n. 6
giugno 2006

 

Altri articoli disponibili

English

DESTE BEN DESTE
RISVEGLIARE GLI ALTRI A VITA NUOVA


di Maria Pia Giudici

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Ho letto questa acuta osservazione di Peter Berger nel suo libro Questioni di fede: «L’assonnato uomo d’affari esiste all’interno di quella che oggi si chiama la “realtà di riferimento”, cioè il mondo della vita comune e quotidiana, i cui parametri sono ben conosciuti e condivisi dalla maggior parte, se non da tutti i contemporanei, in un mondo che contiene poche sorprese»1.

Sì, davvero poche sorprese esistono dentro una società dominata da un razionalismo che, a poco a poco, è diventato il contenitore arrugginito del relativismo pratico. In un mondo basato sul calcolo, l’unica carta vincente è quella dell’ipermercato concorrenziale dall’Occidente all’Oriente. E l’unica sorpresa agognata è quella del… “sonno”.

Non è il sonno dell’indifferenza ai valori attraversato però da sogni? Ecco: si sogna la sicurezza economica, il successo, la carriera, la roba, l’amore da consumare con frettoloso, immediato piacere.

Si dorme e si sogna.

Quando poi succede un brusco risveglio a causa di un forte guaio, insorgono le domande: perché mi è capitato questo insuccesso? Questa malattia mia o dei miei cari? Questa delusione? Questa morte di una persona cara?

È a questo appuntamento che sopravviene la depressione o la disperazione, a volte il suicidio.

È però vero che, in questa ubriacatura di dormienti, si accendono qua e là “bivacchi” di gente ben desta e nuova: comunità anche laicali molto vive nella fede. Esse accendono focherelli di speranza e di operativa carità in risposta alle urgenze di oggi. Comunque la costante del panorama socio-culturale largamente diffusa oggi è un impoverimento spirituale che rivela un degrado sempre più rimarcato.

 

Nuove opportunità

Col coraggio che ci viene dalla speranza teologale come respiro della nostra identità di donne aperte al mondo ma in profondo contatto col Mistero, dobbiamo dire: questa è l’ora nostra.

Sì, è l’ora di vivere la femminilità invasa e trasfigurata da Dio-Sposo come gente profondamente desta allo Spirito.

Dentro il gran fracasso di un tipo di cultura materialista e consumistica che sta andando in frantumi, è Lui, sì, è lo Spirito del Signore che suscita nell’uomo d’oggi, soprattutto in un buon numero di giovani, fame e sete di Dio e una gran voglia di far nuova la famiglia, la politica, l’economia, l’arte, il mondo tecnologico mediatico e delle comunicazioni.

Stiamo prendendo consapevolezza che il male dei mali, oggi, è il vivere egocentrato che spinge a ogni tipo di avidità egoica, di possesso-attaccamento, che diventa presto violenza di ogni tipo all’interno delle singole persone della coppia della famiglia della società.

Ma che cos’è l’“ego” se non la parte superficiale, inautentica di ciascuno? E non è questa che viene nutrita dall’esteriorità, dall’effimero, dall’inconsistenza?

Ecco: qui sta il punto. La grande scommessa a cui Gesù ci chiama è diventare quello che come consacrate nel battesimo e nella professione religiosa, già siamo in potenza: luce, sale, lievito.

Essere ben deste, nel nostro oggi, vuol dire anzitutto, noi personalmente, lasciare che lo Spirito del Signore ci attiri dall’esteriorità all’interiorità, dall’“ego” al “sé” abitato da Dio.

Troppe volte anche noi siamo prese nella “spira” del troppo fare. Un attivismo ansiosamente segnato da stesura di programmi, di progetti (comunitari o meno) e calcoli e indicazioni per imboccare le vie dell’efficienza che scivola poi presto nell’efficientismo tipico di oggi. Invece l’urgenza dell’attività pastorale oggi o è illuminata dall’urgenza di una “fede operante nella carità” o è chiasso e pula al vento.

 

«Luce ai miei passi è la tua Parola, Signore»

Si tratta dunque di uscire dalle “derive” della fretta, del fare troppo e affannosamente o troppo poco e in modo narcisistico.

Per avere luce e diventare noi stesse luce là dove pastoralmente operiamo, dobbiamo avere tempo di “ascolto” profondo, quieto, contemplativo

Non basta la fedeltà ai momenti di preghiera comunitaria! Urgono scelte personali precise, perché la nostra interiorità, nutrita di Parola di Dio, sia luce degli insegnamenti di Gesù che diventano in noi un modo evangelico di pensare e di agire.

Non è più tempo di allestire musei e di erigere monumenti in onore dei nostri santi, ma piuttosto di attingere allo spirito genuino del loro darsi perdutamente a Dio e ai fratelli in risposta ai loro tempi.

E non basta neppure “attingere”, perché bisogna “tradurre quello spirito” in linguaggi recepibili oggi, in risposta alle esigenze che gridano da ogni parte.

In un mondo di “assonnati” perché troppo sazi di beni materiali o di disperati perché nella miseria, la donna consacrata non può starsene nel suo buchetto di tranquillo “perbenismo religioso”, in una nicchia etichettata di pratiche devozionalistiche o culturalistiche o solo ripetitivamente assistenziali. La luce, se c’è dentro, irradia nel sorriso nelle parole nel gesto. È luce di Dio a cui teniamo rivolto il nostro cuore.

Il sale, se non è scipito, brucia anche, ma poi dà sapore; è il primo vero condimento delle vivande. Il sale è quello della sapienza del vivere da cui veniamo plasmati alla luce della Parola ascoltata e pregata con viva fede e speranza e amore.

E il lievito, il buon lievito che fa fermentare la massa, non è forse proprio la nostra femminilità che immerge i suoi doni d’intuizione di tenerezza di tolleranza di pazienza di apertura al servizio e al dono, nel cuore del mistero pasquale?

Ecco, vorrei ora semplicemente ricordare a me e a voi, sorelle, come concretamente vivere da “sveglie” la forte metafora della luce, del sale e del lievito. Come vivere perché, noi spiritualmente deste, possiamo risvegliare attorno a noi tanta gente assonnata e confusa e dolorosamente farneticante in un sonno di morte. E come destare in noi e negli altri una gioia diffusiva.

 

Anzitutto essere luce

Cerco uno spazio di tempo di quiete e di silenzio. In camera, in chiesa o in giardino. Ma mi persuado che questo spazio-tempo mi è indispensabile. Com’è indispensabile al sole un cielo liberato da spessa copertura di nubi.

Gesù ha detto: «Io sono la luce del mondo». E io mi pongo dentro lo spazio della sua luce.

Luce di Parola: della sua Parola centellinata assorbita lentamente trasformata in preghiera. Respiro e assorbo la sua Parola nel silenzio. Un grande filosofo esistenzialista ha scritto: «Nello stato attuale del mondo, la vita intera è malata. Se fossi medico e uno mi chiedesse una medicina, risponderei: cerca il silenzio, conduci l’uomo al silenzio»2.

Contenitore della luce di Dio (luce della Parola, luce delle ispirazioni, luce del discernimento) è dunque il silenzio.

In passato, forse, è stato presentato più come indispensabile ascesi, disciplina dello spirito. E lo è anche. Ma è ben di più: un’iniziazione al Mistero, un quieto inoltro a scorgere la luce che è Gesù, a lasciarsi persuadere che lui e i suoi insegnamenti sono il centro, il senso, la salda roccia su cui poggia la mia esistenza, un riposo di tutta la mia realtà fisiopsichicospirituale, un rigenerarmi, un essere vivificata.

 

Essere sale

«Soltanto attraverso uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» ha detto Benedetto XVI nel discorso tenuto a Subiaco il 1 aprile 2005, poco tempo prima di essere eletto Papa.

In fondo, in modo imprevisto, ci troviamo a vivere la situazione dei primi cristiani. Nell’ambito del grande impero romano in epoca di decadenza, i primi cristiani potevano essere tali solo attraverso una fede matura, in cui il “sale” della concezione evangelica della vita poteva imporsi al non senso imperante di tante divinità concorrenziali tra loro.

Anche oggi si tratta di rendere “credibile” il Dio di Gesù Cristo con una mentalità di fede a tutta prova. Salata col sale delle “beatitudini” in un mondo in cui il nichilismo è pervasivo e imperante, io sono consacrata per difendere la vita e difendere la speranza e far strada all’amore. In un mondo omologato conformista e materialista, io vivo da consacrata il sale della sapienza che è innanzitutto una vera, tonificante e lieta umiltà.

Per questo non ho l’aria di voler sedere in cattedra o di imporre giudizi consigli e ricette moraleggianti, ma piuttosto di voler seminare ciò che è consono alla pace e fa crescere in cuore la serenità, la voglia di vivere in consonanza con quel che Dio vuole, solo perché ci ama.

Quanto importa dunque avere un volto da persona salvata, un sorriso facile e benevolo, una parola del tipo di quelle che S. Francesco di Sales consigliava alla sua primogenita figlia spirituale: S. Francesca di Chantal: «Che le tue parole siano sobrie, soavi, sante, discrete e pronunziate a tempo»3.

Per difendere la vita, dire la speranza e accendere un gran fuoco di carità nell’egoismo imperante, non occorre un “dire” e un “fare” altisonanti, ma la presenza semplice di chi, in prima persona crede spera e ama, perché tutta la sua sapienza di vita è la continua ricerca di unione a Gesù e il suo vangelo. Il resto – anche opere nuove! – viene di conseguenza.

 

Essere lievito

Ne basta un pizzico per far fermentare tutta la massa. Proprio così: basta un pizzico di vera femminilità intrisa della tenerezza di Dio (che è anzitutto la sua misericordia!) per svegliare e far crescere vita, pace, gioia.

Una consapevole femminilità grondante dell’acqua viva dello Spirito Santo rigetta ogni atteggiamento di potere per dare spazio all’autorevolezza della vera donna che, perché appartiene a Dio, si dà tutta ai fratelli. Così la sua ottica femminile di guardare alle problematiche di oggi, al discernimento da esercitare, alle decisioni da prendere, completa e molto amabilmente corregge l’ottica e la decisionalità maschile.

Il lievito di una femminilità intrisa di vangelo che fa fermentare la massa diventa flessibilità contro ogni forma di rigidezza, chiusura, sterile fissità nel passato, paura del nuovo, conflittualità competitiva.

Davvero il lievito di una presenza femminile innamorata di Cristo che vive il vangelo nel quotidiano fa fermentare la massa di un’umanità nuova, perché il suo specifico è proprio il “prendersi cura”, il dare comprensione, misericordia, tenerezza, insomma un generare amore.

 

Conclusione

La gioia in noi nasce continuamente nel vivere sempre più da risvegliate alla semplice consapevolezza dell’Amato che è in noi e con noi e ci sospinge sui sentieri dell’oggi. E questa gioia cresce mentre crediamo che intorno a noi la vita si ridesta nel soffio dello Spirito

È il Regno di Dio, il suo grande Amore che dilaga sull’uomo, sulla donna, sull’anziano e sul giovane che contattiamo dentro il nostro quotidiano, vissuto fuori da stagnazione e malumore.

Se solo il Regno di Dio noi cerchiamo (il Regno di Dio e la sua giustizia), non solo sperimentiamo in noi gioia pace e amore, ma questo, proprio questo vedremo “destarsi” attorno a noi.

Essere luce, sale e lievito nell’oggi della nostra consacrazione sostanzialmente è appunto un “essere”, ben più che un “fare”. È vivere e comunicare a chi ci è attorno la convinzione che «quanto è più esigente è anche più bello, e che l’amore, anche se è la cosa più difficile, si rivela leggera: un giogo soave. Sì, l’amore è qualcosa che, in fin dei conti, nonostante tutte le resistenze, compiamo più volentieri di qualsiasi altra» (Von Balthasar).

Non è questo il vivere da “svegli”, in attesa del Giorno Eterno?

Torna indietro