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n.4
luglio/agosto 2014

 

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La comunità nata dalla Pasqua

di MARIA GRAZIA PAPOLA

 

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Nei primi cinque capitoli degli Atti, Luca interrompe in tre punti la narrazione tracciando tre quadri di vita comunitaria (2,42-47; 4,32-35; 5,12-16).
Passando alla descrizione formulata con verbi all'imperfetto, Luca non racconta dei fatti, ma descrivere un comportamento abituale della comunità di Gerusalemme, idealizzando e tipicizzando le costanti delle comunità cristiane. L'imperfetto conferisce al racconto la profondità della storia; fissa l'immagine di una comunità durevolmente stabilita a Gerusalemme, annuncia un programma di comunità erigendola a modello e inserendola nella storia.
La vita della prima comunità infatti non è importante soltanto per gli eventi storici di cui è protagonista, ma anche per come al suo interno sa strutturare relazioni che ne forniscono la carta d'identità. «Luca più che narrare storia sembra utilizzare un materiale storico per descrivere un'immagine, perché il quadro dipinto possa essere contemplato e fungere da specchio, su cui devono riflettersi le comunità che leggono la sua opera» (G. Betori). .

Un ritratto idealizzante della comunità?

Nella struttura narrativa di Atti i sommari hanno una duplice finalità. Da una parte offrono una prospettiva di fondo svelando il significato profondo di avvenimenti particolari (come la comunità viveva o dovrebbe vivere); dall'altra svolgono la funzione di collegare unità narrative autonome. Luca dunque non idealizza ingenuamente la prima chiesa. È vero che questi testi presentano quelle che sono le costanti della vita ecclesiale, fornendo un «modello ecclesiologico» che ha necessariamente i tratti dell'idealità, tuttavia Luca, sebbene sappia che questo modello ideale non sempre ha trovato attuazione neppure nella chiesa delle origini (cf 5,1-11), non rinuncia a riproporlo alla chiesa del suo tempo, che vive difficoltà e che è chiamata a ridefinire la propria identità, perché con esso continuamente possa confrontarsi e su di esso orientare la propria esperienza. Ciò vuol dire che già per la cristianità a cui si rivolge Luca, questi ritratti della chiesa sono un'eccezione; appartengono all'età dell'oro. Luca non invita all'imitazione e neppure alla colpevolizzazione, ma «espone un modello di vita comunitario autentico e lo offre come specchio alla cristianità del suo tempo. Così quest'ultima può misurare la sua vita con l'utopia comunitaria, interrogarsi sulla sua osservanza delle quattro caratteristiche identitarie e di conseguenza gerarchizzare i valori della sua strategia pastorale» (Marguerat).
Dal punto di vista letterario, inoltre, i sommari hanno una funzione di transizione tra singoli episodi narrativi che non idealizzano affatto la realtà. At 4,1-31 e 5,17-42 mostrano i credenti esposti alle ostilità delle autorità; At 5,1-11 e 6,1-6 presentano le crisi interne della comunità.
Il primo sommario, in particolare, contiene riassunti i temi fondamentali presenti negli altri e nelle descrizioni generali della vita della comunità cristiana; in questo testo infatti sono presenti sette caratteristiche che sono riprese, in una forma o nell' altra, nel resto, del primo sommario e negli altri due: insegnamento e testimonianza degli apostoli; comunione fraterna; frazione del pane, preghiere e frequentazione del tempio; favore presso il popolo; segni e prodigi; crescita numerica della comunità

Il legame con la Pentecoste

Molto spesso At 2,42-47 viene letto staccato dal suo contesto, ma di fatto è proprio da ciò che precede che il passo riceve il suo significato: l'avvenimento della pentecoste (2,1-13), la parola di spiegazione di Pietro (2,14-36) e il fenomeno di conversione che essa produce (2,37-41).
Ciò, da un lato vuol dire che la comunità di cui si parla non è un gruppo di persone che si mettono assieme per la prima volta. È, invece, una comunità che si raduna di nuovo; è la comunità che, superata la crisi della croce-scandalo, si ritro117 va alla luce della novità: la croce, la risurrezione, la Pentecoste hanno creato un nuovo contesto.
Dall'altro lato, il legame con il racconto di pentecoste fa comprendere che il sommario non esagera le capacità straordinarie dei nuovi credenti, ma riferisce come l'opera dello Spirito continui in coloro che, mediante il loro battesimo, sono entrati a far parte della comunità. Luca vuol far capire che la Pentecoste diventa storia, e intende manifestare come l'irruzione della forza divina dello Spirito genera nei credenti una situazione permanente di vita nuova che, pur vissuta sulla terra, ha la sua sorgente nella potenza dello Spirito che viene dall'alto.
Il sommario è stato definito «l'ultima fase della pentecoste»; dopo di essa, considerato l'atto fondatore della chiesa, Luca mostra ai suoi lettori come lo Spirito costruisca una comunità in stato di comunione. Il racconto della Pentecoste termina con il v. 41: «Quelli che accolsero la sua parola furono battezzati e in quel giorno circa tremila persone furono aggiunte ad essi». Quanti accolgono la testimonianza apostolica entrano a far parte della comunità dei credenti. Luca prova a rispondere a questi interrogativi: che cosa significa essere aggregati alla comunità? Quali sono le relazioni che si instaurano? Che cosa definisce la vita comunitaria dei cristiani? Dopo il v. 47 la guarigione dello storpio (3,1-10) concretizza i «prodigi e segni» compiuti dagli apostoli di cui parla 2,42; la precedenza del sommario fa comprendere che questa guarigione, la prima riferita dal racconto, non è un'eccezione

Le esperienze costitutive della vita comunitaria

Al principio della vita comunitaria non sta tanto il desiderio di unirsi, quanto la forza dello Spirito, la vita comunitaria è prima di tutto dono dello Spirito.
A immagine dei tre pilastri del mondo citati nella Mishnah (Torah, culto e atti di amore), Luca elenca quattro caratteristiche identitarie della chiesa nata dalla pentecoste; queste caratteristiche sono presentate in due coppie unite dalla congiunzione «e»: l'insegnamento degli apostoli e la comunione, la frazione del pane e le preghiere.
La prima coppia di espressioni (insegnamento degli apostoli/comunione) evidenzia la «vita comunitaria», la seconda (frazione del pane/preghiere) le «forme dell'attività liturgica».
I quattro motivi sono introdotti da un participio presente tradotto con «erano perseveranti» (ripreso anche al v 46), che significa assidua frequentazione, dedicazione costante a una cosa, e sta a indicare che non si tratta di azioni passeggere, ma permanenti: lo Spirito ha modellato le persone in forma stabile, e il risultato sta ormai come modello della vita della comunità cristiana.
Queste esperienze vengono successivamente riprese e sviluppate nei vv. 43-47a inclusi (vv. 43a e47b) da annotazioni sulle reazioni (timore/simpatia) che la comunità suscita all'esterno (tutti/tutto il popolo). In questa parte centrale vengono ulteriormente illuminate le esperienze fondanti. All'insegnamento degli apostoli viene aggiunta la loro attività taumaturgica (v. 43b): la molteplicità dei segni che essi compiono conferma il loro annuncio. La «comunione» viene descritta nei vv. 44-45. Il motivo delle «preghiere» trova esplicitazione nella frequentazione quotidiana del tempio (v. 46a), mentre la «frazione del pane» viene ripresa nel riferimento ai pasti comunitari (v. 46b). È particolarmente significativa l'espressione «insieme», posta sia prima della descrizione della comunione dei beni (v. 44) sia nell'annotazione sulla crescita della comunità (v. 47b). L'accenno finale alla crescita della comunità per opera del Signore (v. 47b) riprende il v. 41: ma mentre nel v. 41 si parla dell'aumento numerico straordinario nel particolare giorno di pentecoste, qui si accenna a una crescita quotidiana.

L'insegnamento degli apostoli
Come prima ed essenziale esperienza della comunità cristiana è presentata l'assiduità all'insegnamento degli apostoli: «essa, infatti, è il presupposto per l'approfondimento del contenuto e dell'atto della fede ed è la condizione per rimanere e crescere nella comunione con il Signore Gesù» (Barbi).
La fede della comunità, dunque, nasce e si approfondisce facendo riferimento all'insegnamento del gruppo di quelli che sono stati testimoni diretti della vita e dell'insegnamento del Signore (cf 1,21). L'insegnamento corrisponde all'approfondimento del nucleo centrale dell'annuncio che è reso in At 4,33 con l'espressione «con grande vigore gli apostoli rendevano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù». A partire da questo nucleo kerigmatico, l'insegnamento degli apostoli organizza a poco a poco in forma dinamica la conoscenza dell'evento di Gesù e gli orientamenti di vita nuova che scaturiscono per l'esistenza cristiana. «Il "perseverare" in questo atteggiamento da parte della comunità presuppone, dal punto di vista soggettivo, che essa offra un'adesione non statica ma dinamica al contenuto della parola apostolica, così che la fede continuamente cresca e si rafforzi. Dal momento poi che questo insegnamento è offerto agli apostoli che costituiscono, nella loro testimonianza fondante, la cerniera tra Gesù e la chiesa, l'adesione ad esso è condizione da parte dei credenti per permanere nella comunione con Cristo» (Barbi).
L'ascolto della Parola esige un impegno serio e continuato: la frammentarietà non porta a nulla; così come non porta a nulla - anzi disperde anziché edificare - una lettura che privilegiasse l'interpretazione personale a scapito di quella comunitaria che dice riferimento ai Dodici.
L'insegnamento degli apostoli rimanda all'evento originario e per questo costituisce il principio unificatore, non frutto di convergenza di opinioni, che produrrebbe eventualmente un'unità convenzionale e fragile, ma di una verità che si offre e che richiede accoglienza da parte di tutti. Ciò vuol dire che nessuno può costituire principio ultimo di unità se non l'evento annunciato, e che i credenti stanno insieme in forza della fede e non di altre ragioni, né politiche, né organizzative, né semplicemente emotive. «In questa luce, si potrebbe valutare quali siano le ragioni per le quali sorgono le divisioni (o anche i legami) nelle comunità cristiane e verificare se non si tratti in genere di ragioni altre rispetto alla fede. L'unità della comunità cristiana non chiede unanimità su tutto: la comunità cristiana non è una setta nella quale sia per adesione al leader sia per compattezza difensiva si assume tutti lo stesso linguaggio, lo stesso stile, la stessa opzione politica, costruendo così barriere impenetrabili a chiunque non si adegui. Si possono comprendere le dinamiche psicologiche alle quali le comunità cristiane non possono sfuggire, ma si dovrebbe pure, appunto in nome di un'unità superiore, rompere tali dinamiche» (Canobbio).

La comunione
«Erano perseveranti nella comunione (koinonia)», un termine utilizzato solo nel v. 42, il cui significato va compreso alla luce del corrispondente aggettivo koinos (comune) che è presente in due espressioni dei sommari: «tutti i credenti stavano insieme e avevano tutto in comune» (2,44); e «non vi era nessuno che ritenesse cosa propria alcun120 ché di ciò che possedeva, ma tutto era fra loro in comune» (4,32).
Con l'espressione «tutto in comune» Luca evoca la lunga tradizione della letteratura e delle scuole filosofiche del mondo greco-romano dove indicava l'ideale dell'amicizia; «tra gli amici tutto è comune» e «tra gli amici nulla appartiene in proprio» erano massime ricorrenti per caratterizzare il rapporto di amicizia. Tuttavia, per quanto Luca si sia ispirato all'ideale greco, nella comunità cristiana non si vive la comunione in forza di un legame semplicemente amicale. I soggetti della vita di comunione sono infatti coloro che sono venuti alla fede e permangono in essa. È dunque la partecipazione all'unica fede che permette loro di essere un cuor solo e un'anima sola, di intessere cioè relazioni significative e di attuare una profonda comunione di spirito. «Non si tratta di creare un umanesimo massificante, ma di avvertire che, in forza della fede in Cristo, si possono creare sintonie profonde nel guardare e nel vivere la realtà e perciò un'unità di spiriti che porta a condividere la vita».
Koinonia indica perciò la comunione profonda dei credenti, cementata dal possesso del medesimo Spirito, dell'identica fede, che si esprime a livello liturgico, spirituale e anche sociale, e che sfocia nella solidarietà nell'uso dei beni.
I credenti continuavano ad avere proprietà ma le consideravano come se esse non appartenessero a loro, accettando di metterle a disposizione degli altri. Non è dunque detto che tutti rinunciano a ogni rendita, ma quelli che possedevano case e terreni li vendevano per venire in aiuto degli altri nel bisogno perché avevano rendite scarse o insufficienti o non ne possedevano alcuna (cf 6,1).
La koinonia, certamente un ideale di cui sono presentati nelle pagine successive alcuni esempi come quello molto luminoso di Barnaba (4,37), non è un'idealizzazione dei poveri né della povertà. La comunione ha come specifica finalità il fatto che «nessuno era nel bisogno» e che «nessuno era bisognoso tra di loro». L'ideale è che ciascuno abbia ciò di cui ha bisogno per vivere e che quelli che non ne hanno possano contare sulla solidarietà e sulla generosità degli altri.

La frazione del pane e le preghiere
Le due esperienze di carattere liturgico menzionate al v. 42 vengono riprese ed esplicitate al v. 46 e risultano localizzate in spazi diversi. La preghiera è nel tempio, luogo privilegiato dell'incontro con Dio in continuità con il culto di Israele (cf Lc 24,53; At 3,1); la frazione del pane, esperienza cultuale più specifica della comunità cristiana, che per Luca ha un chiaro significato eucaristico (Lc 24,30.35; At 20,7), si realizza nelle case nell'ambito dei pasti comunitari.
Sull'esempio del loro Maestro, che Luca aveva presentato dedito frequentemente e nelle situazioni più diverse alla preghiera (Lc 3,21; 5,16; 6,12M 9,18.28ss; 11,1; 22,41ss.M 23,34.46); che aveva insegnato ai suoi discepoli a pregare (Lc 11,1-3) e aveva loro raccomandato di pregare insistentemente (Lc 18,1; 21,36), i discepoli fanno spazio all'esperienza della preghiera. In Atti la preghiera diventa più intensa e frequente nella misura in cui la comunità cristiana si trova di fronte a momenti e a scelte impegnative ed è immersa nelle faticose vicende storiche.
Il testo sottolinea anche che la preghiera è fatta in spirito di fraternità: i credenti frequentano ogni giorno il tempio «concordemente» e questa nota rimanda appunto allo stile fraterno e unanime con cui, anche in altri momenti, la comunità si rivolge a Dio (1,14; 4,24; ecc.).
La medesima annotazione è desumibile pure dal riferimento all'eucaristia, il cui valore unificante è nel fatto che essa sia «memoriale della riconciliazione: la nuova umanità radunata dalla dispersione si forma nella celebrazione della morte e risurrezione di Gesù. Essere assidui alla frazione del pane vuol dire vincere le insidiose forze della divisione sempre in agguato, e prendere coscienza che il fondamento della propria unità sta nell'atto radicale della proesistenza di Gesù» (Canobbio).
Luca lascia intuire la profonda unità di queste quattro esperienze che sono alla base della vita quotidiana della chiesa e il loro dinamismo. «La fede, continuamente alimentata dall'insegnamento apostolico è il fondamento sul quale continuamente si edificano quell'unità dei cuori e quelle relazioni autentiche e nuove che devono manifestarsi operativamente con la solidarietà dei beni e con l'aiuto prestato ai bisognosi. Questa comunione vissuta si esprime, si realizza e si alimenta nella frazione del pane e diventa condizione essenziale perché la comunità possa presentarsi efficacemente di fronte a Dio nelle sue preghiere. Dall'altra parte, l'annuncio dell'opera salvifica di Dio, fatto dall'insegnamento apostolico, trova compimento nella frazione del pane dove la comunità sperimenta nella fede la presenza del Signore risorto che salva. Questa esperienza rafforza nei credenti la realtà e la coscienza di essere la comunità escatologica della salvezza, dà ad essa la gioia di essere salvata e la apre al dono e alla responsabilità di vivere storicamente questa salvezza nella comunione, nella solidarietà, e nella preghiera fiduciosa e fraterna» (Barbi).

La continua crescita della comunità

Il sommario termina con la segnalazione delle reazioni che l'azione degli apostoli e la vita ideale della comunità provoca all'esterno. Al v. 43 si parla di timore legato sia ai segni e prodigi che alla qualità della vita della comunità; il timore di cui si parla è certo quello di Dio, quello dunque che corrisponde alla sensazione della presenza operante di Dio nella comunità.
Al v. 47 si parla invece di «favore», come frutto della vita di comunione, alludendo alla stima, alla benevolenza e a una forza attraente che la comunità suscita, senza che ciò escluda peraltro situazioni di tensione con il mondo esterno che sfoceranno in atti persecutori da parte delle autorità giudaiche.
Tuttavia, per Luca non è l'azione ecclesiale la causa della crescita numerica della comunità, all'origine e come culmine di quel cammino che pure si sperimenta concretamente nella comunità dei credenti Luca pone il Signore: è lui che aggiunge i salvati ed è a lui che questi aderiscono nella fede. La comunità, annunciando il vangelo e vivendo in comunione, è un segno dell'agire potente del Signore, e nella misura in cui ha coscienza di essere segno è luogo che consente l'incontro e l'adesione a Colui che salva.
Lo Spirito, perciò determina la nascita di una comunità che non mira anzitutto a soddisfare i bisogni religiosi individuali, ma organizza un vivere insieme che testimonia una salvezza condivisa. Il vangelo insegnato dagli apostoli non è limitato al rango di credenza, ma crea una qualità di vita in cui la grazia ricevuta si esprime in attenzione ai bisogni degli altri e in condivisione delle risorse. Per Luca è questa la forza evangelizzatrice della chiesa: la capacità di vivere una diversa relazione con Dio e con gli altri.

Alla ricerca di un paradigma pasquale

Come abbiamo detto nell'introduzione, attraverso questo sommario e quelli successivi, Luca ha tracciato un modello ideale di vita ecclesiale con cui le comunità cristiane di ogni tempo debbono confrontarsi.
Il ricorso a questi testi non è privo di ambiguità. Se, infatti, da un lato possono costituire stimolo a raggiungere mete più alte, dall'altro possono indurre scoraggiamento e depressione, perché la realtà spesso appare molto lontana dal modello. Già Luca è cosciente che questo ideale di comunione ha trovato difficoltà nella vita stessa della prima comunità: nel seguito del racconto mostrerà infatti che la comunità non è risparmiata né dall'ostilità del mondo esterno (4,1-22; 5,17-42), né da crisi interne (5,1-11; 6,1; 15,5-40).
La nostra esperienza insegna che sulla possibilità di costruire comunità cristiane secondo quel paradigma non ci si deve fare illusioni; resta difficile, e quindi è una sfida permanente. Questa constatazione può indurre due atteggiamenti tra loro corrispondenti: la denuncia degli egoismi che sono contrari alla volontà del Signore; il riconoscimento dell'impossibilità della vita comunitaria e quindi la rassegnazione di fronte alla realtà, ritenendo utopistica qualsiasi immagine positiva che rimandi a una situazione non corrispondente all'esperienza. Ma così, da un lato il testo biblico diventa un assoluto, dall'altro si ritiene che la realtà costituisca l'unica misura valida di valutazione delle possibilità. I sommari invece vogliono offrire una possibilità e uno stimolo a cercare forme nuove e creative per vivere quelle esperienze irrinunciabili per la vita e la crescita della comunità cristiana.
Questi testi offrono alcune indicazioni non solo su come già si vive, ma anche su come si diventa comunità del Signore. Lo si diventa attraverso un incontro, delle relazioni, delle risorse, delle rotture (Bagni).
L'incontro è con il Dio di Cristo Gesù che convoca i discepoli dispersi: diventare comunità del Signore nasce certo dall'incontro con un testimone, è la risposta ad una convocazione. Ma colui che convoca è il Dio di Gesù Cristo. C'è dunque un' immagine di Dio, un preciso volto di Dio all'origine della comunità, rivelato dalle Scritture e dall'insegnamento degli apostoli.
Le relazioni: i primi cristiani vivono relazioni che hanno origine dalla Pasqua.
Nel suo commento ai sommari Dupont dice che la ragione profonda che decide del desiderio e della volontà di condividere sia la vita sia le cose, ciò che rende possibile questa esperienza è la fede nel Risorto. Solo la certezza della risurrezione ha la forza di vincere la radice di ogni nostra paura, ossia la paura della morte. È questa paura che, più o meno consapevolmente, spinge a ricercare sicurezze, a cominciare da quelle materiali, che in qualche modo possano garantire qualcosa della nostra vita.
La fede nella risurrezione libera da questo laccio, consente di lasciare tutto ciò che è superfluo, e di comprendere che la vera, unica ricchezza sono le relazioni autentiche, che rendono possibile la condivisione reale della vita e delle cose, secondo il principio evangelico che tutto ciò che viene trattenuto è inesorabilmente perduto, mentre tutto ciò che viene condiviso è inaspettatamente moltiplicato. Dunque la comunità cristiana che pone al centro della propria esperienza di vita la dinamica della condivisione si può dire propriamente una comunità del Risorto. In questo senso, la condivisione prima di costituire un gesto di servizio, o di solidarietà, prima ancora di offrire una prospettiva di ordine etico, sociale o politico, è innanzitutto la misura della fede nel Risorto.
Le risorse sono indicate nel nostro sommario come le quattro perseveranze. Va osservato che in un testo, che pure sottolinea la dimensione cultuale, la «frazione del pane» non è presentata al primo posto, ma viene dopo l'insegnamento degli apostoli e la comunione fraterna. La condivisione dei beni e la fraternità sono la testimonianza concreta della comunione eucaristica. È vero che l'eucaristia è al centro della comunità; ma è un centro che si fa animatore di carità.
Le rotture: la prima comunità cristiana comprende di essere altro dalla comunità giudaica e comprende che affermare la propria identità significa rifiutare l'idolatria, rendendo testimonianza solamente e unicamente, anche a costo della persecuzione e della marginalità, al Dio di Gesù Cristo, senza che questo significhi chiudersi in uno sterile desiderio di perfezione e in settarismo, ma continuando ad essere strumento di salvezza, che accoglie anche i più deboli nella fede.

Maria Grazia Papola
Mericianum, 1

25015 - Desenzano del Grada - Brescia
suorgraziasc@tiscali.it

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