n. 12
dicembre 2011

 

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La bellezza e la bontà delle cose

ANTONIETTA AUGRUSO

 

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Io so che il cielo e la terra e tutta la creazione,
sono grandi, generosi, buoni e belli.
Giuliana di Norwich

La Scrittura si apre nell’Antico Testamento con la forza creativa della Parola (dabar). Dalla vitalità della Parola viene alla luce il mondo: «Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu» (Gen 1,3). Anche il Nuovo Testamento ci presenta la forza creativa del Verbo (Logos) per mezzo del quale ogni cosa prende vita (cf Gv 1,2).

Parola nel cosmo

La Parola è creativa in una molteplicità di direzioni: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6). La Sapienza sottolinea che è possibile contemplare l’Autore, partendo dalla bellezza della sua opera realizzata (cf Sap 13,1-9). Si legge una poesia, si contempla con ammirazione un’opera d’arte, e si risale alla genialità dell’autore, ai suoi tratti, come se le immagini esprimano la pienezza dell’energia che crea. I Salmi e tutta la Scrittura sono suggestivi quando conducono il lettore ad una sorta di stupore riconciliante. Come può essere altrimenti, davanti ad immagini che evocano la creazione quasi un’armonia danzante? «I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento» (Sal 19,2), proclama il salmista.

E la stessa Parola eterna si rivolge alla sua creatura attraverso un dialogo di libertà, la cerca con insistente cura della sua sorte: «Dove sei?» (Gen 3,9). La Parola che crea è la stessa che libera e salva. Il religioso ascolto passa anche attraverso la possibilità di scorgere la premura divina nei colori della natura e nella varietà dei suoi paesaggi. A partire dalla convinzione della bontà del creato, l’esortazione postsinodale può stigmatizzare la profanazione ecologica: «La rivelazione, mentre ci rende noto il disegno di Dio sul cosmo, ci porta anche a denunciare gli atteggiamenti sbagliati dell’uomo, quando non riconosce tutte le cose come riflesso del Creatore, ma mera materia da manipolare senza scrupoli » (VD 108).

Dunque, la parola di Dio fa appello al cuore dell’uomo, invitandolo a non chiudersi nell’indifferenza o, peggio ancora, nei propri orizzonti, pensando che i beni da salvaguardare e difendere siano unicamente quelli della propria casa. La Parola, che prende forma nella creazione e in essa brilla per chi la sa cogliere, è oggi profondamente deturpata nella sua bellezza: rischia di subire una sorta di oscuramento proprio in uno dei canali che ha ispirato poeti e santi: gli scritti che ora fanno parte della letteratura mondiale. Per tutti, basti pensare al Cantico delle creature di san Francesco d’Assisi.  

«Lectio mundi»

Ma la Parola stessa ci viene in aiuto, se l’ascoltiamo con cuore docile: è la linfa a cui attingere per la formazione di coscienze che desiderano ancora rendere abitabile il mondo. Benedetto XVI insiste sulla maturazione di una visione teologica rinnovata come percorso educativo allo stupore, e mostra di aver accolto le indicazioni dei Padri sinodali là dove si afferma: “Accogliere la parola di Dio attestata nella Scrittura e nella Tradizione viva della Chiesa genera un nuovo modo di vedere le cose, promuovendo una ecologia autentica, che ha la sua radice più profonda nell’obbedienza della fede... (e) sviluppando una rinnovata sensibilità teologica sulla bontà di tutte le cose, create in Cristo» (VD 108).

La Parola è comunicativa. Rivolgendosi al cuore dell’uomo lo incoraggia a guardare con occhi nuovi l’intero cosmo, a realizzare progetti educativi che facciano maturare il senso dello stupore e la scoperta delle sue tracce. Stupore, ascolto e incontro con l'Altro educano al senso del limite, suscitano in noi la domanda, la giusta verifica, soprattutto quando ci si accorge di seminare distruzione per il profitto di pochi, di elaborare e mettere in pratica strategie di morte e di distruzione delle risorse non rinnovabili. La terra è davvero oggi un pianeta in bilico. I mezzi di comunicazione ogni giorno c’informano di masse enormi di scorie radioattive e rifiuti tossici seppelliti in luoghi inimmaginabili: «Così l’uomo manca di quella essenziale umiltà che gli permette di riconoscere la creazione come dono di Dio da accogliere e usare secondo il suo disegno» (VD 108).

L’esortazione invita a riformulare le scelte anche a partire dalla Parola presente ed eloquente nel cosmo che attende una sua liberazione: «Sappiamo infatti che tutta la creazione geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Si tratta di nutrire una relazione viva e costante con il Logos vivo e operante nella storia (cf Gv 1,2).

Delle quattro colonne ideali su cui poggia la Parola nel Nuovo Testamento - annuncio, fraternità, frazione del pane e preghiera - una è la predicazione del kérigma: la speranza nella risurrezione di Cristo spinge alla comunicazione là dove la vita chiama ad operare e a confrontarsi con gli altri. Gesù rimane il filo luminoso di ogni sorta di lettura delle Scritture, ma chi spiega e interpreta la Bibbia deve scendere nel presente di chi ascolta: Gesù stesso l’aveva fatto nell’itinerario da Gerusalemme ad Emmaus in compagnia di due suoi discepoli. È quello che farà il diacono Filippo sulla strada verso Gaza, quando incontra il funzionario etiope, con il quale intesse quel dialogo emblematico: «Capisci cosa stai leggendo?». E riceve la risposta: «E come potrei capire se nessuno mi guida?» (At 8,30-31). Interpretare la Parola e farla entrare nella storia di ciascuno non è frutto di improvvisazione. Non si può tralasciare il dato “carnale e letterale” della Parola, né mettere tra parentesi la diversità degli uditori e delle culture a cui essa viene annunciata.

«Gli innamorati della bellezza»

Ciascun uomo vive la propria storia unica; la comunicazione richiede sempre ascolto umile dell’altro e attenzione, per individuare linguaggi corretti, in grado di generare il dialogo. Come la cura del Padre si è espressa nel dono dell’incarnazione, anche la Chiesa, custode e interprete della Parola, da sempre si adopera perché i popoli non vengano privati di una relazione profonda con le Scritture: «Dio non si rivela all’uomo in astratto, ma assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati alle diverse culture. Si tratta di un rapporto fecondo, testimoniato ampiamente nella storia della Chiesa» (VD 109).

La Parola, con la docilità e la forza che vengono dallo Spirito, più di ogni altro strumento trasfigura l’animo umano, fa gioire il cuore e illumina gli occhi (cf Sal 19,9) di chi s’illumina alla luce della Parola: gli occhi “contemplano” il mondo nella sua bellezza e, nel guardarlo, lo cantano con il cuore o lo rivelano in forme creative. Quando la Parola diventa musica, canto, immagine, davvero i suoi frutti sono abbondanti e ridestano l’apertura alla trascendenza.

«Con i Padri sinodali, si legge nell’esortazione, la Chiesa tutta esprime apprezzamento, stima e ammirazione per gli artisti ‘innamorati della bellezza’, che si sono lasciati ispirare dai testi sacri» (VD 112). La Parola si è resa visibile e udibile attraverso la genialità degli artisti ispirati dallo Spirito Santo; non si può certo immaginare il mondo privo delle opere artistiche e musicali che hanno espresso il mistero dell’amore del Padre nella rivelazione. Benedetto XVI in questi anni in tante occasioni ha incontrato gli artisti e non ha tralasciato mai di valorizzarne il contributo, anche in ordine all’evangelizzazione: «Esorto gli organismi competenti affinché si promuova nella Chiesa una solida formazione degli artisti riguardo alla Sacra Scrittura alla luce della Tradizione viva della Chiesa e del magistero» (VD 112).

Parola e new media

Tutti i popoli nella diversità di spazi e di tempo hanno lasciato un patrimonio inestimabile di arte e costruzioni, istituzioni e simboli, tradizioni religiose e prodotti letterari per trasmettere la fede. Le gioie e le fatiche, i ritorni e gli esili di ogni popolo – rischiarati e consolati dalla Parola - sono stati narrati tramite i diversi codici culturali e hanno trovato spesso nella parola di Dio la possibilità di esprimere sogni e speranze: è la bellezza dell’Incarnazione! «La parola di Dio, come del resto la fede cristiana, manifesta così un carattere profondamente interculturale, capace di incontrare e di far incontrare culture diverse» (VD 114). Un processo così complesso trova nei tradizionali mezzi di comunicazione e nelle nuove forme uno strumento prezioso per far conoscere il mistero dell’amore di Dio che entra nella storia dei popoli e di ogni uomo.

Per questo, l’acquisire nuovi metodi per conoscere il Vangelo è parte integrante dell’evangelizzazione, anche se rimane fermo che essa «potrà usufruire della virtualità offerta dai new media per instaurare rapporti significativi, solo se si arriverà al contatto personale, che resta insostituibile» (VD 113).

La Parola è vivente, consola e chiama al cambiamento, interroga e indica i sentieri della luce. Ecco perché il rapporto personale è la strada da seguire: una relazione tra viventi. Non si comprendono a fondo le persone se non si ascoltano, se non si conosce la loro storia. Esiste un’empatia che si vive soltanto con i propri occhi, le proprie emozioni e il proprio cuore. Analogamente è per la Parola del Signore, che penetra in profondità il cuore umano, rispettando un eventuale rifiuto. Cristo sta alla porta e bussa, ma bisogna spalancare le porte (cf Ap 3,20).

Incontri e volti

Si può avere familiarità con tutte le tecniche esistenti e progettare siti diversificati, ma ciò rimane pura strumentalità: «Il mondo virtuale non potrà sostituire il mondo reale» (VD 113). L’esortazione mette in guardia dalla convinzione e dall’abitudine radicata nell’uomo digitale di abitare la realtà virtuale come se fosse l’unica e quella reale con la convinzione di comunicare con tutti, dire tutto a tutti. Il risultato sarà di non aver niente da dire (F. Ferrarotti).

La vita quotidiana è fatta d’incontri, di volti, di ascolto. Gesù ha sempre privilegiato il linguaggio legato alla vita, e il suo annuncio avviene nelle situazioni più ordinarie, e soprattutto a partire da similitudini e narrazioni comprensibili dai suoi ascoltatori. Se da una parte la tecnologia rimane uno strumento insostituibile, dall’altra comporta una seria riflessione sui limiti e lo stile della comunicazione che veicola e produce. Lo stile dell’homo zapping non è  certamente caratterizzato dai tempi lunghi, tipici dell’interiorizzazione.

Il Messaggio dell’assemblea sinodale infatti avvertiva: «Questa nuova comunicazione ha adottato una specifica grammatica espressiva ed è, quindi, necessario essere attrezzati, non solo tecnicamente, ma anche culturalmente per questa impresa». C’è un tempo per tutto: l’amore chiede fedeltà e accoglienza, creatività e pause. Nella trasmissione della Parola la comunità cristiana dona ai fratelli di fede il suo prezioso bagaglio, ma bisogna curiosare con insistenza e intelligenza per trovare la perla preziosa e soprattutto fare memoria, cercare una relazione vitale, come dice l’angelo al veggente di Patmos: «Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere; ma in bocca ti sarà dolce come il miele» (Ap 10,9). Nel viaggio verso la pienezza l’umanità è sostenuta dal suo amore: «… nell’umanità che sarà salvata è compreso tutto, voglio dire tutto ciò che è creato e il creatore di tutto, perché nell’uomo c’è Dio, e in Dio c’è tutto» (Giuliana di Norwich).

 

Antonietta Augruso
Docente di Religione
Via Eurialo, 91 - 00181 Roma

 

 

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