n. 10
ottobre 2009

 

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La
speranza che abilita ad educare

di ELIANA ZANOLETTI

 

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Èforse un po’ azzardato tentare di dire qualcosa di sensato (non dico di nuovo) sull’educazione, alla vigilia di un decennio che sarà totalmente dedicato al tema ed inoltre a partire da una prospettiva, quella dell’essere una suora, forse aspetto marginale e trascurabile rispetto all’evento dell’educare.1

L’educazione è una delle tante cose meritorie che una suora fa, più o meno bene, come altri. Si può attribuire un valore aggiunto al di più di passione, dedizione, consacrazione…? Ed è poi effettivamente un più? O, quantomeno, è diverso?

Un tema di questo tipo può essere trattato attraverso una narrazione della propria esperienza; producendo dati statistici sull’incidenza dell’apporto della vita religiosa; enucleando degli ideali, un dover essere, desunto dalla "natura" del proprio essere "religiose".

Pur essendo un’insegnante, ed un’insegnante contenta – almeno fino ad ora, ogni nuovo anno scolastico è una scommessa - non ritengo alcuna esperienza generalizzabile né tantomeno esemplare: è così arrischiato, particolare e precario il contesto in cui si produce, nell’atto dell’insegnare, una possibilità realmente educativa, da non essere riproducibile e spesso nemmeno raccomandabile.

Sull’uso strumentale dei dati statistici siamo abbastanza consapevoli.

Rischierò pertanto di dire qualcosa sull’ideale, facendo leva su alcuni aspetti strutturali dell’essere religiose che potrebbero avere rilevanza educativa oggi, in questa scuola, con questi soggetti in età evolutiva.

Adulte

È presumibile che una suora che insegna sia un’adulta o sul punto di diventarlo.

Non un’adulta perfetta. Tuttavia un’adulta che ha maturato qualche convinzione, che sa tenere una posizione asimmetrica rispetto all’interlocutore - una alterità senza distanza - che sa porsi a vantaggio dell’altro, mettendo a disposizione quello che è a favore della crescita dell’altro come soggetto autonomo.

Un’adulta sicura e certa oppure inquieta e post-moderna?

Dipende da quanto stiamo a bagnomaria nel brodo culturale contemporaneo; dipende da come la sequela del Signore Gesù ci fa stare (o esulare) da questa storia. Si può essere adulti che guardano indietro, a come erano belli i tempi passati, o adulti che si sentono a casa anche nell’attuale fase di disorientamento culturale e, mentre trasmettono, attendono di vedere emergere dalle nuove generazioni una nuova cultura.

Fortemente connotate

Con un abito uniforme o comune, con velo o senza velo – per stare sul banale che, comunque, a livello comunicativo, non è mai indifferente -, una suora genera una serie di pregiudizi che sarebbe interessante stanare. Nel gioco delle aspettative che un’identità

socialmente esibita evoca, non tutte sono pertinenti. Non tutte sono, inoltre, positive.

Nei miei più giovani anni ho speso molte energie per combattere contro le aspettative/precompressioni più negative ed odiose, in un’inesausta battaglia contro i mulini a vento, rammaricandomi di come risorgessero da capo, intatti.

Oggi (col senno di poi) non ci spenderei più tanto tempo. La qualità umana ed educativa

può trasparire oltre lo stereotipo; certo ci vuole tempo e familiarità, ma nella scuola ce n’è di entrambi.2 Può essere interessante incontrare un adulto che non nasconde le ragioni che lo fanno vivere.

Votate

I voti sono quella cosa che, dichiarata o meno, ha il suo effetto. E non parlo dei voti scolastici. Senza la pretesa di fare una teologia dei voti, se ne può accennare la valenza educativa:

1) la castità non è un modo anaffettivo e distaccato di guardare all’altro, ma la dedizione all’emergere della sua persona; dichiara che ogni persona è degna di rispetto, perché destinataria della preoccupazione di Dio;

2) la povertà è il modo di porgere all’altro senza supponenza, nella disponibilità anche a ricevere; essa ci colloca in una condizione che dice assenza di pretesa e attesa come spazio favorevole di maturazione dell’altro.

3) l’obbedienza rimanda ad una progettualità che ci supera, alla fiducia in un disegno più grande rispetto al quale siamo solo strumenti responsabili (senza esaltazione e senza depressione) poiché noi non siamo i soli autori delle nostre storie; attesta che la persona è capace di lasciarsi interpellare, di uscire dalla genericità, di entrare in alleanza che riconosce e risponde ad un preciso disegno.

Limpidamente vissuti i voti hanno una forte valenza di personalizzazione:essi ci aiutano a riprendere ogni giorno la fatica della relazione educativa. Ma anche sono fruttuosi per coloro a cui ci dirigiamo, in quanto rendono disponibile nella storia - fanno vedere - un modo di essere umane fortemente esposto all’alterità.

A motivo di Cristo, come Lui

A monte dei voti vi è l’intenzionalità del nostro agire - a motivo di Cristo e del suo Regno - che non deve farci perdere di vista il "come Lui".

In questi tempi di riscosse identitarie e di rinnovate strategie di presenza, forse una riedizione della prassi storica di Gesù, un ritorno al Vangelo per tentare di assumere la modalità relazionale dell’Uomo che si faceva accogliere ed accoglieva, che evocava ovunque soggetti capaci di parola e di decisione… ci darebbe criteri per discernere (oltre la destra e la sinistra, oltre le pastoie ideologiche) ciò che giova all’umano, ciò che lo rispetta e lo provoca a compiersi.

Come Lui, saper porre la questione di Dio fuori dal tempio, nella quotidianità.

Quanto dobbiamo essere impregnate della Parola per poter dire di nuovo Dio non solo nell’ora di religione, ma nelle questioni della vita, nelle domande di senso, nell’apprezzamento dei processi culturali?

Dire "di nuovo", non tanto "da capo", ma in modo inaudito, vitale.

La cura dell’insieme

Non è da sottovalutare, anche se impalpabile, il contributo che una comunità religiosa può dare a stabilire un contesto/clima in un ambiente educativo.

Senza illusioni né retorica. Non è facile né automatico, ma è indubbio che il lavoro di formazione - di co-formazione – coi docenti concorre a creare un clima, uno stile che innerva le pratiche didattiche ed esalta l’efficacia educativa.

L’odore di una scuola rimane attaccato ai suoi alunni molto più dei contenuti culturali. Un gruppo, anche piccolo, di persone che vivono in un luogo, conferiscono stabilità e continuità agli apporti a volte più sporadici e frammentari degli insegnanti laici, costituendo quel reticolo indispensabile che fa di una scuola non un non-luogo anonimo ma un ambiente dove si può vivere e tornare.

E questo fa bene a tutti (alunni, insegnanti, genitori), ritesse e ricompone i legami; genera piccoli e sufficientemente stabili isolotti, compatti ma non autoreferenziali, nella liquidità sociale.

In vista di ciò che esiste ancora

Sarebbe un vero peccato che tutta l’enfasi escatologica che si attribuisce alla vita religiosa non trovasse un’evidenza simbolica e concreta nelle pratiche educative, soprattutto di questo tempo.

Qui il rischio è grande e la scelta ineludibile. Nell’azione educativa ci si è sempre interrogati sul rapporto fra trasmissione dei dati culturali ed il loro tradimento. In questo frangente storico in cui una sintesi culturale secolare sta mostrando segni di cedimento,3 non possiamo esimerci dalla responsabilità di scegliere cosa trasmettere, cosa tralasciare, quali strade non ancora percorse indicare, quali competenze e capacità sono richieste da questa transizione.

Siamo adeguate - non dirò esaustive - nel perseguire questa strada? Siamo abbastanza spirituali per guardare con leggerezza a ciò che scompare e indicare ai nuovi ciò che germoglia o, perlomeno, attrezzarli a coglierlo ed interpretarlo?

La scuola cattolica, e comunque la religiosa nella scuola, è interpretata spesso dalla parte della custodia del patrimonio, della tradizione. Noi sappiamo, invece, che oltre ogni sintesi raggiunta, c’è dell’altro; che nessuna cultura incarna compiutamente il Vangelo e nemmeno gli è totalmente estranea…

Con un occhio di riguardo agli scartati

Credo che tutte le congregazioni "storiche" sorte per l’educazione mantengano una nostalgia di poveri oltre che nei libri fondazionali anche nelle loro pratiche concrete.

Siamo in una situazione in cui è prevedibile un accentuarsi dell’esclusione in varie forme.4 Immagino proprio della profezia della vita religiosa in un contesto educativo la cura per chi è in stato di minorità, a rischio di scarto ed esclusione: non solo come attenzione, ma come prospettiva a partire da cui guardare il tipo di società prodotta dalle proprie pratiche educative. La nostra marginalità sociale (ed ecclesiale) se a qualcosa può servire è una condizione per vedere diversamente, perché "l’uomo nella prosperità non comprende…".

In questo tempo, carente di prospettive, nemmeno noi abbiamo una storia del futuro da raccontare: il cristianesimo ci offre una dimora del tempo, ma non delinea chiaramente il domani (T. Radcliffe). Abbiamo tuttavia una speranza: non la convinzione che tutto andrà bene, ma la certezza che qualcosa troverà certamente un senso.

Questa speranza ci autorizza e ci abilita ad educare.

Note

1. Sempre più (ed in modo pertinente) si lega radicalmente la questione dell’educare alla famiglia e alle cure parentali, peraltro in un momento in cui la famiglia è piuttosto disorientata rispetto a questa responsabilità.

2. Per la soluzione del problema della presentabilità sociale (ed ecclesiale) della vita religiosa bisogna agire su altri fronti.

3. A. MATTEO, Come forestieri. Perché il cristianesimo è divenuto estraneo agli uomini e alle donne del nostro tempo, prefazione di G. Ravasi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2008.

4. Z. BAUMAN, Vite di scarto, traduzione di M. Astrologo, Laterza, Bari 2008. La produzione di "rifiuti umani", di esseri umani scartati, è un risultato inevitabile della modernizzazione, un ineludibile effetto collaterale della costruzione di ordine (ogni costruzione di ordine scarta alcune parti della popolazione esistente come "fuori posto", "inidonee", "indesiderate") e del progresso economico (che svaluta modi precedenti di procurarsi da vivere, privando del sostentamento chi li praticava).

Eliana Zanoletti
Insegnante di storia e filosofia
Via San Martino 13b - 25121 Brescia

 

 

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