n. 4 aprile 2008

 

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«Avrete forza dallo Spirito»
Lettura biblica del Messaggio di Benedetto XVI ai giovani

di Pier giordano Cabra

 

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In occasione della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, Benedetto XVI ha inviato ai giovani un Messaggio intitolato: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» (At 1,8). È un’opportunità per una riflessione spirituale sul brano degli Atti degli Apostoli che contiene questa frase (At 1,6-8).

Il testo biblico

«Così, venutosi a trovare insieme, gli domandarono: “Signore è questo il tempo, in cui ricostruirai il regno di Israele?”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”» (At 1,6-8).

Siamo nel prologo del libro degli Atti degli Apostoli, dove Luca mette in relazione il suo secondo libro con il primo. Nel periodo dei quaranta giorni tra la Pasqua e la Pentecoste, il Risorto appare frequentemente e si intrattiene convivialmente con gli apostoli, parlando loro del Regno di Dio. Il che li induce a porre la domanda: “Signore è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?”. Domanda che mostra come la comprensione dei discepoli circa il Regno di Dio fosse piuttosto confusa o, quanto meno, bisognosa di maturare. Essi attendono ancora la restaurazione del regno glorioso di Davide, dando un contenuto nazionalistico al Regno di Dio.

Il Risorto non chiarisce l’equivoco, lasciando allo Spirito questa ulteriore chiarificazione. Ma neppure risponde al “quando”, limitandosi a non soddisfare la curiosità relativa al tempo del compimento finale. Il senso è chiaro: bisogna aver fiducia in Dio che guida con sapienza le cose, intervenendo al momento più opportuno per la realizzazione del suo piano di salvezza.

Probabilmente nelle comunità cristiane serpeggiava una certa impazienza escatologica e Luca vuol dissipare sin da principio ogni dubbio: il tempo che attende gli apostoli è il tempo della Chiesa, quello della missione, non della fine imminente. È il tempo della missione mossa dallo Spirito, che sarà dato ai discepoli perché possano essere testimoni. Grazie alla “discesa dello Spirito” gli apostoli saranno in grado di dare testimonianza, in ogni luogo a partire da Gerusalemme.

Se la città santa nella prima opera di Luca era il punto di arrivo, nella seconda opera diventa il punto di irradiazione. Se prima il grande viaggio di Gesù era iniziato dalla Galilea per arrivare a Gerusalemme, ora il viaggio del Vangelo parte da Gerusalemme per arrivare agli “estremi confini della terra”. Il libro degli Atti presenta questa marcia tribolata, irta di ostacoli, di persecuzione e di sofferenze, ma irresistibile verso Roma, la città che era al centro di un mondo unificato da leggi comuni e da strade efficienti, dalla quale era facile giungere ai confini del mondo abitato.

L’universalismo di Roma si presta bene per Luca per diffondere il messaggio dell’universalismo cristiano. Il viaggio da Roma a Gerusalemme rappresenta il cammino da una religione “particolare” (il regno di Israele) a una religione “universale” (il regno di Dio).

Gli apostoli riceveranno lo Spirito come un dono (cf At 2,38). La forza che lo Spirito elargisce è l’equipaggiamento dei testimoni (Lc 24,46-48). Lo Spirito di Dio scende sugli apostoli per renderli idonei alla loro attività, come Gesù all’inizio del suo tempo era stato abilitato alla sua dallo Spirito Santo (Lc 3,22; 4,1.14).

Gli apostoli saranno testimoni di quel Cristo che “doveva” soffrire ed essere risuscitato secondo le Scritture (Lc 24, 48s); della sua vicenda terrena e della conversione; della remissione dei peccati concessa nel suo nome a tutti, giudei e pagani.

In queste righe c’è tutto il programma del libro degli Atti degli Apostoli e di ogni apostolo per ogni tempo e luogo.

«Avrete forza dallo Spirito»

Lo Spirito negli Atti è dynamis: forza, potenza, dinamismo per la missione. La missione è opera di Dio e non può essere condotta senza la forza di Dio. La missione va al di là delle possibilità umane, anche se Dio vuol coinvolgere l’uomo come collaboratore. Il protagonista, infatti, è Lui, lo Spirito Santo, che ha già programmato il cammino della missione da Gerusalemme fino a Roma, per giungere agli estremi confini della terra.

A quel gruppetto di persone, inesperte di viaggi, sprovviste di preparazione culturale, non particolarmente coraggiose, il Risorto presenta un programma sorprendente, aprendo prospettive sul vasto mondo sconosciuto, evoluto, potente economicamente e culturalmente, nel complesso temibile. Un programma ambizioso e sconcertante, ma per il quale il Risorto promette lo Spirito Santo. Forza vuol dire innanzitutto coraggio nell’affrontare situazioni che sembrano paralizzare le proprie forze, per un supplemento di energia interiore. Ma forza vuol dire anche possibilità di superare ostacoli oggettivamente bloccanti. Il libro degli Atti presenta una rassegna di risultati imprevedibili e umanamente inspiegabili come la conversione di cinquemila persone il giorno di Pentecoste a seguito del discorso di Pietro, non certamente a causa della particolare eloquenza di Pietro o dei suoi argomenti.

Sembra che il Signore dica: non preoccupatevi del futuro, non abbiate paura e neppure programmate troppo, perché la missione appartiene a Dio che ha già previsto tutto. Voi accogliete la forza e la direzione dello Spirito e lasciatevi portare dal suo vento che soffia dove vuole. Voi sarete testimoni di una salvezza che non è vostra perché voi non potete salvare neppure voi stessi. Lasciatevi guidare dallo Spirito lungo le sue vie, anche se misteriose, lo Spirito non è una forza oscura e cieca, ma conosce le vie, ora diritte, ora tortuose, mai asfaltate, che portano alla salvezza.

Il primo atteggiamento è la ricettività e la docilità alla sua azione.

Per questo prega e purifica il tuo cuore. Lo Spirito è dato in dono a chi lo chiede “con perseveranza”.

«Sarete miei testimoni»

C’è una testimonianza che solo gli apostoli possono dare: garantire l’identità tra il Gesù che camminava sulle strade della Palestina e il Risorto, tra il Gesù con il quale hanno condiviso le vicende a partire dal Battesimo di Giovanni e il Gesù che ha “mangiato e bevuto con loro” dopo la morte e la risurrezione. E’ la testimonianza tipicamente apostolica, riservata ai Dodici, sulla quale è fondata la fede della Chiesa. La Chiesa è apostolica perché vive della testimonianza dei Dodici. La prima preoccupazione di Pietro dopo l’Ascensione è stata proprio quella di ripristinare il numero degli apostoli, eleggendo al posto di Giuda uno che doveva essere stato un compagno di Gesù durante il suo ministero terreno e doveva aver vissuto l’esperienza delle apparizioni pasquali.

L’Israele escatologico, quello definitivo, doveva basarsi sul “fondamento degli apostoli”, sulla testimonianza dei Dodici circa identità del Risorto, oltre che sulla realtà della risurrezione. Questa testimonianza apostolica spiega molte cose anche oggi. La fede e la tradizione apostolica sono state il criterio in base al quale la Chiesa ha scelto tra libri “canonici” e libri “extracanonici”. Canonico è stato considerato quello scritto che rispettava la fede trasmessa dagli Apostoli, in una tradizione viva. Chi parla di manipolazione da parte della Chiesa nei confronti delle fonti cristiane, non sa come fosse cara alle prime generazioni la testimonianza degli apostoli, a partire dalla quale erano disposti anche a dare la vita.

Per questo motivo a Paolo non viene da Luca riconosciuto il titolo di “apostolo” in senso “tecnico”, perché non aveva vissuto con il Signore prima della sua morte e risurrezione. Poteva infatti essere confuso o accusato d’essere un “visionario” perché non era un “testimone oculare”. Sappiamo quanto Paolo ne abbia sofferto.

Con Paolo la testimonianza assume un'altra accezione: dalla funzione storica fondatrice, tipica dei Dodici, si passa alla duplice funzione: in primo luogo di testimonianza personale di un cambiamento totale di vita per “essere stati afferrati” da Cristo e in secondo luogo anche nell’accezione di “predicare la parola del Signore” o “evangelizzare”.

Paolo definisce Stefano “testimone del Signore” (At 22,20) e, parlando di sé dice che “rende testimonianza al Vangelo della grazia”(At 20,24). Testimone è colui che annuncia la buona novella, che proclama il Cristo, la Parola, il Regno di Dio. In questo senso sono testimoni Filippo, Paolo e Barnaba, ma anche ogni credente di tutti i tempi

Anche tu sei testimone quando ti senti di giocare la tua vita come Stefano, come Paolo, come Barnaba, come Filippo: una vita dedita alla causa del Regno.

«Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza»

Siamo al capitolo quarto degli Atti (4, 33) dove viene presentato il secondo sommario del miracolo della vita fraterna operato dallo Spirito. Il frutto più sorprendente della vita fraterna, (“un cuor solo e un’anima sola” e “ogni cosa era fra loro in comune”), non è tanto il benessere degli interessati, ma qualcosa che ha a che fare con la missione: è un particolare coraggio ed una grande efficacia nel rendere testimonianza alla risurrezione del Signore Gesù.

Il punto più arduo dell’annuncio oggi sembra proprio la proclamazione della Signoria del Risorto. Come presentarlo, con quali mezzi fare breccia nella corazza di scetticismo o di indifferenza? Come rendere plausibile la “qualità diversa” dell’annuncio cristiano, proprio per l’unicità del fatto della risurrezione?

Il suggerimento che viene da Atti 4, 32-37, è proprio quello di curare la vita fraterna.

L’impegno a costruire isole di fraternità è il primo segno, il più formidabile punto di appoggio alla testimonianza cristiana. La vita fraterna riceve una particolare benedizione per testimoniare il Signore risorto, perché tocca il cuore dell’annunciatore e del destinatario. Solo lo Spirito sa toccare i cuori, “aprire una porta” rendere evidente e dare forza di persuasione alla testimonianza del cristiano.

Lo Spirito infatti conduce alla missione e la missione conduce a costruire comunità fraterne nelle quali abita lo Spirito che dà uno splendore efficace di fronte al mondo, anche quello meno disposto a lasciarsi condurre sulle vie del Signore.

C’è da chiedersi, come ipotesi di lavoro, se i risultati non sempre brillanti della missione non siano da mettersi in collegamento con lo scarso impegno per la vita fraterna.

«Fino agli estremi confini della terra»

Luca sta scrivendo le imprese dello Spirito, lo Spirito incarnato in gente comune, che ha avuto la forza di superare le sue paure. Quando c’è lo Spirito non si ha paura della secolarizzazione, della diminuzione dei cristiani, del tramonto di alcune forme di vita religiosa. I confini della terra non sono solo quelli geografici, ma anche quelli culturali, anche le situazioni limite, anche certe situazioni chiaramente senza speranza dei nostri giorni. Vi sono sempre state situazioni critiche e “disperate” per i testimoni, persino quando il mondo era in pace e sicuro. La speranza del discepolo non si può confondere con quella delle ottimistiche previsioni di un futuro migliore: la nostra speranza è posta nelle mani di un Dio amorevole e provvidente. E questa speranza sostiene nella perseveranza anche in ambienti dove la testimonianza sembra inutile e sprecata.

Perfino legato in catene, Paolo continuava a testimoniare “senza impedimento” (At 28,31).

Luca terminando il suo secondo libro ci ricorda che malgrado le persecuzioni ed il rifiuto, i ritardi e la pigrizia, la proclamazione del Vangelo continua fino alle estremità della terra, per grazia di Dio, senza impedimento insuperabile.

Il messaggio del libro degli Atti degli Apostoli è un messaggio di speranza, prima di essere un invito all’impegno e alla testimonianza. Speranza che viene non dalle nostre forze, ma dallo Spirito, dato a chi prega con Maria la Madre del Signore e con l’intera comunità dei credenti (At 1,12-14).

 

Pier Giordano Cabra
Via Piamarta, 6 - 25100 Brescia

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