n. 9
settembre 2002

 

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Valori della vita consacrata
e nuove comunità monastiche italiane
di Mario Torcivia
 

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Non sono un religioso né un monaco - almeno nel senso tradizionale. Sono un semplice sacerdote diocesano o “secolare”, come si dice [… ma] la nostalgia di scelte di vita tanto radicali e il bisogno di confrontarsi con esse fanno parte dell’esperienza di ogni autentico credente. Non può che essere così. Altrimenti monachesimo e vita religiosa si ridurrebbero a situazioni privilegiate, elitarie, per pochi “addetti ai lavori”, e non conserverebbero la loro efficacia provocatoria per la vita della chiesa e del mondo (G. Piana, Per continuare a sperare, in «Servitium» III 14 [1980/12].

 

Premessa

Il presente articolo non ha la pretesa di voler essere una riflessione compiuta ed esaustiva sui valori della vita consacrata; infatti numerosi sono gli autori e le autrici che, sicuramente, a maggior titolo e competenza rispetto a chi scrive, possono ben evidenziare gli aspetti propri e costitutivi della vita consacrata.

Qual è, allora, il punto di vista, la prospettiva dalla quale si muove il nostro contributo?

Avendo avuto modo di studiare le nuove forme di vita monastica sorte in Italia nella seconda metà del secolo appena trascorso1, desideriamo evidenziare il contributo, lo sprone che alcune scelte di queste nuove comunità possono apportare, a nostro modesto avviso, alla riflessione sulla vita consacrata e all’impostazione concreta di vita degli Istituti di vita consacrata.

Gli aspetti che andremo ad evidenziare intendono essere, pertanto, solo dei brevi spunti pratici di riflessione che nascono proprio dal vissuto di queste nuove comunità, oltreché da alcune nostre idee personali.

Sarà, pertanto, cura di chi legge farsi interrogare - ovviamente, se vuole e crede - in ordine all’una o all’altra dimensione presente in esse, qualora venga ritenuta veramente significativa per una riflessione sulla vita consacrata. Infine sarà sempre del lettore la libertà di discernere se quanto andremo a descrivere in queste pagine può anche interpellare la modalità concreta attraverso la quale il proprio Istituto di appartenenza vive, nel qui ed ora, la sequela Christi propria della vita consacrata

Prima di addentrarci nell’argomento, solo due righe sui motivi che hanno portato alla nascita di queste nuove forme di vita monastica.

Le nuove comunità si situano all’interno del rinnovamento della vita consacrata, e monastica in specie, avutosi in Europa e nel nostro Paese grazie anche alla riflessione di uomini (monaci e non) che con i loro studi hanno “smosso” la terra di un campo da lungo tempo poco arata, all’ultimo evento conciliare celebratosi e a quanti hanno realizzato concretamente altre forme di dire la vita consacrata e la vita monastica nella società occidentale contemporanea2.

 

Ma… quali valori?

Esponiamo ora alcuni dei valori e delle caratteristiche della vita consacrata così come emergono dalle nuove comunità.

Un primo valore è dato dalla centralità dell’ascolto della Parola di Dio.

Nate in pieno rinnovamento ecclesiale, grazie alla novità conciliare, queste nuove forme non hanno avuto alcuna difficoltà a fondare la propria vita spirituale e liturgica non tanto su devozioni e spiritualità di altri tempi e culture quanto sulla Parola.

Il recupero della centralità della Scrittura - opera tra le più importanti e meritorie del Vaticano II - ha trovato queste comunità abbastanza consapevoli del posto da accordare alla Parola nella vita spirituale comunitaria e nella formazione dei propri membri.

Uno dei messaggi che esse dicono oggi all’intera vita consacrata, in special modo agli Istituti che presentano un numero considerevole di anni di vita, e che, a volte, si presentano un po’ restii ai cambiamenti, è che deve essere la Parola il nutrimento essenziale della vita spirituale.

Affermare questo significa conseguentemente comprendere nella prassi quotidiana che, ciò di cui fino ad alcuni decenni fa non si poteva fare a meno - recita di coroncine e giaculatorie, letture agiografiche edificanti ma a volte oleografiche e, dal punto di vista liturgico, atti di devozione e pietà sganciati sovente dalla Parola - oggi necessita un maggiore discernimento.

Da qui, allora, anche la centralità della recita dei salmi, della lectio divina nella preghiera personale perché, anche quando si è soli nella propria stanza, sia sempre la Parola a nutrire il religioso.

Un’altra caratteristica ben accentuata delle nuove comunità è la qualità dei rapporti personali, il largo spazio dato ai rapporti fraterni.

Sarà, certo, anche per la giovane età di esse e dei loro membri, ma è innegabile lo stile accogliente che esiste tra gli appartenenti a queste nuove forme di vita monastica. La vita comunitaria è volutamente contraddistinta da una reale comunione tra i membri. E ciò diventa anche una delle forme di apostolato maggiormente comprese da chi trascorre dei giorni come ospite presso di loro. È il “guardate come si vogliono bene”, di lucana memoria, che interroga positivamente non solo il non credente ma anche colui che crede. A volte, infatti, la percezione che si riceve dagli Istituti tradizionali è quella di una vita comunitaria caratterizzata da sospetti, piccinerie, silenzi soffocanti; in una parola, da asfissia della comunione che, invece, dovrebbe esistere tra uomini e donne che hanno deciso di spendere tutta quanta la loro esistenza per il Signore e i fratelli.

La qualità e lo stile comunionale è anche una delle motivazioni che attraggono i giovani in discernimento vocazionale a scegliere queste nuove comunità per vivere la sequela Christi.

La vita di comunione si nutre anche del tempo, qualitativamente buono, che i fratelli trascorrono insieme. E qui si apre il capitolo del lavoro apostolico, delle tante opere pastorali.

La precisa suddivisione dei tempi della giornata che troviamo in queste comunità è un ottimo stimolo di riflessione sul rischio che l’assolutizzazione del lavoro apostolico può far correre alla vita comunitaria. Quando un fratello/una sorella o la comunità stessa è totalmente assorbita dal lavoro apostolico, ristretti possono rimanere i margini di tempo per vivere tra confratelli/consorelle l’incontro interpersonale, la preghiera, e quant’altro costituisce la vita religiosa comunitaria. E’ infatti necessario che il lavoro apostolico ad extra non costituisca un alibi, una maschera per non impegnarsi e, meno che mai, disinteressarsi della vita comunitaria.

Altro valore che vi ritroviamo è il riandare alle fonti della vita consacrata. Questo ha fatto sì che queste nuove forme di vita monastica non presentino il problema - che ritroviamo invece sovente negli altri Istituti - dell’osservanza di tante tradizioni, anche se ormai svuotate di senso, ma riproposte solo perché “si è fatto sempre così”. Oggi specialmente è venuto meno il tempo in cui aveva una certa forza la suddetta affermazione. Non si tratta di ribadire la validità delle cose da sempre fatte solo perché, appunto, “da sempre fatte”. Si tratta invece di saper contestualizzare, e quindi relativizzare, e a volte anche sbarazzarsi, di tutte quelle tradizioni con la “t” minuscola frutto solo dell’epoca storico-culturale in cui sono nate ma che non ineriscono allo spirito e all’essenza della vita consacrata.

Questo comporta la fatica della mediazione culturale dei valori della vita consacrata, sapendo discernere quelle cose che sono realmente essenziali e fondanti e quelle che invece sono frutto solo di un sentire ormai passato. Ma è una fatica che, pur con la sofferenza che comporta, snellisce da tante sovrastrutture, rendendo la vita consacrata maggiormente povera e, quindi, pronta per vivere sempre più in profondità l’avventura evangelica.

Altra caratteristica presente invero solo in alcune nuove comunità, è la possibilità che viene data ai singoli membri di far fruttificare i doni, intellettuali e non, ricevuti dallo Spirito.

Secondo queste nuove forme di vita monastica, la vita comunitaria, infatti, non deve mortificare i carismi che la persona reca, ma anzi, deve diventare il luogo dove questi doni vengono spesi per il maggiore giovamento della comunità stessa e della chiesa tutta.

La comunità ha sempre da guadagnare ogni qualvolta un proprio membro può arricchirla con quanto è capace di realizzare. Ecco perché deve essere attenta a non spegnere il carisma, l’originalità precipua, la competenza specifica in un campo di studio o di lavoro che il soggetto porta con sé, ma anzi, a sempre valorizzarli. Ne va, innanzitutto, del bene e dell’equilibrio della persona, ma altrettanto preziosa è la ricaduta comunitaria.

La stragrande maggioranza di queste nuove forme è costituita da uomini e donne che, pur nella diversità dei luoghi, vivono insieme, intessendo dei rapporti che desiderano essere improntati alla più vera e autentica fraternità.

In una società quale l’attuale in cui, fin dai primissimi anni di vita, uomini e donne vivono gomito a gomito, queste comunità affermano, con il loro essere monaci e monache insieme, la bellezza di una vita comunitaria nella quale la presenza di ambedue i sessi va a sicuro vantaggio della qualità di vita umana e religiosa.

Certo, ciò esige una continua e vigile attenzione e discrezione nei rapporti interpersonali, come anche un cammino formativo che rispetti la precipua identità sessuale dei membri della comunità, accomunati da un unico desiderio: vivere radicalmente la medesima vita evangelica.

 

Altre connotazioni

Un’altra caratteristica che ritroviamo in alcune nuove comunità è l’accoglienza nei riguardi di tanti uomini e donne alla ricerca del Signore o, quantomeno, desiderosi di trovare un senso per la propria vita.

Costoro trovano nella vita semplice, sobria nel “linguaggio umano” un ambiente capace di ascoltare, dialogare e, solo alla fine, pronto ad offrire una parola a questa ricerca di senso. La scelta di queste nuove forme di vita monastica è quella di essere continuamente attente al sentire della società contemporanea, con le sue mille contraddizioni, a percepire, e quindi accogliere, la complessità del vivere umano e i tanti interrogativi di fondo presenti nei nostri contemporanei; ciò senza avere la benché minima pretesa di fornire risposte preconfezionate, ricette pronte, esatte nella loro verità oggettiva, ma incapaci di parlare in profondità al cuore dell’uomo.

Inoltre, largo spazio viene dato alla dimensione del silenzio esteriore. È questo, certamente, uno dei più importanti valori umani e cristiani, ma sovente assente in tante comunità religiose. La fatica di trovare, però, un clima di silenzio personale e comunitario, deve essere una delle priorità della vita consacrata per custodire e nutrire la vita interiore dei suoi membri. Non è possibile proferire una parola salutare per il fratello/la sorella se non si vive all’interno di un clima che permette l’ascolto interiore di Dio e di se stessi. E la custodia del silenzio esteriore è certamente di aiuto per vivere questo ascolto interiore.

In ordine alla preghiera, ci sembra interessante il primato che questa detiene nelle nuove comunità, i cui membri, per regola, devono essere fedeli alla preghiera personale in camera, per ritrovare l’unità profonda in tutto ciò che fanno durante la giornata e imparare sempre più, grazie all’esperienza quotidiana, l’arte di stare alla presenza del Signore.

Difficilmente, poi, ci si esonera dalla preghiera comunitaria, durante la quale, solo per fare un esempio molto attuale, nessuno si alza per rispondere al telefono che squilla, meno che mai si esce dalla cappella, interrompendo la preghiera, per rispondere al proprio cellulare che vibra in tasca.

Tutto questo è segno reale, nella concretezza della vita quotidiana, del primato che l’incontro con Dio, del quale la preghiera rappresenta il mezzo privilegiato, deve avere nella vita del religioso.

Un capitolo a parte riguarda l’uso della televisione.

In quasi tutte le nuove forme di vita monastica l’apparecchio televisivo è bandito. I loro membri, infatti, hanno scelto di trascorrere il tempo serale vivendo l’incontro interpersonale, il giusto riposo e lo scambio epistolare.

Notevole spazio viene assicurato anche al semplice ritirarsi nella propria camera per stare nel silenzio con se stessi a conclusione di una giornata in cui il religioso si è ritrovato ad essere sempre accanto a tante persone.

Qualche breve notazione, ancora, riguardo alle case e alle strutture abitate dai membri di queste nuove comunità.

La loro scelta di fondo è quella della sobrietà e della povertà dei luoghi. Certo, come già abbiamo avuto modo di dire, questo dipende dalla loro giovane età: non hanno avuto nessuna realtà alle spalle come, d’altra parte, è avvenuto agli inizi della storia di ogni Istituto di vita consacrata. Ciononostante, questo può rappresentare uno stimolo per gli Istituti, spesse volte proprietari di tanti e immensi edifici la cui sola manutenzione, tra l’altro, necessita di cospicue risorse economiche.

Certo anche in noi vi è la consapevolezza che questi immobili sono frutto di “sacrificio” delle precedenti generazioni di confratelli/consorelle e che questo implica difficoltà nel disfarsene, ma ci sembrerebbe un segnale chiaro di testimonianza, sia nei confronti del voto di povertà che dei fratelli bisognosi, quello di lasciare alcune proprietà, tenendo anche conto dell’avvenuta diminuzione del numero di membri in parecchi Istituti.

Un’altra caratteristica di queste comunità è il cercare di essere un “luogo” dove si vive la ricerca di Dio, tralasciando tutto ciò che non le inerisce strettamente e privilegiando, anzi, l’arte della conoscenza divina e quant’altro si presenti strettamente connesso alla vita spirituale.

Crediamo che, in questo campo, la testimonianza di queste nuove forme di vita monastica si mostri alquanto netta perché dicono con estrema evidenza l’unum necessarium della vita consacrata. E le numerose persone che si recano presso di esse per imparare a pregare, conoscere il Signore nutrendosi della Scrittura, lottare spiritualmente, ecc. sono un’ulteriore conferma di quello che una buona fetta di credenti desidera e si aspetta dalla vita consacrata.

Infine, una riflessione sull’opzione di fondo che le nuove comunità hanno fatto in ordine alla loro collocazione ecclesiale.

Esse hanno scelto di rimanere all’interno del tessuto ecclesiale diocesano - da qui la scelta di configurarsi canonicamente come “associazioni pubbliche/private di fedeli” - consapevoli della riscoperta della centralità della Chiesa locale operata dal Vaticano II.

Volutamente radicate nella compagine ecclesiale di un determinato luogo, le nuove comunità invitano le Chiese particolari a riappropriarsi della vita consacrata. Per tutto il primo millennio, d’altronde, in Occidente questa era un carisma vissuto nella Chiesa locale, senza alcuna esenzione.

La scelta delle nuove comunità può essere di stimolo, allora, per i nuovi Istituti di vita consacrata perché riscoprano la piena appartenenza alla Chiesa particolare che li ha generati, non aspettando il numero necessario di professioni perpetue per essere riconosciuti di diritto pontificio, ma restando parte integrante della suddetta Chiesa locale nella quale lo Spirito li ha suscitati, insieme a tutte le altre vocazioni - presbiterali, matrimoniali, ecc. - che impreziosiscono una comunità diocesana.

 

Considerazioni conclusive

Siamo arrivati al termine di questa carrellata di spunti riguardanti aspetti diversi, ma volutamente concreti e interrogatori, della vita consacrata (dalla preghiera, all’uso della televisione, dai rapporti fraterni alla centralità della Parola, ecc.) che le nuove comunità, a nostro avviso, possono offrire per la prassi quotidiana degli Istituti.

Certo, il fatto che nell’attuale panorama ecclesiale fioriscano sempre più numerose nuove forme di vita consacrata - anche se siamo consapevoli che saranno gli anni a venire che opereranno il necessario discernimento - ci fa beneficiare della continua presenza dello Spirito.

Di sicuro, molti Istituti cesseranno per assenza di vocazioni e, forse, anche per incapacità di riscrivere/attualizzare il carisma del fondatore nelle mutate esigenze socio-culturali3. Altri, però, prenderanno il loro posto, con modalità nuove, capaci di parlare il linguaggio ecclesiale e culturale contemporaneo. La vita consacrata, al di là delle forme concrete di inveramento, resta sempre, infatti, uno dei doni essenziali che il Signore elargisce e che non farà mai mancare per la santità della sua Chiesa.

A nostro avviso, gli Istituti di vita consacrata dovrebbero cogliere quanto di buono proviene dalla vita delle nuove comunità per scrostare quanto può essersi aggiunto alle iniziali intuizioni del fondatore e che ha appesantito, a volte, la testimonianza di radicalità evangelica presente agli inizi.

D’altra parte le nuove comunità devono potere attingere dagli Istituti di vita consacrata quella sapienza che proviene dalla loro plurisecolare storia, che ha attraversato diverse stagioni ma che testimonia l’assistenza della forza dello Spirito. Ed è proprio la loro esistenza che permette di poter dire una sempre viva ed attuale parola evangelica alla Chiesa e alla società contemporanea.

 

1. Cf il nostro: Guida alle nuove comunità monastiche italiane, Piemme, Casale Monferrato 2001.

2. Per una più approfondita presentazione di ciò che ha portato alla nascita delle NC, rimandiamo alle prime due pagine del nostro articolo: Verso un nuovo monachesimo, in «Testimoni» 23 (54) (2000/8) 23-29.

3. Al riguardo, ci permettiamo di ricordare come la morte è parte della parabola umana. E come un organismo umano nasce, cresce, diventa adulto, invecchia e, infine, muore, così anche un Istituto di vita consacrata vive tutte queste fasi. Per questo, bisogna prepararsi anche a saper sparire, con sapienza evangelica, dalla scena ecclesiale.

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