n. 1
gennaio 2009

 

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Parola di Dio e mediazioni umane

di ROSANNA VIRGILI

 

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Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla Rivelazione Dei Verbum, definiva la parola biblica in un duplice carattere: una parola ispirata dallo Spirito Santo e quindi che viene da Dio, ma il cui veicolo sono le diverse, storiche parole degli uomini. Vi leggiamo infatti: "Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo" (DV 11); e, per contro: "Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana" (DV 12). Con ciò la Chiesa preclude qualsiasi legittimità ad una lettura fondamentalista o dogma-tica della Bibbia, stabilendo che essa abbia, al contrario, bisogno di essere studiata e interpretata proprio in quelle forme di "mediazione umana" che ne hanno permesso la redazione (cf DV 12).

Parola di Dio in parole di uomini

La prima grande forma di mediazione umana della parola di Dio sono le lingue bibliche. Quanto a loro è importante ricor-dare come i libri biblici siano scritti - nelle loro edizioni originarie - in lingue del Vicino Oriente e del mondo antico che da tempo sono morte: l’ebraico ed il greco ellenistico. Nessuna di queste lingue è parlata oggi così come appare nella Bibbia, poiché in Grecia si parla il greco moderno, mentre in Israele - la biblica "terra promessa" - si parla l’ebraico moderno, nella comunità ebraica e l’arabo nella comunità palestinese. Le lingue bibliche originarie sono, pertanto,

molto difficili da comprendere, intanto per la distanza secolare della cultura e delle civiltà che in esse sono espresse e significate e, in un secondo tempo, anche per la storia carica di vicissitudini che le copie antiche hanno subìto per essere conservate e trasmesse nel corso del tempo.

Altro determinante momento di mediazione, circa le lingue bibliche, è stato - e in certo grado continua ad essere - quello della traduzione. Scritta originariamente in ebraico, la Bibbia del Primo Testamento, venne, già in tempi remoti (dal III secolo a.C.), dap-prima tradotta in greco (la Bibbia dei Settanta) e poi in diverse versioni latine (la Vetus Latina e la Vulgata), solo per ricordare i casi più importanti. Per non parlare, poi, in tempi ben più recenti, delle traduzioni che della Bibbia vengono fatte nelle lingue moderne: in italiano, in inglese, in francese e così via. È ovvio che la traduzione di immagini, racconti, miti, codici di leggi, tanto antichi e lontani dal mondo moderno diventa un compito oltremodo impegnativo, nonché effettivamente rischioso.

Per tutte le cose che siamo venuti dicendo diventa chiaro che si debba assolutamente accettare qualcosa di inopinabile e inevita-bile: che la parola di Dio passi attraverso una incisiva mediazione umana e che quello che i credenti leggono come parola di Dio sia anche il frutto delle menti dell’uomo.

Concezioni e linguaggi biblici

Entrando nelle pagine bibliche scopriamo di trovarci dinanzi ad un altro tipo di mediazione: quello delle culture dell’epoca in cui i libri furono scritti. Se si pensa che essi vennero prodotti in un vastissimo arco di tempo che affonda i suoi albori nella prima metà del I millennio a.C. - i più ottimisti ritengono che i primi testi scritti risalgano all’VIII secolo a.C. - e che va a chiudersi con i testi del Nuovo Testamento datati fino alla metà del II secolo

d.C., si capisce la diversità estrema dei linguaggi e delle concezioni che popolano il messaggio biblico, nella sua globalità. Facciamo un solo esempio: in alcuni libri del Primo Testamento non solo si autorizza la vendetta e l’uccisione dei nemici, ma questa è espressa come esplicita volontà di Dio; in altri, invece, ai peccati più gravi, quali l’assassinio dell’innocente, Dio non risponde con la vendetta, ma con il perdono. Nelle pagine del Nuovo Testamento, poi, Gesù dirà ancora qualcosa di diverso, chiedendo a chi ha ricevuto un colpo su una guancia di porgere anche l’altra. Questi messaggi, così diversi tra loro e in apparenza contrastanti, sono il frutto non solo di uno sviluppo teologico del percorso biblico, ma anche delle diverse concezioni che animavano la cultura storica del tempo. La parola di Dio nasceva e si rivolgeva, infatti, a comunità umane del mondo antico e non poteva non trovare in questo circuito dei segni e dei condizionamenti.

Tutto ciò è in effetti molto bello e positivo: il Dio della Bibbia, infatti, non è un Ente metafisico o un’entità astratta, ma un amico dell’uomo che scende dal cielo e cammina sulla terra, parlando con le lingue umane e profondendosi in mille forme di incarnazione. Una strategia finalizzata a poter incontrare il cuore e l’intelligenza dell’uomo finché simbolo e sacramento di questo Dio non si fa il Figlio: figlio di un Dio che, pur di amare l’uomo, si fa uomo.

Entrare in questa visione della parola di Dio è la condizione per poter liberare la Bibbia da ogni orma di rigidità e insano dogmatismo e per poter fruire di quella li-bertà di vivere altre tappe del cammino di una Rivelazione ancora tutta da scoprire ed incarnare. Con il dono della Pentecoste.

Paolo grande mediatore

Un ineguagliato esempio di mediatore della parola di Dio, intesa come Vangelo del Cristo, è Paolo. Nessuno come lui - tra i protagonisti del Nuovo Testamento - ci mostra la mediazione linguistica, culturale ed anche esistenziale come autentico metodo di evangelizzazione. Paolo lo denuncia e lo spiega senza mezzi termini: "[…] mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei […]. Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio […]. Mi sono fatto debole con i deboli; per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Cor 9,19-22).

Queste sublimi parole aprono l’orizzonte della fede di Paolo in cui si spalanca la ragione e l’intelligenza della sua missione apostolica. Essa si attua attraverso una continua traduzione del messaggio di gioia, di vita e di salvezza che è il Vangelo che egli porta. Siccome questa gioia e questa vita non possono essere godute da soli, Paolo deve condividerle per poterle fare proprie. "Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro" (1Cor 9,23).

Tale condivisione richiede lo sforzo di sempre diverse "mediazioni": una mediazione con i Giudei, che parlano il linguaggio della Legge e ai quali Paolo si preoccupa di annunciare il Vangelo a partire da una riflessione sulla loro Legge mosaica; diversa è, invece, la mediazione che egli mette in gioco con i Gentili, i quali non conoscono la Legge e allora c’è bisogno di entrare nella loro visione del mondo, di attrezzarsi con la conoscenza e gli strumenti stessi della loro cultura per poter dialogare ed anche discutere con loro; un altro tipo di mediazione Paolo riterrà necessaria con chi si rivela psicologicamente, economicamente o umanamente debole: per poter abbracciare i deboli Paolo sposerà la loro stessa disagiata condizione, si metterà nei loro panni, pur di sentire coi loro stessi orecchi una Parola che viene a sollevare speranza.

L’oggi della Parola: mediativa o mediatica?

Sull’onda di queste ispirazioni bibliche veniamo, infine, a chiederci di quali mediazioni si fa oggi autore e attore il credente in ascolto. Solo per avviare un’onesta riflessione sgombriamo il campo da un possibile equivoco: "mediare" non vuole dire leggere la Bibbia in televisione … quella è piuttosto un’operazione mediatica! Per parlare di un’effettiva attività mediativa della parola di Dio occorre non solo rimandare a quanto è stato detto sinora, ma anche aggiungere che il soggetto che media è una comunità ed è in nome di una esperienza di vita e di conoscenza in comunione che si può legittimamente fare ciò.

Questa comunità vive due amori e due appartenenze: al cielo ed alla terra, a Dio ed agli uo-mini, impastate nel loro percorso e nelle loro passioni storiche. Allora la bocca metaforica del mediatore pronuncerà parole nate da un sapiente metabolismo: il frutto che matura da quanto entra da un orecchio, che è la parola di Dio, e quanto entra dall’altro, che è il messaggio umano, intellettuale e morale dell’umanità, nel suo oggi storico.

Nessuna altra mediazione sarebbe possibile, né credibile se non attraverso l’uso di queste due "lingue" ed il loro continuo provocarsi e penetrarsi, incrociarsi, distanziarsi, discutere ed incontrarsi, costituendo una preziosa, vicendevole leva critica e creativa. Fino a raggiungere – perché no? - sognati spazi non di omologazione, né di conflitto, ma di profetiche e costruttive armonie per la salute del mondo.

 

Rosanna Virgili
Biblista
Via Antonio Perpenti, 4
62023 Fermo (Ascoli Piceno)

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