n. 01
gennaio 2006

 

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Il canto e la musica per la liturgia oggi in Italia

di Antonio Parisi*

 

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Un primo punto di partenza

Il problema, perché si tratta di un problema ampio, contrastato, problematico, va inserito nel vasto panorama della situazione della musica in genere, oggi in Italia.

Da una parte, l’insegnamento ufficiale della musica nelle scuole di ogni ordine e grado sta attraversando un capovolgimento epocale: scuola primaria senza un progetto curricolare di tale materia, licei attuali privi di qualsiasi insegnamento musicale, in attesa dei nuovi licei tra cui anche quello musicale; presso l’università la materia è presente soltanto in qualche facoltà, naturalmente con finalità storiche e musicologiche, di ricerca e di approfondimento.

Se consideriamo l’iter attuale della riforma 508 dei Conservatori di musica, notiamo un ritardo e una confusione indescrivibile: vecchi cicli scolastici (10 anni o 7 per alcuni strumenti) ancora in vigore insieme ai nuovi corsi di I e II livello di tre e due anni; materie sviluppatesi e ampliatesi a dismisura con il pericolo di rendere meno rilevante lo strumento fondamentale e d’altra parte la difficoltà di trovare all’interno dei Conservatori docenti preparati per insegnare le nuove materie di studio, fatte poche eccezioni. Cosa dire poi della mancanza di aule adeguate, difficoltà nell’organizzare la tabella dei vari orari nell’anno scolastico, ritardi enormi sull’inizio delle attività scolastiche, mancanza endemica di fondi, regolamenti didattici non ancora approvati?

Uno sguardo ai contributi governativi rende ancora più triste il panorama: anno dopo anno vengono tagliati i contributi alla cultura, all’arte, alla musica.

Ma, nonostante questo panorama, mai come in questi ultimi anni si assiste a un pullulare di iniziative musicali e concertistiche: gruppi di musicisti volontari, e con pochi mezzi, organizzano in giro per l’Italia, nei paesini più sconosciuti, rassegne, corsi, concorsi, eventi di ogni genere. Da una parte le antiche associazioni musicali più titolate, replicano anno dopo anno attività stantie e logore, dall’altra parte nuove associazioni organizzano e inventano percorsi musicali interessanti e qualificati.

Un’altra attenta valutazione va fatta sull’impiego che la gente normale fa della musica leggera e di intrattenimento, un uso a livello consapevole ma tante volte a livello inconscio.

Un’analisi va anche compiuta circa l’utilizzo della musica da parte dei giovani. I fine settimana e le festività sono indirizzati a un rito ormai assimilato: la discoteca, il pub o altri locali dove si balla o si mangia, con risvolti di uso di droghe a tutti noto. Una musica che stordisce, annulla, assorda e non educa. Un altro fenomeno sono i concerti di massa per ascoltare cantanti famosi, in cui la musica diventa pretesto per stare insieme, per uscire e fare qualcosa di diverso, incontrare il proprio idolo.

Infine tutta la musica di sottofondo nei grandi magazzini e nei vari negozi alla moda, e la non musica in cui siamo immersi, fatta di rumori, di chiasso, di traffico.

 

Quale musica liturgica?

Ecco: tutte queste valutazioni non vanno trascurate quando vogliamo affrontare il problema della musica liturgica. Anche l’assemblea che viene in chiesa vive in questo panorama musicale che abbiamo descritto. Un popolo che non canta più, che vuole un po’ di silenzio e di raccoglimento, che in chiesa vuol trovare qualcosa di diverso e di altro rispetto alla quotidianità. Per contrasto, si vorrebbe veramente essere lasciati in pace con il proprio Signore: si arriva da un ambiente di tante parole, di rumore e di chiasso, di fretta e precipitazione, tutti rincorrendo il tempo e sempre in ritardo sugli appuntamenti. La gente pare implorare: lasciateci stare in pace.

Ma la chiesa ha cantato sempre, la liturgia ha avuto continuamente bisogno del canto e della musica, il canto è da sempre espressione di una preghiera più intensa e profonda. Allora si tratta di stabilire qual è il canto che serve alla liturgia, qual è il canto che aiuta l’assemblea a pregare meglio e più in profondità.

Già una prima conclusione la possono trarre i lettori e le lettrici: abbiamo bisogno di una musica altra e diversa, abbiamo bisogno di un canto segno e simbolo del sacro, ci occorre un canto rituale per esprimere i vari momenti di lode e di adorazione, di supplica e di ringraziamento, di gioia e di dolore, di esultanza e di meditazione. Abbiamo bisogno di un canto preghiera che arrivi fino allo iubilus, cioè di un canto puro che non ha più bisogno di parole. Allora quando canto, io divento quel canto di lode e di supplica, è tutto il mio essere che diventa canto per il Signore insieme alle mie sorelle e ai miei fratelli nella fede.

È evidente, allora, che quando siamo in chiesa non siamo a un concerto, non siamo semplici spettatori di qualcosa che sta accadendo, siamo attori con varie responsabilità e svolgendo ciascuno il proprio compito ministeriale. Alla celebrazione non interessa eseguire il brano famoso di quell’autore noto, non interessa salvaguardare il ricco patrimonio di musica sacra – infatti la liturgia non è un museo né una biblioteca – né in ultima analisi interessa il tipo di interpretazione filologica di un determinato brano. Alla celebrazione interessa il rito e le persone che attivamente si esprimono con i loro linguaggi e con la loro cultura.

Affermare quanto sopra non significa affatto sminuire l’importanza della musica, né significa ridurla a semplice musica funzionale, ma significa darle una importanza nuova perché la si inserisce all’interno del rito e non giustapposta al rito; essa svolge una funzione importante perché diventa essa stessa un rito, un simbolo sonoro della realtà celebrata. Quindi la musica liturgica non può essere musica neutra e libera, ma è finalizzata a un rito particolare, realizzato da persone qui ed ora presenti. Tutto questo discorso lo si trova bene espresso nel numero 12 della Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium: «Perciò la musica sacra sarà tanto più santa, quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica».

 

Punti nevralgici della Riforma Liturgica

Un altro punto fermo della Riforma Liturgica è l’aver scoperto la centralità di un’assemblea che celebra con varie ministerialità ordinate o di fatto. Questa è la vera novità: «non c’è niente di più solenne e festoso nelle sacre celebrazioni di una assemblea che, tutta, esprime con il canto la sua pietà e la sua fede» (Musicam Sacram, 16). Viene prima il canto dell’assemblea fatto di acclamazioni, risposte, dialoghi, antifone, ritornelli, inni e cantici. Pertanto anche l’intervento della schola o del coro, sono a servizio del canto dell’assemblea con la quale devono dialogare, alternarsi e sostenere; poi potranno, in alcuni riti concreti, cantare da soli alcuni canti particolari.

L’altra grande conquista della Riforma: il rispetto del genere musicale adatto alle varie forme musicali richieste dai vari riti. Che cosa significa? Vuol dire realizzare una varietà di interventi musicali che utilizzano l’acclamazione e la cantillazione, l’inno e la litania, il corale e il tropario, la canzone e il cantico. Le conseguenze per i compositori: una litania è diversa da una canzone, un inno ha una struttura differente da una salmodia; quindi ogni rito esige una forma musicale adeguata e propria. Tutto ciò viene ben chiarito nella Musicam Sacram al numero 9: «La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito dell’azione liturgica e alla natura delle singole parti e non impedisca una conveniente partecipazione attiva dei fedeli». La Chiesa perciò non sceglie un genere esclusivo di musica sacra, non dice sì alla polifonia e no alla canzone e viceversa; non sceglie il canto gregoriano e dice no al canto africano, ma ogni genere è ammesso a condizione che rispetti il rito nelle singole parti e coinvolga l’assemblea in una partecipazione attiva, piena e consapevole.

Quindi, abbiamo una concezione capovolta rispetto al passato: non si parte dal pezzo musicale, ma si parte dal rito che richiede una forma adatta all’assemblea che celebra. Sono importanti le persone e poi viene il canto, è importante il rito e poi la musica.

Altro elemento da considerare è la partecipazione. Dice la Musicam Sacram al n.15: «I fedeli adempiono il loro ufficio liturgico per mezzo di quella piena, consapevole e attiva partecipazione che è richiesta dalla natura stessa della Liturgia e alla quale il popolo cristiano ha diritto e dovere in forza del battesimo».

La partecipazione è anzitutto interiore e profonda e quindi a volte anche silenziosa e in ascolto del sacerdote e della schola. Ma deve essere anche attiva, fatta di gesti, di parole e canti, di movimenti, in quelle parti previste dal rito. Pertanto se l’assemblea non canta l’Alleluia, tale rito è falso e imperfetto, se l’assemblea non risponde al “Signore pietà”, quel rito è incompleto e mal formulato, se l’assemblea non acclama al Signore tre volte Santo, è privata di un suo diritto essenziale.

Un’altra novità rispetto al passato, la troviamo nella ministerialità conquistata. Nel campo del canto e della musica sono tanti i ministeri di fatto e le funzioni molteplici che essi svolgono durante la celebrazione: il coro e il direttore, la guida del canto dell’assemblea, i solisti, l’organista e i vari strumentisti, il tecnico del suono. «L’ordinamento autentico della celebrazione liturgica presuppone anzitutto la debita divisione ed esecuzione degli uffici, per cui, ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza» (MS, 6). Ricchezza di interventi a servizio del rito e dell’assemblea che richiedono competenza specifica e profonda, preparazione tecnica e spirituale; tale ricchezza esprime il vero volto di una Chiesa tutta ministeriale, tutta ordinata, tutta scompaginata; inoltre tale ministerialità rappresenta uno degli elementi di una vera solennità e di una vera ricchezza celebrativa.

 

La situazione attuale

Vorrei subito premettere che la mia è una visione personale e parziale, anche se osservata da un posto privilegiato qual è quello dell’Ufficio Liturgico Nazionale, dove io opero.

Non riusciamo ad avere una mappa completa della situazione musicale per svariati motivi: situazioni ecclesiali diverse, non esiste un unico progetto di pastorale del canto e della musica, alcune Diocesi sono molto attrezzate, altre invece lasciano tutto alla spontaneità e al volontariato più consumato.

Io vi racconto ciò che vedo in giro, ciò che ascolto in alcune conversazioni; rilevo alcune istanze che mi vengono indirizzate, esamino alcune domande che mi rivolgono: da tutto ciò ho elaborato mie personali opinioni che vi comunico.

Continua, anche se in modo meno plateale, l’infinita discussione sulla musica sacra e sul modo di intendere la riforma del canto e della musica voluta dal Vaticano II. Da destra e da sinistra c’è una sparuta minoranza di musicisti che pretendono di strattonare la riforma alle proprie ideologie, ai propri stilemi compositivi, alle proprie scelte musicali. Ultimamente stanno usando questa tecnica anche nei confronti del papa Benedetto XVI.

D’altro canto si nota una schiera di musicisti attenta e desiderosa di imparare, una fioritura di pubblicazioni, di interventi vari, di corsi e incontri che, in quest’ultimo decennio circa, hanno approfondito e chiarito il vero senso della riforma liturgica.

Un altro aspetto positivo è dato dalla sedimentazione di un certo repertorio ormai patrimonio comune di molte assemblee; repertorio dignitoso, musicalmente accettabile e ritualmente situato. Anche i testi dei canti fanno riferimento con più attenzione al rito, alla Bibbia, alla teologia.

E che dire della editoria musicale: meno presente per quantità, ma più attenta al rito, più indirizzata a progetti liturgici ben chiari e definiti. Non si può ottenere tutto e subito, specie in questo settore nuovo e in continua ricerca.

 

Iniziative nazionali dell’ULN

Circa 10 anni fa il settore musica sacra dell’ULN aveva individuato nella formazione, la strada maestra della propria attività promozionale.

Nacque così una struttura nazionale chiamata Corso di perfezionamento liturgico musicale (Co.per.li.m). Esso è destinato a formare i responsabili diocesani di musica sacra, gli incaricati di musica liturgica delle comunità religiose e delle aggregazioni laicali, i docenti presso Scuole e Istituti diocesani di musica sacra. Perciò il livello è specialistico e richiede una preparazione di base molto elevata: un diploma di Conservatorio o un diploma presso le scuole diocesane.

Al corso vi hanno partecipato circa 210 allievi, 70 si sono diplomati e circa 30 musicisti svolgono il loro servizio a livello diocesano. Da quest’anno (2005) il Coperlim è stato inserito fra i diplomi di specializzazione della facoltà teologica del Laterano.

 

Il repertorio nazionale di canti per la liturgia

Un lavoro durato 5 anni, portato avanti da 5 esperti musicisti e liturgisti italiani.

Sono stati scelti 360 canti ed è stato pubblicato soltanto l’elenco e le fonti, con una nota introduttiva dei Vescovi della Commissione episcopale per la liturgia della CEI, il 6 gennaio 2000.

Si sta cercando di pubblicare il libro con gli spartiti per organo ed un libro con la melodia per i fedeli. È poco conosciuto, perché non è stato stampato, pertanto rimane un buon elenco di canti dignitosi e assembleari, ma poco pratico, in attesa di pubblicazione.

 

Statuto per gli Istituti Diocesani di musica e liturgia

È stato preparato uno Statuto perché si sta cercando di uniformare, almeno nelle acquisizioni basilari, tali strutture, che sono la via maestra per la formazione di buoni musicisti parrocchiali. Sono state precisate, con fermezza, natura e finalità, in modo da evidenziare l’aspetto ecclesiale di tali scuole; esse sono inserite in una pastorale diocesana di formazione dei vari ministeri liturgici; pertanto non si configura come una scuola privata di musica o soltanto come scuola in cui si impara uno strumento.

È convinzione di tutti che tale Istituto di formazione, rappresenti un percorso privilegiato per la preparazione di animatori musicali delle celebrazioni liturgiche.

 

Organo per la liturgia nei Conservatori di musica 

Si sta lavorando a un progetto impegnativo, che se attuato, potrebbe dare una svolta alla pastorale liturgico-musicale in Italia, nel senso di preparare musicisti di chiesa altamente specializzati.

Si tratta di inserire all’interno della classe di organo dei Conservatori un curriculum che porterebbe a un diploma di primo livello in Organo per la liturgia e nello stesso modo inserire nella classe di Direzione di coro, un diploma di primo livello di Direzione di coro per la liturgia.

Gli ordinamenti didattici dei curricula prevedono discipline teologiche, musicologico-liturgiche, discipline musicali e discipline gestionali per la organizzazione e gestione di eventi musico-culturali. In quest’anno accademico è stato attivato nei Conservatori di Bari e di Vicenza un corso di specializzazione in organo per la liturgia, della durata di un anno.

Un primo traguardo sarebbe quello di impegnare e occupare tali musicisti, almeno nelle cattedrali, nelle basiliche e nelle parrocchie più importanti.

Si dovrebbe elaborare un albo diocesano dei musicisti di chiesa, da dove attingere per le varie esigenze di una Diocesi. Naturalmente bisognerebbe affrontare con coraggio anche l’aspetto economico e contributivo, senza più rimandi o infingimenti vari.

È un bel sogno, ma stiamo cercando di dare visibilità concreta a tale sogno.

 

Prospettive per il futuro

Alcune conclusioni e proposte operative per il futuro.

Investire forze ed energie nella formazione dei responsabili musicali delle nostre chiese. Il livello della preparazione degli animatori musicali deve innalzarsi sempre di più; va bandita dalle nostre chiese l’incompetenza, la faciloneria, la impreparazione. Bisogna investire energie e soldi in questo settore della formazione musicale. È l’unica strada che darà frutti duraturi, già li stiamo raccogliendo. E tale preparazione la si acquisisce con scuole diocesane e istituti diocesani di musica sacra e con tutta una serie di iniziative varie: corsi estivi, giornate di studio, seminari di lavoro, fascicoli, libri, riviste e pubblicazioni varie.

 

- Proposta per le Case editrici:

Per collaborare alla formazione degli animatori, non potreste di volta in volta, presentare le novità musicali, magari chiamando l’autore e dialogando con lui e con il pubblico? Sarebbe ancora meglio organizzare un concerto-presentazione con l’intervento dei musicisti interessati.

Penso che non sia più possibile, in un mondo pluralista e multiculturale, imporre un unico linguaggio, un unico stile, un’unica lingua, un unico gregoriano. Perché scandalizzarsi se anche all’interno delle varie assemblee liturgiche si praticano una pluralità di gesti sonori, di stili diversi, di progetti operativi rispettosi del mistero, del rito, delle persone, della musica? La storia non ci ha forse tramandato una varietà e molteplicità di riti per un’unica fede e un unico mistero di Cristo celebrato?

Orientare verso progetti alternativi, nuovi, non praticati. Allargare la schiera dei compositori di chiesa. Non aver paura dei nuovi percorsi. Penso ad una veglia, ad una liturgia della Parola fuori della messa, ad un vespro solenne cantato, per introdurre i tempi forti liturgici.

Infine, rifletto che dobbiamo sempre più considerare il gesto sonoro e non il singolo canto, all’interno di una celebrazione. Gesto sonoro che comprende parole e musica, accompagnamento ed esecuzione, solisti ed assemblea, ed inoltre quel misto di “imponderabile e di indicibile” che succede in ogni celebrazione.

Consigliare non soltanto musiche facili e immediate, ma mettere in risalto tutto il progetto che è orientato alla celebrazione. Veicolare meglio quei progetti in cui musica e rito sono un tutt’uno. Far capire ai giovani che il canto liturgico deve creare uno stacco dal canto comune.

Allora, qual è il futuro della musica sacra? Essa si evolverà così come si evolvono le nostre assemblee celebranti. E sono fermamente convinto che bisogna ripartire dalla preghiera delle nostre assemblee, perché il canto viene dopo; bisogna ripartire dalla visione di Chiesa che abbiamo, perché la musica segue tale convinzione. Occorre imparare a celebrare, riscoprendo l’arte del celebrare, la bellezza del celebrare; dopo avremo anche la nuova arte musicale.

Bisogna che la musica liturgica esprima l’indicibile e l’ineffabile, diventi segno e simbolo di una realtà che trascende quella terrena.

* Membro dell'Ufficio Liturgico Nazionale.

 

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