Un primo punto di partenza
Il
problema, perché si tratta di un problema
ampio, contrastato, problematico, va inserito nel vasto panorama della
situazione della musica in genere, oggi in Italia.
Da una parte, l’insegnamento ufficiale della
musica nelle scuole di ogni ordine e grado sta attraversando un
capovolgimento epocale: scuola primaria senza un progetto curricolare di
tale materia, licei attuali privi di qualsiasi insegnamento musicale, in
attesa dei nuovi licei tra cui anche quello musicale; presso
l’università la materia è presente soltanto in qualche facoltà,
naturalmente con finalità storiche e musicologiche, di ricerca e di
approfondimento.
Se consideriamo l’iter attuale della riforma
508 dei Conservatori di musica, notiamo un ritardo e una
confusione indescrivibile: vecchi cicli scolastici (10 anni o 7 per
alcuni strumenti) ancora in vigore insieme ai nuovi corsi di I e II
livello di tre e due anni; materie sviluppatesi e ampliatesi a dismisura
con il pericolo di rendere meno rilevante lo strumento fondamentale e
d’altra parte la difficoltà di trovare all’interno dei Conservatori
docenti preparati per insegnare le nuove materie di studio, fatte poche
eccezioni. Cosa dire poi della mancanza di aule adeguate, difficoltà
nell’organizzare la tabella dei vari orari nell’anno scolastico, ritardi
enormi sull’inizio delle attività scolastiche, mancanza endemica di
fondi, regolamenti didattici non ancora approvati?
Uno sguardo ai contributi governativi rende
ancora più triste il panorama: anno dopo anno vengono tagliati i
contributi alla cultura, all’arte, alla musica.
Ma, nonostante questo panorama, mai come in
questi ultimi anni si assiste a un pullulare di iniziative musicali e
concertistiche: gruppi di musicisti volontari, e con pochi mezzi,
organizzano in giro per l’Italia, nei paesini più sconosciuti, rassegne,
corsi, concorsi, eventi di ogni genere. Da una parte le antiche
associazioni musicali più titolate, replicano anno dopo anno attività
stantie e logore, dall’altra parte nuove associazioni organizzano e
inventano percorsi musicali interessanti e qualificati.
Un’altra attenta valutazione va fatta
sull’impiego che la gente normale fa della musica leggera e di
intrattenimento, un uso a livello consapevole ma tante volte a livello
inconscio.
Un’analisi va anche compiuta circa l’utilizzo
della musica da parte dei giovani. I fine settimana e le festività sono
indirizzati a un rito ormai assimilato: la discoteca, il pub o altri
locali dove si balla o si mangia, con risvolti di uso di droghe a tutti
noto. Una musica che stordisce, annulla, assorda e non educa. Un altro
fenomeno sono i concerti di massa per ascoltare cantanti famosi,
in cui la musica diventa pretesto per stare insieme, per uscire e fare
qualcosa di diverso, incontrare il proprio idolo.
Infine tutta la musica di sottofondo nei
grandi magazzini e nei vari negozi alla moda, e la non musica in cui
siamo immersi, fatta di rumori, di chiasso, di traffico.
Quale musica liturgica?
Ecco: tutte queste valutazioni non vanno
trascurate quando vogliamo affrontare il problema della musica
liturgica. Anche l’assemblea che viene in chiesa vive in questo panorama
musicale che abbiamo descritto. Un popolo che non canta più, che vuole
un po’ di silenzio e di raccoglimento, che in chiesa vuol trovare
qualcosa di diverso e di altro rispetto alla quotidianità. Per
contrasto, si vorrebbe veramente essere lasciati in pace con il proprio
Signore: si arriva da un ambiente di tante parole, di rumore e di
chiasso, di fretta e precipitazione, tutti rincorrendo il tempo e sempre
in ritardo sugli appuntamenti. La gente pare implorare: lasciateci stare
in pace.
Ma la chiesa ha cantato sempre, la liturgia
ha avuto continuamente bisogno del canto e della musica, il canto è da
sempre espressione di una preghiera più intensa e profonda. Allora si
tratta di stabilire qual è il canto che serve alla liturgia, qual è il
canto che aiuta l’assemblea a pregare meglio e più in profondità.
Già una prima conclusione la possono trarre i
lettori e le lettrici: abbiamo bisogno di una musica altra e diversa,
abbiamo bisogno di un canto segno e simbolo del sacro, ci occorre un
canto rituale per esprimere i vari momenti di lode e di adorazione, di
supplica e di ringraziamento, di gioia e di dolore, di esultanza e di
meditazione. Abbiamo bisogno di un canto preghiera che arrivi fino allo
iubilus, cioè di un canto puro che non ha più bisogno di parole.
Allora quando canto, io divento quel canto di lode e di supplica, è
tutto il mio essere che diventa canto per il Signore insieme alle mie
sorelle e ai miei fratelli nella fede.
È evidente, allora, che quando siamo in
chiesa non siamo a un concerto, non siamo semplici spettatori di
qualcosa che sta accadendo, siamo attori con varie responsabilità e
svolgendo ciascuno il proprio compito ministeriale. Alla celebrazione
non interessa eseguire il brano famoso di quell’autore noto, non
interessa salvaguardare il ricco patrimonio di musica sacra – infatti la
liturgia non è un museo né una biblioteca – né in ultima analisi
interessa il tipo di interpretazione filologica di un determinato brano.
Alla celebrazione interessa il rito e le persone che attivamente si
esprimono con i loro linguaggi e con la loro cultura.
Affermare quanto sopra non significa affatto
sminuire l’importanza della musica, né significa ridurla a semplice
musica funzionale, ma significa darle una importanza nuova perché la si
inserisce all’interno del rito e non giustapposta al rito; essa svolge
una funzione importante perché diventa essa stessa un rito, un simbolo
sonoro della realtà celebrata. Quindi la musica liturgica non può essere
musica neutra e libera, ma è finalizzata a un rito particolare,
realizzato da persone qui ed ora presenti. Tutto questo discorso lo si
trova bene espresso nel numero 12 della Costituzione sulla sacra
liturgia Sacrosanctum Concilium: «Perciò la musica sacra sarà
tanto più santa, quanto più strettamente sarà unita all’azione
liturgica».
Punti nevralgici della Riforma Liturgica
Un altro punto fermo della Riforma Liturgica
è l’aver scoperto la centralità di un’assemblea che celebra con
varie ministerialità ordinate o di fatto. Questa è la vera novità: «non
c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una
assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede»
(Musicam Sacram, 16). Viene prima il canto dell’assemblea
fatto di acclamazioni, risposte, dialoghi, antifone, ritornelli, inni e
cantici. Pertanto anche l’intervento della schola o del coro,
sono a servizio del canto dell’assemblea con la quale devono dialogare,
alternarsi e sostenere; poi potranno, in alcuni riti concreti, cantare
da soli alcuni canti particolari.
L’altra grande conquista della Riforma: il
rispetto del genere musicale adatto alle varie forme musicali
richieste dai vari riti. Che cosa significa? Vuol dire realizzare una
varietà di interventi musicali che utilizzano l’acclamazione e la
cantillazione, l’inno e la litania, il corale e il tropario, la canzone
e il cantico. Le conseguenze per i compositori: una litania è diversa da
una canzone, un inno ha una struttura differente da una salmodia; quindi
ogni rito esige una forma musicale adeguata e propria. Tutto ciò viene
ben chiarito nella Musicam Sacram al numero 9: «La Chiesa non
esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché
corrisponda allo spirito dell’azione liturgica e alla natura delle
singole parti e non impedisca una conveniente partecipazione attiva dei
fedeli». La Chiesa perciò non sceglie un genere esclusivo di musica
sacra, non dice sì alla polifonia e no alla canzone e viceversa; non
sceglie il canto gregoriano e dice no al canto africano, ma ogni genere
è ammesso a condizione che rispetti il rito nelle singole parti e
coinvolga l’assemblea in una partecipazione attiva, piena e consapevole.
Quindi, abbiamo una concezione capovolta
rispetto al passato: non si parte dal pezzo musicale, ma si parte dal
rito che richiede una forma adatta all’assemblea che celebra. Sono
importanti le persone e poi viene il canto, è importante il rito e poi
la musica.
Altro elemento da considerare è la
partecipazione. Dice la Musicam Sacram al n.15: «I fedeli
adempiono il loro ufficio liturgico per mezzo di quella piena,
consapevole e attiva partecipazione che è richiesta dalla natura stessa
della Liturgia e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in
forza del battesimo».
La partecipazione è anzitutto interiore e
profonda e quindi a volte anche silenziosa e in ascolto del sacerdote e
della schola. Ma deve essere anche attiva, fatta di gesti, di
parole e canti, di movimenti, in quelle parti previste dal rito.
Pertanto se l’assemblea non canta l’Alleluia, tale rito è falso e
imperfetto, se l’assemblea non risponde al “Signore pietà”, quel rito è
incompleto e mal formulato, se l’assemblea non acclama al Signore tre
volte Santo, è privata di un suo diritto essenziale.
Un’altra novità rispetto al passato, la
troviamo nella ministerialità conquistata. Nel campo del canto e
della musica sono tanti i ministeri di fatto e le funzioni molteplici
che essi svolgono durante la celebrazione: il coro e il direttore, la
guida del canto dell’assemblea, i solisti, l’organista e i vari
strumentisti, il tecnico del suono. «L’ordinamento autentico della
celebrazione liturgica presuppone anzitutto la debita divisione ed
esecuzione degli uffici, per cui, ciascuno, ministro o semplice fedele,
svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò
che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua
competenza» (MS, 6). Ricchezza di interventi a servizio del rito e
dell’assemblea che richiedono competenza specifica e profonda,
preparazione tecnica e spirituale; tale ricchezza esprime il vero volto
di una Chiesa tutta ministeriale, tutta ordinata, tutta scompaginata;
inoltre tale ministerialità rappresenta uno degli elementi di una vera
solennità e di una vera ricchezza celebrativa.
La situazione attuale
Vorrei subito premettere che la mia è una
visione personale e parziale, anche se osservata da un posto
privilegiato qual è quello dell’Ufficio Liturgico Nazionale, dove io
opero.
Non riusciamo ad avere una mappa completa
della situazione musicale per svariati motivi: situazioni ecclesiali
diverse, non esiste un unico progetto di pastorale del canto e della
musica, alcune Diocesi sono molto attrezzate, altre invece lasciano
tutto alla spontaneità e al volontariato più consumato.
Io vi racconto ciò che vedo in giro, ciò che
ascolto in alcune conversazioni; rilevo alcune istanze che mi vengono
indirizzate, esamino alcune domande che mi rivolgono: da tutto ciò ho
elaborato mie personali opinioni che vi comunico.
•
Continua, anche se in modo meno plateale, l’infinita discussione sulla
musica sacra e sul modo di intendere la riforma del canto e della musica
voluta dal Vaticano II. Da destra e da sinistra c’è una sparuta
minoranza di musicisti che pretendono di strattonare la riforma alle
proprie ideologie, ai propri stilemi compositivi, alle proprie scelte
musicali. Ultimamente stanno usando questa tecnica anche nei confronti
del papa Benedetto XVI.
D’altro canto si nota una schiera di
musicisti attenta e desiderosa di imparare, una fioritura di
pubblicazioni, di interventi vari, di corsi e incontri che, in quest’ultimo
decennio circa, hanno approfondito e chiarito il vero senso della
riforma liturgica.
• Un
altro aspetto positivo è dato dalla sedimentazione di un certo
repertorio ormai patrimonio comune di molte assemblee; repertorio
dignitoso, musicalmente accettabile e ritualmente situato. Anche i testi
dei canti fanno riferimento con più attenzione al rito, alla Bibbia,
alla teologia.
E che dire della editoria musicale: meno
presente per quantità, ma più attenta al rito, più indirizzata a
progetti liturgici ben chiari e definiti. Non si può ottenere tutto e
subito, specie in questo settore nuovo e in continua ricerca.
Iniziative nazionali dell’ULN
Circa 10 anni fa il settore musica sacra
dell’ULN aveva individuato nella formazione, la strada maestra
della propria attività promozionale.
Nacque così una struttura nazionale chiamata
Corso di perfezionamento liturgico musicale (Co.per.li.m).
Esso è destinato a formare i responsabili diocesani di musica sacra, gli
incaricati di musica liturgica delle comunità religiose e delle
aggregazioni laicali, i docenti presso Scuole e Istituti diocesani di
musica sacra. Perciò il livello è specialistico e richiede una
preparazione di base molto elevata: un diploma di Conservatorio o un
diploma presso le scuole diocesane.
Al corso vi hanno partecipato circa 210
allievi, 70 si sono diplomati e circa 30 musicisti svolgono il loro
servizio a livello diocesano. Da quest’anno (2005) il Coperlim è stato
inserito fra i diplomi di specializzazione della facoltà teologica del
Laterano.
Il repertorio nazionale di canti per la
liturgia
Un lavoro durato 5 anni, portato avanti da 5
esperti musicisti e liturgisti italiani.
Sono stati scelti 360 canti ed è stato
pubblicato soltanto l’elenco e le fonti, con una nota introduttiva dei
Vescovi della Commissione episcopale per la liturgia della CEI, il 6
gennaio 2000.
Si sta cercando di pubblicare il libro con
gli spartiti per organo ed un libro con la melodia per i fedeli. È poco
conosciuto, perché non è stato stampato, pertanto rimane un buon elenco
di canti dignitosi e assembleari, ma poco pratico, in attesa di
pubblicazione.
Statuto per gli Istituti Diocesani di
musica e liturgia
È stato preparato uno Statuto perché si sta
cercando di uniformare, almeno nelle acquisizioni basilari, tali
strutture, che sono la via maestra per la formazione di buoni musicisti
parrocchiali. Sono state precisate, con fermezza, natura e finalità, in
modo da evidenziare l’aspetto ecclesiale di tali scuole; esse sono
inserite in una pastorale diocesana di formazione dei vari ministeri
liturgici; pertanto non si configura come una scuola privata di musica o
soltanto come scuola in cui si impara uno strumento.
È convinzione di tutti che tale Istituto di
formazione, rappresenti un percorso privilegiato per la preparazione di
animatori musicali delle celebrazioni liturgiche.
Organo per la liturgia nei Conservatori di
musica
Si sta lavorando a un progetto impegnativo,
che se attuato, potrebbe dare una svolta alla pastorale
liturgico-musicale in Italia, nel senso di preparare musicisti di chiesa
altamente specializzati.
Si tratta di inserire all’interno della
classe di organo dei Conservatori un curriculum che
porterebbe a un diploma di primo livello in Organo per la liturgia
e nello stesso modo inserire nella classe di Direzione di coro, un
diploma di primo livello di Direzione di coro per la liturgia.
Gli ordinamenti didattici dei curricula
prevedono discipline teologiche, musicologico-liturgiche, discipline
musicali e discipline gestionali per la organizzazione e gestione di
eventi musico-culturali. In quest’anno accademico è stato attivato nei
Conservatori di Bari e di Vicenza un corso di specializzazione in organo
per la liturgia, della durata di un anno.
Un primo traguardo sarebbe quello di
impegnare e occupare tali musicisti, almeno nelle cattedrali, nelle
basiliche e nelle parrocchie più importanti.
Si dovrebbe elaborare un albo diocesano dei
musicisti di chiesa, da dove attingere per le varie esigenze di una
Diocesi. Naturalmente bisognerebbe affrontare con coraggio anche
l’aspetto economico e contributivo, senza più rimandi o infingimenti
vari.
È un bel sogno, ma stiamo cercando di dare
visibilità concreta a tale sogno.
Prospettive per il futuro
Alcune conclusioni e proposte operative per
il futuro.
•
Investire forze ed energie nella formazione dei responsabili
musicali delle nostre chiese. Il livello della preparazione degli
animatori musicali deve innalzarsi sempre di più; va bandita dalle
nostre chiese l’incompetenza, la faciloneria, la impreparazione. Bisogna
investire energie e soldi in questo settore della formazione musicale. È
l’unica strada che darà frutti duraturi, già li stiamo raccogliendo. E
tale preparazione la si acquisisce con scuole diocesane e istituti
diocesani di musica sacra e con tutta una serie di iniziative varie:
corsi estivi, giornate di studio, seminari di lavoro, fascicoli, libri,
riviste e pubblicazioni varie.
- Proposta per le Case editrici:
Per collaborare alla formazione degli
animatori, non potreste di volta in volta, presentare le novità
musicali, magari chiamando l’autore e dialogando con lui e con il
pubblico? Sarebbe ancora meglio organizzare un concerto-presentazione
con l’intervento dei musicisti interessati.
• Penso
che non sia più possibile, in un mondo pluralista e multiculturale,
imporre un unico linguaggio, un unico stile, un’unica lingua, un unico
gregoriano. Perché scandalizzarsi se anche all’interno delle varie
assemblee liturgiche si praticano una pluralità di gesti sonori, di
stili diversi, di progetti operativi rispettosi del mistero, del rito,
delle persone, della musica? La storia non ci ha forse tramandato una
varietà e molteplicità di riti per un’unica fede e un unico mistero di
Cristo celebrato?
Orientare verso progetti alternativi, nuovi,
non praticati. Allargare la schiera dei compositori di chiesa. Non aver
paura dei nuovi percorsi. Penso ad una veglia, ad una liturgia della
Parola fuori della messa, ad un vespro solenne cantato, per introdurre i
tempi forti liturgici.
Infine, rifletto che dobbiamo sempre più
considerare il gesto sonoro e non il singolo canto, all’interno
di una celebrazione. Gesto sonoro che comprende parole e musica,
accompagnamento ed esecuzione, solisti ed assemblea, ed inoltre quel
misto di “imponderabile e di indicibile” che succede in ogni
celebrazione.
Consigliare non soltanto musiche facili e
immediate, ma mettere in risalto tutto il progetto che è orientato alla
celebrazione. Veicolare meglio quei progetti in cui musica e rito sono
un tutt’uno. Far capire ai giovani che il canto liturgico deve creare
uno stacco dal canto comune.
Allora, qual è il futuro della musica sacra?
Essa si evolverà così come si evolvono le nostre assemblee celebranti. E
sono fermamente convinto che bisogna ripartire dalla preghiera delle
nostre assemblee, perché il canto viene dopo; bisogna ripartire dalla
visione di Chiesa che abbiamo, perché la musica segue tale convinzione.
Occorre imparare a celebrare, riscoprendo l’arte del celebrare, la
bellezza del celebrare; dopo avremo anche la nuova arte musicale.
Bisogna che la musica liturgica esprima
l’indicibile e l’ineffabile, diventi segno e simbolo di una realtà che
trascende quella terrena.
* Membro dell'Ufficio Liturgico
Nazionale.