n. 12
dicembre 2011

 

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Cristo, una santità ospitale

di ARMANDO MATTEO

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Al numero 41 della Gaudium et spes troviamo espresso un pensiero particolarmente pregnante sul valore che ha per ogni uomo e per ogni donna della terra l'annuncio che la Chiesa compie di Gesù quale Salvatore del mondo. Vi si legge: «L’uomo [...] avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l’uomo a sua immagine e che lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo. Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo» (GS 41).

È questa, infatti, la convinzione che guida la comunità dei credenti nel suo cammino nel tempo: il dovere di accompagnare ogni credente ad un incontro personale con Gesù, proprio perché in lui è dato accesso a quella vita buona, la cui ricerca pulsa nel cuore di ciascuno. Nella sua piena, perfetta, umanità vi è, infatti, la possibilità, per ognuno, di scorgere i lineamenti originali e originanti della verità dell’umano, spesso divenuti opachi nella cultura contemporanea.

La piena umanità di Gesù

Questo è il punto di attrazione del Vangelo: l’annuncio di un Dio che visita la nostra storia non attraverso i segni di una gloria potente ed irresistibile, ma nella forza disarmante di un bambino, di un giovane e di un adulto che, inserendosi nelle vicende travagliate di un piccolo popolo soggiogato dall’impero romano, insegna la verità dell’umano. Proprio in questa umanità di Gesù i cristiani – più in verità ogni uomo e ogni donna – sono invitati a scoprire un modello felice per la loro esistenza. Quell’umanità è un modello felice, perché non è mai stata una cosa da poco vivere bene, cioè in modo da non sentirsi insoddisfatti, tristi e depressi.

Quando, del resto, siamo attraversati da domande del tipo: «E ora che faccio?», «Cosa sta orientando la mia vita?», «Che cosa dico?», «Ora come mi comporto?», proprio tali interrogativi confermano la necessità di avere un modello, un riferimento, un metro di misura su cui poter giudicare le nostre decisioni ed azioni. E il cristianesimo scommette esattamente nell’assumere Gesù quale modello di esistenza, quale guida per la vita quotidiana ed insuperabile interprete della sempre affascinante e faticosa avventura della libertà. Perciò invita a diventare umani come Gesù.

Nessuno ha vissuto più interamente, intensamente e consapevolmente di lui l’avventura dell’umano che siamo e nessuno più di lui può svelarcene la grammatica. Ma come dire in modo più preciso questa pienezza di umanità in e di Gesù? Particolarmente affascinante risulta quanto da alcuni anni propone il teologo gesuita Christoph Theobald e che ha trovato nella sua imponente opera Il cristianesimo come stile. Una maniera di fare teologia nella postmodernità (2 volumi, Dehoniane, Bologna 2009-2010) una compiuta espressione. Egli ravvisa in Gesù una speciale forma di santità: una «santità ospitale». Con questa espressione intende segnalare una singolare concordanza in Gesù tra i suoi gesti e le sue parole, tra ciò che vive nella sua anima e il suo stile di presenza agli altri, un’unità elementare e semplice del suo essere, una concordanza piena di e con sé che si apre di volta in volta a coloro che gli si fanno incontro, nella sua missione di profeta itinerante. Egli appare perciò maestro buono, maestro che ha parole di vita eterna, proprio perché in lui si manifesta una presenza al mondo riconciliata, sanata e sanante. Questo splendore di vita perciò non diventa qualcosa che lo isoli dagli altri (è appunto santità ospitale): al contrario diventa un elemento di irradiazione, in quanto avalla la possibilità che altri possano conquistare un simile posizionamento nei confronti dell’esistenza stessa: possano, appunto, diventare «più uomini».

Nel segno della benedizione divina

La santità e la pienezza di umanità di Gesù non lo isolano dagli altri, anzi sono promessa e premessa perché anche altri possano riconciliarsi con loro stessi e con il mondo, e sono promessa e premessa che trovano nella compagnia benedetta e benedicente dell’Abbà il loro fulcro. Al cuore della vita e del messaggio di Gesù si incontrano in verità un Dio desideroso di servire l’umano e un uomo bisognoso dell’amore di Dio per non smarrirsi nei sentieri dell’esistenza. La religione che egli inaugura non vuole imbrigliare o mortificare l’energia vitale dell’uomo, non si lascia rinchiudere in un passato remoto da replicare, non illude nessuno con promesse di benessere a buon mercato. Invita ognuno di noi a conquistare il mondo senza perdere l’anima, invita ad amare la vita e ad una vita d'amore.

L’intera vicenda pubblica di Gesù, dal battesimo di Giovanni sino al processo che lo destina alla morte in croce, può essere pertanto riletta alla luce del suo tentativo di riattivare l’autorizzazione ad amarsi in coloro che ha incontrato. E non ha lasciato fuori nessuna possibilità dell’umano: il peccatore, il malato, il ricco, il povero, il potente, il ferito, l’uomo in ricerca, lo straniero. Nessun umano è troppo lontano o irrimediabilmente strappato da quella benedizione di Dio Padre che autorizza la benedizione di sé.

Incontrare Gesù significa, allora, ieri come oggi, risvegliare in noi quel desiderio di pienezza e quella pienezza del desiderio, quel desiderio di riconciliazione e quella riconciliazione del desiderio, quell’anelito a una vita buona che ci portiamo inscritto nelle fibre più intime della nostra carne, pur in mezzo ad ogni fallimento o peccato.

E chi incontra veramente Gesù incontra più precisamente la verità della propria esistenza: cioè quell’annuncio di una presenza benedetta e benedicente di Dio su di sé - il Dio che Gesù invita a nominare come Padre - la quale autorizza ad un nostro pieno dispiegamento nel mondo, a un “traffico generoso” dei talenti che abbiamo ricevuto, in quanto egli ci riconcilia con quel sentimento di paura e di terrore legati all’esperienza della finitezza e della morte.

Theobald insiste molto su questo punto, perché ciò che Gesù suscita e desta in coloro che incontra è in definitiva «un nuovo rapporto con la morte», reso possibile dall’annuncio della rivelazione di Dio come Abbà, che riesce a disarmare la morte – egli scrive – «come ultimo nemico della vita e la trasforma in messaggero (o messaggera) capace di convincere ciascun individuo del valore inestimabile della sua esistenza: se non ha che una sola vita, questo “una volta per tutte” è la garanzia della sua unicità. Soltanto un’origine “paterna” – Dio padre – può portare il peso di questa buona novella. Colui che la intende percepisce immediatamente la singolare novità che è il suo semplice esistere tra la nascita e la morte».

È questo il “miracolo” dell’incontro con il Signore Gesù: la possibilità di un rapporto nuovo con se stessi, che implica un inedito rapporto con la creazione e la dimensione finale dell’esistere, e apre ad una maniera nuova di abitare il mondo, nella corrispondenza libera all’unicità di ciascuno.

Forza magnetica di Gesù

In tempi come i nostri – segnati da una perdita sempre più vistosa della fede di incidere sull'economia dell'anima e del vissuto di molte persone, anche in territori di antica tradizione cristiana - la comunità dei credenti è invitata a riscoprire e a rilanciare la forza magnetica di Gesù, la provocazione inscritta nella sua santità, nel suo modo compiuto di abitare il mondo e di rapportarsi con gli altri, che diventa premessa perché ciascuno possa riconciliarsi con la vita.

È invitata, dunque, la comunità dei credenti, a mettere più in evidenza l'umanità sanante, corroborante, elevante, di Gesù, che riconcilia con la vita. In una parola: la sua santità ospitale. Egli è la misura felice della vita. Sí, egli è - richiamando una parola di san Benedetto - la porta attraverso la quale vedere giorni felici.

Armando Matteo
Via Aurelia Antica, 284 - 00165 Roma

 

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