n. 12
dicembre 2009

 

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Frontiera e comunione
Vita consacrata nella Chiesa

di GIANFRANCO AGOSTINO GARDIN

 

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Può sembrare un po’ “ermetico” l’accostamento dei due termini frontiera e comunione in relazione alla vita consacrata nella Chiesa. Le due parole sembrano richiamare, infatti, realtà di ordine diverso: la frontiera fa pensare ad una sua collocazione, specie per quanto concerne l’impegno apostolico; la comunione, invece, indica piuttosto un atteggiamento, un modo di vivere le sue relazioni.

Ma forse proprio l’indeterminatezza, l’“allusività” di questo binomio, permette di addentrarsi in alcuni aspetti non sempre immediatamente evidenti che caratterizzano la vita consacrata.

Vorrei dapprima considerare analiticamente i due elementi - frontiera e comunione - per poi metterli insieme, cogliendo così qualcosa che proviene dall’impasto di questi due “ingredienti” per la vita della Chiesa.

Anzitutto la frontiera

Da quanto conosciamo delle sue origini, pare che la vita religiosa abbia fin dall’inizio amato un tipico luogo di frontiera: il deserto. Là essa è nata. Il deserto è, simbolicamente, un luogo lontano, un luogo che sta fuori, ai confini della città, della convivenza. Nel deserto si è praticata la fuga mundi: espressione che ha avuto una certa fortuna nella vita religiosa, specie monastica, anche se spesso con una interpretazione che ha identificato impropriamente mondo e mondanità. Si potrebbe dire che si è  trattato, per certi aspetti, anche di una fuga dalla Chiesa: non dalla Chiesa come tale, ma dalla Chiesa in quanto mostrava di perdere la memoria viva del martirio e acquisiva invece alcuni connotati dell’impero. Dunque fuga da una certa Chiesa per ritrovarsi in una “più vera” Chiesa, più vicina al Vangelo: un andare alle frontiere per trovarsi nel cuore. Possiamo già intravedere in questo apparentemente paradossale “allontanarsi dal centro per andare più al centro” una stimolante composizione di frontiera e comunione.

Vi è un’altra evidente frequentazione delle frontiere, presente in tutti i secoli di storia della vita religiosa: quella della missione. Se sono stati soprattutto i monaci ad evangelizzare l’Europa, si deve riconoscere che le Americhe, l’Asia e l’Africa devono le loro presenze cristiano-cattoliche soprattutto agli ordini mendicanti e poi a molti altri istituti religiosi che hanno preso a cuore la missione ad gentes. Se oggi le frontiere sembrano tutte a portata di mano (o di aereo), nel passato, quando raggiungere le terrae infidelium richiedeva giorni o mesi di estenuanti viaggi, la dimensione di frontiera, nel senso di finis terrae, appariva più evidente. Che i luoghi di missione fossero frontiere (in guerra la frontiera diviene trincea, il luogo più pericoloso) lo mostra anche l’elenco davvero lungo di religiosi che in terre di missione hanno dato la vita.

Ma oggi la missione dei consacrati avviene anche in altre frontiere, non lontane da casa: per esempio ambienti segnati da un accentuato secolarismo o da un crescente indifferentismo religioso, presenti anche nel cuore dei Paesi di antica cristianità, dove la fede è percepita come

realtà estranea, incomprensibile, lontana. Si tratta, spesso, non di un’evangelizzazione esplicita o tradizionale, ma di una testimonianza evangelica discreta e pronta a dialogare con tutti, oppure della pratica di quella carità evangelica verso gli ultimi che è annuncio evangelico a tutti comprensibile.

È questa, si può dire da sempre, un’altra vastissima ed impegnativa frontiera della vita consacrata: quella frontiera della società che è affollata di emarginati, di oppressi, di impoveriti di tutto, di senza voce, senza risorse, senza salute. Molte persone consacrate vanno nei luoghi dai quali solitamente si fugge: bidonvilles o favelas, lebbrosari, carceri, dispensari sorti in villaggi sperduti, case per “bambini di strada”, ricoveri per morenti abbandonati come quelli raccolti da madre Teresa nelle strade di Calcutta.

Potremmo riconoscere altre frontiere: del dialogo interreligioso e dell’ecumenismo, della presenza nell’ambito della cultura e dell’educazione.

La comunione

La comunione si presenta, nella vita consacrata, come realtà più evidente. Si pensi a tre tipi di comunione, irrinunciabili per vivere fedelmente la sequela del Signore. Anzitutto la comunione con Dio: è la comunione fondamentale, che motiva e sostiene ogni altra relazione che si ispiri all’amore. È la passione per quel Dio che ama per primo, e con il quale si stabilisce una relazione che invade gli spazi più profondi del cuore. Il suo segno più evidente è il celibato o la verginità, la caratteristica più tipica dell’identità del consacrato e della consacrata, che consente la totale “concentrazione” su Colui che ha avvinto con la sua bellezza. Da questa comunione, accolta prima che donata, scaturisce la comunione con i membri della propria comunità e del proprio Istituto. I quali non sono semplicemente “colleghi di lavoro” nella medesima attività, o persone con cui si condivide la stessa casa, ma fratelli o sorelle accomunati dalla stessa chiamata, dalla stessa fede, dalla stessa missione. La comunione si allarga poi a tutti coloro ai quali si è inviati, per i quali si spendono, con amore, le proprie energie, si vive la donazione di sé.

Ma va detto che questi tre soggetti con i quali si entra in comunione - il Signore, i fratelli o le sorelle della comunità, i destinatari della missione – non si distinguono in maniera rigorosa, quasi che il cuore si debba sezionare in porzioni da distribuire, secondo “dosaggi” definiti. Si tratta di un’unica comunione, che si dirige quasi indistintamente,anche se non disordinatamente, verso l’Altro e verso gli altri. È vivendo questa comunione che le persone consacrate costruiscono la Chiesa comunione, con il loro specifico apporto di un amore che tende a superare ogni confine.

Vorrei, per concludere, tentare di descrivere sinteticamente ciò che scaturisce dall’insieme di frontiera e comunione nella vita consacrata, all’interno della Chiesa.

Comunione senza frontiere

Anzitutto, il prediligere le frontiere di varia natura, sopra richiamate, conferisce alla vita consacrata un particolare carattere di universalità, di superamento degli spazi troppo circoscritti. Ciò va detto soprattutto in relazione alla realtà della chiesa particolare: nella quale i consacrati devono inserirsi con attenzione e dedizione, ma alla quale possono offrire anche la sollecitazione a superare i confini “diocesani” per respirare con la grande Chiesa. E poiché i consacrati si rendono disponibili all’“itineranza missionaria”, anche in paesi lontani, molti di loro sono in grado di parlare nelle chiese particolari “lingue diverse”, cioè di portare sensibilità ecclesiali attinte da altre esperienze di Chiesa. Aiutando così tutti a vivere una “comunione senza frontiere”.

Ma una comunione vissuta “sulla frontiera” mi sembra sia espressa anche da un’altra tipica dimensione dei consacrati. Da sempre essi amano considerarsi dei cercatori di Dio, convinti che

la relazione con Dio ha costantemente bisogno di passi ulteriori, di uscita dalle posizioni in cui si tende ad installarsi; ha bisogno che venga continuamente purificata la propria idea di Dio, affinché – come qualcuno afferma – “il Dio di oggi non divenga l’idolo di domani”. È questo nomadismo incessante verso l’“oltre”, verso le frontiere estreme del Dio Altro, che genera una comunione sempre cercata e mai compiutamente raggiunta, l’unica comunione possibile con Dio.

Ma vi è, infine, un altro decisivo andare verso la frontiera alla ricerca della comunione. È l’essere protesi verso quell’incontro definitivo con il Signore che esprime una delle passioni più profonde e inesprimibili della persona consacrata. Infatti, «le persone che hanno dedicato la loro vita a Cristo non possono non vivere nel desiderio d’incontrarlo per essere finalmente e per sempre con Lui» (Vita consacrata 26). Qui davvero la comunione più piena e l’ultima decisiva frontiera s’identificano. E nell’aiutare tutta la Chiesa a puntare, oltre ogni frontiera, verso il Regno futuro, luogo della comunione perenne e totale, la vita consacrata svolge una delle sue peculiari e insostituibili funzioni.

Gianfranco Agostino Gardin ofmconv.
Arcivescovo Segretario
della Congregazione per gli Istituti
di Vita consacrata
e le Società di Vita apostolica
Piazza Pio XII, 3 – 00193 Roma

 

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