n. 12
dicembre 2012

 

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Ripartire dalla fraternità
Caritas in Veritate
 

ALESSANDRA SMERILLI

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La fraternità è una categoria che attraversa tutta l’enciclica Caritas in Veritate. Essa viene vista come la chiave per il vero sviluppo, quello integrale: per tutti gli uomini e per tutte le dimensioni della persona.

Le ferite della modernità, infatti, sono soprattutto relative alla relazione, all’incapacità d’incontrarsi nella reciprocità; nella postmodernità questa ferita “spirituale e relazionale” mostra sempre più la sua drammaticità: il paradosso della felicità nelle società opulente, dove oggi sperimentiamo una crescente noia e solitudine, non dice forse questa indigenza relazionale?

Quali sono le domande che l'oggi, il nostro tempo, pone all'economia e alla società? Ci sono le domande più immediate, nei media, nella politica: queste ci parlano di crisi finanziaria, di disoccupazione, di aumento dei consumi per uscirne; di povertà e di ricchezza, di impoveriti dalle guerre e da un liberismo sbagliato, ma anche degli impoveriti da un consumismo che aumenta le aspirazioni e quindi impoverisce sempre più. In realtà, sono convinta che ci siano oggi altri interrogativi più profondi, meno espressi, ma estremamente urgenti.

Crisi etica e morale

La crisi che stiamo vivendo da diversi decenni (e non da pochi anni) è una crisi etica e morale, che ha a che fare con la categoria della fraternità: l'economia di mercato ha raggiunto risultati straordinari sul piano della libertà e dei diritti (eguaglianza), ma ha perso su quello della fraternità.

La più grande sfida che oggi proviene dall'economia e dalla società globalizzata è una domanda di fraternità, di beni relazionali, di nuovo legame sociale, di incontro vero, di motivazioni intrinseche. Ed è questa la fraternità di cui parla l’enciclica. Essa viene posta sempre in relazione alla gratuità. «Questa fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli? La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l'uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che cosa sia la carità fraterna » (CV 19). È dunque l’amore gratuito, che Cristo ha portato sulla terra, che può darci le chiavi per un’autentica fraternità.

Per comprendere quanto sia vero che la ragione può cogliere l’uguaglianza, ma non la fraternità, basti pensare a quanto scriveva Adam Smith, unanimemente considerato il padre fondatore della scienza economica moderna: «La gratuità è meno essenziale della giustizia per l’esistenza della società. La società può sussistere senza gratuità». E ancora: «La società civile può esistere tra persone diverse […] sulla base della considerazione dell’utilità individuale, senza alcuna forma di amore o di reciproco affetto».

Gli effetti di questo modo d’intendere la convivenza sociale sono quotidianamente davanti ai nostri occhi. Ed ecco perché l’enciclica lancia la sfida: «La grande sfida che abbiamo davanti a noi […] è di mostrare, a livello sia di pensiero che di comportamenti, che non solo i tradizionali princìpi dell'etica sociale, quali la trasparenza, l'onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica […]. Si tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità» (CV 36).

L’enciclica vede dunque la gratuità, come espressione della fraternità, quale unica prospettiva di uscita dalla crisi e quindi di un nuovo umanesimo.

Quale messaggio per la vita consacrata?

Come religiosi ci sentiamo interpellati da questo invito alla fraternità che ci lancia la Caritas in Veritate: la nostra vita fraterna dovrebbe essere, infatti, espressione di quella carità fraterna di cui parla l’enciclica. E in un momento in cui la domanda di fraternità è pressante, le nostre comunità possono e devono essere quel luogo di pace e di ristoro, dove si gusta quanto è bello vivere insieme e prendersi cura gli uni degli altri, e in particolare dei più bisognosi. Come segnale dell’urgenza di risposte adeguate alla domanda di fraternità, basti pensare che si moltiplicano le risposte offerte dal mercato a questo bisogno di relazioni e di reciprocità. In alcune nazioni, per esempio, sono in molti a pagare per un’ora di ascolto. E sono anche in molti a servirsi di un sito, che sta spopolando negli Stati Uniti, ma che oramai si sta diffondendo in tutto il mondo (www.rentafriend.com).

Il servizio che offre è molto semplice: hai bisogno di una persona che ti accompagni ad una festa? Vuoi andare a fare una passeggiata e non sai con chi andare? Affitta un amico! Sul sito si trova un elenco di persone divise per nazione e per città che si rendono disponibili ad essere ‘affittate’ per qualche ora. Capiamo bene che l’appellativo “amico” è forte e fuori luogo in questo caso. Capiamo anche che se un fenomeno del genere si sta diffondendo, il bisogno di relazioni è davvero grande. E le risposte a questa emergenza non possono venire da pseudo-soluzioni offerte dal mercato, semplicemente perché i beni relazionali primari non passano per il mercato e la gratuità che è alla base di ogni relazione fraterna semplicemente non si può acquistare. Si può solo coltivare.

Non c’è vita buona, nella sfera privata come in quella pubblica, senza gratuità. E non c’è gratuità senza carismi. È questa la ragione per la quale l’indigenza di una società come la nostra è soprattutto indigenza di gratuità, carestia di un tocco umano che sia fine a se stesso, carestia di gente che ci incontra e ci avvicina perché gli interessiamo come persone.

E basta. Ai quali interessiamo anche quando non siamo “portatori di interessi” (stakeholders), né clienti, né fornitori, né sani, né ancora nati, magari malati terminali; anche se non siamo meritevoli. Gente, animata da carismi, a cui interessiamo perché siamo degli esseri umani, e basta. Un “e basta” che la società della ricerca del profitto, dell’efficienza e del merito, non conosce più.

L’invito della Caritas in Veritate è quindi rivolto anche a noi: perché la fraternità diventi una categoria civile, bisogna andare a scuola di gratuità. La nostra opera deve essere dunque prima di tutto, e prima ancora delle opere concrete, la testimonianza che la fraternità, espressione di gratuità, è possibile nelle convivenze umane.

E la fede?

A questo punto verrebbe da domandarci cosa c’entra la fede in questo discorso. Dopo la prima enciclica di Benedetto XVI sulla carità, e la seconda sulla speranza, tutti ci aspettavamo una terza enciclica sulla fede. E in fondo così è stato, perché la Caritas in Veritate, nel proporre questo concetto di fraternità chiede di dilatare gli orizzonti della nostra fede.

Infatti, solo una visione dell’uomo, un’antropologia, che crede la persona fatta a immagine di un Dio comunione, con impresso il Dio Trinità nel suo essere, può raccogliere l’invito alla gratuità anche in questo mondo, in questa società, in questa economia. Su questa scommessa antropologica risiede anche la speranza che la fraternità annunciata possa non essere un’utopia (un non luogo), ma un eutopia (un buon luogo), il luogo dell’umano.

L’enciclica ci invita a mobilitarci in questa direzione: «L'urgenza è inscritta non solo nelle cose, non deriva soltanto dall'incalzare degli avvenimenti e dei problemi, ma anche dalla stessa posta in palio: la realizzazione di un'autentica fraternità». E continua: «La rilevanza di questo obiettivo è tale da esigere la nostra apertura a capirlo fino in fondo e a mobilitarci in concreto con il “cuore”, per far evolvere gli attuali processi  economici e sociali verso esiti pienamente umani» (CV 20).

Mobilitiamoci dunque in concreto e con il cuore perché la fraternità non rimanga sullo sfondo, ma, grazie anche alla vita delle nostre comunità, possa diventare la chiave per un nuovo sviluppo, per un nuovo umanesimo. 

Alessandra Smerilli fma
Professor of Political Economy at the Auxilium
Piazza S. Maria Ausiliatrice, 60
00181 Roma

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