n. 2-3
febbraio-marzo 2006

 

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CONDIVIDERE CON IL CORPO
di Christian Albini*

 

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La concretezza del cristianesimo

Come e in quali occasioni è possibile incontrare Dio nel nostro presente ed esserne affascinati, trasformati1?

Spesso, il rischio che corriamo è quello di limitarci a parlare di Dio, come se noi potessimo sapere qualcosa dell’eterno, invece di ascoltarlo là dove si fa presente. Solo in quest’ultimo caso la nostra persona, ancora prima che le nostre parole, diventa testimonianza credibile per i fratelli e le sorelle che incontriamo lungo il cammino.

David Maria Turoldo sosteneva di essere particolarmente impressionato dal silenzio di Gesù. La maggior parte della sua vita, a Nazareth, è stata una vita di famiglia, di lavoro e di silenzio. I discorsi e gli insegnamenti sono venuti dopo e hanno occupato un tempo quantitativamente molto più ridotto.

È una realtà che riguarda anche noi. Chi intende porsi alla scuola di Gesù non può ignorare questo aspetto della sua esistenza. «Il più grande amore è nella più perfetta imitazione. La più perfetta imitazione è imitare perfettamente Gesù, in uno dei tre generi di vita di cui ci ha dato l’esempio: predicazione, deserto, Nazareth»2. Nazareth è il luogo dell’ascolto e dell’ordinarietà.

La parola deve maturare in anni di silenzio, per caricarsi di vissuto e di significato profondo. E quando Gesù comincia a dire cose più grandi del mondo, cerca le più umili immagini. «Il regno dei cieli è simile a un poco di lievito che una donna impasta in un pugno di farina» (Mt 13,33): poco lievito, una misura di farina, un’umile donna. E si veda tutto il capitolo che presenta il cosiddetto discorso in parabole. Il regno dei cieli è simile a un grano di senape. Il regno dei cieli è simile a una perla nascosta in un campo; simile a un seme gettato in un campo; simile a un campo seminato a grano e zizzania; simile a una rete gettata in mare.

«Sempre immagini di cose concrete, piccole e reali. Appunto, perché la verità è dentro le cose, non fuori: il cristianesimo è concreto; e la grazia è la linfa della creazione, non già una realtà separata dalla vita e dalla storia»3.

Ecco, allora, che non dobbiamo cercare chissà dove. L’incontro con Dio comincia qui e ora, nell’immediatezza della nostra realtà e della condizione in cui ci troviamo. In primo luogo, allora, nella condizione della corporeità che ne è parte essenziale e importante.

 

Il corpo oggi

Il modo di percepire e vivere la corporeità è segnato da due diverse tendenze culturali4.

Cartesio, con la sua distinzione tra res cogitans e res extensa ha declassato il corpo al rango di oggetto da indagare, quasi una semplice appendice della sostanza pensante la quale costituirebbe la nostra vera essenza. È molto eloquente, al proposito, questo brano delle Meditazioni metafisiche in cui la persona umana è identificata con una mente che è altro dal corpo:

«Ma che cosa sono io? Una cosa che pensa. E che cos’è una cosa che pensa? È una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente […] e siccome ora so che non concepiamo i corpi se non per mezzo della facoltà d’intendere che è in noi, e non è per l’immaginazione, né per i sensi; e che non li conosciamo per il fatto che li vediamo e li tocchiamo, ma solamente per il fatto che li concepiamo per mezzo del pensiero, io conosco evidentemente che non v’è nulla che mi sia più facile a conoscere del mio spirito»5.

In molte manifestazioni del trionfo del corpo, che caratterizza la cultura contemporanea, si riscontra ancora l’eredità del dualismo. Non bisogna trascurare il fatto che la visione cartesiana del corpo, consentendo di indagarlo con distacco tramite la ragione e l’osservazione scientifica, ha favorito il progresso della medicina. C’è, però, un uso del corpo, un’esaltazione della sua efficienza o spontaneità, che va tutto nella direzione della manipolazione e della riduzione del corpo ad oggetto, un corpo espropriato, ridotto a macchina per produrre risultati, siano essi di tipo lavorativo, estetico, erotico o atletico.

L’invadenza e lo sfruttamento a fini commerciali di tecniche e pratiche per abbellire, potenziare o anche solo modificare la nostra corporeità (moda, fitness, cosmesi, chirurgia estetica…) ne sono la dimostrazione. Lo stesso vale per il ricorso esagerato, quasi ossessivo, alla farmacologia e alle prestazioni mediche di fronte ad ogni sintomo o accenno di malessere, quasi a voler esorcizzare e negare la fragilità che contraddistingue la nostra umanità. Qui si esce dall’orizzonte della cura e della lotta alla sofferenza, atteggiamenti legittimi e doverosi, per inseguire un sogno di perfezione e di intangibilità del “corpo-macchina”, quasi si trattasse della manutenzione di un’automobile da cui ottenere sempre il massimo delle prestazioni. La punta più estrema di tutte queste tendenze è data dagli interventi consentiti dalle ricerche sulla genetica, che fin dal concepimento vogliono plasmare e controllare la realtà corporea.

Di segno diverso è la riflessione che ha portato ad una riscoperta del corpo a partire dalla fenomenologia del Novecento. Edmund Husserl, in Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, parla del corpo come punto zero di ogni orientamento. Tutte le posizioni nello spazio hanno una propria collocazione rispetto al nostro punto di vista. Il nostro corpo, invece, per noi è il punto zero, ovunque si trovi, esso è il “qui” in cui situiamo noi stessi. In tal senso, Gabriel Marcel dice che il nostro corpo è mediatore assoluto: tutto ciò che sperimentiamo e proviamo, tutto il nostro rapporto con il mondo passa attraverso il corpo, è mediato dal corpo. Le nostre stesse idee sono mediate dal corpo. Il corpo è vissuto dall’interno come me stesso. Non è la mano che prende oggetti, ma io prendo. Non è l’occhio che vede, ma io vedo. Non è il corpo che sente, ma io sento.

È molto appropriato un esempio di Umberto Galimberti: noi possiamo avere un’idea concettualmente perfetta del nuoto, ma non sapremo mai veramente cos’è fino a che il nostro corpo non sperimenta l’immersione nell’acqua6. Non basta il concetto di nuoto per saper nuotare, bisogna stare nell’acqua. Solo abitandolo con il corpo noi possiamo conoscere il mondo. Noi non possiamo distinguerci dal nostro corpo, perché esso è apertura originaria al mondo. Siamo situati nel mondo con il nostro corpo il quale ci consente di intervenire nel mondo, di trasformarlo. Allo stesso tempo, è attraverso il corpo che noi attuiamo noi stessi, le nostre scelte e ci poniamo in relazione con gli altri comunicando, dialogando, amando.

Pensiamo proprio all’amore tra uomo e donna. Che amore ci può essere senza la fisicità? Senza il volto dell’altro, senza le carezze, senza i baci, senza la sessualità…

Non solo il corpo è lo strumento fisico dell’azione umana, ma ne è anche il supporto simbolico e comunicativo. La comunicazione è caratterizzata dallo spazio in cui ci troviamo, dalla nostra posizione reciproca e dai segnali corporei che ci inviamo. Senza il corpo, cioè senza la forma, le dimensioni, lo spazio occupato dal corpo, non ci sarebbe relazione e neppure possibilità di esperienza. Così come risiede nel corpo il potenziale energetico che fa dell’uomo un essere capace di produrre, di creare, di trasformare la realtà a partire dalla mancanza.

Un altro contributo determinante per la riscoperta del corpo è venuto dal movimento femminista che ne ha evidenziato la realtà di corpo sessuato. Il corpo non solo non è un supporto strumentale per la mente, ma esso è sempre segnato dalla sua natura sessuata, maschile e femminile, che nella cultura si traduce in tutti quei tratti che portano alla distinzione di genere (cioè, che cosa vuol dire essere maschio e che cosa vuol dire essere femmina nella vita sociale). Non esiste, dunque, una sola, ma almeno due fondamentali esperienze del corpo vissuto con le proprie specificità: quella maschile e quella femminile.

Alla luce di queste brevi osservazioni, diventa per noi prioritario evitare che il nostro corpo sia monopolizzato dai messaggi e dalle pratiche di carattere medico-scientifico, estetico, sportivo, commerciale… provenienti dalla società i quali tendono a indirizzarne la gestione in una direzione piuttosto che in un’altra. Finiremmo così con l’essere espropriati di un aspetto fondamentale di noi stessi e della nostra identità per cadere in qualche forma di controllo, perché sarebbero altri a dirci come gestire il corpo convincendoci che sia il nostro bene. Quello che occorre è piuttosto la consapevolezza del nostro corpo; delle sue potenzialità e dei suoi limiti, del suo benessere e del suo malessere, nonché dei segnali che ci invia. Se le scelte riguardanti il corpo passano per la nostra consapevolezza e non sono indotte dagli impulsi che ci bombardano dall’esterno, ne guadagnano la nostra autonomia e la nostra libertà.

 

La storia d’amore tra Dio e il corpo umano

Riassumendo le considerazioni precedenti, noi siamo un corpo. È nel corpo che si concentrano le nostre sensazioni. Viviamo come corpo. Entriamo in relazione gli uni con gli altri con il corpo. I sentimenti si manifestano con il corpo.

La fede ci permette di vedere il corpo come occasione di condivisione, di comunione. L’incontro fisico, concreto con l’altro è il fondamento di ogni autentica relazione, il fondamento dell’amore. Se no, c’è sempre distanza, estraneità. Non a caso la realtà di Dio può essere espressa tramite una simbologia corporea e perciò la corporeità – se vissuta come condivisione – può favorire il nostro incontro con il divino. Anzi, è Dio stesso che si fa presente a noi nella corporeità.

Il monaco camaldolese Benedetto Calati, per esempio, diceva che Dio è un bacio, rifacendosi ai primi nove sermoni di san Bernardo di commento al Cantico dei cantici, dedicati al bacio. Tutto si spiega col bacio. La vita trinitaria è un bacio: il Padre bacia il Figlio e lo Spirito santo. L’unione ipostatica è un bacio. La natura divina come la natura umana. E la vita dell’uomo e della donna è un bacio7. Questo contatto puramente fisico è il segno della tenerezza, dell’incontro amorevole e rispettoso con l’altro. Baciarsi è condividere la più stretta intimità.

Nella Parola di Dio, i segni sono inequivocabili e aprono un orizzonte completamente nuovo. «Il cristianesimo non è una dottrina, non è una teoria di ciò che è stato e sarà dell’anima umana, ma una descrizione di un evento reale della vita dell’uomo»8. Vorrei ripercorrere ora tre momenti di questo evento in cui si delinea la storia del rapporto di Dio con il corpo umano, un rapporto all’insegna della condivisione. È una sorta di trittico che ha al centro la guarigione del sordomuto. Qui riporto il racconto di Marco.

Di ritorno dal territorio di Tiro, passando per Sidone, venne al mare di Galilea, in pieno territorio della Decapoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Allora egli, presolo in disparte, lontano dalla folla, gli mise le dita nelle orecchie e con la saliva gli toccò la lingua; quindi, alzati gli occhi al cielo, sospirò e disse: «Effathà!», cioè «Apriti!». E subito gli si aprirono gli occhi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente (Mc 7,31-35).

 

- Dio condivide il corpo dell’uomo

Verbum caro factum est. Il Verbo si fece carne (Gv 1,14). Dio non è un alieno chiuso in cieli inaccessibili. Ama tutto l’uomo, al punto da fare propria la sua corporeità. Gesù è un uomo, con un corpo umano. Ma, se Gesù fosse soltanto un uomo, noi saremmo ancora soli, abbandonati a noi stessi. Dio incontra l’uomo scegliendo di essere un corpo. Questo è il Natale. È un Dio di uomini, perché lega la divinità all’umanità.

 

- Dio condivide con il corpo

Allora egli, presolo in disparte, lontano dalla folla, gli mise le dita nelle orecchie e con la saliva gli toccò la lingua. (Mc 7,33). Quando Gesù guarisce il sordomuto, non si pone su un piedistallo facendo una specie di magia. Invece, entra in relazione con lui, lo tocca là dove è localizzato il suo male. È come se, attraverso il contatto fisico, aprisse un canale. La condivisione non è né un’elemosina, né una forma di assistenza. È entrare nella vita dell’altro con la propria vita e insieme superare il negativo, il male. L’attenzione a tutta la persona comincia dalla dimensione fisica.

 

- Dio condivide la propria vita con il corpo dell’uomo

Gesù disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». (Lc 24,38-39). Da Dio all’uomo, dall’uomo a Dio. La condivisione è totale: Dio si è fatto come noi per farci come lui. Tutto l’uomo diventa eterno ed entra in una vita nuova, corpo compreso: la Risurrezione di Gesù è il segno della nostra. Dio ci ama come siamo, cioè corporei, perciò anche il nostro corpo condivide la vita di Dio, la vita eterna. Riguardo a Dio, la presenza del Risorto rivela che non accetta la morte, non sopporta che i morti restino morti. Dio non è morte eterna, ma vita eterna. Riguardo alla storia umana, la presenza del Risorto significa la certezza incrollabile della vittoria di Dio su tutte le forze nemiche, del bene sul male, della verità sulla menzogna, dell’amore sull’odio, della mitezza sulla prepotenza, della gioia sul dolore, della verità sulla menzogna…

Approfondire la dimensione del contatto, dell’incontro con il corpo in cui c’è fiducia reciproca, scambio, aiuto, ci pone in questa scia di condivisione. Essa suscita un nuovo stile di vita, alternativo, controcorrente, più giusto e fraterno.

 

Un seme di vita eterna

Il Natale e la Pasqua sono il segno del progetto di amore che Dio ha sulla persona umana, su tutto l’uomo nella sua completezza, il quale è corporeità e spiritualità senza dualismo. Nella luce, in Dio, ci sono sia le radici della materia del nostro corpo, sia il suo destino finale. Lo ha spiegato con poesia e meravigliosa chiarezza padre Giovanni Vannucci in una meditazione alle monache benedettine di Pontasserchio, durante l’Avvento del 1973:

«Il nostro compito di uomini consiste nel trasfigurare la nostra materia, il nostro corpo. Un giorno deporremo la parte esteriore del nostro corpo, che non è stata per niente una prigione, ma che ci ha permesso di maturare e di lasciare alla terra quella essenza di vita, di bene, di amore, di libertà che abbiamo saputo conquistare qui sulla terra. Deporremo il nostro piccolo fardello in seno alla madre terra, ma vi deporremo, impressi nella materia del nostro corpo, anche tutto il bene, la grandezza, la nobiltà, le vibrazioni di vita che abbiamo conquistato qui sulla terra. La parte eterna del nostro essere vola a Dio e si immerge nell’estasi indefettibile di coloro che godono la visione di Dio. Il nostro corpo non sarà come delle catene che lasciamo qui, sfuggendo dalla prigione, no. È un seme che verrà raccolto e continuato dagli altri»9.

Nulla di noi va perso in Dio, tutto il buono risorge e trova compimento. È Maria che ci mostra il compimento del disegno di Dio: salvata dalle forze di male e di morte del peccato, chiamata a condividere con il corpo la vita divina. Il nostro corpo è un seme di vita eterna.

Ho evidenziato la guarigione del sordomuto come fulcro della storia di condivisione tra Dio e l’uomo, perché è la storia di come possiamo incontrare Dio nel corpo. Nella mia carne, nella carne di ogni persona che incontro, c’è la Sua impronta. L’ascolto di questa Parola mi fa sentire amato da Dio e così mi fa cominciare ad amarlo. Un amore che è condivisione e inizia dal contatto, dalla relazione fisica che sono la forma con cui esso si esprime e si concretizza. Una condivisione disincarnata, fatta solo di buoni sentimenti, è fittizia. Anche la condivisione inizia dal corpo, cioè dall’incontro fisico, tangibile, con l’altro. Se no, c’è sempre distanza, estraneità.

Esaltiamo talmente tanto il corpo e lo mercifichiamo, quanto poco siamo capaci di condividere con il corpo. I gesti di Gesù nei confronti del sordomuto attribuiscono tutto un nuovo significato ai gesti con cui ci facciamo prossimi agli altri e ci sospingono verso direzioni inesplorate: imparare a toccarsi fidandosi reciprocamente, trasmettere tenerezza, comunicare con il contatto, ascoltare il proprio corpo e quello altrui, apprendere trattamenti e forme di terapia con cui si può contribuire al benessere delle persone.

Il cuore umano è uno scrigno che nessuno strumento di scasso riesce a forzare con la violenza, si dischiude e cede i suoi tesori solo accarezzandolo.

 

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