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n.4
liglio/agosto 2015

 

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Tra voi sia così
l'autorità come servizio pasquale

 
di
FERNANDA BARBIERO

 

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L'approccio al tema de "l'autorità come servizio pasquale" non è abituale e non è facile. Non è semplice il tema dell'autorità, specie nel contesto attuale di autoreferenzialità crescente e di bisogno di autonomia. In esso si intrecciano trame culturali, politiche, prospettive antropologiche e teologiche, coltivate in differenti contesti sociali. L'autorità, nella vita religiosa sembra vivere, al presente, una "pasqua", una "debolezza" di fronte a un futuro che avanza tra cambiamenti impetuosi. Sta conoscendo un "esodo", una traversata nel deserto, carica di fatica, ma anche di scoperte e di acquisizioni essenziali. Sta misurandosi con un "momento pasquale" in cui qualcosa certamente muore, ma, insieme, qualcosa rinasce nella continuità di ciò che resta fondamentale.

Un'autorità alternativa

Autorità è, da sempre, una parola che indica una relazione di diseguaglianza tra le persone. Non così per il Vangelo. Gesù propone un'autorità, alternativa e differente. Gesù propone un nuovo stile di autorità, che passa dal potere, al servizio. Un'autorità che assume la debolezza e l'esclusione di donne e di uomini messi al margine della società ufficiale e, la maggior parte, per motivazioni di tipo religioso. Per queste persone, l'autorità rievoca una situazione di sfruttamento o di incomprensibili obbedienze; portare pesi enormi e insopportabili, imposti da altri che, da parte loro, "non li toccano nemmeno con un dito" (Mt 23,4).

È comunque significativo che Gesù non si preoccupi di trovare un termine che sostituisca la parola "autorità". Ma c'è un dettaglio essenziale da considerare: in Gesù il riferimento all'autorità passa attraverso l'immagine del "servo di Dio" (Gv 13,1-17): il senso dell'autorità viene dal suo servizio.

Nella storia della Vita Religiosa sono apparsi diversi modelli di autorità, sono state narrate esperienze di vita differenti su questo argomento. In Basilio (330-379) chi ha autorità non è il capo, il rappresentante di Dio, ma è l'occhio attento in una fraternità. In Benedetto (480-547) l'autorità è centrata sulla figura del padre, come il termine Abate esprime. Francesco (1181-1226) chiama coloro che hanno autorità non "capi o signori" ma ministri e servi dell'obbedienza, dato che il loro servizio entra in una prospettiva eminentemente teologica, costituita da una scala di valori al cui vertice non è più l'autorità del ministro, ma la volontà di Dio. All'autorità spetta il servizio dell'obbedienza alla voce di Dio, l'ascolto e il compimento della sua volontà. L'autorità altro non è che mediatrice di tale ascolto per i fratelli. Per Ignazio (1491-1556), in cui sono evidenti gli influssi del tempo e della sua esperienza militare, chi ha autorità è un capo, è l'interprete della volontà di Dio (Cost., VIII I.8 Scritti). (Cf R. COZZA, L'autorità religiosa, oggi, in Testimoni, 1/2008, 13).

Chiamati a risvegliare identità

Avvicinandoci alle intuizioni originali, che hanno motivato il sorgere della vita religiosa e che riaffiorano tutte le volte che questa si ripensa e si rilegge nella storia, il significato di "autorità" va cercato in un orizzonte più mistico di quanto noi oggi percepiamo. L'autorità sospinge alla ricerca del mistero che vi soggiace, ha bisogno dell'incontro, della "diakonìa" per esprimersi. L'autorità è chiamata a risvegliare identità, iniziativa, partecipazione; a comporre fraternità come riserva di autentica umanità.

L'autorità ha la funzione di essere a servizio della crescita delle sorelle custodendo, nel contempo, l'autenticità del carisma e la verità di ogni persona. "L'autorità è la prima a dover obbedire a Dio e alla fraternità cercando il bene e la felicità di ciascuno e dell'insieme" (P. Arnold).

In questa prospettiva, emerge la necessità di vivere relazioni possibili, rigenerate, relazioni nuove tra di noi. Relazioni che scaturiscono dalla "forma pasquale della vita", dal ritorno alla sorgente battesimale da cui tutto comincia. L'autorità deve tornare alla sorgente. E tornare alla sorgente, nel caso dell'autorità significa separarla sempre da tutti i suoi possibili significati umani di potere, per tornare alle relazioni più vere della koinonia evangelica.

L'autorità, infatti, non esprime se stessa nel comandare, ma nel servire la salvezza, operando in modo che la salvezza possa raggiungere le persone su cui si governa. Il servizio dell'autorità, allora, è un'opera di amore! E, amare qualcuno è riconoscere il suo dono, aiutarlo a esercitarlo e ad approfondirlo. Il riconoscimento del dono scaturisce da uno sguardo d'amore. Gli occhi di chi ama, sono occhi che sanno intravedere, capire, accogliere il dono, la grazia che ogni persona è.

Custodi, non padroni

Amare è avere un cuore che sa custodire. Sì, l'autorità è custode, non padrone. La parola "custodia" evoca la percezione che l'altro è abitato, che le cose sono abitate, che un mistero le fa sacre. "Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa" (Es 3,5). Viene da qui una delle malattie dell'autorità: non sentirsi più custodi del fratello.

E se tornassimo ad avere l'occhio di un padre, di una madre, per guardare ogni persona come creatura che ci è affidata, che ci riguarda, che ha un legame con noi?

Il servizio pasquale dell'autorità chiede di educarci alla novità dello sguardo, a un cambio di visione. Ti chiede di tenere l'occhio alla pagina della vita che stai leggendo, al volto che stai incontrando, all'emozione che ti sta sfiorando. Il servizio dell'autorità è una condizione che ti è data, e che va vissuta come grazia. Perché il servizio d'autorità è 'pro tempore': è per un tempo, non è tutto! Questo fa la differenza. Per cui non conviene starci altezzosi e cinici, ma liberi e spogli nel succedersi di quella sana circolarità, "un passaggio di testimone" che si rivela salvifico… per tutti. Così che si è chiamati a essere padri, madri per altri, ma alla fine, e soprattutto, si è discepoli in cammino, dietro al Signore, figli dell'unico Padre e quindi sorelle e fratelli tra noi.

L'orizzonte della koinonia

Nell'ottica dell'amore l'autorità si allarga in un orizzonte spirituale che vivifica, cioè permette alla vita di espandersi, di uscire dal gioco dialettico in cui l'autorità si rinchiude in un ruolo. L'ampiezza di questo orizzonte è la "comunione".

La proposta di relazioni nuove si gioca esattamente nell'orizzonte della "koinonia", della comunità. Nel linguaggio evangelico, "koinonia" indica circolarità, dinamismo eucaristico, reciprocità, in cui il valore più vero è la condivisione del bene e dei beni (At 2,42-47; 4,32). In questa circolarità, in questa condivisione, fa ingresso l'obbedienza che risveglia la responsabilità e l'iniziativa di tutti e di ciascuno.

Ripensare l'autorità nell'orizzonte del mistero pasquale, quindi, non significa cercare novità, ma cercare autenticità e motivare profondamente il significato delle proprie scelte di vita. "Parlare di autorità non è dunque riaffermare o dare un significato a un ruolo, ma piuttosto separare l'autorità da tutto ciò che l'ha resa un ruolo, anche quando la si pensa come servizio. Se il significato dell'autorità riposa nel ruolo, il discorso diventa difficile e anche l'idea di comunità cambia e con essa il suo fine. Perciò la dinamica dell'autorità, in una prospettiva di koinonia, nasce dal basso Si tratta di un riconoscimento, che nasce in un cammino di ricerca, in una comunità di persone. Ciò che la giustifica è l'incontro faccia a faccia con l'altro o gli altri, relazione irriducibile, come direbbe Emanuel Levinas" (A. Potente, in Credere oggi, 122/2001, 91).

La mistica dell'autorità

Perché l'autorità non si rinchiuda in un ruolo occorre raccogliere i fili del desiderio divino e riscoprire la trama sottile che lo compone. Bisogna partire dalla grandezza dell'origine e riconoscendo il limite delle persone in cui il mistero trova luogo. Un approccio che garantisce l'incontro tra divino e umano e dà il significato più bello dell'autorità perché unisce, nella libertà dell'incontro, il divino e l'umano.

In questa prospettiva, l'autorità è ricollocata nella sua luce più vera e riscoperta nel suo significato più profondo. È ricondotta a quell'intuizione divina di cui la Trinità è l'espressione. Perciò la chiamata all'autorità è appello a formare umanità, a ricostruire relazioni vere con le persone e con la creazione. In effetti, uno dei più grandi errori è stato quello aver separato l'autorità da ciò che ne è l'esperienza mistica per rinchiuderla in una sintesi di rapporti umani. Così è stata ridotta ad alcune componenti giuridiche, ascetiche che hanno contribuito a ingessare le sue possibilità espressive. Urge aprire alla sua origine spirituale, mistica, che spinge al servizio dell'unità, che dà vita a relazioni nel segno della fiducia, condizione imprescindibile per quella circolarità di appartenenza e di interiore libertà propria della vita fraterna in comunità.

"No" a un'autorità funzionale

Potremmo chiamare quanto sopra ricordato "mistica dell'autorità". Si tratta di un'autorità che si va articolando intorno alla sapienza, che non si sente chiamata a far tutto, a conoscere e a risolvere tutto. Non impone il suo modo di pensare e di stare al mondo. Non è l'autorità "funzionale", "tutto fare", "manageriale". Una tale autorità è incapace di lasciare qualche spiraglio per lo Spirito, affinché ci scuota con la sua capacità di trasformarci di rinnovarci. L'autorità sapiente è un'autorità che non comanda sugli altri, ma piuttosto ha profondamente bisogno degli altri; è colei che permette agli altri di vivere uno stile di rapporti liberanti e maturi. Per questa autorità, gli altri hanno un'autorità propria, la aiutano, la proteggono e, in questo senso, è un'autorità "al rovescio": vale a dire l'autorità non è qualcuno a cui si va per chiedere "permesso", ma si va per essere "accolte e riconosciute" come un bene, come una risorsa per la vita di tutte. Infatti, la ricchezza di una comunità sono le persone, così che è gioia quando tutte sentono di essere confermate come dono per gli altri. Perciò il mandato dell'autorità è orientato a discernere gli spiriti, corresponsabilizzare, infondere anima, favorire dinamismi di crescita interiore, far convergere verso un progetto, facilitare obiettivi di missione, allargare gli orizzonti.

"Sì" a un'autorità spirituale

Si comprende allora che l'autorità come servizio pasquale è un'autorità spirituale. Un'autorità che rimane in ascolto di Dio e conduce a Dio le sorelle. Per questo è "madre". Non la sostituta della madre naturale, ma madre al modo di Cristo in mezzo ai suoi discepoli: aiuta ogni sorella a scoprire il suo radicamento in Dio ed è a favore di ogni persona. L'autorità spirituale non fonda la sua esistenza sulla persona amica o nemica, ma su Cristo Signore che dice "sono venuto per servire e non per essere servito" (Mt 20, 27-28). Non è confermata dal successo o dal fallimento, ma dall'umiltà, dall'onestà, dall'ascolto di tutte. Perciò rinuncia al potere e si incammina nel passaggio pasquale di un servizio che lascia alle spalle la sottile tentazione di dominare, di condizionare gli altri, di influenzare le loro emozioni per il raggiungimento dei propri scopi. L'autorità spirituale è un dono di Dio. Il dono è grazia con cui misurarsi ogni giorno e ridisegnare il volto dell'autorità con semplicità e nell'umiltà.

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Lettori e lettrici di Consacrazione e Servizio,

il numero che avete tra le mani, insieme alle consuete Rubriche propone un Dossier speciale: sono gli Atti della 62° Assemblea nazionale delle Superiore Maggiori d'Italia. Assemblea celebrata nel cuore dell'Anno della Vita Consacrata e centrata sull'arte e sulla grazia del "passaggio" applicata al servizio dell'autorità.

I mutamenti della società profondi e complessi che coinvolgono la stessa Chiesa non lasciano immune la realtà della Vita religiosa, provocandola a un nuovo stile di vita e di governo.

I diversi contributi, frutto di un lavoro di interessante collaborazione con qualificati esperti sui temi attinenti l'autorità nella Vita consacrata, sembrano arricchire di colorazioni nuove, di provocazioni stimolanti il servizio dell'autorità, in modo tale da dare possibilità a un dialogo tra chi scrive e chi legge, tra chi osa intuire e chi si lascia ispirare.

Affido, alla vostra attenta lettura, le pagine che seguono.

 

Fernanda Barbiero

Suore Maestre di S. Dorotea

Via Raffaele Conforti, 25 – 00166 Roma

fernandabarbiero@smsd.it

 

 

 

 

 

 
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