n. 7
luglio/agosto 2009

 

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Il contesto socio-culturale
Una chiave di lettura

di ROSARIA MARCHESI

 

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Premessa doverosa: questa mia comunicazione, per quanto articolata, non può essere altro che una riflessione condivisa; io sono una giornalista, non una specialista di questo settore. Infatti, in genere mi occupo di Storia Contemporanea e di Storia del Giornalismo, ma da anni metto la mia professionalità a disposizione delle Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena, con le quali condivido il carisma, il cammino di fede e il lavoro, ovviamente secondo il mio status di laica e le mie competenze professionali e non.

Entriamo, quindi, nel merito del nostro incontro.

Il mondo che scorre sotto i nostri occhi, dalle immagini della televisione alle pagine dei giornali, fino ai media di nuova generazione, mondo del quale tutti, ciascuno a suo modo, facciamo parte, è una minima porzione di quella che è la realtà, del mondo stesso. È la visione che i mezzi di comunicazione ci danno.

Più fonti si consultano (giornali, telegiornali, programmi di approfondimento, internet), più si amplia la visuale e la possibilità di arrivare il più vicino possibile alla realtà, ma la nostra visione  della realtà non sarà mai totalmente sovrapponibile ad essa, o totalmente esatta. Esiste uno scarto tra la realtà e il racconto, anche per immagini, della stessa. È una pretesa vana quella di arrivare al nocciolo della realtà e alla verità oggettiva.

Del resto, per il credente, Signore della storia e del creato, la Verità stessa, è solo Dio, Uno e Trino.

Questa prima riflessione già ci pone in una particolare ottica.

Interpellati

Innanzitutto consideriamo un verbo che ci sfida: interpellare. È un verbo di derivazione latina, che prende origine da “interrompere con obiezioni”, rivolgere domande, ma anche dirigere. Nel primo significato della lingua italiana, comunque, è rivolgere a qualcuno una domanda, mentre nel linguaggio giuridico è chiedere l’adempimento di un’obbligazione.

Scegliere di utilizzare tale verbo significa entrare direttamente in argomento, abbandonare una sorta di algido distacco. Si tratta di un verbo “forte”, quasi obbligante, da leggersi come se sottintendesse un dovere. Già questo ci dice che siamo nel campo dell’impegno e non della pura osservazione dei fenomeni, anche se questa ha una sua innegabile importanza.

Allora, di sicuro il mondo in cui viviamo interpella tutti coloro che, vivendoci, sono disposti ad esser chiamati in causa, quindi ad esserci, come soggetti attivi e non passivi della storia nel suo prodursi.

Non entriamo, volutamente, in merito alla discussione sul concetto, molto dibattuto, di Storia, lo utilizziamo nella sua accezione più comune e corrente.

In che modo il mondo odierno interpella e chiama in causa la vita religiosa specie quella femminile? E ancora, che cosa la vita religiosa può dare al medesimo?

Per rispondere, o per cercare almeno alcune risposte, a questa domanda ci sarà spazio nel dibattito; in sede di comunicazione, si può partire dalla conoscenza di due fattori: 1. come, a grandi linee, è il mondo di oggi; 2. se, e in quel caso, come la vita religiosa è disposta a confrontarsi con esso.

Solo soggettività e neopaganesimo?

Il mondo occidentale vive un periodo di forte secolarizzazione (non è una novità assoluta, ma il fenomeno non ha mai avuto la portata odierna, frutto della globalizzazione), quasi di spoliazione e negazione totale di quelli che sono stati alcuni suoi valori fondanti, tratti dalla civiltà greca e da quella giudaicocristiana, che ne sono stati e, per quanto si dica, ne restano alle basi.

L’inizio del terzo millennio, però, sembra mancare di radici salde, oppure sembra aver tagliato quelle che da sempre avevano sostenuto le categorie di riferimento valoriale, alla ricerca, forse, di nuovi elementi fondanti, ma che per il momento non sembrano essere reperiti, se non nella esasperazione della soggettività, elevata a norma universale o quasi. Tutto ciò, ovvio, con le debite eccezioni, che, fortunatamente, esistono.

I valori della vita sono manipolati teoricamente e, purtroppo, anche praticamente (vedi la recente vicenda Englaro), la sua sacralità da molti non è neppure considerata tale. Al termine “persona”, che tante implicazioni sottende, si sostituisce quello di individuo, con il suo diverso bagaglio valoriale.

A volte si ha la netta impressione che tale sostituzione sia fatta senza neppure sapere quali distinguo contengono queste due parole, che nel parlato corrente finiscono spesso per essere, magari, usate come sinonimi.

Per certi aspetti, pare di essere ritornati all’epoca dei Sofisti presocratici, quando l’uomo era misura di tutte le cose e del mondo, intendendo tale uomo con la minuscola, non come genere umano, bensì come singolo. L’uomo pone se stesso al centro del mondo, non come Dio lo aveva posto nell’Eden, piuttosto esso si pone come auto-creatore di un eden plastificato e  fittizio, giocato sul tutto e subito, dove il fine giustifica qualunque mezzo.

Attorno a noi si leggono inquietanti messaggi di un neopaganesimo imperante (tale termine, ad esempio, è stato utilizzato anche per indicare l’ideologia del regime nazista), che vede nel culto del corpo giovane, bello e sano e nell’appagamento dei suoi sensi e delle sue pulsioni, fisiche e mentali (qualunque esse siano), il solo fine da perseguire.

La vita è qui, adesso, subito “del doman non c’è certezza”, in realtà, non c’è un domani, inteso come tensione interiore, come progetto e se di progetti si parla, sono sempre a breve termine.

Recenti fatti di cronaca ci hanno drammaticamente messo di fronte alla concezione che sottende al seguente enunciato: la vita mi appartiene e ne dispongo come credo, dal suo inizio

alla fine. Tutto questo, magari, in perfetta buona fede. Che tristezza, che povertà e, soprattutto, che mancanza di speranza e di carità!

Davvero Dio è morto?

Ma quale dio è morto, quello di Nietzsche, o quello che ci eravamo costruiti a nostra immagine e somiglianza? Un dio così non è Dio. Solo Gesù di Nazaret, che è morto ed è risorto, è vero Dio e vero uomo. Qui sta tutto il nocciolo della differenza. Il resto o è aria fritta, visioni consolatorie stile New Age, o preludio al vuoto e alla disperazione.

Una società come la nostra, che dice di volere il meglio, dovrebbe solo fare salti di gioia a sentire l’annuncio della Buona Novella, eppure, nella maggior parte dei casi, questi salti di gioia non si vedono. E’ colpa di coloro che devono testimoniare questo annuncio e che non sanno arrivare ai cuori? Oppure, come è diventato un classico, è colpa della società (come se fosse altro da noi, quasi un comodo capro espiatorio)?

Il Regno di Dio inizia qui adesso. Certo c’è una via da percorrere, ci sono sacrifici da mettere in conto (ma sacrifici ci sono sempre, risparmiare per comprare un’auto di grossa cilindrata è un sacrificio), c’è da uscire dall’io per entrare in contatto rispettoso e vero con un tu, che va valorizzato e riconosciuto come fine e non come mezzo.

Insomma è una scelta per veri atleti dello spirito, non per palestrati vestiti con abiti griffati e con il cuore ingombro di cianfrusaglie, che impediscono di trovare uno spazio per altri possibili valori. Il Vangelo parla chiaro: dove sono i nostri interessi, là si trova pure il nostro cuore.

La vita religiosa smuove le coscienze?

La vita religiosa smuove le coscienze e fa vedere, toccare con mano che Dio si è fatto carne, ha accettato di morire, ma è risorto? In caso contrario si parlerebbe di Gesù come di una grande della storia, ma la nostra fede sarebbe vana. Vita religiosa è un termine astratto, la realtà è costituita da donne e uomini che hanno scelto questa strada e nel loro essere religiosi mantengono e dovrebbero esaltare il loro essere donne o uomini. L’annuncio è più che mai attuale ed urgente, perché i falsi profeti dilagano e fanno proseliti.

A che cosa serve essere belli di fuori se dentro non c’è nulla? A che cosa serve inseguire il mito dell’eterna giovinezza e della salute perfetta, se la vita, impietosa, tutti i giorni ci mostra, nostro malgrado o per fortuna, che la realtà è diversa da quella dei manifesti pubblicitari e degli spot televisivi (spesso pure volgari)?

È ancora, qui, in questa scissura tra i desideri impossibili e la realtà oggettiva, che la  vita religiosa può e deve fare breccia e proporre quanto il mondo contingente non sa dare: luce e speranza non effimere; carità, non briciole di elemosina distratte, il mondo è affamato di certezze, ma sembra che cerchi il contrario.

Perché giocarsi la vita sui piccoli progetti di basso cabotaggio, quando c’è la possibilità di poterla mettere a frutto per un progetto più grande? Perché, non accettare una sfida più alta? È davvero così impossibile e scomodo?

È qui che la vista religiosa può dare il suo esempio, può mettere in essere un contatto, può allungare una mano e cercare quella di chi non sa più trovare un appiglio. Bisogna guardarsi attorno, allora si scopre che di persone in queste situazioni ce ne sono tante (magari nascoste dietro sorrisi di circostanza), che allungano una mano e non trovano una salda presa, che li salvi  dal baratro nel quale il facile edonismo di pronto consumo li sta precipitando. Un esempio pratico può essere quello del contatto, nel mondo della scuola, con genitori divorziati e che hanno un nuovo compagno/a. Molti di loro si sentono esclusi, ma sono “affamati” della Parola. Questo sta diventando sempre di più un nuovo campo di apostolato, con la sua complessità e specificità, quindi con una preparazione ad hoc. Sono fratelli da non abbandonare.

La percezione e il senso del tempo

Sono cambiati il senso e la percezione del tempo. Eppure il tempo resta lo stesso, ma è venuto meno, o sta venendo meno, il tempo del pensiero puro (la metafisica è studiata e approfondita in pochi atenei), il tempo della meditazione, con essi si è cancellato anche quello della preghiera, sostituito da quello della chiacchiera, del salotto televisivo e del silenzio domestico. Un silenzio non di interiorizzazione, ma impastato di un nulla da comunicare, salvo banalità.

È venuto meno il tempo del sacro e della festa, sostituiti da quello dei grandi eventi di massa o meno, oppure da uno scorrere continuo, dove tutto è uguale (per esempio la domenica molti negozi restano aperti, lo shopping è diventato un rito). In questo ha giocato un suo ruolo la nascita, tra la fine del XIX e gli albori del ventesimo secolo, del “tempo libero”, inteso come extra lavorativo, non solo per ritemprare le forze, ma anche come segno di disimpegno rispetto al sacro, a favore del profano.

La vita religiosa (le donne e gli uomini che vi si sono consacrati) può e deve confrontarsi, con questi vuoti o questi “pieni” di senso diverso; innanzitutto riconoscerli e quindi essere ben consapevole, preparata, presente ed informata, con una propria proposta alternativa forte e ben veicolata.

Nel mondo, ma non del mondo, per guadagnare più fratelli alla fede in Cristo.

Sporcarsi le mani

Essa deve essere disponibile e disposta a “sporcarsi le mani” con questa società, dove il termine “prossimo” sembra indicare solo un aggettivo di luogo (quasi il vicino del metro, uno sconosciuto, non un fratello) e non, invece, una condizione di vicinanza interiore, di prossimità dello spirito, quale è quella che il Vangelo non smette e non smetterà mai di insegnarci. Le donne, le religiose non sentono con maggiore urgenza questa necessità di prendersi a cuore, come madri, come sorelle, come amiche, questo prossimo spesso lasciato a se stesso?

Il tempo dell’uomo sembra essere diventato qualcosa di avulso dalla realtà, qualcosa di virtuale (se male usato internet “crea” l’illusione di mondi alternativi), eppure, che lo voglia o meno, anche esso rientra in questo. In merito si può fare riferimento al fenomeno di Second life un mondo virtuale “creato” (qualcosa di simile eppure diverso rispetto ai “giochi di ruolo”) su internet. Qui le persone si creano una identità “altra” in un mondo “vero” alternativo; Avatar, dal sanscrito – ovvero manifestazione terrena di una divinità - oggi significa, appunto, dar vita ad un alter ego per questo mondo di internet. Questa non è solo fantasia, ma può trasformarsi in una pericolosa fuga dalla realtà. Il virtuale scambiato per reale.

Come parlare di Dio a gente che si è “autoricreata” una vita? Non è facile, ma una scelta del genere denota un vuoto di senso, un bisogno di affermazione e di amore, sul quale la proposta religiosa può tentare un approccio “vero”, soprattutto con i più giovani. Già l’avvento della illuminazione prima a gas e poi elettrica, aveva dato una scossa alla percezione del tempo (il “diurno”, il tempo del fare e, magari del divertirsi si è prolungato, ma anche quello del bene), l’avvento del computer lo ha schiacciato in un presente irreale. Ne siamo consapevoli fino in fondo?

Vale la pena ricordare e far ricordare a chi lo dimentica, che a noi è dato un solo tempo per vivere. Arrivati alla fine di questo, non si ricomincia come in un film che si riarrotola e riparte. Questo tempo è unico, per ciascuno di noi, anche se vissuto in mezzo agli altri e con essi condiviso e per la sua unicità è prezioso e irripetibile (mentre oggi spesso si vive con una concezione seriale di tutto). Va comunque, però, reso a Cesare quel che è di Cesare: anche internet propone nuove modalità per un approccio religioso, ci sono molti siti cattolici ben fatti, che possono essere di aiuto in questa nuova forma di pastorale.

La risposta può essere solo forte, o non essere. Per questo ci sarà ampio spazio per dibattere.

Non è forse compito della vita religiosa, sulla scia del suo Maestro, creare “scandalo” parlando di un’Eternità che non è quella dell’attimo fuggente, ma quella dell’amore di Dio? Non è forse suo compito farsi schernire per la sobrietà che deve, con umiltà, contrapporre alla ricchezza di pochi, la quale corrisponde alla povertà totale, quando non alla morte per fame di tanti? Non è suo dovere, rischiare il martirio quotidiano dell’essere messi all’indice, perché ripone la sua fiducia, non nell’uomo, oggi misura di molte - quando di non tutte le cose - ma nel suo Creatore? Altro che interpellati. Si è tirati per i capelli a gridare che questo mondo ha bisogno di fiducia, di amore, di speranza, fede e di carità (solo Dio, però, è carità perfetta) di gesti di coraggio quotidiani, non fini a se stessi, ma portatori di un messaggio di vita. Le religiose, in quanto donne, dovrebbero essere le prime a sentire questo fremito vitale, a farlo proprio e, dove manca, a suscitarlo.

Agire controcorrente

La vita delle donne (ma spesso anche di bambini e uomini) oggi è più che mai mercificata (spesso lo è stata, ma oggi pare sia la norma); qui le religiose possono offrire un modello alternativo e, nella sua semplicità, dirompente. È difficile contrapporre una sobria divisa o un anonimo abbigliamento ad un ammiccante paio di tacchi a spillo e ad un abito glamour, eppure i tacchi alla fine fanno cadere e il glamour sfiorisce prima di una rosa, resta l’habitus interiore del credente e della credente, con l’eleganza “dei gigli del campo”, che nessuno stilista, se non Dio stesso, sa riprodurre.

Le donne hanno in questo una sensibilità particolare, quasi una marcia in più, quindi le religiose, forse soprattutto loro, anche perché sorrette da una comunità, hanno la possibilità di “ingranarla”, perché la loro vita sia sempre più servizio e stimolo agli altri. Essere per fare, per dare.

In un mondo dove il sesso è moneta corrente e svilita, fino alla violenza dello stupro, la castità non ha la spada spuntata per fronteggiare questi atteggiamenti, ma si pone come “contraddizione”, come modello altro, che deve turbare e disturbare, nel solco dell’amore forte e possente di Dio, fatto uomo nel grembo di una Vergine, una donna che ha detto sì fidandosi, credendo all’incredibile, ma all’incredibile della fede in Dio, non all’incredibile che tanti ciarlatani spacciano, oggi, come panacea dai mali della vita (i fenomeni di depressione e suicidio sono aumentati nelle società ricche: questo dovrebbe far pensare ed incrinare alcune certezze). Il richiamo a Maria, vergine e madre, vuole essere un richiamo alla generazione materiale e, soprattutto, spirituale unicum di ogni donna, laica o consacrata. Certo, con modalità diverse, il mondo ha più che mai bisogno di questo essere madri nello spirito per germogliare e crescere la spiritualità. Se restano parole, saranno anche belle, ma non servono a nulla.

Tanti ragazzi e ragazze, ma anche bambini, sono soli pur avendo una famiglia. È questo il prossimo da rendere “proprio figlio” e al quale insegnare, con sollecitudine ed affetto materni, a credere nel Dio dell’amore, perché a queste persone si può e si deve dare amore, non concettuale, ma fatto di attenzioni e gesti concreti.

Possiamo anche parlare di una nuova concezione del corpo. Infatti i trapianti e le protesi artificiali hanno “allargato” la nostra realtà corporea. Le medicine, per molte malattie fino a poco tempo fa considerate incurabili, allungano la vita. È il caso dei malati di Aids; anche questi sono fratelli da seguire con un contatto pastorale, come sono da aiutare alcuni trapiantati (il Signore ti dà la possibilità di ampliare il tempo a tua disposizione), ma soprattutto le famiglie dei donatori (perché il Signore mi ha tolto mio figlio? La donazione è il massimo dell’altruismo, oppure contiene, comprensibilmente, la volontà di mantenere in vita “qualcosa” del proprio caro?). Qui c’è spazio per tanta, davvero tanta testimonianza di speranza e carità, accanto alla ferma presa di posizione contro la mercificazione estrema, quella del mercato degli organi. Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo e destinato alla resurrezione. Quanti se lo ricordano, nella quotidianità, con comportamenti conseguenti? I religiosi devono essere dei “pro memoria” viventi.

Libertà o obbedienza?

E che dire della dirompente attualità di un voto di obbedienza, da contrapporre ad un erroneo concetto di libertà, che, persa la bussola, sta rendendo la persona prigioniera di se stessa, fino a soffocarla? Sì, per chi ha coraggio di subire lo scherno, lo spazio e le richieste di azione sono tante.

La vita religiosa non è in fuori gioco. Anzi, ha il diritto-dovere di alzare il cartellino rosso e di chiedere che il gioco sia sospeso e lo si riprenda con regole corrette. Anche se ciò non accade, la richiesta va fatta, altrimenti o si è ciechi, o, alla fine, si diventa complici.

Questo mondo patinato promette tutto, ma non dà nulla gratis, non solo, lascia presto soli e con la bocca amara. Un mondo che in un attimo crea idoli, o li distrugge e li getta via, come fazzoletti di carta usati. Problemi, ma in questo mondo non tutto è allo sbando. Attenzione al pessimismo che non costruisce.

Attenzione, a non cadere nel pessimismo del dire che, ormai, tutto è inutile. No, ci sono persone,  consacrate e laiche (del resto tutti i battezzati sono parte della Chiesa), che, tutti i giorni, remano contro corrente. Non arriverebbero mai da nessuna parte, se pilota della loro barca (grande o piccola che sia) non fosse Dio stesso. Ebbene, in questo mondo neopagano c’è bisogno di persone che spendano (che sprechino, secondo la visione corrente) la loro vita per gli altri, in nome dell’unico Padre. C’è bisogno di donne innamorate di Cristo, come lo fu Caterina da Siena, solo per citare l’esempio della patrona d’Italia, e per questo pronte a farsi tutto per tutti i fratelli.

Onestamente, bisogna segnalare che non mancano persone di buona volontà, le quali si dedicano agli altri, ma in senso “orizzontale”, senza una visione “verticale”, ovvero all’interno di un progetto più alto, dove lo scoramento, che è sempre dietro l’angolo, va combattuto con la preghiera.

Per fortuna c’è la preghiera

Già, la preghiera. Il termine oggi sembra obsoleto, ma il suo valore non è analizzabile con le categorie di questo mondo, eppure se non ci fossero tante preghiere che lo sostengono è possibile che, in esso, le brutture sarebbero molte di più di quelle che già ci sono. Alcuni recenti studi scientifici (ne hanno dato conto i giornali) hanno dimostrato anche che, su un campione di persone affette dalla stessa patologia, reagiscono meglio o, addirittura guariscono, quanti pregano, rispetto agli altri che non lo fanno. C’è, dunque un valore terapeutico nella preghiera e, soprattutto, una disposizione di animo diversa nei confronti della vita e delle sue prove.

Allora questo mondo, dietro le quinte scintillanti di una parvenza hollywoodiana è tutto marcio? Per fortuna no, l’immagine dei mass media è vera solo in parte, perché il bene, per sua natura non fa notizia, ma è possibile e probabile che nel mondo sovrasti, di gran lunga, il male, che ci è posto tutti i giorni sotto gli occhi, occhi che vanno “allenati” a riconoscerlo. Tanto che verrebbe da chiedersi, se dietro questa visione negativa non ci sia un’abile regia diabolica, che voglia spingerci allo scoraggiamento e alla disperazione. Questa potrebbe, addirittura, essere una nuova forma di tentazione.

La vita religiosa con la preghiera e l’esempio deve ricordare che l’amore di Dio è presente, che Dio consente, ma non è causa diretta del male, il quale deriva dalla nostra natura corrotta dal peccato originale. La presenza di Dio è “fatta” di perdono ed accoglienza, è come il padre del “figliol prodigo” che ci aspetta, per vederci, alla fine, tornare tra le sue braccia.

Si è in pochi a fare da diga al male dilagante? Si è in pochi a mostrare modelli alternativi e salvifici? Se ragionassimo secondo le nostre forze, la battaglia sarebbe persa in partenza, ma non tocca a noi salvare e convertire il mondo, a noi tocca convertirci in prima persona, pregare e non stancarci mai di testimoniare; il resto è nelle mani di Dio, è Lui, per il credente,il vero motore del mondo e non un motore immobile di aristotelica memoria, ma un fulcro di amore che vuole la salvezza di tutti e nella sua magnanimità ci interpella, ciascuno personalmente e tutti come comunità, partecipi della Comunione dei Santi.

Rosaria Marchesi
Coniugata, giornalista

 

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