Quando
una Chiesa, per il mutato contesto culturale, si trova nella necessità
di ripensare la prassi pastorale, deve aver chiari i criteri per
impostare il suo rinnovamento. Le sfide, lette nel modo sbagliato,
possono trasformarsi in altrettante tentazioni. Dove trovare questi
criteri? Senza dubbio in una visione organica, dove liturgia, teologia,
spiritualità si intersecano reciprocamente, nutrendo un senso autentico
della tradizione. Questa non va vista come ideologia retrospettiva, ma
come autocoscienza attuale della Chiesa di quello che ha ricevuto come
dinamica vita interiore e non quale tesoro inerte.
In
questa ottica va guardata anche la questione dell’iniziazione cristiana
(= IC). Nel corso degli anni, la CEI ha dato una serie di criteri per
impostare il percorso dell’IC. Essi sono sfociati nell’apertura
ufficiale, dal 2002, del “cantiere dell’IC” che si propone di
ricostruire gli itinerari catechistici, intesi non più come
preparazione ai sacramenti,
ma come
preparazione alla vita cristiana.
L’impostazione della CEI esige un vero e proprio salto di qualità, non
un aggiornamento dei metodi pedagogici e neppure un’adozione di modelli
nuovi con la vecchia mentalità. Il progetto CEI contempla il duplice
caso (esemplare) di un ragazzo di 7-14 anni che inizia il catecumenato
in vista del battesimo, che non ha ancora ricevuto, e dei suoi coetanei
che invece lo hanno ricevuto da neonati e devono “completare”
l’iniziazione all’eucaristia.
Iniziazione cristiana per i ragazzi
L’itinerario catecumenale per i ragazzi è pensato e rinnovato alla luce
del modello catecumenale degli adulti, che funziona da paradigma
ispiratore. Proprio come era nella prassi catecumenale nella Chiesa
antica, l’esigenza di un cammino organico e integrale implica che tutti
gli elementi comuni ad ogni itinerario di fede – e cioè
la
Parola, il rito e la vita
–
siano correttamente valorizzati.
L’annuncio e l’accoglienza della Parola assumeranno la forma della
prima evangelizzazione
per
i ragazzi e le rispettive famiglie, di cui non si può dare per scontata
una coscienza cristiana di base, per passare poi ad una
catechesi sistematica
sulle verità fondamentali della fede, che è necessaria per formare ad
una “mentalità di fede”.
In
stretta connessione con la catechesi, si collocano le
celebrazioni,
che scandiscono le tappe del percorso e s’ispirano al modello patristico
della
traditio/redditio,
come la consegna della Bibbia, del Padre nostro, del Simbolo della fede,
delle beatitudini, della legge nuova del cristiano… Per una pedagogia
globale della fede, non ci si può limitare a trasmettere nozioni
catechistiche e conoscenze teoriche sulla parola di Dio. Aderire alla
Parola vuol dire accoglierla e lasciarsi trasformare nei gesti simbolici
e rituali nei quali essa si comunica.
Il
rito
poi
- la terza dimensione a cui l’itinerario vuole iniziare - è aperto sulla
vita cristiana attraverso forme pratiche di vita comunitaria, di
testimonianza, di esercizio della carità, sapientemente proporzionate al
livello dei ragazzi.
Il
progetto CEI indica come punto di arrivo del percorso, dopo circa
quattro anni di formazione,
la
celebrazione in forma unitaria dei tre sacramenti dell’IC
per
i ragazzi catecumeni, e il conferimento della cresima e della prima
eucaristia per i loro coetanei già battezzati.
Lacune della pastorale battesimale
Se
il progetto CEI prevede anche il catecumenato dei ragazzi, si rivolge
nella maggior parte dei casi a destinatari che già hanno ricevuto il
battesimo da neonati. Forse le cause remote delle difficoltà di
approccio alla cresima stanno proprio nella quasi inesistenza di una
pastorale battesimale seria.
L’istruzione emanata nel 1980 dalla Congregazione della Fede,
ispirandosi al criterio della Chiesa antica, che praticava il battesimo
dei bambini solo ai figli di battezzati credenti, sottolinea la
necessità di prendere «delle garanzie perché tale dono possa svilupparsi
mediante una vera educazione nella fede e nella vita cristiana, sicché
il sacramento possa raggiungere la sua realtà». Il documento continua:
«Di solito esse sono date dai genitori o dai parenti stretti, benché
possano essere supplite in diverso modo nella comunità cristiana. Ma se
tali garanzie non sono veramente serie, si potrà essere indotti a
differire il sacramento, o addirittura a rifiutarlo, qualora siano
certamente inesistenti» (n. 28).
Se è
vero che solo l’epiclesi battesimale fa trascendere la nostra condizione
mortale e fa nascere alla vita vera, perché lo Spirito ci mette in
comunione con il corpo di Cristo; se è vero che il battesimo è
necessario per la salvezza, è vero anche che i sacramenti non sono una
magia. Solo nell’incontro di due libertà – la nostra e quella di Dio -
si vive quella sinergia nella quale Dio si comunica. Non si tratta
allora di concedere a tutti il battesimo come se fosse un diritto
dovuto, né di mettere in atto restrizioni élitarie, ma di aiutare i
genitori a far maturare le
motivazioni di fede
che
spesso rimangono implicite alla loro richiesta del battesimo. Qui c’è
tutto lo spazio per sbrigliare un po’ di creatività pastorale.
Quando oggi una coppia chiede il battesimo per il proprio bambino,
spesso avviene il primo e fondamentale incontro con la Chiesa, da cui
può dipendere l’esito della loro ricerca di fede. Talvolta, purtroppo,
questo primo contatto si riduce all’adempimento di pure formalità
(quando celebrarlo, l’idoneità canonica dei padrini) e a un paio di
colloqui per presentare e spiegare il rito. Sarebbe invece importante
accogliere i genitori, prestando attenzione alla loro situazione di vita
e alle attese che li spingono a chiedere il battesimo. È necessario
aiutarli ad andare oltre alle dichiarazioni espresse (tradizione
familiare, desiderio dei nonni, senso culturale del sacro,
ritualizzazione della nascita…). Preparare il battesimo del loro figlio
può diventare occasione per riscoprire il valore del loro battesimo. In
tal modo i genitori sono chiamati a collaborare nel preparare l’ambiente
necessario a garantire che il loro bambino possa essere educato nella
fede cattolica, o direttamente da loro o da qualche figura che fa da
garante, specie quella dei padrini, che vanno scelti non in base a
criteri di amicizia o di parentela, ma per l’affidabilità della loro
pratica di fede.
Andrebbe poi corretta la prassi di celebrare il battesimo “formato
famiglia”, oppure i battesimi “comunitari”, che in realtà sono una serie
di battesimi individuali, più o meno assommati, mentre la comunità
cristiana, che normalmente si riunisce per la celebrazione eucaristica
domenicale, è assente e non viene coinvolta nell’accogliere quanti
entrano a farne parte. Proprio perché esiste un legame essenziale tra
battesimo e incorporazione alla Chiesa, anticamente era molto
sottolineata la presenza della comunità dei credenti, che si preparava,
insieme al neofita, ad accogliere un nuovo membro.
Inoltre, sarebbe bene istituire un “dopo” battesimo, creando occasioni e
modi per dare continuità al dialogo avviato tra comunità cristiana e
famiglie dei battezzati, per non trovarsi a dover ripartire da zero
quando, ai 6 anni del bambino, la famiglia si ripresenterà in parrocchia
per il catechismo. Si potrebbe pensare, ad esempio, ad una memoria
annuale del battesimo, in un contesto celebrativo e festoso. Oppure
cogliere altre occasioni lungo l’anno liturgico (da 3 a 5 volte) per la
benedizione dei bambini e delle loro famiglie abbinata a un momento di
catechesi rivolto ai genitori, e suggerire come possono iniziare i loro
figli alla preghiera, alla conoscenza di Gesù, alla pratica di alcuni
rituali familiari…
La
gradualità senza scorciatoie
Dopo
queste considerazioni diventa chiaro che non assecondare il salto di
qualità, che il progetto CEI prospetta, rende pericolosi trabocchetti
tutte le scorciatoie che si è tentati di prendere. Una di queste
scorciatoie è quella di spostare più avanti l’età della cresima, per una
maggiore consapevolezza del cresimando e così risolvere i problemi nei
quali oggi ci imbattiamo nella pastorale dei preadolescenti e degli
adolescenti.
Questa strada è un grave errore. Alterando l’ordine dei tre sacramenti,
si rende la liturgia non il luogo in cui la Chiesa diventa ciò che è, ma
uno spazio da gestire e aggiustare secondo priorità stabilite sulla base
di altri criteri.
Per
capire questo, bisogna considerare come i riti dell’IC erano anticamente
celebrati. Essi erano atti successivi dentro ad un’unica azione
liturgica presieduta dal vescovo. Quando la diffusione del cristianesimo
rese impossibile per il vescovo conservare la presidenza della
celebrazione, in Occidente si modificò questa prassi e si cercò di
individuare i doni specifici dei singoli sacramenti. Nonostante ciò,
anche quando i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana non venivano
celebrati insieme, si è continuato a conservare per molto tempo il loro
ordine, considerandoli come un unico organismo spirituale.
Il
fatto che l’antichità usasse il termine
baptismus
per
indicare l’insieme celebrativo dell’IC, tra cui l’unzione per
l’effusione dello Spirito - cioè la nostra cresima – ci conferma che
essa ha il suo riferimento imprescindibile al battesimo, in quanto
consolidamento, perfezionamento della grazia della filiazione adottiva.
Il battesimo crea l’uomo nuovo, la cresima consolida e sviluppa questa
vita nuova attivando le energie battesimali grazie all’unzione per
l’effusione dello Spirito. Lo specifico della cresima è proprio quello
di essere l’esplicitazione
liturgica
dell’evento
battesimale, globalmente considerato come “rinascita dall’acqua e dallo
Spirito” (cf Gv 3,5).
Cercare una caratterizzazione chiara e distinta della confermazione come
sacramento diverso dal battesimo è allora una cosa astratta. La
crismazione è parte organica del mistero battesimale: è compimento del
battesimo, proprio come l’atto successivo di questo mistero - la
partecipazione all’eucaristia - è compimento della crismazione. Dice
Nicola Cabasilas: «[Cristo] col lavacro battesimale ci libera dal fango
della malizia e ci infonde la sua forma, con la crismazione ci rende
attivi delle energie dello Spirito… ma quando conduce l’iniziato alla
mensa e gli dà in cibo il proprio corpo, lo trasforma interamente e lo
muta nella propria sostanza»
(La
vita in Cristo).
Per
questo l’eucaristia è il vertice dell’economia sacramentale e per questo
tutti i sacramenti, ma soprattutto il battesimo e la cresima, sono
ordinati ad essa. Secondo questa visione, la collocazione della cresima
dopo il battesimo e prima dell’eucaristia è la sua posizione
teologicamente corretta. Solo un difetto di visione teologica ha potuto
consentire di anticipare l’eucaristia rispetto alla cresima.
Tra età e maturità
Si
dice che la cresima è
il
sacramento della maturità, che rende cristiani adulti,
rifacendosi al pensiero di san Tommaso, che tuttavia non parla
propriamente di “maturità”, ma di “età perfetta della vita spirituale” e
rifiuta esplicitamente l’identificazione tra questa “età” e la maturità,
letta in termini fisici e psicologici. Di per sé, chiunque riceve il
battesimo può ricevere, subito dopo, la cresima e l’eucaristia. Nel caso
dei bambini, come si può essere battezzati nella fede della Chiesa, così
nella fede della Chiesa si può essere confermati e si può accedere
all’eucaristia: questa è la prassi orientale fino ad oggi.
Se
il rapporto tra introduzione alla Chiesa e processi di sviluppo
psicologico e sociale del bambino è una questione seria, non è del tutto
pertinente legare questa problematica alla cresima. Si dice ancora che
la cresima è la
conferma personale della fede battesimale
decisa per il neonato dai suoi genitori. Ora, se la cresima di un
ragazzo battezzato da neonato può costituire
anche
l’occasione per una sua personale assunzione della professione di fede
battesimale, non si può identificare con ciò l’elemento proprio e
determinante del sacramento. E se c’è bisogno di “momenti forti”, nei
quali adolescenti e giovani possano esprimere in maniera consapevole e
pubblica (davanti alla comunità) una fede divenuta “patrimonio”
personale, bisogna chiedersi se la cresima deve servire a questo scopo e
se essa sia fatta per questo. Tale interpretazione, tra l’altro, insinua
in modo involontario l’idea che il periodo tra battesimo e cresima sia
un
periodo di prova.
Ma il battesimo di per sé è irrevocabile, ed esprime il dono definitivo
di Dio alla comunione con lui e con ogni uomo.
Ripristinare l’ordine giusto
A
questo punto, la domanda legittima non è: A che età bisogna dare la
cresima? Ma: Fino a che età si può differire la cresima? La separazione
della cresima dal battesimo, il suo differimento nel tempo e la sua
anticipazione rispetto all’eucaristia, vanno giustificati, non
viceversa.
Occorre allora che prevalga un altro criterio: quello di
ripristinare l’ordine giusto dei tre sacramenti
(logico e cronologico), non solo dal punto di vista del contenuto
teologico, ma anche di sequenza celebrativa. È quanto invita a fare il
documento della CEI citato in apertura: «Intorno agli
undici anni,
possibilmente nella veglia pasquale, i ragazzi catecumeni celebrino i
tre sacramenti dell’IC, mentre i loro coetanei già battezzati celebrano
la confermazione e la prima eucaristia» (n. 54).
Possiamo allora concludere che la questione dell’età della cresima è un
falso problema. Non si può caricare la cresima di tutto il significato
educativo che oggi le si butta addosso. I sacramenti parlano sempre in
un contesto particolare ed offrono prospettive e orientamenti solo in
quel contesto. Se il contesto non c’è, è inutile chiedere loro ciò che
non possono dare.
Ci
si deve interrogare, invece, sulla
qualità dell’offerta
che
la comunità cristiana è in grado di dare a quelle famiglie che chiedono
i sacramenti per i loro figli. Non tanto quali condizioni minimali
fissare per poter concedere il sacramento, ma quali
condizioni ecclesiali
offrire per accompagnare al meglio quanti chiedono di essere introdotti
alla fede in Cristo.
Forse bisogna ridurre le attese di “coerenza” formale dei ragazzi e
delle famiglie e incrementare la capacità di esercitare, da parte della
comunità cristiana, una simpatia e un interesse per la qualità della sua
accoglienza e delle relazioni di fraternità che sa offrire. Ciò
significa che, oltre a garantire che ci sia una comunità matura, è
indispensabile creare quel “clima spirituale” della comunità che
consente l’incontro, che crea il contesto per intessere relazioni
genuine e significative, ispirate dalla novità di vita ricevuta nel
battesimo, che è il solo ambito in cui si può trasmettere la fede nel
Signore. La questione di fondo è perciò la
maternità della Chiesa,
la sua capacità di generare all’esperienza di fede. Se manca una
comunità di credenti viva e vivace non ci può essere comunicazione della
fede.
Don Marco Busca
Maria Campatelli
Centro Alletti
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