n. 10
ottobre 2008

 

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Laceratevi il cuore e non le vesti (Gioele 2,13)
 

 

 

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«Or dunque,- parola del Signore - ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza» (Gl 2,12-13). Questo grido del profeta Gioele siamo abituati ad ascoltarlo in Quaresima, col rischio di relegare a quel periodo – e magari solo a quello – il richiamo all’autenticità davanti a Dio. Sempre è tempo di riconciliazione e di misericordia, di rinnovamento interiore. Il messaggio dell’autore sacro probabilmente è stato pronunciato dopo l’esilio, nel tempio di Gerusalemme: un’invasione di cavallette e una siccità sono i fatti da cui prende avvio la riflessione-profezia di Gioele. Simili flagelli hanno devastato le campagne portando carestia e fame (cf Gl 1,2-2,10); di conseguenza anche il culto sacrificale del tempio è cessato (cf Gl1,13.16). C’è da osservare con il biblista Antonio Bonora che «il profeta si fa voce dell’intelligenza che cerca di capire, del coraggio che non cede alla stanca rassegnazione rinunciataria, della volontà di vivere che è disposta a lottare contro ogni ostacolo. Egli è la voce del desiderio di vivere e della speranza. Ma occorre rispondere alla temibile domanda: che cosa significa una tale sventura? La risposta più semplice è questa: la sventura è un castigo di Dio; il popolo l’ha meritato». Il profeta sa leggere i segni dei tempi, perciò parte dalla disgrazia collettiva per incitare tutto il popolo ad una conversione interiore, e invitandolo al digiuno, alla supplica, alla penitenza (Gl 2,12.15-17).

Fare penitenza secondo la Bibbia non significa riparare un danno, ma ricominciare daccapo, partendo da zero. Il nuovo inizio deve partire dal cuore con una trasformazione radicale del modo di sentire e di pensare. Penitenza e pentimento non sono sinonimi di abbattimento, tristezza, frustrazione; costituiscono invece una modalità per aprirsi alla luce che sola può fendere le tenebre interiori, donarci la coscienza di noi stessi nella verità e farci gustare l’esperienza della misericordia di Dio. Da sempre egli vede e conosce le meschinità e le brutture che ci abitano, eppure com’è diverso il suo giudizio dal nostro! Il popolo, dunque, che si trova in una condizione di desolazione, è invitato a tornare al Signore, come altre volte si legge nella Bibbia, specie nei profeti e nel Deuteronomio. Il nostro brano, redatto come una liturgia penitenziale, usa per ben dieci volte l’imperativo: «ritornate», «laceratevi»,… per sottolineare l’urgenza dell’appello.

Il Signore, è vero, richiede «digiuni», «pianto», «lamenti», ma prima di tutto sollecita ad agire «con tutto il cuore», per dire che se non nascono da un cuore retto, tali gesti sono ipocrisie e non valgono nulla. La vera conversione porta a mutare interiormente il cuore indurito e stretto, quasi a lacerarlo e a dilatarlo, perché accolga ciò che a Dio piace: questo porterà infatti alla salvezza. Altrimenti, digiunare, piangere, fare lamento, mentre il cuore conserva la primitiva intenzione di peccare, non è convertirsi al Signore. Con Dio non si può fingere, né prendersi gioco di lui. Il profeta perciò denuncia apertamente coloro che fanno mostra di una conversione fatta soltanto di segni esteriori, ricordando che non ne avranno alcun vantaggio: è necessaria una seria e sincera lacerazione del cuore.

Al riguardo, il nostro brano precisa: «Laceratevi il cuore, non le vesti». «Lacerate», cioè «aprite, manifestate», e anche «aprite il vostro cuore per essere accoglienti». Questo comando si trova solo qui nell’Antico Testamento. Secondo gli studiosi forse si vuole invitare contemporaneamente alla sincera comunione con Dio, alla disponibilità a mostrarsi come veramente si è, con mancanze e peccati che riempiono il cuore; e anche a lacerare il cuore per accogliere intimamente la volontà di Dio. Tutta la letteratura profetica con estrema decisione si è scagliata contro ogni tentativo di esteriorizzare l’esperienza religiosa. Su tutti basti richiamare un testo di Isaia: «“Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?”,dice il Signore.“Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili […]. Anche se moltiplicate le preghiere io non ascolto […]. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”» (Is 1,11a.12-13a.15-17).

Stupisce inoltre l’esigenza di digiuno, ripetuta due volte (vv.13 e 15) in una situazione in cui manca tutto, dove c’è devastazione delle campagne e del bestiame (cf Gl 4,11.16). Il Signore sembra dire che è possibile tornare a lui da ogni condizione in cui ci si trova,anche disastrosa, presentandogli la nostra grande impotenza, le nostre scarsità o assenze di bene, le nostre mancanze e miseri, pronti a ricominciare con l’aiuto del suo intervento. Se è possibile cambiare e quindi sperare in un futuro nuovo non è a causa di quello che sappiamo fare noi, ma perché il Signore «è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura» (Gl 2,13).

La Liturgia delle Ore del venerdì della XXI settimana del Tempo Ordinario ci offre una pagina di san Girolamo che commenta Gioele 2,13-14 e che qui mi piace riportare: «Ritornate a me con tutto il vostro cuore e mostrate la penitenza dell'anima con digiuni, pianti e battendovi il petto: affinché, digiunando adesso, dopo siate satollati; piangendo ora, dopo ridiate; battendovi ora il petto,dopo siate consolati. Nelle circostanze tristi ed avverse vi è consuetudine di strapparsi le vesti. Così fece, secondo il vangelo, il sommo Sacerdote per rendere più grave l'accusa contro il Signore, nostro Salvatore, e così pure Paolo e Barnaba all'udire parole blasfeme. Ebbene, Gioele dice: “Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e benigno, tardo all'ira e ricco di benevolenza” (Gl 2, 13)».

«Ritornate dunque al Signore vostro Dio, - continua san Girolamo – da cui vi siete allontanati per il male che avete fatto, e non disperate mai del perdono per la gravità delle colpe, perché l'infinita misericordia le cancellerà tutte per quanto gravi. Il Signore infatti è buono e misericordioso. Vuole piuttosto la penitenza che la morte del peccatore. È paziente e ricco di compassione e non imita l'impazienza degli uomini, perché anzi aspetta per lungo tempo la nostra conversione. Il Signore è pienamente disposto a perdonare e a pentirsi della sentenza di condanna che aveva preparata per i nostri peccati. Se noi ci pentiamo di quanto abbiamo fatto di male, egli si pentirà della decisione di castigo che aveva preso e del male che aveva minacciato di farci. Se noi cambiamo vita anch'egli cambierà la sentenza che aveva predisposto. Quando diciamo che ci ha minacciato del male, certo non ci riferiamo a un male morale, ma a una pena dovuta giustamente a chi ha mancato. Gioele dopo aver rivelato la misericordia di Dio verso chi si pente, soggiunge: “Chi sa che non cambi e si plachi e lasci dietro a sé una benedizione” (Gl 2, 13-14). Il profeta intende dire: Io assolvo il mio mandato, vi esorto alla penitenza perché so che Dio è oltremodo clemente, come si ricava anche dalla preghiera di David: “Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia: nella tua grande bontà cancella il mio peccato (Sal 50, 1.3)”» (San Girolamo,Commento su Gioele).

Amiche lettrici e cari lettori, il presente numero di Consacrazione e Servizio che avete tra mano si apre con la nuova rubrica «Speciale Anno Paolino » che riporta un originale approfondimento della biblista Elena Borsetti su san Paolo e la presenza delle donne – apostole e diaconesse - nelle prime comunità cristiane.

Cristina Caracciolo, che ci accompagna da tempo a riconoscere la “vicinanza della Parola”, nella sua breve riflessione biblica, attira la nostra attenzione di consacrate sulla necessità di ravvivare il dono di Dio che è in noi, per farlo risplendere di rinnovata luminosità, e riconoscere la totale gratuità della divina chiamata.

Il patrologo Mario Maritano che nella rubrica «Sapienza dei Padri» ha illustrato lungo l’anno alcune grandi figure: Ignazio d’Antiochia, Giustino, Ireneo di Lione, Origene, Atanasio, Basilio, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, delinea nel presente fascicolo la figura del sommo esegeta Girolamo, qualificandolo come l’«umanista» cristiano.

La rubrica «Orizzonti» arricchisce il fascicolo con due differenti testi su argomenti di viva attualità: l’intervista a Pascual Chávez,Rettor Maggiore dei Salesiani, sul documento Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, già riferito nel precedente numero (n. 9/2008, 27-32); e una presentazione, da parte della teologa moralista Lilia Sebastiani, del documento della Pontificia Commissione Biblica sul rapporto Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire cristiano, che ha visto la luce in data 11 maggio 2008.

Una parola particolare per il «Dossier». Sotto il titolo: «Ritornate a me con tutto il cuore», espressione tratta dal profeta Gioele (2,12), sono raccolti cinque studi sulla riconciliazione-penitenza, tema oggi quanto mai importante per una rinnovata vita spirituale. Gli argomenti sono stati pensati ed elaborati tenendo presente la prospettiva psicologica (Lucio Pinkus), teologale-liturgica-ecclesiale (Fernando Millán Romeral), antropologica (Antonietta Augruso), comunitaria-esistenziale (Bruno Secondin, Mons. Angelo Amato). Le riflessioni del presente Editoriale, prendendo avvio da un conosciuto imperativo del profeta Gioele, intendono attirare l’attenzione su un serio cammino di conversione a Dio e di riconciliazione con i fratelli.

La ricchezza biblica di questo numero ci mette in sintonia con i lavori del Sinodo dei vescovi, riuniti in assemblea dal 5 al 26 ottobre per riflettere su La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, argomento da noi trattato più volte, anche di recente nel n. 6/2008.

Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it