell’oceano di internet»21.

 

 

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