n. 10
ottobre 2010

 

Altri articoli disponibili

English

 

"Digitus Dei, digitus hominis"

di LILIA SEBASTIANI

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Talvolta l’artista può vedere più lontano di un teologo o parlarci più da vicino: il linguaggio simbolico dell’immagine è multi direzionale e ha possibilità che restano precluse al linguaggio della teologia, inevitabilmente concettuale e a senso unico. Così è per noi quasi impossibile riflettere sulla creazione dell’uomo senza che si presenti agli occhi della mente l’immagine indimenticabile che è nell’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina: Dio chiama all’esistenza l’essere umano già formato, ma non ancora interamente vitale, la sua mano per mezzo del dito indice si muove a incontrare la mano dell’uomo. Il dito della potenza di Dio incontra, arriva quasi a sfiorare (ma senza toccarlo) il dito di Adamo, trasmettendogli in tal modo la forza divina necessaria alla vita, e Adamo si solleva lentamente dalla terra protendendosi verso il suo creatore, come se si risvegliasse dal sonno…

Il gesto di creazione, che evoca una sinergia divino-umana in fieri,è un segno complesso che permette una lettura su piani diversi. Il dito di Dio - l’indice, il dito dell’intenzione e dell’autorità - e il dito umano corrispondente si avvicinano indefinitamente, ma non si toccano: le due sfere rimangono distinte, anche nella comunione. L’essere umano è chiamato alla comunione con Dio e nel riconoscere la chiamata di Dio si risveglia dal sonno, cioè acquisisce la consapevolezza di sé, diventa soggetto,acquista autonomia in un contesto di chiamata-risposta.

Tra parentesi ricordiamo che in questo affresco gli angeli che attorniano come una nuvola la figura di Dio danno luogo, nel loro insieme, a una sagoma che ricorda molto un cervello umano in sezione sagittale: un richiamo simbolico all’esercizio dell’intelligenza? Non è assolutamente dimostrabile che questo fatto sia ricercato dall’artista; può essere frutto del caso, ma è di indubbia suggestione e ha alimentato molte speculazioni simboliche ed esoteriche. È noto del resto che Michelangelo ebbe rapporti piuttosto stretti con intellettuali umanisti quali Pico della Mirandola e Marsilio Ficino, cioè i massimi esponenti di quell’Accademia Platonica fiorentina

che ricercava una possibile conciliazione tra pensiero cristiano e neoplatonismo.

La mano di Dio

Nel linguaggio antropomorfico della Bibbia, come nell’Oriente antico extrabiblico, è menzionata spesso la mano di Dio (complessivamente circa trecento volte); e anche il suo braccio, e anche il suo dito. Alla mentalità cristiana moderna questa modalità nel parlare di Dio può ispirare anche un certo disagio, può sembrare troppo umano, ingenuo o al limite dell’irriverenza; ma nelle intenzioni dell’autore sacro intende sottolineare il carattere personale di Dio e l’intensità del suo coinvolgimento nella storia e nelle vicende degli uomini. Il simbolismo della mano sembra l’espressione più felice di quel movimento in cui la sfera di Dio e quella dell’uomo s’incontrano.

Alcuni testi biblici parlano della mano di Dio come simbolo della sua potenza nella creazione e provvidenza, e nella liberazione d’Israele: "Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi [...]. Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie" (Is 66,1-2). "Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte" (Gb 10,8). "Tu apri la tua mano, si saziano di beni " (Sal 104,28). Parlando della mano si allude abitualmente alla destra, che esprime l’autorità e la potenza di Dio, quindi per estensione la sua gloria stessa. Questa gloria è ambivalente negli interventi straordinari di Dio, dice protezione e minaccia: "La tua destra, Signore, terribile per la potenza, la tua destra, Signore, annienta il nemico…" (Es 15,6).

La mano è anche qualcosa che appoggia e conforta; veicola la stessa forza di Dio sugli uomini da lui destinati a una missione particolare, come nel caso dei profeti: "La mano del Signore fu sopra Elia" (1Re 18,46). "La mano del Signore fu sopra Eliseo" (2Re 3,15). "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano" (Is 42,6). La mano di Dio è anche mano punitrice: "È divampato lo sdegno del Signore contro il suo popolo, su di esso ha steso la sua mano per colpire" (Is 5,25). Mano, braccio, dito vengono adoperati per esprimere, con l’immediatezza del linguaggio simbolico - lontano, come si diceva, dal nostro linguaggio concettuale, più preciso e corretto, ma anche tanto più limitato -, il fatto che Dio crea, opera, soccorre, è in vivo rapporto con l’uomo.

Chiaramente ‘mano’, ‘braccio’, ‘dito’ di Dio sono figure simbolicamente tangenti, non però identiche. In quasi tutte le culture la mano è simbolo della persona intera nel suo operare. Il braccio ha evidentemente lo stesso significato, ma con speciale riferimento alla forza, al vigore, come nell’immagine ricorrente di Dio che soccorre il suo popolo "con mano potente e braccio teso".

 

Il dito di Dio

Il dito, nominato più raramente (sono state contate dodici occorrenze del dito di Dio nei due Testamenti, e in alcuni casi si tratta di testi di grande intensità e forza evocativa), risulta un simbolo più limitato e circoscritto, ma anche più ‘mirato’, più intenzionale. Comunque, presenta vari significati, talvolta anche compresenti: come la mano, nel suo insieme, significa potere e autorità, può esprimere biasimo o minaccia, rinvia inoltre all’opera di creazione, alla vicinanza del soccorrere e del toccare. Il dito a cui d’istinto rimandano i nostri antropomorfismi

spontanei è l’indice: il dito che, come dice il nome, ‘indica’, quindi ricorda una direzione, ammonisce. Nel primo Testamento c’è un passo famoso in cui il dito – al plurale però - è evocato in riferimento all’opera creatrice di Dio: il cielo, la luna e le stelle (cioè le realtà superiori, più immediatamente evocative della trascendenza di Dio) sono chiamate opera delle sue dita. "Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate… " (Sal 8,4). Più avanti nello stesso salmo (v.7), le creature sono dette "opera delle mani" di Dio.

I maghi d’Egitto, incapaci di misurarsi con i prodigi compiuti da Mosè dinanzi al Faraone, dichiarano: "Questo è il dito di Dio" (Es 8,19). Anche le tavole della Legge sono attribuite al dito di Dio: "Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della Testimonianza, tavole di pietra, scritte dal dito di Dio" (Es 31,18).

Usando la stessa immagine del dito, Gesù collega le sue opere di guarigione e salvezza con l’intervento liberatore di Dio. E forse un altro episodio evangelico, che conserva ancora oggi un elemento enigmatico, si connette con il tema biblico del dito di Dio. È l’episodio famoso dell’adultera: quando a Gesù viene posta la domanda insidiosa ("Mosè ha comandato di lapidare donne come questa; tu che ne dici? "), che tende solo a metterlo in difficoltà qualunque cosa risponda, egli spiazza e provoca i suoi interlocutori non offrendo né un sì né un no, nessuna risposta in parole, ma ostentando disinteresse e mettendosi a scrivere col dito in terra.

I lettori di questa pagina non possono mai fare a meno di chiedersi: che cosa avrà scritto? In realtà il gesto di scrivere qui sembra più importante dell’ipotetico contenuto, a cui l’autore avrebbe almeno fatto cenno se l’avesse considerato importante. Il gesto di scrivere con il dito - sulla polvere del suolo e non sulla roccia - richiama il dono della Legge e nello stesso tempo il compimento di essa, una nuova legge di Dio scritta nel cuore dell’uomo: le parole che Gesù dirà alla fine ("Chi è senza peccato… ") sono appunto un richiamo a guardarsi dentro, a superare gli automatismi del precetto e della sanzione.

Lo Spirito Santo come "dito di Dio"

Soprattutto sulla scia di un famoso passo del vangelo di Luca e del suo parallelo in Matteo, la simbologia antropomorfica del dito di Dio ha ispirato anche un’interpretazione trinitaria. In Luca infatti Gesù risponde ai suoi oppositori i quali insinuano che ci sia un potere diabolico alla base dei suoi interventi di esorcismo e guarigione: "Se io scaccio i demoni con il dito di Dio, di conseguenza è giunto a voi il regno di Dio" (Lc 11,20). Matteo, il quale attinge alla stessa raccolta di detti di Gesù, forse preoccupato per possibili fraintendimenti di tipo magico-antropomorfico da parte dei suoi destinatari, visibilmente corregge: "Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio" (Mt 12,28).

I più antichi commentatori della Scrittura e i Padri della Chiesa, spiegando i testi biblici e le immagini che vi compaiono a uditori che, quantunque convertiti, erano stati influenzati dall’antropomorfismo pagano, sentono il bisogno di sottolineare senza equivoci la natura spirituale di Dio e la sua trascendenza. Così nella mano creatrice di Dio si comincia presto a scorgere un’allusione alla seconda persona della Trinità. "Il primo uomo fu fatto dalla mano di Dio, cioè dal Verbo di Dio", così Ireneo di Lione. Ma poiché non mancano i passi biblici che parlano delle mani di Dio al plurale, sarà sempre Ireneo a spingere oltre questa interpretazione simbolica affermando in diversi suoi scritti che il Figlio e lo Spirito Santo sono "le due mani del Padre".

Il dito di Dio viene identificato poi con lo Spirito Santo: le dita sono perfezione e compimento della mano. E Ambrogio: "Certo Dio non creò il cielo e la terra con dita corporee, ma con la grazia dello Spirito settiforme, con quel dito di cui trovi scritto nel Vangelo [...]. Se allora lo Spirito è il dito di Dio, visto che il Figlio ne è il braccio, lo Spirito, cooperando col Padre e col Figlio nell’unità della loro azione, ha collaborato alla creazione del cielo e della terra…". Anche sant’Agostino (cf Discorso CCLXXII) identifica il dito di Dio e lo Spirito Santo. Nell’inno allo Spirito Santo Veni Creator (che risale al secolo IX), lo Spirito è invocato anche: "Dexterae Dei tu digitus", dito della mano destra di Dio.

 

Il dito dell’uomo

Non va dimenticato che lo Spirito Santo assicura la comunicazione di vita tra Dio e gli esseri umani, esprime nella storia la logica di creazione, prolunga e rende attuale qui e ora la redenzione attuata una volta per tutte: quindi è anche una componente essenziale dell’uomo, l’elemento unificante tra "digitus Dei" e "digitus hominis". Infatti la riflessione biblica sul ‘dito di Dio’, inesauribile e fascinosa, potrebbe far dimenticare il polo umano del discorso. Sarebbe una vera tentazione quella di ridurre l’essere umano a semplice oggetto dell’intervento di Dio; contraddirebbe la logica stessa dell’alleanza e della redenzione. Ricordiamo ancora come nell’affresco di Michelangelo il dito divino e il dito umano s’incontrano e, per così dire, entrano in dialogo, ma il contatto resta incompiuto, eternamente in divenire: l’alterità di Dio e l’alterità dell’uomo sono preservate, anzi acquisiscono un valore teologico.

L’essere umano è fatto a immagine di Dio, e tuttavia Dio non si sostituisce al suo ‘sorgere’, al suo scegliere (e nel racconto della Genesi non sceglierà proprio benissimo!), alla sua coscienza; bensì li ridesta e li avvalora. Dio, che noi chiamiamo Padre, non va confuso con un genitore terreno iperprotettivo e un po’ invadente. Dio ama muovendosi all’incontro e ama ritirandosi. Dio prende molto sul serio gli esseri umani che chiama alla vita. All’inizio della creazione, dell’alleanza, della vita stessa dell’essere umano, secondo la fede giudeocristiana, si trova il dono di Dio; ma nemmeno il dono, come osserva Carmine Di Sante in un suo libro recente, è la figura più alta della bontà divina: "È vero che per essa l’uomo è destinatario dell’amore gratuito di Dio, ma destinatario che, di fronte alla donazione divina, non è recettività e passività […], ma alterità che, di fronte all’amore di Dio dato gratuitamente, è chiamata a decidersi liberamente […]. Per il racconto fondatore d’Israele l’amore di Dio per l’uomo è amore responsabilizzante che, da una parte, lo eleva dalla necessità alla libertà, essendo l’unico che può dire sia no che sì, dall’altra lo destina dalla libertà alla responsabilità".1

Per chi preferisse conservare il primato assoluto della categoria del dono, si potrebbe anche dire che il dono di Dio, e quindi la dignità dell’uomo, culmina nella libertà responsabile.

1 C. DI SANTE, L’uomo alla presenza di Dio. L’umanesimo biblico, Queriniana, Brescia 2010, 81-82.

Lilia Sebastiani
Articolista e conferenziera
in materia teologica
Via Isonzo, 9 - 05100 Terni

 

Torna indietro