n. 9
settembre 2008

 

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La preghiera forza motrice della storia

di Paola Bignardi

 

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Dire che la preghiera costituisca la forza motrice della storia è una di quelle affermazioni paradossali, destinate ad essere smentite facilmente non appena si ponga mente a qualche riflessione desunta dall’esperienza e dalla normale osservazione della vita. Il comune buon senso associa l’idea della preghiera con quella di chi si astrae dalla storia; associa preghiera e silenzio, e ne fa un’esperienza che pare incompatibile con la confusione della vita quotidiana, con le sue contraddizioni e la sua complessità.

E poi: come credere alla forza della preghiera, quando pensiamo ai popoli che muoiono di fame; a quanti sono “passati attraverso il camino”, vittime di una storia dalla quale Dio è parso totalmente assente? Quando pensiamo agli innocenti che ancora oggi sono vittime della violenza e della guerra? Quando pensiamo ai poveri che vivono ai margini delle nostre città come rifiuti umani, disprezzati da tutti e – sembra - dimenticati da Dio?

Dobbiamo pensare che nel mondo c’è troppa poca preghiera? Oppure che Dio è sordo alle invocazioni che salgono a lui da tante persone di fede? Dai luoghi della preghiera, dove giorno e notte non si fa che trasformare il proprio respiro in orazione, in supplica, in invocazione?

Riflessioni e domande che sembrano solo concludere al senso della debolezza della preghiera, e non della sua forza.

D’altra parte, come può un’esperienza fatta di silenzio, giocata nel cuore, espressione della libertà della coscienza, influire sui grandi fatti della storia umana? Sui fenomeni sociali ed economici? Sulle diplomazie? Sulle decisioni che riguardano una comunità nel suo insieme? O semplicemente su quel dinamismo delle libertà umane che si intrecciano nelle relazioni tra le persone? O sugli eventi imprevedibili della vita, che sono total-mente sottratti alle nostre decisioni?

E ancora: non è la preghiera un’esperienza personale, che avviene nel cuore della persona, nel segreto della coscienza di ciascuno, così come il Vangelo raccomanda?

Le domande non fanno che mostrare quanto provocatoria sia la riflessione che ci è chiesto di fare in queste pagine. Come essa non sia per nulla scontata. Quante insidie siano contenute in questa affermazione, con il rischio di scambiarla per un’iperbole, da ricondurre al comune buon senso; oppure, all’opposto, con il rischio che essa supponga una fede intesa come un talismano magico, che pretende di ridurre la libertà di Dio entro i confini dei nostri desideri, o che pretende di piegarlo alle nostre richieste.

Suggestioni bibliche

Davanti alle domande difficili, la via maestra è quella che inter-roga la parola di Dio.

La Scrittura è piena di episodi in cui si narra dell’invocazione dell’uomo verso Dio e della pietà di Dio per la preghiera dei suoi fedeli; in cui si parla dell’efficacia di chi ricorre a Dio per affrontare le situazioni della vita o del valore dell’intercessione.

Giosuè combatte contro gli Amaleciti, mentre Mosè sta in preghiera, le sue mani alzate verso Dio a invocare il suo aiuto contro i nemici. Ed è così efficace la preghiera di Mosè, che non appena egli abbassa le braccia le sorti della battaglia mutano; e si fanno propizie all’esercito di Israele non appena egli torna ad alzarle nel gesto della supplica.

Abramo mette in gioco tutta la sua capacità di mediazione in una preghiera destinata a salvare Sodoma e Gomorra: La sua preghiera intercede per la città con un’audace negoziazione, quasi a convincere Dio, a modificare le decisioni che egli ha già preso.

La regina Ester cerca in Dio il rifugio e l’aiuto in una situazione che, dal punto di vista umano, appare impossibile e senza ritorno; e sulla preghiera mette in gioco la sua stessa vita.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare.

In ciascuna di queste testimonianze, vi è una fede profonda in un Dio che si è compromesso nella storia umana, che non le è estraneo e lontano, ma partecipe e solidale. La preghiera poggia sulla certezza che a Dio sta a cuore la sorte del suo popolo; sulla convinzione che Dio è attento alle invocazioni dei suoi figli.

Il Vangelo è tutta una narrazione del cuore tenero di Dio, nella vita di Gesù che si china su ogni dolore, che presta ascolto ad ogni invocazione quando è espressione vera di un cuore da piccoli e da umili. Le risposte di Gesù alle invocazioni di coloro che gridano a lui superano sempre le attese di coloro che chiedono, come nel caso del centurione, che ha chiesto una parola e ha ricevuto la visita di Gesù; o di Bartimeo, che ha chiesto la vista e ha ricevuto un senso nuovo alla sua esistenza…

Nelle sue parole, Gesù insegna a pregare chiedendo senza ti-more, fino ad essere importuni come nel caso della vedova della parabola. L’invito che egli fa ai discepoli è quello di una preghiera fatta senza stancarsi, ma anche con la piena fiducia di essere esauditi, soprattutto quando la preghiera è compiuta non in solitudine, ma “in due o tre”, in comunità, nella fiducia solidale tra fratelli di fede. Ha insegnato che la preghiera più importante è quella che si rivolge a Dio chiamandolo Padre, è quella fatta con cuore da figli, così convinti che il Padre ha a cuore la nostra vita, da non esitare a pregare: “sia fatta la tua volontà”, tanto grande è la certezza che questa volontà non può che essere di amore, di benevolenza, di sollecitudine. Cioè quella di un Padre amorevole e misericordioso.

La preghiera del discepolo è quella che nasce da una vita vissuta con cuore da figli.

La storia che Gesù ci insegna a considerare importante non è quella che ha per protagonisti i grandi della terra con le loro decisioni, ma in primo luogo quella che riguarda ciascuno di noi: la nostra esistenza, lo scorrere delle nostre giornate, i fatti, le relazioni…. La preghiera è motore di una storia che ha per protagonisti le persone comuni, cioè tutti gli umili e i piccoli, che nella storia dei “grandi” sono nessuno, ma che sono ben presenti al cuore di Dio.

L’icona di Nazaret

Vorrei soffermarmi su una dimensione importante della vita di Gesù, la più misteriosa e la più difficile da raccontare, avvolta com’è dal silenzio: il tempo di Nazaret. Sappiamo che Gesù ha vissuto trent’anni della sua breve esistenza nella normalità di una vita comune a tutti i ragazzi e poi i giovani della Palestina del suo tempo: confuso in mezzo a loro, eppure così diverso da loro. Figlio di Dio e figlio dell’uomo. Non possiamo pensare che Gesù abbia salvato il mondo solo nei tre anni in cui ha parlato, ha compiuto miracoli, si è manifestato nella straordinarietà della sua natura di Messia. Gesù è stato Messia Salvatore anche negli anni in cui la sua vita non aveva nulla che potesse essere raccontato: una vita di silenzio, perché troppo comune, troppo ordinaria, troppo uguale a quella di ciascuno di noi. È molto difficile dire in che senso la vita di Gesù a Nazaret abbia contribuito a mandare avanti la storia umana; possiamo solo immaginarlo.

Mi piace pensare che la salvezza per noi sia passata in quegli anni attraverso il Suo vivere da Figlio; attraverso il silenzio in cui Gesù ha fatto proprio l’amore del Padre per l’umanità e la sua decisione di salvarlo; attraverso la preghiera che alimentava la relazione con il Padre e costituiva il “luogo” dell’incontro, del cuore a cuore, per rendere sempre più propria la verità che Egli un giorno rivelò a Nicodemo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare per esso il suo Figlio Unigenito”.

Dunque Nazaret ha fatto da motore alla storia umana, perché l’ha caricata di mistero e di silenzio, di amore e di condivisione; ha messo in essa, come germe di vita nuova, la decisione di una dedizione disposta a farsi sacrificio della vita perché l’umanità conoscesse quell’amore che è più forte della morte.

L’icona di Nazaret, cioè del tempo in cui Gesù è stato così simile a noi da essere in tutto confuso con ciascuno di noi, costituisce il paradigma della nostra vita cristiana ordinaria e della nostra preghiera.

Dimensioni della preghiera cristiana

L’ascolto di queste suggestioni bibliche ci consente di mettere in evidenza alcuni aspetti della preghiera, per illuminare la nostra riflessione.

La preghiera è l’esperienza della comunione e della fede: stare in relazione con il Signore Gesù, pregare con Lui il Padre; sentire su di noi il suo sguardo di amore. Pensiamo alle notti che, secondo il Vangelo, Gesù passava in silenzio e in preghiera, cioè nella comunione, nel dialogo, nell’ascolto del cuore del Padre. Anche la nostra preghiera è soprattutto questo stare in comunione con il Padre insieme a Gesù, e nel silenzio dell’incontro rendere sempre più matura la fiducia nell’amore che Egli ha per noi, la certezza della sua misericordia, la fiducia nella sua promessa di esserci accanto, al di là di ogni umana evidenza. La preghiera è amore e fiducia, esperienza della misericordia e abbandono; talvolta sperimentati, più spesso creduti. Nella certezza dell’Amore, si impara a credere che il modo con cui Dio ci ama, per quanto a volte incomprensibile, è sorprendente e più forte di ogni amore umano. Radicati in esso, si può affrontare anche la stretta del dolore, nella certezza che il Signore Gesù ci è accanto a soffrire con noi, lui che ha affrontato la prova del Calvario.

Incontrare nella preghiera il cuore del Padre è credere che l’amore che riceviamo non è solo per ciascuno di noi, ma è per tutti, per ciascuna persona. Dio si prende cura di tutti i suoi figli, di quelli che lo conoscono e di quelli che non sanno il suo nome; di quelli che lo riconoscono e di quelli che lo rifiutano; di quelli che ne sono consapevoli e di quelli che vivono chiusi nel loro giorno per giorno.

La preghiera contribuisce a rendere umano il cuore dell’uomo, cioè ci fa sentire la responsabilità e la bellezza di vivere secondo la dignità che il Padre ci ha dato, creandoci a sua immagine e somiglianza.

Vivere con un cuore da figli cambia la storia, perché consente di vivere come persone che si sanno amate, e che dunque abitano la vita con quella pace, quella serenità, quel senso di pienezza che rende liberi, perché appagati nel cuore. Cambia la storia perché fa recuperare la dimensione di quella fraternità che non permette più di essere uno contro l’altro, ma ci fa solidali nella ricerca del bene comune.

Se la preghiera è frequentare Dio, conduce a poco a poco ad avere sulla storia il suo stesso punto di vista; anzi, a credere nel disegno misterioso che Egli ha sul mondo e sulla storia, soprattutto credere che esso è disegno di un amore che percorre le vie della storia umana, senza violentarla né violarla. Così, a poco a poco, la preghiera conduce anche a condividere lo stesso amore di Dio per il mondo, e dunque non estraniarci da esso, a non disinteressarci di esso. E quando la storia, nell’intreccio dei percorsi della libertà e degli interessi, si fa umanamente incomprensibile, la preghiera aiuta a non prendere le distanze, ma a fare come Mosè che chiede pietà per il popolo confondendosi con esso e con le sue malefatte, a immagine di ciò che Gesù avrebbe fatto sulla Croce: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5, 21).

È ciò che hanno fatto i santi che si sono trovati in snodi cruciali della storia umana: penso a E. Stein, a P. Kolbe, a M. Teresa di Calcutta e a tanti altri anonimi che nell’inferno della storia umana non hanno smesso di vivere con dignità e con amore. Il loro amore rende vivibile la storia, dà la fiducia nella possibilità di rico-minciare: è l’amore il motore della storia.

La preghiera immerge in un amore che cambia la storia

Mi pare che sia questa la conclusione cui ci ha condotto la nostra riflessione: la preghiera è forza motrice della storia perché essa è esperienza di quell’amore che cambia la storia umana e la trasforma, dando ad essa un senso e un valore nuovo.

Essa porta nel cuore del mondo l’amore della Pasqua che si rinnova nella decisione con cui ciascuno, nel piccolo frammento della propria storia, vive la stessa dedizione con cui Gesù si è consegnato al Padre per la vita dell’umanità. Essa porta nel cuore del mondo la speranza di coloro che sanno che il dolore e la morte non sono l’ultima parola sulla vita, ma che, al di là della sofferenza e delle contraddizioni del momento presente, si aprirà la possibilità di un mondo rinnovato: quello in cui i ciechi, gli storpi, gli zoppi, i deboli, gli sconfitti… vedranno riconosciuta la loro dignità; essi costituiranno la primizia di un mondo rinnovato.

Dunque possiamo pregare: «Venga il tuo Regno», quello in cui i piccoli sono accolti, i malati guariti, i disperati rimessi in cammino… E il mondo ci si manifesterà nell’immagine bella secondo cui Dio lo ha pensato e voluto.

Paola Bignardi
Via Aldo Moro, 7
26010 Olmeneta (Cremona)

 

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