n. 4
aprile 2011

 

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Le prospettive dell’iniziazione cristiana

Un salto di qualità

di MARCO BUSCA – MARIA CAMPATELLI

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Quando una Chiesa, per il mutato contesto culturale, si trova nella necessità di ripensare la prassi pastorale, deve aver chiari i criteri per impostare il suo rinnovamento. Le sfide, lette nel modo sbagliato, possono trasformarsi in altrettante tentazioni. Dove trovare questi criteri? Senza dubbio in una visione organica, dove liturgia, teologia, spiritualità si intersecano reciprocamente, nutrendo un senso autentico della tradizione. Questa non va vista come ideologia retrospettiva, ma come autocoscienza attuale della Chiesa di quello che ha ricevuto come dinamica vita interiore e non quale tesoro inerte.

In questa ottica va guardata anche la questione dell’iniziazione  cristiana (= IC). Nel corso degli anni, la CEI ha dato una serie di criteri per impostare il percorso dell’IC. Essi sono sfociati nell’apertura ufficiale, dal 2002, del “cantiere dell’IC” che si propone di ricostruire gli itinerari catechistici, intesi non più come preparazione ai sacramenti, ma come preparazione alla vita cristiana.

L’impostazione della CEI esige un vero e proprio salto di qualità, non un aggiornamento dei metodi pedagogici e neppure un’adozione di modelli nuovi con la vecchia mentalità. Il progetto CEI contempla il duplice caso (esemplare) di un ragazzo di 7-14 anni che inizia il catecumenato in vista del battesimo, che non ha ancora ricevuto, e dei suoi coetanei che invece lo hanno ricevuto da neonati e devono “completare” l’iniziazione all’eucaristia.

Iniziazione cristiana per i ragazzi

L’itinerario catecumenale per i ragazzi è pensato e rinnovato alla luce del modello catecumenale degli adulti, che funziona da paradigma ispiratore. Proprio come era nella prassi catecumenale nella Chiesa antica, l’esigenza di un cammino organico e integrale implica che tutti gli elementi comuni ad ogni itinerario di fede – e cioè la Parola, il rito e la vita – siano correttamente valorizzati.

L’annuncio e l’accoglienza della Parola assumeranno la forma della prima evangelizzazione  per i ragazzi e le rispettive famiglie, di cui non si può dare per scontata una coscienza cristiana di base, per passare poi ad una catechesi sistematica sulle verità fondamentali della fede, che è necessaria per formare ad una “mentalità di fede”.

In stretta connessione con la catechesi, si collocano le celebrazioni, che scandiscono le tappe del percorso e s’ispirano al modello patristico della traditio/redditio, come la consegna della Bibbia, del Padre nostro, del Simbolo della fede, delle beatitudini, della legge nuova del cristiano… Per una pedagogia globale della fede, non ci si può limitare a trasmettere nozioni catechistiche e conoscenze teoriche sulla parola di Dio. Aderire alla Parola vuol dire accoglierla e lasciarsi trasformare nei gesti simbolici e rituali nei quali essa si comunica.

Il rito poi - la terza dimensione a cui l’itinerario vuole iniziare - è aperto sulla vita cristiana attraverso forme pratiche di vita comunitaria, di testimonianza, di esercizio della carità, sapientemente proporzionate al livello dei ragazzi.

Il progetto CEI indica come punto di arrivo del percorso, dopo circa quattro anni di formazione, la celebrazione in forma unitaria dei tre sacramenti dell’IC per i ragazzi catecumeni, e il conferimento della cresima e della prima eucaristia per i loro coetanei già battezzati.

Lacune della pastorale battesimale

Se il progetto CEI prevede anche il catecumenato dei ragazzi, si rivolge nella maggior parte dei casi a destinatari che già hanno ricevuto il battesimo da neonati. Forse le cause remote delle difficoltà di approccio alla cresima stanno proprio nella quasi inesistenza di una pastorale battesimale seria.

L’istruzione emanata nel 1980 dalla Congregazione della Fede,  ispirandosi al criterio della Chiesa antica, che praticava il battesimo dei bambini solo ai figli di battezzati credenti, sottolinea la necessità di prendere «delle garanzie perché tale dono possa svilupparsi mediante una vera educazione nella fede e nella vita cristiana, sicché il sacramento possa raggiungere la sua realtà». Il documento continua: «Di solito esse sono date dai genitori o dai parenti stretti, benché possano essere supplite in diverso modo nella comunità cristiana. Ma se tali garanzie non sono veramente serie, si potrà essere indotti a differire il sacramento, o addirittura a rifiutarlo, qualora siano certamente inesistenti» (n. 28).

Se è vero che solo l’epiclesi battesimale fa trascendere la nostra condizione mortale e fa nascere alla vita vera, perché lo Spirito ci mette in comunione con il corpo di Cristo; se è vero che il battesimo è necessario per la salvezza, è vero anche che i sacramenti non sono una magia. Solo nell’incontro di due libertà – la nostra e quella di Dio - si vive quella sinergia nella quale Dio si comunica. Non si tratta allora di concedere a tutti il battesimo come se fosse un diritto dovuto, né di mettere in atto restrizioni élitarie, ma di aiutare i genitori a far maturare le motivazioni di fede che spesso rimangono implicite alla loro richiesta del battesimo. Qui c’è tutto lo spazio per sbrigliare un po’ di creatività pastorale.

Quando oggi una coppia chiede il battesimo per il proprio bambino, spesso avviene il primo e fondamentale incontro con la Chiesa, da cui può dipendere l’esito della loro ricerca di fede. Talvolta, purtroppo, questo primo contatto si riduce all’adempimento di pure formalità (quando celebrarlo, l’idoneità canonica dei padrini) e a un paio di colloqui  per presentare e spiegare il rito. Sarebbe invece importante accogliere i genitori, prestando attenzione alla loro situazione di vita e alle attese che li spingono a chiedere il battesimo. È necessario aiutarli ad andare oltre alle dichiarazioni espresse (tradizione familiare, desiderio dei nonni, senso culturale del sacro, ritualizzazione della nascita…). Preparare il battesimo del loro figlio può diventare occasione per riscoprire il valore del loro battesimo. In tal modo i genitori sono chiamati a collaborare nel preparare l’ambiente necessario a garantire che il loro bambino possa essere educato nella fede cattolica, o direttamente da loro o da qualche figura che fa da garante, specie quella dei padrini, che vanno scelti non in base a criteri di amicizia o di parentela, ma per l’affidabilità della loro pratica di fede.

Andrebbe poi corretta la prassi di celebrare il battesimo “formato famiglia”, oppure i battesimi “comunitari”, che in realtà sono una serie di battesimi individuali, più o meno assommati, mentre la comunità cristiana, che normalmente si riunisce per la celebrazione eucaristica domenicale, è assente e non viene coinvolta nell’accogliere quanti entrano a farne parte. Proprio perché esiste un legame essenziale tra battesimo e incorporazione alla Chiesa, anticamente era molto sottolineata la presenza della comunità dei credenti, che si preparava, insieme al neofita, ad accogliere un nuovo membro.

Inoltre, sarebbe bene istituire un “dopo” battesimo, creando occasioni e modi per dare continuità al dialogo avviato tra comunità cristiana e famiglie dei battezzati, per non trovarsi a dover ripartire da zero quando, ai 6 anni del bambino, la famiglia si ripresenterà in parrocchia per il catechismo. Si potrebbe pensare, ad esempio, ad una memoria annuale del battesimo, in un contesto celebrativo e festoso. Oppure cogliere altre occasioni lungo l’anno liturgico (da 3 a 5 volte) per la benedizione dei bambini e delle loro famiglie abbinata a un momento di catechesi rivolto ai genitori, e suggerire come possono iniziare i loro figli alla preghiera, alla conoscenza di Gesù, alla pratica di alcuni rituali familiari…

 La gradualità senza scorciatoie

Dopo queste considerazioni diventa chiaro che non assecondare il salto di qualità, che il progetto CEI prospetta, rende pericolosi trabocchetti tutte le scorciatoie che si è tentati di prendere. Una di queste scorciatoie è quella di spostare più avanti l’età della cresima, per una maggiore consapevolezza del cresimando e così risolvere i problemi nei quali oggi ci imbattiamo nella pastorale dei preadolescenti e degli adolescenti.

Questa strada è un grave errore. Alterando l’ordine dei tre sacramenti, si rende la liturgia non il luogo in cui la Chiesa diventa ciò che è, ma uno spazio da gestire e aggiustare secondo priorità stabilite sulla base di altri criteri.

Per capire questo, bisogna considerare come i riti dell’IC erano anticamente celebrati. Essi erano atti successivi dentro ad un’unica azione liturgica presieduta dal vescovo. Quando la diffusione del cristianesimo rese impossibile per il vescovo conservare la presidenza della celebrazione, in Occidente si modificò questa prassi e si cercò di individuare i doni specifici dei singoli sacramenti. Nonostante ciò, anche quando i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana non venivano celebrati insieme, si è continuato a conservare per molto tempo il loro ordine, considerandoli come un unico organismo spirituale.

Il fatto che l’antichità usasse il termine baptismus per indicare l’insieme celebrativo dell’IC, tra cui l’unzione per l’effusione dello Spirito - cioè la nostra cresima – ci conferma che essa ha il suo riferimento imprescindibile al battesimo, in quanto consolidamento, perfezionamento della grazia della filiazione adottiva. Il battesimo crea l’uomo nuovo, la cresima consolida e sviluppa questa vita nuova attivando le energie battesimali grazie all’unzione per l’effusione dello Spirito. Lo specifico della cresima è proprio quello di essere l’esplicitazione liturgica dell’evento

battesimale, globalmente considerato come “rinascita dall’acqua e dallo Spirito” (cf Gv 3,5).

Cercare una caratterizzazione chiara e distinta della confermazione come sacramento diverso dal battesimo è allora una cosa astratta. La crismazione è parte organica del mistero battesimale: è compimento del battesimo, proprio come l’atto successivo di questo mistero - la partecipazione all’eucaristia - è compimento della crismazione. Dice Nicola Cabasilas: «[Cristo] col lavacro battesimale ci libera dal fango della malizia e ci infonde la sua forma, con la crismazione ci rende attivi delle energie dello Spirito… ma quando conduce l’iniziato alla mensa e gli dà in cibo il proprio corpo, lo trasforma interamente e lo muta nella propria sostanza» (La vita in Cristo).

Per questo l’eucaristia è il vertice dell’economia sacramentale e per questo tutti i sacramenti, ma soprattutto il battesimo e la cresima, sono ordinati ad essa. Secondo questa visione, la collocazione della cresima dopo il battesimo e prima dell’eucaristia è la sua posizione teologicamente corretta. Solo un difetto di visione teologica ha potuto consentire di anticipare l’eucaristia rispetto alla cresima.

Tra età e maturità

Si dice che la cresima è il sacramento della maturità, che rende cristiani adulti, rifacendosi al pensiero di san Tommaso, che tuttavia non parla propriamente di “maturità”, ma di “età perfetta della vita spirituale” e rifiuta esplicitamente l’identificazione tra questa “età” e la maturità, letta in termini fisici e psicologici. Di per sé, chiunque riceve il battesimo può ricevere, subito dopo, la cresima e l’eucaristia. Nel caso dei bambini, come si può essere battezzati nella fede della Chiesa, così nella fede della Chiesa si può essere confermati e si può accedere all’eucaristia: questa è la prassi orientale fino ad oggi.

Se il rapporto tra introduzione alla Chiesa e processi di sviluppo psicologico e sociale del bambino è una questione seria, non è del tutto pertinente legare questa problematica alla cresima. Si dice ancora che la cresima è la conferma personale della fede battesimale decisa per il neonato dai suoi genitori. Ora, se la cresima di un ragazzo battezzato da neonato può costituire anche l’occasione per una sua personale assunzione della professione di fede battesimale, non si può identificare con ciò l’elemento proprio e determinante del sacramento. E se c’è bisogno di “momenti forti”, nei quali adolescenti e giovani possano esprimere in maniera consapevole e pubblica (davanti alla comunità) una fede divenuta “patrimonio” personale, bisogna chiedersi se la cresima deve servire a questo scopo e se essa sia fatta per questo. Tale interpretazione, tra l’altro, insinua in modo involontario l’idea che il periodo tra battesimo e cresima sia un periodo di prova. Ma il battesimo di per sé è irrevocabile, ed esprime il dono definitivo di Dio alla comunione con lui e con ogni uomo.

Ripristinare l’ordine giusto

A questo punto, la domanda legittima non è: A che età bisogna dare la cresima? Ma: Fino a che età si può differire la cresima? La separazione della cresima dal battesimo, il suo differimento nel tempo e la sua anticipazione rispetto all’eucaristia, vanno giustificati, non viceversa.

Occorre allora che prevalga un altro criterio: quello di ripristinare l’ordine giusto dei tre sacramenti (logico e cronologico), non solo dal punto di vista del contenuto teologico, ma anche di sequenza celebrativa. È quanto invita a fare il documento della CEI citato in apertura: «Intorno agli undici anni, possibilmente nella veglia pasquale, i ragazzi catecumeni celebrino i tre sacramenti dell’IC, mentre i loro coetanei già battezzati celebrano la confermazione e la prima eucaristia» (n. 54).

Possiamo allora concludere che la questione dell’età della cresima è un falso problema. Non si può caricare la cresima di tutto il significato educativo che oggi le si butta addosso. I sacramenti parlano sempre in un contesto particolare ed offrono prospettive e orientamenti solo in quel contesto. Se il contesto non c’è, è inutile chiedere loro ciò che non possono dare.

Ci si deve interrogare, invece, sulla qualità dell’offerta che la comunità cristiana è in grado di dare a quelle famiglie che chiedono i sacramenti per i loro figli. Non tanto quali condizioni minimali fissare per poter concedere il sacramento, ma quali condizioni ecclesiali offrire per accompagnare al meglio quanti chiedono di essere introdotti alla fede in Cristo.

Forse bisogna ridurre le attese di “coerenza” formale dei ragazzi e delle famiglie e incrementare la capacità di esercitare, da parte della comunità cristiana, una simpatia e un interesse per la qualità della sua accoglienza e delle relazioni di fraternità che sa offrire. Ciò significa che, oltre a garantire che ci sia una comunità matura, è indispensabile creare quel “clima spirituale” della comunità che consente l’incontro, che crea il contesto per intessere relazioni genuine e significative, ispirate dalla novità di vita ricevuta nel battesimo, che è il solo ambito in cui si può trasmettere la fede nel Signore. La questione di fondo è perciò la maternità della Chiesa, la sua capacità di generare all’esperienza di fede. Se manca una comunità di credenti viva e vivace non ci può essere comunicazione della fede.

Don Marco Busca
Maria Campatelli
Centro Alletti
Via Paolina 25 - 00184 Roma

 

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