«Anche
se non sempre ne sono consci, i giovani stanno male. E non per le solite
crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite
inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro
sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti,
fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui».
Comincia con questa perentoria diagnosi il testo di Umberto Galimberti,
L’ospite inquietante. Il
nichilismo e i giovani,
un libro che presenta
sufficienti
prove a sostegno del diffuso
disagio che in generale
caratterizza
la condizione attuale dei
giovani.
I giovani stanno dunque male. Ed è
ovviamente un male
dell’anima, perché mai
come nell’epoca presente le condizioni economiche, sociali, culturali ed
elementari del vivere (salute, cibo, divertimenti, accesso alla
formazione secondaria, soldi) sono state così elevate e a disposizione
di moltissimi. E ha ancora ragione Galimberti nell’indicare che le cause
di questa inedita situazione in cui versano i giovani siano da
individuare proprio nella “cultura che respiriamo”.
Ma che cosa sta facendo la società
per i giovani?
Il risentimento
degli adulti
Al riguardo la prima cosa che
colpisce è il fatto che, al frequente e preoccupato parlare che si fa di
giovani, non corrisponda quasi mai, né sul piano legislativo né su
quello delle decisioni operative, un’autentica attenzione nei loro
confronti. Raramente si opera in modo da creare effettive condizioni
perché i giovani possano trovare rimedio al loro malessere. Dal mondo
della formazione a quello del lavoro, dalle politiche per la famiglia a
quelle per la previdenza sociale, non sono quasi mai gli interessi dei
giovani al centro del dibattito e poi delle riforme cui si mette mano.
Si rimuovono dall’orizzonte del
pensiero dati di fatto elementari: senza un lavoro e una casa, è ovvio
che i tempi del fidanzamento si allunghino a dismisura; senza asili-nido
e congrui sgravi fiscali, è ovvio che uno ci pensa due volte prima di
mettere al mondo dei figli; senza ricambio nei rappresentanti delle
istituzioni, è ovvio che si diffonda il disinteresse per la politica;
senza una giustizia efficiente, è ovvio che la sirena dell’illegalità
non smetta di risuonare suadente.
Ma da che cosa nasce un tale
interesse solo verbale per i giovani, cui non corrisponde alcun
investimento reale nei loro confronti? Non mi pare ci possano essere
dubbi nel sostenere l’esistenza di un consistente risentimento che il
mondo degli adulti nutre verso i giovani. In un tempo e in un mondo in
cui tutti desiderano sentirsi giovani, nell’anima e nel corpo, con
effetti a volte che rasentano il ridicolo, la pura presenza di giovani
di per sé ricorda che non tutti
sono
giovani, belli e prestanti.
I giovani diventano, allora e loro
malgrado, quasi come uno specchio delle paure degli adulti: della paura
di invecchiare, della paura della morte, della paura di comporre un
bilancio delle proprie scelte, della paura di contare le rughe e le
ferite che la vita inesorabilmente imprime. Ebbene, tutto questo attiva
un potente circolo vizioso tra le generazioni: gli adulti mantengono in
uno stato di “minorità” i giovani, parcheggiandoli nelle Università,
favorendo fidanzamenti infiniti, coccolandoli a casa fino a
quarant’anni, riducendo oggettivamente le possibilità di mettere al
mondo una bella famiglia con ampia cucciolata, e, da parte loro, i
giovani si disinteressano della politica, dell’amministrazione pubblica,
delle riforme scolastiche e universitarie, che rimangono in mano agli
adulti…
E - si sa - il potere fa “belli”
anche i brutti e “giovani” anche i vecchi…
Ovviamente la cosa ha i suoi costi.
In un mondo in cui gli adulti vogliono essere “giovani” e non adulti,
segue che i giovani non possano diventare adulti, perché giovani
si nasce,
adulti invece si diventa
– confrontandosi,
scontrandosi, emancipandosi con e da altri adulti.
Che cosa, allora, sta capitando?
La «magia» della
giovinezza
Al fondo e come fondamento di questa
situazione sta quella che possiamo definire la “magia” della giovinezza,
che consiste in quell’aver
tempo per decidere
quale tipo di persona diventare,
in quel non aver fretta di
de-finirsi. È necessario
ora richiamare un’altra elementare verità: i giovani non sono sempre
esistiti. Nel passato anche recente, la giovinezza era una sorte di
malattia veloce, un “morbillo”, essendo il passaggio dalla fanciullezza
all’età adulta repentino e rapido. Non c’era letteralmente tempo per
essere giovani. Bisognava darsi da fare.
Tutto questo oggi – grazie a Dio – è
stato ampiamente superato. Ed essere giovani, cioè l’aver del tempo a
propria disposizione, è possibile e ovviamente affascinante. Le famiglie
possono sostenere gli oneri di una formazione intellettuale e
professionale prolungata, molte malattie sono state debellate. Insomma
vi è cibo e salute a sufficienza per chi è anagraficamente giovane. Qui
origina lo straordinario sapore di magia
dell’essere giovane,
dovuto all’ampiezza di possibilità che si spalancano davanti a chi è
appunto in crescita.
Una tale magia ha “ammaliato” tutti e
così si diventa grandi ma non “adulti”.
Istruzioni cercasi
Il terreno su cui si sviluppa questa
situazione, tuttavia, non è semplicemente quello di una crisi
esistenziale del mondo adulto. Per parafrasare Galimberti, pure
gli adulti, anche se non sempre ne
sono consci, stanno male.
E il loro è un male dell’anima, derivante anch’esso dall’attuale
cultura, il cui tratto caratteristico è sicuramente l’accelerazione del
progresso tecnologico. Secondo una recente e sapiente ricostruzione
critica, proposta da Aldo Schiavone nel suo testo
Storia e destino,
infatti, non è offerta agli uomini e alle donne di oggi quella
necessaria distanza temporale tra una innovazione tecnologica e l’altra,
che permetterebbe di saggiare gli effetti e di giungere a valutazioni
condivise delle stesse. E ovviamente molti interventi della tecnica sono
su aspetti centrali della vita umana, come il concepimento e la nascita
di nuovi esseri, la cura genetica di malattie molto gravi e la questione
del “come” morire. In questo modo i confini del possibile non sono più
tracciabili in modo univoco e universalmente apprezzato.
Tale stato di cose, unito ad un
generale ripudio di una buona fetta della sapienza tradizionale
sull’umano, rende coloro che dovrebbero essere adulti
sguarniti
di adeguate e condivise “regole” per
un esercizio felice della propria libertà. Le istruzioni di prima non
funzionano più, quelle nuove tardano ad arrivare. Senza di esse, però,
non ci sono adulti; senza gli adulti, i giovani non sanno dove mirare e
su che cosa scommettere la loro esistenza.
Adulti si diventa
La riflessione sulla condizione
giovanile comporta di necessità uno sguardo generale sul tempo che
stiamo vivendo, il quale si configura, più che come un’epoca di
cambiamenti, quale un
cambiamento di epoca. In
questa situazione turbamenti e inquietudini sono all’ordine del giorno,
perché legati alla ricerca di un nuovo equilibrio tra ciò che si può
(tecnicamente) fare e ciò che si decide sia
bene
fare, alla ricerca dunque di “un
nuovo alfabeto della libertà”, che sappia reggere alla scomparsa del
“naturale” e delle sue leggi e alla sua sostituzione con il
“tecnicamente possibile”. È dunque una situazione di passaggio, di
svolta. Di vuoto: quel vuoto/nulla, da cui deriva il nichilismo
denunciato da Galimberti.
Ogni vuoto, però, può diventare
anche spazio fecondo di creatività, di invenzione. Proprio dai giovani
viene una richiesta ogni giorno più forte: la richiesta di chi invoca un
insegnamento di vita, un insegnamento di libertà; la richiesta che gli
adulti siano adulti.
È dunque sempre più urgente trovare
una nuova grammatica della libertà che comunichi interpretazioni
condivise su ciò che promuove la vita e ciò che la deturpa, su ciò che
la avvia alla sua destinazione e ciò che la degrada.
Insomma: giovani si nasce, adulti si
diventa – confrontandosi, scontrandosi, emancipandosi con e da altri
adulti.
Armando Matteo
Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI
c/o Casa Assistenti
Via F. Marchetta Selvaggiani, 22
00165 Roma.