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n.4
luglio/agosto 2015

 

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Il Capitolo Generale evento di comunione

 
di
ENZO BIEMMI

 

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Mi viene chiesto di parlare del Capitolo Generale come evento di comunione. Affrontare questo tema davanti a un'assemblea di persone che hanno una grande esperienza di governo e di partecipazione ai Capitoli non è facile. Meglio sarebbe un lavoro di ascolto reciproco, partendo dalle domande che ciascuna di voi ha e mettendo in comune esperienze, tentativi, soluzioni diverse. È sicuro che questa assemblea ha già in se stessa le risorse sufficienti per trovare le strade migliori per fare di un Capitolo generale "un evento di comunione". Per questo motivo, vi invito a prendere le mie parole come un semplice input alla riflessione e, spero, al dialogo.

L'apporto che intendo darvi non viene da una competenza specifica sul tema, ma da una lunga esperienza di Capitoli, sia generali che provinciali, ai quali ho partecipato e che spesso ho coordinato. Per la verità è un'esperienza che va oltre i Capitoli, che riguarda tanti luoghi nei quali ci si trova per operare una verifica, per discernere, programmare, prendere decisioni, progettare i passi da fare per attuare le decisioni. In tutti questi casi si tratta di un lavoro fatto insieme, che richiede una serie di atteggiamenti e di procedure che condizionano sostanzialmente i risultati. La posta in gioco ogni volta è quella di lavorare bene insieme.

Infine tengo a dire che non affronto tutte le questioni di un Capitolo, sia nella sua fase preparatoria che nella sua attuazione e nella sua applicazione. Non entro neppure in merito alle finalità di un Capitolo, finalità che vi sono note e che le Costituzioni proprie indicano sempre con precisione. Mi attengo al tema che mi è stato indicato. Mi è stato chiesto di evidenziare gli atteggiamenti profondi da mettere in atto perché un evento così importante per un Istituto diventi un'esperienza di comunione. Ma gli atteggiamenti, per quanto purificati siano, hanno bisogno di un orizzonte di fondo condiviso e debbono essere sostenuti da un metodo adeguato.

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Il risultato di questo percorso è l'approdo a un punto nel quale nessuno era e tutti si ritrovano. La comunione come traguardo (e non come dato di partenza) si raggiunge proprio quando tutti accettano di andare verso un appuntamento che non coincide con il punto di vista di nessuno. I pensieri di Dio sono un passo più in là dei nostri pensieri, e le nostre distanze salvaguardano la sua distanza. È forse questo l'aspetto che nella mia esperienza ho verificato più spesso, con sorpresa e gratitudine. Nella misura in cui tutti sono stati legittimati, tutti hanno liberamente espresso senza condizionamenti il loro pensiero, tutti si sono guardati dalla presunzione, allora improvvisamente ci si accorge, lavorando, che si è approdati a un punto più in là, che ci si trova ormai a un livello superiore o più profondo, in un terreno comune, nel quale ognuno ha mollato la presa e tutti (o almeno gran parte) sentono che stanno lavorando per una causa comune, la causa di Dio e non la propria. È così chiarito che la ricerca del consenso non elimina i conflitti, ma se ne nutre continuamente. Più si dà il tempo a ognuno di dire quello che pensa, più si rende possibile l'appuntamento di tutti verso un punto nel quale non abita ancora nessuno.

Come si esce da un Capitolo

Con quali atteggiamenti siamo chiamati a uscire da un Capitolo perché continui e si rafforzi la nostra comunione? Ne evidenzio due:

L'accettazione del limite. Non c'è Capitolo dal quale non si esca con la consapevolezza che si sarebbe potuto fare meglio e di più, e quindi anche con un po' di frustrazione. Rimane sempre un po' di amaro in bocca. Eppure questa imperfezione è una grande lezione ed è il cammino stesso dell'incarnazione. Accettare il limite è la condizione prima per fare passi avanti. Noi non possiamo dominare la storia. Possiamo però starci dentro disposti a servirla.

La disponibilità a fare la verità. La verità si raggiunge insieme facendola, e facendola la si incontra. Questo vuol dire che quanto viene discusso e deciso deve essere accompagnato dal desiderio profondo di sperimentarlo, di farlo diventare vita, altrimenti non sarebbe che puro esercizio letterario. Solo facendola, la verità intravista ci verrà incontro.

Un metodo adeguato

Un ultimo accenno, breve, deve essere fatto sulla metodologia messa in atto, perché essa è il più grande servizio che possiamo fare alla comunione. Papa Francesco si esprime così: «Un'individuazione dei fini senza un'adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia» (EG 33). Se il fine è di vivere un evento di comunione, l'adeguata ricerca dei mezzi si traduce in una grande cura metodologica.

Su questo punto, è chiaro, dovremmo affrontare molte questioni organizzative e metodologiche.

- Pensiamo, ad esempio, alla fase di preparazione, che deve coinvolgere tutti i membri di un Istituto, in modo semplice e diretto. Non è raro, infatti, che ci facciamo del male, complicando le cose, con questionari complessi, caricando di incontri sproporzionati le comunità, rischiando poi di tenere conto poco o niente di quanto emerso per incapacità di precisare obiettivi e modalità in fase di consultazione e poi per la fatica di leggere i dati emersi in fase di sintesi.

- Pensiamo anche all'importanza di pervenire a un Istrumentum laboris come risultato di una consulta a livello di Istituto, strumento che deve servire per i lavori capitolari. Anche su questo punto noi abbiamo assistito a documenti preparati con molta fatica e poi praticamente ignorati dai Capitoli, oppure così complicati da rendere difficile poi il lavoro per gruppi tematici o per commissioni. Ho imparato a mie spese che uno strumento semplice, breve, con alcune domande di fondo è l'ideale per lavorare e far lavorare. - Pensiamo all'importanza di un regolamento del Capitolo, di una metodologia corretta per i lavori nei gruppi tematici o nelle commissioni, della chiarezza sul documento finale, sulla sua natura e su come si arriva a scriverlo, discuterlo ed approvarlo.

- Pensiamo a come vanno predisposti i processi decisionali, fino alle votazioni.

La cura della metodologia è la forma che la carità assume nel costruire comunicazione e comunione.

Ognuno dei temi accennati merita approfondimento. Io segnalo semplicemente quello che mi pare sia ormai diventato un patrimonio comune: le tappe del processo di discernimento. Queste tappe a grandi linee riprendono i passaggi del vedere, giudicare, agire, ma con alcune significative variazioni.

- Il primo passo consiste nel dire sulle varie questioni affrontate a che punto ci si trova, come stiamo (vedere); alla luce della Parola di Dio, delle fonti carismatiche, degli appelli della Chiesa, dei segni dei tempi chiederci a quali conversioni siamo chiamati (giudicare; N.B. qui il "giudicare" ha il sapore del lasciarsi giudicare da Dio); decidere gli obiettivi e i passi concreti da fare per dare corpo al volto che il Signore ci chiede di assumere qui e ora nelle differenti situazioni in cui ci troviamo (agire). Non è necessario che questo processo in tre tempi sia rigidamente applicato su ogni questione che viene affrontata: deve essere piuttosto uno stile assunto costantemente, una forma mentis.

La scorciatoia più pericolosa è quella del vedere/agire (senza passare da un tempo di conversione), perché si arriva a decisioni affrettate e prive di interiorità, e quindi destinate a rimanere sulla carta.

Il passaggio fondamentale è quello centrale, quello della conversione. Esso permette di impostare il problema non in maniera estrinsecista, immaginando che basti cambiare strategie o regole. Si tratta di una conversione personale e comunitaria da operare.

Conclusione: il Capitolo esperienza pasquale

Il Cardinal Pironio, quando fu Prefetto per la vita consacrata, ebbe a dire: «Un Capitolo è sempre una celebrazione pasquale. Deve essere vissuto in un contesto essenziale di Pasqua, con quanto la Pasqua comporta di croce e speranza, di morte e risurrezione. Un Capitolo non è una semplice riunione di studio, un incontro superficiale o una transitoria revisione di vita. È portatore di una grande novità pasquale – una creazione nuova nello Spirito – e una ferma e impegnata speranza».

La dinamica pasquale attraversa tutta la vita religiosa e tutti i processi che essa mette in atto. In particolare le relazioni tra di noi sono segnate dalla Pasqua, da un lento processo di morte e risurrezione che vedrà il suo compimento solo oltre la storia. Fare di un Capitolo un evento di comunione è essere consapevoli che non c'è comunione che a caro prezzo: il prezzo che ciascuno è disposto a

mettere in conto perché la vita religiosa sia profezia non della concordia del paradiso terrestre, ma della comunione delle distanze, per la grazia del vangelo.

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1 «Mi attendo che "svegliate il mondo", perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia. Come ho detto ai Superiori Generali "la radicalità evangelica non è sola-mente dei religiosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico". È questa la priorità che adesso è richiesta: «essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra … Mai un religioso deve rinunciare alla profezia. Mi attendo dunque non che teniate vive delle "utopie", ma che sappiate creare "altri luoghi", dove si viva la logica evangelica del dono, della fraternità, dell'accoglienza della diversità, dell'amore reciproco. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la "città sul monte" che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù» (Lettera Apostolica del Santo Padre Francesco a tutti i consacrati in occasione dell'Anno della Vita Consacrata, 28.11.2014).

 

Enzo Biemmi

Fratelli della Sacra Famiglia

Catecheta e Direttore ISSR - VR

Via Fontane di Sopra, 3

37129 VERONA

enzobiemmi@alice.it

 

 

 

 

 

 
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