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n. 7/8
luglio/agosto 2001

 

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Padre Maurice Borrmans

(Islam)

Io non parlerò dell’Islam, ma dei musulmani e delle musulmane. Mi pare sia molto importante questo piccolo "distinguo" all’inizio del mio intervento. Tanto più che, ricordando la visita del Santo Pade, molti anni fa, alla Sinagoga di Roma, dove lui ha avuto il coraggio di chiamare gli ebrei "nostri fratelli maggiori" (sono decine di milioni nel mondo), penso che sia opportuno anche parlare dei nostri "fratelli minori": sono un miliardo. Ormai ne troviamo per le strade di Roma, Milano, Firenze e Venezia, così come loro trovani dei cristiani nelle strade di Riad o del Quatar. Vale a dire che ovunque, nel mondo, siamo vicini di casa. Saremo davvero vicini tramite l’amicizia, il servizio comune? Non si può più, nella nostra Italia, vivere come se la società fosse solo cristiana, di cultura, di tradizione e anche di fede. Se prendo le ultime statistiche proposte nel libretto "Catecumeni provenienti dall’Islam", noto che metà degli extracomunitari oggi in Italia sono di fede musulmana: marocchini, tunisini, somali, egiziani, bengalesi, pachistani… Non si può più nelle nostre scuole pensare di fare una catechesi che non tenga conto delle grandi religioni del mondo, e dunque del vicino di casa che talvolta va in Moschea, o mi parla del suo Corano.

Tanto più che l’informazione quotidiana ed il turismo permettono agli italiani di porsi delle domande: "Che cosa significa la religione degli altri?". Davanti a questi fatti siamo chiamati tutti noi, e soprattutto noi responsabili della catechesi, dell’insegnamento e della pedagogia pastorale fra le nostre comunità in Italia, in Europa, in Asia e Africa. Siamo chiamati ad essere informati e, prima o dopo, formati di quel che riguarda i musulmani. delle loro tradizioni culturali, poiché non tutti sono simili: il musulmano arabo non è come quello pachistano o indonesiano o indiano. A conoscere la vita dei musulmani, ma soprattutto la dimensione spirituale di questa loro vita. E, dall’altra parte, ad avere qualche informazione sul loro Islam, vale a dire dal punto di vista della religione, ma anche dello stato e della cultura. Ed è proprio qui che, dopo 14 secoli di confronti, di cui prende coscienza il Vaticano II, abbiamo avuto, con il Concilio, due documenti importanti che ci hanno permesso, da allora in poi, di rinnovare il nostro sguardo, di avviare un dialogo e soprattutto, di approfondire una emulazione spirituale.

Ricordate che la Costituzione Dogmatica sulla Chiesa al Cap. 2, num. 16, dice: "Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il creatore, ed in particolare i musulmani. I quali, professando la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale". Questo testo è forse più importante di quanto non lo sia "Dichiarazioni sulla relazione della Chiesa con le Religioni non Cristiane" (Nostra Aetate). Nel num. 2 si parla del buddismo e dell’induismo. Nel num. 3, non si parla dell’Islam: si parla dei musulmani e della loro esperienza spirituale.

La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente. Vocaboli coranici e biblici nello stesso tempo. Creatore del cielo e della terra, che ha parlato per i musulmani come per noi e per i Giudei. Dio non è muto: parla e manda profeti.

Essi cercano di sottomettersi ai decreti di Dio con tutto il cuore, anche a quelli nascosti (c’è spazio per il mistero), come si è sottomesso Abramo nella fede Islam e cui si riferisce volentieri. Benchè essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano come profeta, e da quel punto di vista gli islamici ci sono più vicini di quanto non lo siano gli ebrei. Essi onorano sua madre Maria Vergine, e talvolta la invocano con devozione. Inoltre, attendono il giorno del giudizio in cui Dio retribuirà tutti gli uomini resuscitati. E così essi hanno pure in stima la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto conla preghiera, l’elemosina e il digiuno.

Se nel corso di 14 secoli non pochi dissensi sono sorti tra cristiani e musulmani, il Concilio esorta a dimenticare il passato, a "purificare la memoria" (Santo Padre), e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione. Nonché a promuovere e difendere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Mi pare che questi due testi del Vaticano II, sono stati da quasi 40 anni commentati, sviluppati e precisati da tanti testi Magisteriali, dal Consiglio per il dialogo Interreligioso, e da Vescovi a livello internazionale.

Basta pensare al "Redemptoris Missio", che il Santo Padre ha dato 10 anni fa, e che ha preceduto di quasi un anno un testo congiunto del Pontificio Consiglio per il dialogo Interreligioso intitolato "Dialogo e annuncio" (1991).

Leggiamo nella Missio: "Il dialogo con i fratelli delle altre religioni è considerato dal Santo Padre come una delle tante forme dell’evangelizzazione. Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è una attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità. E’ richiesto del profondo rispetto per tutto ciò che nell’uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. E con esso la Chiesa intende scoprire i germi del verbo, i raggi della verità che illuminano tutti gli uomini che si trovano nelle tradizioni religiose dell’umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e sulla carità, e porterà frutti allo Spirito. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa, la stimolano sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell’azione dello Spirito, che ad approfondire lapropria identità e a testimoniare l’integrità della rivelazione di cui è depositaria per il bene di tutti.

L’interlocutore deve essere coerente con le proprie tradizioni e convinzioni religiose ed aperto a comprendere quelle dell'altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con lealtà, umiltà, verità, sapendo che il dialogo può arricchire ognuno".

Penso che questa descrizione delle condizioni importanti del dialogo si rivelano sempre di attualità. Non mancano i vari documenti le varie Chiese hanno proposto. E a livello italiano ricordiamo uno dei primi testi: la lettera alla cittadinanza di Milano dal Cardinale Carlo Maria Martini, 10 anni fa "Noi e l'Islam"; il libretto della Diocesi di Brescia sui matrimoni misti, tra parte cattolica e parte musulmana; il piccolo documento della Commissione triveneta per l'ecumenismo ed il dialogo interreligioso e, ultimamente, la Conferenza Episcopale dell'Emilia Romagna "Islam e Cristianesimo". Non mancano i documenti. I problemi si presentano nella vita quotidiana e soprattutto nella nostra pastorale evangelica: di sapere come organizzare la convivenza nel rispetto reciproco da una parte e nell’emulazione spirituale dall'altra. C'è il problema dei luoghi del culto (le Moschee); il problema delle scuole, che allo stesso momento spesso accolgono tanti ragazzi e tante ragazze di fede musulmana. (Come si può vivere insieme?)

Insegnare religione o religioni (al plurale)?; te poi tanti problemi di pedagogia...

E qui dobbiamo riconoscere che tanti genitori musulmani preferiscono spesso alla scuola statale o alla scuola musulmana, una scuola cattolica, perché sanno benissimo che da noi c'è una pedagogia personalizzante. Ed è una prima tappa nel riconoscere che dietro la nostra istituzione c'è qualcuno che chiama.

C'è il problema dei matrimoni misti e della promozione della donna; il problema della cultura; e non è senza importanza che in tanti paesi arabi, dove purtroppo le comunità cristiane locali non esistono ancora, parlo dell’Africa del Nord, ci è impossibile servire sia nelle biblioteche, sia nei centri culturali, sia negli ospedali. Certo che i problemi alimentari e le politiche funerarie pongono tanti problemi, però non possiamo noi vivere in un mondo ormai pluralistico, in materia di fedi religiose senza essere informati ed avere in testa i principi fondamentali in materia pastorale. E qui direi, per riassumere tutti questi problemi della convivenza, non dico pacifica, ma costruttiva, noi cattolici abbiamo nella nostra tradizione due principi fondamentali: rispettare le coscienze personali ed invitarle a sviluppare la loro autonomia, e qui vedete tanti testi del Vaticano II che sarebbero da citare come esempi. E naturalmente, organizzare il pluralismo, che sia quello culturale o alimentare o religioso. E qui, l’esperienza di tanti altri paesi potrebbe essere utile per la nostra esperienza in Italia e, direi, nell’informare le nostre comunità, dovunque esse siano. E’ importante per noi non fare soltanto informazione sull’Islam in quanto religione o Islam come cultura, sistema giuridico o politico, ma dobbiamo in continuazione paragonare. Parlare delle presentazioni comparate: chi è Dio per voi, chi è Dio per noi… Ed è proprio in tal senso che la Commissione Internazionale Cattolica di Teologia ha posto le domande alla fine del suo famoso documento "Il Cristianesimo e le religioni": "Cosa dite di Dio, cosa dite dell’uomo, cosa dite della famiglia, dell’amore?" Sono le domande che sono state poste fin dall’inizio della Nostra Aetate e che, tutto sommato, costituiscono la sostanza del nostro dialogo interreligioso. Ed è vero allora in tal caso che quando un musulmano bussa alla porta della nostra Chiesa per chiedere chi è Gesù Cristo, è ovvio che si tratta di organizzare per lui una catechesi adatta.

Il mondo dei musulmani si è risvegliato da quasi 25 anni, soprattutto dall’ottobre ’73, l’embargo del petrolio a causa della guerra di Ramadan Kipur, e qui siamo coinvolti nel grande confronto mediorientale. Il nostro dialogo soffre da questa spina tremenda, che non è finita. E’ una sfida, questo mondo dei musulmani, che pretende di proporre al mondo oggi una terza via, tra quella caduta del sovietismo comunista e tra quella, non ancora caduta, del liberalismo occidentale paganizzante (é quello che io leggo ogni giorno dai loro documenti in arabo). Ecco la sfida. Per loro entro un secolo tutta l’Africa dovrebbe essere islamizzata. Ecco un’altra sfida. Davanti a questa sfida, che io chiamo mistica, la reazione che il cristiano ha è troppo spesso quella della paura, perché c’è ignoranza…. E perché c’è ignoranza? Perché "l’altro" non ci interessa. E perché non ci interessa? Perché manca qualcosa nella nostra fede. Davanti a questa sfida noi siamo re-invitati al cristianesimo autentico. Se per i musulmani i nostri Vangeli sono apocrifi, falsificati… cosa rimane? Realizzare nelle nostre vite quotidiane un quinto Vangelo che non sia falsificato. Anni fa uno scrittore egiziano mandò a Paolo VI una lettera aperta chiedendo: "Voi cristiani, quando finalmente vivrete al 100% le vostre beatitudini?" Mi pare che sia importante guardare a questa sfida. Per rispondere noi abbiamo la ricchezza delle nostre comunità. Che cosa ne facciamo? Pensiamo noi a quelli che sono lontani dalla nostra Chiesa? Che cosa facciamo per i musulmani? Io chiedo a tutte le congregazioni femminili che hanno delle comunità al servizio delle popolazioni musulmane, cosa facciamo per mantenerle, arricchirle, per far sì che siano affascinanti? Preparazione, testimonianza, ricchezza di vita cristiana. In modo che noi possiamo suscitare nei cuori e nelle coscienze la domanda "Lui chi è, che vi ha mandati qui a fare tuto questo?".

Leggendo il passo del Cardinal Martini, il quale dopo aver posto 4 domande alla cittadinanza di Milano, concludeva così: "Maometto nasce due secoli dopo il tempo di Sant’Ambrogio, e non vi è nulla quindi nell’opera del Santo che si riferisca al nostro tema; ma è interessante notare che la comunità di Ambrogio, era una comunità religiosamente "minoritaria": due terzi della popolazione, che in quei tempi abitava nella zona di Milano non era cristiana, bensì pagana. Eppure sembra che a Milano non esistesse un Ministero organizzato per l’evangelizzazione dei pagani. Nel "De Ufficis Ministrorum" Ambrogio non dà alcuna istruzione ai chierici per il lavoro di conversione dei pagani. La via ordinaria per la quale essi venivano a conoscenza del cristianesimo era attraverso la frequenza libera alla predicazione. I colloqui con il vescovo, come nel caso di Agostino, e specialmente il contatto con i cristiani e la loro condotta esemplare. Ambrogio poneva la sua cura nel far progredire la comunità cristiana come tale, per mezzo di essa e non con un ministero organizzato aveva l’influsso sui pagani. Non con un proselitismo invadente, bensì l’immagine di una comunità plasmata dal Vangelo che dà l’eucarestia, zelante nella carità, libera e serena nel suo impegno civile quotidiano, coraggiosa nelle prove, sempre piena di speranza. E’ questa la nostra forza principale, oggi, in un mondo secolarizzato: quella delle origini, dalla Chiesa di allora alla Chiesa di oggi".

Credo sia lo stesso in un mondo islamico.

 

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