Può
sembrare un po’ “ermetico” l’accostamento dei due termini
frontiera
e comunione
in relazione alla vita
consacrata nella Chiesa. Le due parole sembrano richiamare, infatti,
realtà di ordine diverso: la
frontiera
fa pensare ad una sua
collocazione,
specie per quanto concerne l’impegno apostolico; la
comunione,
invece, indica piuttosto un
atteggiamento,
un modo di vivere le sue relazioni.
Ma forse proprio l’indeterminatezza,
l’“allusività” di questo binomio, permette di addentrarsi in alcuni
aspetti non sempre immediatamente evidenti che caratterizzano la vita
consacrata.
Vorrei dapprima considerare
analiticamente i due elementi - frontiera e comunione - per poi metterli
insieme, cogliendo così qualcosa che proviene dall’impasto di questi due
“ingredienti” per la vita della Chiesa.
Anzitutto la
frontiera
Da quanto conosciamo delle sue
origini, pare che la vita religiosa abbia fin dall’inizio amato un
tipico luogo di frontiera: il
deserto.
Là essa è nata. Il deserto è, simbolicamente, un luogo lontano, un luogo
che sta fuori, ai confini della città, della convivenza. Nel deserto si
è praticata la fuga mundi:
espressione che ha avuto una certa fortuna nella vita religiosa, specie
monastica, anche se spesso con una interpretazione che ha identificato
impropriamente mondo e mondanità. Si potrebbe dire che si è trattato,
per certi aspetti, anche di una fuga dalla Chiesa: non dalla Chiesa come
tale, ma dalla Chiesa in quanto mostrava di perdere la memoria viva del
martirio e acquisiva invece alcuni connotati dell’impero. Dunque fuga da
una certa Chiesa per ritrovarsi in una “più vera” Chiesa, più vicina al
Vangelo: un andare alle frontiere per trovarsi nel cuore. Possiamo già
intravedere in questo apparentemente paradossale “allontanarsi dal
centro per andare più al centro” una stimolante composizione di
frontiera e comunione.
Vi è un’altra evidente frequentazione
delle frontiere, presente in tutti i secoli di storia della vita
religiosa: quella della
missione. Se sono stati
soprattutto i monaci ad evangelizzare l’Europa, si deve riconoscere che
le Americhe, l’Asia e l’Africa devono le loro presenze
cristiano-cattoliche soprattutto agli ordini mendicanti e poi a molti
altri istituti religiosi che hanno preso a cuore la missione
ad gentes.
Se oggi le frontiere sembrano tutte a portata di mano (o di aereo), nel
passato, quando raggiungere le
terrae infidelium
richiedeva giorni o mesi di
estenuanti viaggi, la dimensione di frontiera, nel senso di
finis terrae,
appariva più evidente. Che i luoghi di missione fossero frontiere (in
guerra la frontiera diviene trincea, il luogo più pericoloso) lo mostra
anche l’elenco davvero lungo di religiosi che in terre di missione hanno
dato la vita.
Ma oggi la missione dei consacrati
avviene anche in altre frontiere, non lontane da casa: per esempio
ambienti segnati da un accentuato secolarismo o da un crescente
indifferentismo religioso, presenti anche nel cuore dei Paesi di antica
cristianità, dove la fede è percepita come
realtà estranea, incomprensibile,
lontana. Si tratta, spesso, non di un’evangelizzazione esplicita o
tradizionale, ma di una testimonianza evangelica discreta e pronta a
dialogare con tutti, oppure della pratica di quella carità evangelica
verso gli ultimi che è annuncio evangelico a tutti comprensibile.
È questa, si può dire da sempre,
un’altra vastissima ed impegnativa frontiera della vita consacrata:
quella frontiera della società che è affollata di emarginati, di
oppressi, di impoveriti di tutto, di senza voce, senza risorse, senza
salute. Molte persone consacrate vanno nei luoghi dai quali solitamente
si fugge: bidonvilles
o
favelas,
lebbrosari, carceri, dispensari sorti in villaggi sperduti, case per
“bambini di strada”, ricoveri per morenti abbandonati come quelli
raccolti da madre Teresa nelle strade di Calcutta.
Potremmo riconoscere altre frontiere:
del dialogo interreligioso e dell’ecumenismo, della presenza nell’ambito
della cultura e dell’educazione.
La comunione
La
comunione
si presenta, nella vita consacrata,
come realtà più evidente. Si pensi a tre tipi di comunione,
irrinunciabili per vivere fedelmente la sequela del Signore. Anzitutto
la comunione con Dio:
è la comunione fondamentale, che motiva e sostiene ogni altra relazione
che si ispiri all’amore. È la passione per quel Dio che ama per primo, e
con il quale si stabilisce una relazione che invade gli spazi più
profondi del cuore. Il suo segno più evidente è il celibato o la
verginità, la caratteristica più tipica dell’identità del consacrato e
della consacrata, che consente la totale “concentrazione” su Colui che
ha avvinto con la sua bellezza. Da questa comunione, accolta prima che
donata, scaturisce la comunione con
i membri della propria comunità e del
proprio Istituto. I quali
non sono semplicemente “colleghi di lavoro” nella medesima attività, o
persone con cui si condivide la stessa casa, ma fratelli o sorelle
accomunati dalla stessa chiamata, dalla stessa fede, dalla stessa
missione. La comunione si allarga poi a
tutti coloro ai quali si è inviati,
per i quali si spendono, con amore, le proprie energie, si vive la
donazione di sé.
Ma va detto che questi tre soggetti
con i quali si entra in comunione - il Signore, i fratelli o le sorelle
della comunità, i destinatari della missione – non si distinguono in
maniera rigorosa, quasi che il cuore si debba sezionare in porzioni da
distribuire, secondo “dosaggi” definiti. Si tratta di un’unica
comunione, che si dirige quasi indistintamente,anche se non
disordinatamente, verso l’Altro e verso gli altri. È vivendo questa
comunione che le persone consacrate costruiscono la Chiesa comunione,
con il loro specifico apporto di un amore che tende a superare ogni
confine.
Vorrei, per concludere, tentare di
descrivere sinteticamente ciò che scaturisce dall’insieme di frontiera
e
comunione
nella vita consacrata, all’interno
della Chiesa.
Comunione senza
frontiere
Anzitutto, il prediligere le
frontiere di varia natura, sopra richiamate, conferisce alla vita
consacrata un particolare carattere di
universalità,
di superamento degli spazi troppo circoscritti. Ciò va detto soprattutto
in relazione alla realtà della chiesa particolare: nella quale i
consacrati devono inserirsi con attenzione e dedizione, ma alla quale
possono offrire anche la sollecitazione a superare i confini “diocesani”
per respirare con la grande Chiesa. E poiché i consacrati si rendono
disponibili all’“itineranza missionaria”, anche in paesi lontani, molti
di loro sono in grado di parlare nelle chiese particolari “lingue
diverse”, cioè di portare sensibilità ecclesiali attinte da altre
esperienze di Chiesa. Aiutando così tutti a vivere una “comunione senza
frontiere”.
Ma una comunione vissuta “sulla
frontiera” mi sembra sia espressa anche da un’altra tipica dimensione
dei consacrati. Da sempre essi amano considerarsi dei
cercatori di Dio,
convinti che
la relazione con Dio ha costantemente
bisogno di passi ulteriori, di uscita dalle posizioni in cui si tende ad
installarsi; ha bisogno che venga continuamente purificata la propria
idea di Dio, affinché – come qualcuno afferma – “il Dio di oggi non
divenga l’idolo di domani”. È questo nomadismo incessante verso
l’“oltre”, verso le frontiere estreme del Dio Altro, che genera una
comunione sempre cercata e mai compiutamente raggiunta, l’unica
comunione possibile con Dio.
Ma vi è, infine, un altro decisivo
andare verso la frontiera alla ricerca della comunione. È l’essere
protesi verso quell’incontro
definitivo con il Signore
che esprime una delle passioni più profonde e inesprimibili della
persona consacrata. Infatti, «le persone che hanno dedicato la loro vita
a Cristo non possono non vivere nel desiderio d’incontrarlo per essere
finalmente e per sempre con Lui» (Vita
consacrata 26). Qui
davvero la comunione più piena e l’ultima decisiva frontiera
s’identificano. E nell’aiutare tutta la Chiesa a puntare, oltre ogni
frontiera, verso il Regno futuro, luogo della comunione perenne e
totale, la vita consacrata svolge una delle sue peculiari e
insostituibili funzioni.
Gianfranco Agostino Gardin ofmconv.
Arcivescovo Segretario
della Congregazione per gli Istituti
di Vita consacrata
e le Società di Vita apostolica
Piazza Pio XII, 3 – 00193
Roma